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Un
vento freddo, quasi una solida parete mobile si è levato tra loro e
la loro destinazione. Klog cammina con la testa china e gli occhi
rivolti al suolo coperto di foglie, ma questo non gli impedisce,
quando alza lo sguardo, di vedere per un istante, dietro ai rami che
si agitano disordinatamente, volti misteriosi ed orribili ritagliati
nel verde più scuro e più chiaro delle foglie, ombre in chiaroscuro
che se osservate con attenzione scompaiono, ritornando alla loro
sostanza di foglie e rami.
–
Dobbiamo aver pestato i piedi a qualcuno di MOLTO importante. –
Osserva quasi tra sé Plinio.
–
Tiatikenn, probabilmente. – Matushka si abbassa sulla fronte il
cappuccio rovesciatogli dal vento e tossisce. – Speriamo che tra un
po' si stanchi .
–
Io non ci spererei troppo, Tiatikenn non è noto certo né per la sua
generosità né per il suo umorismo. – Il gatto solleva il viso ad
annusare l'aria. – Canddermyn resiste all'intruso, ma per
raccogliere tutta la sua grande forza ha bisogno di tempo, di molto
tempo.
Klog
chiude gli occhi e cerca di respirare senza soffocare. – E nel
frattempo cosa facciamo? Ci facciamo portare via come stracci vecchi?
Aspettiamo che le Ombre ci facciano a pezzi? Plinio, Matushka mi
sentite?
La
piccola volpe oscilla per una raffica più forte, borbotta qualcosa
tra i denti e si ferma. – Ha ragione, Plinio, non possiamo
resistere ancora molto all'aperto, dobbiamo trovare un rifugio.
–
E dove? Tu lo conosci un buon posto, qui? Io non so nemmeno dove ci
abbia portato il vento. Temo che Tiatikenn voglia spingerci in un
tratto aperto e lì spazzarci via come foglie secche.
–
Rinforza ancora! – Urla Klog, con una nota di panico nella voce.
Ormai è quasi impossibile tenere gli occhi aperti e quando vi riesce
il Boldhovin riesce a vedere solo il grigio rabbioso delle raffiche
che urlano come fantasmi inquieti e o spingono in tutte le direzioni.
– Conoscete qualche in..cantesimo? – Urla Klog, accucciato a
terra per resistere ad una folata più forte.
–
NO! – Grida Matushka. – Niente di…adatto.
Il
gatto, semisdraiato per terra, il viso nascosto da un braccio, non
risponde. Poi, faticosamente infila il braccio nella piccola borsa
che porta a tracolla e ne estrae un'oggettino argenteo di forma
ricurva. – Ecco.
–
Cos'è, Plinio?
–
Uno Srithi. Suonalo…presto, Klog.
Il
Boldhovin prende in mano l'oggetto resistendo ad una ventata più
forte e maligna e se lo porta alle labbra. Dal piccolo strumento esce
una nota liquida, stranamente forte che diviene più nitida e
distinta ad ogni risonanza.
–
Funziona, Klog, continua! – Esclama Matushka. – Il vento è
cessato.
–
È cessato solo qui.– Plinio si solleva a sedere. – E non
ritornerà fino a quando qualcuno suonerà lo Srithi.
Klog,
intento a suonare, vorrebbe fare mille domande ma ogni volta che si
ferma per riprendere il fiato sente il vento che si avvicina
nuovamente, cento volte più rabbioso e questo lo induce a riprendere
con maggior forza.
–
Bravo, suoni bene. – Osserva Matushka rivolta a Klog. – E tu
Plinio, come fai a possedere un oggetto di tale valore, l'hai
sgraffignato?
Il
gatto scuote solennemente la testa. – Mi è stato donato dal
Maestro Selestin. Era di Kerfilluan, ma credo che la sua magia sia
molto, molto più antica. Alcune leggende dicono che i Primi Lontani
potevano spostare le montagne cantando e probabilmente questo Srithi
è stato prodotto proprio da loro. Altro non so, mi basta che
funzioni.
Klog
suona senza interruzioni, intimorito ed insieme affascinato
dall'inconcepibile antichità di quell'oggetto. Quel piccolo corno è
leggero in un modo sconcertante e la superficie metallica non sembra
fredda, ma stranamente tiepida, come se vivesse e vibrasse del suo
contatto. Dopo aver emesso note più o meno a casaccio, spinto solo
dalla paura, comincia ad appassionarsi della morbida potenza dei
suoni che emette: accenna una marcia, poi una giga, quindi una
struggente, malinconica ballata, mentre Plinio e Matushka lo guardano
prima sorpresi poi stupiti ed ammirati, dimenticando anch'essi la
furia del turbine che si abbatte a pochi metri da loro.
–
La sentite? Klog, non smettere, per carità… La sentite, vero? È
Canddermyn che si prepara alla lotta. – Dice a un tratto la volpe
avvertendo una cupa vibrazione che proviene dalla terra sulla quale
sono seduti.
–
Sì, ci siamo. Adesso sì che vedremo mirabilie mai nemmeno
immaginate…Non vi muovete. – Aggiunge Plinio.
La
vibrazione della terra cresce fino a farsi una nota profonda, un
rintocco che sembra venire dall'orlo del Mondo. E la sua intensità
cresce in maniera insopportabile, fino a quando nessuno può più
udirlo, confuso com'è con la sostanza stessa della quale anche loro,
gli unici ascoltatori, sono fatti. Ogni creatura vivente della
foresta, gli alberi, gli animali, i fili d'erba, le foglie morte,
l'acqua, la terra stessa formano un coro che sovrasta il fischio
rauco e le urla scomposte del vento magico.
Senza
smettere di soffiare nel piccolo corno, anche se non riesce ad udire
più nulla di quanto la bocca e le dita eseguono, Klog si volta per
guardare. Il vento, a pochi metri da loro, rantola furioso, ma gli
alberi sono immobili ed il colore e la loro tessa sostanza è
cambiato. Sembrano tagliati nel rame e nel ferro antico, ora, mentre
il cielo lampeggia e vibra come una lastra di vetro prossima a
spezzarsi.
Il
vento solleva grandi colonne di terra e sabbia che si spezzano quasi
subito, si avventa con rabbia contro i mucchi di foglie e rami che ha
sollevato ma nulla sembra più sensibile al suo tocco e la foresta,
divenuta roccia e minerale, guarda con disprezzo quell'affannarsi
inutile e stizzoso, come un saggio può guardare l'agitarsi bisbetico
di un mercante truffato.
Dopo
qualche attimo di relativa pace il vento si alza un'ultima volta con
un urlo agghiacciante e Klog ha la sensazione di vedere un volto
disegnato dalle sue folate: un volto dagli occhi formati da polvere e
sassi, dai lineamenti fatti di rami secchi e spezzati, la lunga barba
ispida e la bocca aperta come per urlare.
Dopo
un irreale attimo di silenzio ed immobilità un boato assordante, una
vibrazione che scuote il mondo dei vivi e dei morti spezza per sempre
l'urlo del vento e priva dei sensi il Boldhovin, Matushka e Plinio.
Quando
i tre si risvegliano su Canddermyn è tornato a brillare il sole, le
acque cantano, gli alberi muovono dolcemente i rami, accarezzati da
una brezza amica.
Klog
appena sveglio cerca subito lo Srithi, rotolato a pochi passi da lui
e solo dopo averlo ritrovato si guarda intorno per controllare la
situazione dei suoi amici.
–
Che bello! – Urla una voce femminile provienente da sotto un cumulo
di abiti. – Quanto mi è piaciuto, Canddermyn ti amo!.
–
Stai bene Matushka? – Chiede il Boldhovin, abbastanza
pleonasticamente.
–
Mai stata meglio. L'unica cosa che mi dispiace è non vedere la
faccia di Tiatikenn in questo momento. – La piccola volpe esce
arruffata e felice dal mucchio dei suoi abiti e fa un paio di salti
come una capretta.
–
Sarà un po' spettinato, credo. – Commenta con tono divertito
un'altra voce. Attraverso il collo aperto della camicia che indossava
in vesti umane Klog riconosce gli occhi di Plinio, illuminati di una
luce malignamente sorniona.
–
Dai vieni fuori, stupido gatto. – Le dice Matuska.
–
Sto benissimo qui, cara mia. Anzi penso che schiaccerò un pisolino.
Hi hi! Credo che Tiatikenn, Maestro della magia dei Notturni e
Signore dell'Oltre-Lo-Specchio se ne guarderà bene dal molestare
ancora Canddermyn. Quindi possiamo anche riposare tranquilli, è
stato un giorno MOLTO movimentato.
–
Ma io ho fame. – Esclama Klog. – Sarà stata la paura, il
sollievo, quello che volete, ma io ho un appetito che mangerei
qualsiasi cosa.
–
Come sei prosaico, Boldhovin.– Commenta Plinio. – Non ti basta il
cibo leggero ma nutriente dato dalla soddisfazione? No, devi essere
così volgare da pensare solo a nutrire il tuo banalissimo stomaco,
dopo tanti e meravigliosi prodigi?
–
Sì. – Replica Klog per nulla impressionato.
–
Se non c'è nulla che possa farti recedere da tanta convinzione non
vedo altra soluzione che andare a mangiare da Sibiell. Portami gli
abiti, sono già stato fin troppo umano.
–
Anche a me. Voglio sentire questa brezza nel pelo ed odorare il
profumo di quest'aria così dolce. – Aggiunge Matushka, scattando
verso il folto degli alberi.
Re
Artamiro, di umore nero come la notte, si avvicina alla grande
tenda-laboratorio di Tiatikenn, posta sulla cime di una piccola
altura adornata del vessillo della luna nera in campo argento. Il
potente sovrano, con la sua scorta formata da trenta Silvestri
rivestiti di cuoio e metallo ed armati di grandi asce, seduto nella
sua portantina mastica amaro e immagina punizioni sempre più
sottilmente sanguinarie ai danni di Siah Teh, colpevole di essersi
lasciato sfuggire Kwister di Lö.
–
Non so come possa averlo saputo, sua Volontà. – Balbettava lo
stupido Syerdwin reggendo in mano il collare ormai inutile. – Io mi
sono allontanato solo per un istante, sua Volontà, ma sono stato
tradito, tradito, tradito!
E
quella sciocchezza del tradimento Siah Teh aveva continuato a
ripeterla anche mentre due dei suoi Silvestri lo portavano via dalla
sua regale ed arbitraria Vista, per gettarlo a meditare sulla propria
inopportuna libidine nella fossa dei maiali.
–
Mi credete un sacco di letame, eh, brutti rospi? Se non riuscite a
portare meglio questa trappola non avrete più bisogno delle braccia.
– Urla il Re ai quattro Gu'Hijirr che lo trasportano. E al
Siniscalco che procede a piedi al suo fianco ulula: – Ant'Kisìel,
grandissimo idiota, hai mandato qualcuno a cercare quell'accidenti di
cane bastardo?
Il
Siniscalco annuisce freneticamente. – Ho mandato un centinaio di
cavalieri, ma nessuno l'ha veduto allontanarsi e così nessuno sa in
quale direzione cercarlo. D'altro canto non ci si attendeva una
simile condotta da parte del Duca e così…
–
Cosa intendi dire, bestia, eh? – Re Artamiro si sporge fuori dalla
portantina per prendere per il collo il suo Primo Ministro ed i
Gu'Hijirr sono costretti a veri prodigi di equilibrio per non farlo
cadere, anche se la cosa non peggiorerebbe troppo, probabilmente, il
suo umore. – Vuoi dire che mi fidavo, eh, sudicio imbecille? Dillo,
allora! – Tempesta sua Volontà mentre il Siniscalco cerca
inutilmente di nascondere il capo tra le spalle.
–
Non ho detto questo, maestà. Nulla di più lontano dalla mie
intenzioni. So che Vostra Volontà non è un povero ingenuo
sprovveduto. Sono stato io a consigliarvi di fidare nell'onore del
Duca e quello stupido maghetto pesce a lasciarselo scappare. Questa è
la semplice verità.– Annuncia Ant'Kisìel.
–
Non è vero, brutto scimmione, e mi fa schifo la tua umiliante
piaggeria. Io solo ho detto che potevamo fidarci dell'onore del Duca
ed ancora lo credo, così come credo che egli tornerà da noi entro
pochi giorni. Ah, voi vermi sapete giudicare il mondo solo con la
vostra anima miserabile… Ma perché…
Uno
strano spettacolo, colto con la coda dell'occhio, interrompe la
sfuriata di Artamiro che per lo stupore lascia andare il collo del
suo Siniscalco.
–
Ohibò, che diavolo succede? – Esclama sua Volontà volgendosi
completamente verso la tenda di Tiatikenn, che si inclina e geme come
una vela troppo tesa.
Artamiro
si guarda intorno corrucciato ma l'aria è calma, senza un'alito di
vento.
–
Dubro! – Chiama.
Il
capo dei Silvestri della sua guardia si avvicina, ritto come l'albero
di una nave.
–
Ti ascolto Eit'Corok.
Ant'Kisìel
guarda con disgusto l'alta figura adorna di una lunga barba verde ed
il viso del colore del legno stagionato, ma prudentemente arretra di
un paio di passi. I Silvestri o Erbani non amano i modi raffinati e
falsi dei cortigiani come non amano troppo i cortigiani stessi che
chiamano con una parola: gurthe della quale nessuno ha mai
chiesto la traduzione. Anche 'corok, vocabolo che viene
correntemente tradotto come "fatto di carne", non ha
probabilmente un significato troppo positivo presso gli Erbani.
"Ma."
Riflette Ant'Kisìel. "Artamiro apprezza la volgarità e la
rudezza in questa gente dalla testa di legno e il Re è lui –
purtroppo – non io."
–
Cosa sta accadendo? – Chiede Artamiro al Silvestro una volta
giuntogli a portata d'orecchio.
La
creatura del bosco chiude gli occhi con lentezza prima di rispondere.
– Canddermyn è stata turbata, Eit'Corok. Io-noi possiamo udire la
sua voce spaventata ed irata, le urla dei fratelli- immobili, il
rumore della terra e dei sassi. Io-Noi attendiamo.
Artamiro
annuisce serio. Non ha mai compreso il legame che unisce tra loro i
Silvestri, un legame grazie al quale a volte provano tutti le stesse
emozioni e pensano gli stessi incomprensibili pensieri. Il re si
guarda intorno: tutti gli Erbani sono immobili, come congelati, il
viso rivolto verso la tenda di Tiatikenn che oscilla paurosamente
senza che un soffio di vento la sfiori.
–
Athi, GÜÜrr… dddDDrath! – Urlano in coro i Silvestri ad
un'oscillazione più forte della tenda, producendo un suono forte e
netto come uno schianto.
–
Sta caden… – Fa in tempo a strillare Ant'Kisìel, prima che la
superba tenda di Tiatikenn, tessuta di seta e d'argento, si afflosci
come colpita da un titanico pugno e la vibrazione cupa, che avevano
udito senza rendersene conto, cessi.
Artamiro
si guarda intorno, stordito. Sul volto dei Silvestri si è formato un
sorriso vago e beffardo mentre il suo Siniscalco guarda la scena
atterrito.
–
Andiamo. – Ordina il Re con cautela.
Quando
la numerosa compagnia giunge sullo spiazzo dove sorgeva la splendida
tenda un Tiatikenn irriconoscibile scivola da sotto il prezioso
tessuto per correre loro incontro.
–
Tiatikenn, ma come vi siete ridotto? – Esclama il Siniscalco
guardandolo mentre un smorfia indefinibile si forma sul viso di re
Artamiro. Il Grande Mago è scarmigliato, coperto di terra, polvere,
foglie secche, ha gli abiti ridotti a penosi cenci ed il viso scuro
ed infangato come un uomo appena estratto da una frana. Si agita
scompostamente come un invasato emettendo suoni chioccianti come un
povero muto.
–
Losse! – Commenta Dubro l'Erbano.
"Pupazzo"
traduce tra sé Re Artamiro. Ed effettivamente il disgraziato mago
sembra una marionetta impazzita che agiti gli arti a caso.
Dopo
un ultimo lamento gorgogliante il mago crolla a terra all'improvviso,
dando la sensazione che gli siano stati bruscamente tagliati i fili
che lo tenevano in piedi.
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