28.11.11

Avevo promesso...



...di dedicare il prossimo post, cioè questo, al lavoro in libreria. 
E invece no. 
Le intenzioni sono sacre, certo, ma la realtà è blasfema e se ne fotte delle promesse. 
Quindi questo post malnato si occuperà di LN-LibriNuovi. 


LN-LibriNuovi, per chi non lo sapesse, è una rivista letteraria nata nel 1987, in forma più o meno di ciclostilata e distribuita per i primi dieci anni ai soli soci della C.S. Dal 1997, anzi dal  novembre 1996, LN è poi divenuta una normale rivista, caratterizzata da qualche singolarità. La prima è quella di accogliere contributi e interventi da normalissimi lettori, la seconda di non separare la narrativa mainstream dalla letteratura di genere, la terza la volontà di non accettare pubblicità, soprattutto da editori. Quarta l'attenzione verso l'economia della distribuzione del libro, le librerie, i distributori, i traduttori.
Per la verità ce ne sarebbe anche una quinta, di singolarità, che i lettori affezionati alla rivista conoscono bene. Si potrebbe definire  - con un minimo di eufemismo - come un atteggiamento selvatico, aspro e riottoso, ovvero la tendenza a leggere e giudicare i libri sulla base del gusto personale di chi legge, senza preoccuparsi della canizza all'uopo creata dall'editore. 
I coordinatori della rivista, il sottoscritto e il GL (Grande Lettore), ovvero Silvia Treves, hanno fatto tutto ciò che era ragionevole - o irragionevole - fare per salvare queste caratteristiche fondamentali della rivista.
LN non è mai stata popolare tra gli editori e nemmeno tra molti autori. Accusata di volta in volta di essere infantile, banale, artigianale, di parlare male di autori famosi per ottenere una facile popolarità, di ignorare libri importanti e  di cantare sistematicamente fuori dal coro. E poi di essere provinciale e incolta, di accogliere e pubblicare interventi illeggibili o contorti, di imitare modelli presi dal Sole-24 Ore o di essere incompleta e insufficiente. Di occuparsi troppo di fantascienza e fantasy, di dare spazio all'horror e - reciprocamente - di non capire nulla né di sf né di fantasy, di non reclamizzare i titoli giusti di horror. Di ignorare a bella posta i grandi autori di thriller e sottovalutare sistematicamente i nuovi autori. E, infine, di attaccare da bolscevichi pregiudicati la grande editoria e le grandi catene librarie italiane, di ridicolizzare i grandi direttori editoriali e ridere alle spalle delle grandi iniziative di promozione.
Tutte accuse in qualche modo giuste e verosimili, intendiamoci. Che in quindici anni della seconda vita della rivista hanno sicuramente avuto qualche buona ragione. 
Ma LN è stata una rivista a suo modo importante. 
Un «mostro di belle speranze» nato irragionevolmente e sopravvissuto in spregio a tutte le profezie. 
...
In questi giorni avremmo dovuto scrivere a tutti gli abbonati per comunicare l'uscita del nuovo numero e invitarli a rinnovare l'abbonamento. 
Cosa che per la prima volta da anni e anni non faremo. 
Il numero in forma cartacea di LN non uscirà. 
I motivi sono tanti e non si tratta soltanto di mancanza di denaro. 
Anche se il quibus è - ahimè - piuttosto importante.
I motivi, se siete interessati, li potete trovare qui
Ma LN non è morto. 
I libri - in ogni possibile forma - escono ancora, gli editori continuano a combinare pasticci e talvolta a creare capolavori. 
E noi non siamo ancora stanchi di scriverne. 
L'indirizzo che troverete è importante e vi suggeriamo di salvarlo. Potrebbe diventare uno di quelli che vi piacerà cliccare nei prossimi mesi. 
Non siamo qui a piangere e meno che meno a chiedere del denaro. Siamo qui a presentare il nuovo inizio di LN, il suo passaggio al mondo virtuale della rete. 
Ci vorrà del tempo, ma ci siamo e ci saremo.




23.11.11

A che cosa serve Facebook?


Si tratta di una domanda retorica, evidentemente. 
Nata indirettamente da un'interessante spunto offertomi dal blog di Davide Mana, nel suo post «Qualche osservazione sul gestire un blog»
Mentre, infatti, approvavo senza riserve il suo quintessenziale pentalogo sulla gestione di un blog, mi chiedevo anche quanto siano tuttora in salute i blogger (in italiano blogologi? Blogologisti? Blogologanti?) tenendo conto dell'esistenza e dell'ottima salute di social networks come Facebook, LinkedIn,Twitter e del prossimo Google+.
La vera domanda temo avrebbe dovuto essere: A che cosa serve a me Facebook? E il fatale prevalere dei social networks, con la loro interminabile serie di chiacchiere, immagini, battute e battutine, risate, scherzi e sciocchezze, non rischia di rendere i blog e i blogger - inutili e pallosi musoni capaci di scrivere addirittura per un paio di pagine - un relitto del passato?
Come molti miei contemporanei (coevi, direbbe mia figlia) ho una striminzita pagina su facebook con una cinquantina di amici - abbastanza genuini, credo - e utilizzo facebook per scambiare messaggi con moglie e figlia, perorare qualche causa nazionale o internazionale e pubblicizzare (pateticamente) i miei post su fronte e retro. Molto raramente intervengo in qualche discussione e in qualche occasione utilizzo facebook per ritrovare qualche cliente - in genere librerie o editori - che, brutalmente parlando, mi devono dei soldi. 
Ho pubblicato qualche fotografia, ma poi ho smesso essendomi dimenticato il modo per pubblicarle - e non volendo essere dileggiato dalla mia crudele figlia - e se devo scrivere qualcosa sotto il famoso: «A cosa stai pensando»  mi rendo conto di essere molto più avanti nel Tao di quanto credessi, infatti non mi viene in mente assolutamente nulla. Condivido poco e male, commento raramente, non pubblico youtube e non propongo link. Sono, da qualunque punto di vista, un essere inutile. 
E non faccio di meglio con LinkedIn, dove ho la costante sensazione - non chiedetemi perché - di essere finito inaspettatamente in coda ad attendere Un Grosso Personaggio e di poter, nel frattempo, limitarmi soltanto a lanciare occhiate incerte agli altri accodati.  
Mia moglie, burbera insegnante di matematica, se la cava indiscutibilmente meglio di me. Interviene, commenta, propone link, dimostrando che si può fare un uso personale e persino spiritoso di Facebook.
Ciò che mi colpisce di FB e di altri social networks, tuttavia, è la brevità degli interventi. La carenza di interventi organizzati, la frettolosità dei contributi. Ovvio, si potrà dire, FB è nato per gli studenti che hanno più tempo a disposizione per i loro interventi. Che possono passare decine di minuti a controllare le eventuali risposte, a commentare, discutere, litigare. Un blog, da questo punto di vista, è un piccolo monumento all'ego eccessivo, una sonata in Me maggiore. 
Eppure non riesco a fare a meno di scrivere sul blog - e di intervenire in quelli degli amici - e pur provando simpatia e ammirazione per quelli come Danilo Arona, che sanno usare a menadito lo strumento FB, rimango affezionato ai testi pubblicati sul blog. 
Lo so, su FB è persino possibile - ed è avvenuto - convocare un moto di piazza o sostenere un candidato sindaco. FB è veloce, versatile, potente come un corteo e rapido come uno scippo. 
Il mio blog è una storia personale, un modo per definirmi e, inevitabilmente, per presentarmi. Un ricapitolare le mie scelte, i miei motivi, i miei desideri. Credo che sia possibile farlo anche con FB, ma non riesco a ricostruire il paesaggio, troppo frammentato per essere riconoscibile. 
Dev'essere un problema di età. 
In tutti i casi, appena finito di scrivere questo intervento corro su FB per pubblicizzarlo. 
Devono esserci ben tre o quattro persone che correranno a leggerlo.
...
La prossima volta riprendo Once upon a Time, giuro.


19.11.11

Stravaganze


Lo so, avevo promesso di riprendere i temi accennati nel corso dell'ultimo post, ma la vita scorre ugualmente al di qua e al di là dello schermo e sono sempre possibili i cambi di programma, le interruzioni, le esitazioni, le frenate e le inversioni. 
Qualche giorno fa, erano passati un paio di giorni al massimo dal post dedicato al rapporto con i lettori, quando in libreria, più o meno sul limite della chiusura, si è palesata una signora. Ben vestita, fresca di parrucchiere, sessant'anni portati con noncuranza. Mi scusi, mi scusi... riesce ancora a vendermi un libro? Annuisco, professionalmente cortese ma nulla di più. Siamo aperti più o meno nove ore al giorno per tre giorni la settimana (e otto ore gli altri tre) e siamo un po' nervosi sul problema dell'orario. 
Certo, mi dica. 

È che sono cooooosì incerta, avrei proprio bisogno di un consiglio.

Buonanotte, qui ne avrò perlomeno per una ventina di minuti. Scegliere il regalo e confezionarlo, magari madame è anche un tipo difficile... 

Riprende, garrula come un annuncio radiofonico: allora, cosa c'è di nuovo? Poi sorride meditabonda. E mi spiega.
La persona che deve ricevere il regalo è un forte lettore... in questo momento è malato, ma ho pensato che un libro sarebbe stato l'ideale... perché normalmente me la cavo con un buona bottiglia... La persona non è di sinistra, per carità... glielo dico così potrà orientarsi nella scelta... Come me, del resto... so che ha letto x, y, z, eta, theta, kappa, lambda, tizio, caio, sempronio, tale e talaltro... ha letto anche Saviano, anche se come me non condivide affatto le sue idee...
Lo so, viene voglia di chiedere: condivide quelle della camorra, allora? Ma siamo professionisti, si resiste e si sorride a una temperatura vicino alla temperatura di Saturno. Capisco, si mastica e si rimane lì, incappottati e tempestosi ad attendere che madame termini la sua tirata. 
 Avrei potuto prendergli una bottiglia, ma è proprietario di un ristorante... Così devo ripiegare su un libro...
Ripiegare su un libro. Il tipo di commento che mi sarei aspettato da un sottopiffero di Goebbels. Già, ma madame è di destra, tra una cosa e l'altra me l'ha già ripetuto tre o quattro volte. E io sono un commerciante, quindi tendenzialmente un destrorso, uno che non ha pazienza nei confronti dei poveretti e in fondo in fondo pensa che la camorra esista perchè la gente del sud non ha coraggio, anzi magari in fondo li ammira. 
Tiro fuori alcune novità. Volutamente ambiguo. C'è questo libro di Hertha Muller... Chi è?... Ah, soltanto un premio Nobel... non lo conoscevo... Oppure c'è l'ultimo libro di Orhan Pamuk... E chi è?... Come non lo conosce? Ah, guarda la combinazione è anche lui un premio Nobel... Ma c'è anche Christa Wolfe, come non la conosce? Un'importante autrice tedesca... ma dell'Est, forse non è adatta... Potremmo andare su Un fallimento del capitalismo, di Richard Posner, una nota personalità di destra americana, questa volta molto critico nei confronti del mondo degli affari americano... Oppure su...
Ha qualcosa della Maraini?

Lo trovo, commenta favorevolmente il fatto che è stampato in caratteri grandi - evidentemente il baluardo della destra italica dev'essere un po' miope - glielo vendo, sconto zero perché non hai la tessera da socio. E poi perché un pensiero di destra coerente dev'essere rispettoso del lavoro e dell'utile altrui. 
Se ne va dopo una ventina di minuti, mormorando qualcosa sul fatto che il libro è un po' poco e che una bottiglia... e custodendo nella borsa un'autrice da sempre presentata come poco meno rossa di Rosa Luxemburg.
...
Dubito che madame si riveda ancora - anche se non è affatto detto, le madame hanno sempre qualcosa di masochista - ma non sono particolarmente contento del lavoro fatto. Aver giocato sulla definizione di destra-sinistra e aver esibito la mia migliore preparazione non mi inorgoglisce. 
In fondo averle mostrato che prefissare uno schieramento politico per un autore, un saggio, un titolo è sostanzialmente idiota. 
E che la sua esibizione di cultura poteva facilmente essere smontata. 
E, infine, che presentarsi in libreria sperando di trovarvi gli autori già divisi secondo le opinioni politiche era piuttosto stravagante.
Madame, come tutti rischiamo costantemente di fare, ha in realtà filtrato i libri letti - pochi o tanti non importa - secondo la sua personale concezione del mondo, ritenendone soltanto ciò che veniva approvato dal suo superIo politicamente schierato. 
Ho avuto molti amici che ragionavano nello stesso modo. Che apprezzavano Marquez per il suo essere sudamericano come il golpe cileno e come lui decine e decine di autori, più o meno bravi, accomunati dalla convinzione palesata nel corso di incontri, presentazioni, dichiarazioni di credere anche loro nel sol dell'avvenir.
In realtà estrarre un significato schiettamente politico da un buon romanzo è un esercizio piuttosto assurdo. E schierare gli autori - Chesterton è di destra, Mark Twain è di sinistra - potrà avere un senso da un punto di vista storico ma non da un punto di vista letterario. 
Sarà la storia a definire la posizione di Celine e quella di Marquez. Ma non stupitevi di preferire il primo al secondo.



17.11.11

Ma devo credere ai suggerimenti... OUT parte seconda


Siamo al buono, alla situazione che tutti coloro che leggono abitualmente hanno vissuto almeno una volta, il tu-per-tu con il libraio. 
Personalmente sono un lettore bizzoso, antipatico, ombroso e capriccioso. Essendone conscio ho evitato quasi sempre di chiedere notizie o informazioni ai librai - quando non ero ancora io stesso un libraio. Non mi fidavo e non avevo voglia di essere convinto di qualcosa, preferivo - e preferisco - scegliermi da solo le mie letture, magari sbagliando. Che un soggetto del genere potesse diventare a sua volta libraio può probabilmente stupire, ma non stupisce troppo il sottoscritto, amante dei libri fino al feticismo ma con una passione cocciuta e solitaria. Sono diventato libraio facendo pubblicità all'uscita dei corsi universitari, poi vendendo libri, dispense a appunti e facendo fotocopie. Sono poi diventato amministratore e infine presidente della società. Fine del cursus honorum.   
Nel fare tutto ciò ho appreso che un certo numero di persone non vuole - o talvolta non riesce - a far tutto da sola e necessita di un aiuto.  Un piccolo aiuto, il più delle volte, un aiuto più cospicuo in altre. 
«Cosa c'è di bello da leggere?»
«Cosa ha letto di recente che consiglierebbe?»
«C'è un libro che suggerirebbe?»
Sembrano domande piane, normali, ma in realtà sono un piccolo incubo per chi sta dall'altra parte del banco. 
Le prime risposte che vengono in mente sono, rispettivamente: 
«Cos'è bello per lei, onestamente, non lo so»
«Un buon Urania, comprato nell'edicola della stazione»
«Un libro uscito più o meno vent'anni e attualmente fuori commercio».
Poi mi riscuoto, ricordandomi che sono qui per vendere. 
La risposta reale è lunga e complicata. Quindi, per questo post, mi limiterò a rispondere virtualmente alla prima domanda, rimandando le altre ai prossimi.


...
Non esistono leggi fisse e immutabili per una risposta, così si deve improvvisare. E ricordare. E immaginare. 
Si tratta di capire, ad esempio, che cosa il/la cliente (in genere di sesso femminile, ma non necessariamente) pone nel suo personale Olimpo letterario. Aurore americano dai grandi orizzonti? Killer necrofilo prestato alla letteratura? Fine e raffinato gourmet letterario? Autrice post-femminista incarognitasi libro dopo libro? Allegro e inutile giornalista gossipparo? Cupo economista rabbioso? Giallista provinciale e scollacciato ma con un certo spiritaccio? New-Age amante degli incolpevoli animali? Ma anche qui non si può chiedere semplicemente: «Che cosa le piace?», anche se questo risolverebbe un sacco di problemi. Conviene chiedere: «Ha letto qualcosa che le è piaciuto molto, ultimamente?»
In genere funzia. 
La lettrice / lettore è ben contento di sentirsi chiedere che cosa ha letto e che cosa gli piace. In genere, a quel punto, il gioco è fatto. Si tirano fuori 3 o 4 libri simili per tema - autore - soggetto e magari, se il cliente è davvero un buon cliente si estrae un quarto o quinto libro un po' diverso, quasi a invitarlo a provare. 
In tutto ciò, ovviamente, bisogna ricordare solo marginalmente che esistono libri che si pagano prima e libri che si pagano dopo, che su alcuni c'è il + 5% di sconto, che altri sono di quel rappresentante, quello gentile e disponibile che te li fa pagare a 150 gg fine mese, che altri ancora sono scritti da un autore al quale si è allergici. Si sciorina e basta. Se si è fortunati il cliente sceglierà il libro col + 5%, se va male sceglierà quello dell'autore allergizzante. Si ringrazia, si sorride (o si sogghigna, pensando «sto 'mbecille te lo sei scelto tu, 'zzi tuoi») e si incassa. Il massimo è che il cliente torni qualche tempo dopo lamentandosi dell'autore allergizzante. Ma può anche succede che ritorni ringraziandoti per la (sua) scelta dell'autore per te intollerabile: «Grazie, è stata davvero un'ottima lettura».
Si annuisce con aria saputa ma con una punta di smarrimento. Appena uscito il cliente si prende in mano il libro. Lo si riguarda. Si rilegge la quarta di copertina. Qualche pagina a caso. Si avverte un forte prurito al naso e agli occhi. Una leggera nausea. Qualcosa di simile al mal di mare. Si chiude il libro. Si guarda il soffitto: «Mah, il mondo è bello...».
L'avvertimento di «dimenticare» le condizioni di acquisto e di non provare a fare il conto di quello che rimane in libreria una volta uscito il libro, è centrale nella gestione del rapporto con il cliente. Il concetto fondamentale si potrebbe riassumere con un «Un cliente soddisfatto ritorna», categoria - me ne rendo conto - da piazzista del Maryland, ma comunque piuttosto vera. Fare la controprova non è difficile ma può essere pericoloso. A tutti, comunque, è capitato di ricevere un libro «consigliato» dal libraio e scoprirlo sinceramente cretino - o inutile, stucchevole, copiato e futile - e inevitabilmente pescato tra i primi cinque delle classifiche di vendita. 
Se mai vi capiterà di diventare librai per prima cosa DIMENTICATE l'esistenza delle classifiche di vendita. La classifiche di vendita, anche quando veritiere (e non lo sono), servono a illustrare il famoso detto: «Non può essere schifoso, è piaciuto a dieci milioni di persone», un detto che esemplifica perfettamente il rapporto che esiste tra ditteri coprofagi e i grossi escrementi.  
I libri in classifica non sono in genere né migliori né peggiori di tanti altri. Semplicemente hanno mosso grossi investimenti che richiedono grossi rientri. Buona regola del libraio indipendente sarà quindi quella di ignorare bellamente gli investimenti altrui e di privilegiare il contenuto, al di là di qualunque snobismo. Giudicare se si tratta di un buon giallo, di un buon romanzo d'amore, di un buon pamphlet, di un buon fantasy e così via. Se il testo non convince è bene tenerlo in libreria ma evitando di consigliarlo. 
Detto di passata, questo probabilmente spiega anche perché i librai indipendenti non piacciono agli editori.  
Essere in una piccola libreria aiuta, in ogni caso. La mancanza di un capo supremo che vi riprende (o vi butta fuori) perché tendete a vendere libri stravaganti piuttosto che i 20-30 titoli che tirano, permette di continuare a fare il proprio mestiere, ammesso che il settore abbia abbastanza fiato per resistere a momenti come quelli che stiamo attraversando. Ma questo aiuta anche a capire perché nelle favolose librerie di catena è piuttosto probabile che alla richiesta di un «buon libro da leggere» vi rifilino il numero 1 o 2 o 3 o N della klassifika. 
Se vuoi rimanere commesso devi cercare di sopravvivere.
D'altro canto, se vuoi rimanere lettore, devi difenderti. 
...
Alla prossima.
 

15.11.11

Resistere, resistere, resistere


L'Italia di Berlusconi non era soltanto bunga bunga, scimmioni incolti e idiotesse vestite da ministre. Non era solo il controllo più farlocco sui media e il tentativo costante di modificare il codice penale per salvarsi il culo. 
Era ed è stato anche il disprezzo, la noncuranza, l'irrisione per chi lavora e cerca di tenere sù come può questa povera Italia. 
Quindi, per favore: 


P.S.: il messaggio è stato pubblicato anche da Silvia Treves sul suo blog e da Morgana Citi nel suo profilo facebook

12.11.11

Once upon a time... Prima parte


In che cosa consiste fare il librario?
Un non-lavoro, secondo alcuni. Un ciondolare felicemente da un libro all'altro, conversando con anime superiori e fini intelletti. 
Un lucrare, sia pure in qualche occasione non del tutto conscio, alle spalle di poveri autori, complici gli editori e i distributori e che soltanto la magnifica e poderosa rivoluzione telematica riuscirà a spazzare via. 
Un lavoro come tanti, da prendere o abbandonare in rapporto al quibus e alle occasioni. 
...
Comincia qui il mio breve viaggio in un lavoro antichissimo, nato molto prima della stampa e subito dopo la nascita di mezzi per conservare la cultura un po' più maneggevoli di un muro o del tramezzo di una caverna.
Scriverlo sarà probabilmente, spero, divertente. In quanto all'essere utile, beh, permettemi di dubitarne. In ogni caso potrete tenerlo come ricordo dei tempi nei quali esistevano ancora librerie indipendenti.
Sullo stile vi permetto di osservare che non è questo il tono adatto a un funerale o quantomeno a un'agonia, un morire ogni giorno un po', un vedere il cielo che lentamente si chiude su di voi. 
Ma io sono soltanto un libraio, non Sigfrido.
I miei nemici - perché ne esistono, anche se loro ignorano di essere tali - sono catastroficamente seri. Nervosi, intolleranti, un filino cocainomani. 
Ecco, io sono e mi sento molto diverso.


...
Per quanto mi riguarda, in che cosa consiste il fare il libraio?
Beh, stare dietro un bancone più o meno lungo, manovrare libri, arredare / svuotare scaffali, comporre vetrine, ripiani, scalini, spazi espositivi, tavoli, piani inclinati...; compilare ordini e spuntare rese; verificare l'esistenza o la morte di un particolare libro; costruire bibliografie, consigliare - e sconsigliare, anche se non è cosa da tutti - letture; suggerire biblioteche, inventare assortimenti di libri per un compleanno, anniversario, genetliaco, ricorrenza e festeggiamento; organizzare + partecipare a presentazioni con autori con o senza rinfresco finale - il primo, comunque, ha il doppio o il triplo del pubblico -, nel caso intervenire e apparire spiritoso e divertente; presidiare allestimenti e box presso convegni, fieredellibro, incontri; interpellare colleghi  e brontolare / lamentarsi all'unisono con loro; fare pacchetti, tagliare la carta per fare pacchetti, creare fiocchi, recuperare sacchetti, utilizzare arredi di cartone dell'editore X per esporvi i libri dell'editore Y o viceversa; distribuire cataloghi, specimen, quartini, capitoliprimi, volantini pubblicitari, riviste autogestite e riviste eterogestite; sostenere, promuovere, elogiare pubblicamente lo scrittore Z, tacendo anche solo l'esistenza dello scrittore W perché Z non s'adonti; schierare i libri in occasione di preminobel, rimembranze, tristi anniversari, giornate della memoria; organizzare e partecipare a Portici di Carta, Marciapiedi di Carta e Bastioni di Carta; sorvegliare (inutilmente) le copisterie della zona universitaria per evitare la fotocopiatura di ogni genere di libro; accogliere comunque in modo (abbastanza) gentile chi apre la porta per chiedere biglietti del tram, il negozio che si trovava lì vent'anni prima, libri scolastici usati, libri universitari fotocopiati, per vendere un'enciclopedia ritrovata nella cantina del nonno, per avere notizie del libro scritto dal bisnonno e misteriosamente scomparso da ogni catalogo; segnalare novità sul sito-della-libreria e preventivamente leggiucchiarle, giusto per non fare la figura del passacarte dell'editore di facile consumo; seguire dibattiti, battibecchi, scazzi, divorzi e riconciliazioni nel mondo editoriale per non fare la figura dell'analfabeta comunicativo e mediale...
...
Questo era soltanto un antipasto. In delle prossime puntate affronterò la Domanda che molti si pongono: «Ma i suggerimenti del mio libraio vanno presi sul serio?» e anche la domanda (minuscola): «Perché tanti librai se la tirano così maledettamente?».
Resistete...



10.11.11

Perchè fai quello che fai?


Da qualche giorno mi girano in mente alcune domande e osservazioni fatte da un paio di frequentatrici di questo blog. Si tratta, tanto per essere chiari, di cily e di lady simmons, che recentemente, commentando alcune mie osservazioni su autori ed editori, hanno sollevato un problema che non avevo minimamente considerato, cioé la funzione e il ruolo del libraio nella scelta dei libri da acquistare e leggere.
Non l'avevo considerato per alcuni motivi, tutti a loro modo significativi: 
1) È un periodo fortemente critico per me e il mio lavoro e da un po' ho smesso di farmi domande sul mio ruolo, semplicemente preso a tentare di rimanere un libraio e non diventare un ex-libraio. 
2) Per fare questo ho dovuto puntare gran parte della mia attività sui testi universitari per le facoltà scientifiche - cioè quelli con cui ho iniziato la mia avventura - finendo giocoforza per considerare con minore attenzione i libri di narratica e saggistica.
3) In ogni caso ho dovuto constatare che la produzione in proposito dei maggiori editori è in un momento di profonda crisi, segnato da stanchezza e ripetitività. Ogni 10 libri che escono 3 sono gialli/thriller/polizieschi (genere che, ahimé, non amo particolarmente, tanto più se evidentemente autoclonato sino alla nausea) e in generale mi pare siano latitanti i libri sorprendenti, curiosi, inattesi, vandalici, irregolari e stimolanti, come se i possibili nuovi autori - sul disordinato e casuale modello di Mo Yan, Perec, Shepard, Arpaia, Xingjian, Hiaasen e mille altri - faticassero a emergere o scegliessero altre forme d'espressione, a sottolineare che siamo al tramonto della narrativa. E senza autori realmente sorprendenti è impossibile proporsi come «divulgatore» del nuovo. A meno di non pensare che il nuovo possa essere Mr. Baricco e i suoi compitini da primo della classe.
La conseguenza prima di questa situazione, in ogni caso, è che la funzione «storica» del libraio si va estinguendo. 
Come la sua stessa esistenza.
Ma Cily e Lady Simmons hanno detto - separatamente e senza alcuna precedente consultazione - che ripongono fiducia in un possibile libraio, identificandolo come possibile (mini)demiurgo verso il mondo della letteratura. 
Ohibò. 
Se ne desume che può ancora essere utile una riflessione sul mio lavoro, riflessione che ho comunque promesso di condurre su queste pagine alle due gentili lettrici . 
Sul mio lavoro, perlomeno finchè resta il mio lavoro. 
Principale difficoltà, credo, è la mole di riflessioni, osservazioni, consigli, inviti alla diffidenza, atteggiamenti teppistici e inquietudini assortite che una riflessione sull'essere libraio nell'A.D. 2011 può portare con sé.
Come non fare il libraio secondo me, ovvero che cosa non faccio e forse farei bene (o male) a non fare. 
Che cosa non si dovrebbe mai fare - tipo l'osservazione sul BiBì (Beato Baricco) di poco fa - e che cosa bisognerebbe assolutamente fare e che non faccio o non so fare. 
Poco poco ci vorranno tre o quattro post. Bene che vada.
Ma una promessa è una promessa.
Comunque, come per la «Guida galattica per autostoppisti», è bene avere una frase introduttiva di conforto. 
Cito liberamente: «Cominci a essere un libraio quando pensi kzzate tipo "ho incassato perché sono un figo pazzesco / la cassa piange perchè sono un povero pirla"», frase in origine non mia ma giustamente attribuita a un Grande Libraio Torinese. Che si può tradurre in italiano corrente con un: «Gli incassi non dicono nulla di serio sul tuo valore». 
Frase in apparenza - o forse non troppo in apparenza - Zen.
A presto.



 

6.11.11

Piccoli che non cresceranno


Come tutti i librai del mondo posso godere della possibilità di ricevere gli editori che non hanno distributori e gli autori autopubblicati.
In genere sono soggetti più o meno timidi e in genere moooolto gentili che rimangono silenziosamente in attesa che si sia sbrigato l'ultimo cliente - o che si sia terminata l'ultima registrazione - prima di tirare fuori il proprio/propri libro/i e perorare la propria causa. 
Con l'esperienza li posso riconoscere senza fatica. Mentre il cliente tipico ha doti di pazienza limitate e una cortesia informale, l'editore/autore ha una pazienza in apparenza infinita e una gentilezza estremamente formale. Paradossalmente questo tende a rendere il sottoscritto libraio molto meno disponibile e molto più rigido di quanto non sia normalmente. Lo spio non visto, conscio della sua presenza, augurandomi che si stanchi e tagli la corda, ben sapendo che è perfettamente inutile: nessuno può risparmiarmi la più o meno disinvolta autopresentazione e l'offerta finale di tenere «qualche copia» della «sua opera». 
Ma non sono una m... come può sembrare, tanto è vero che spesso accetto di tenere l'opera. Si tratta semplicemente di conoscenza del mercato dei lettori che un autore orfano o un editore appassionato ma povero nella maggior parte dei casi non conoscono. 
«Lei potrà offrire l'opera tra le altre e lasciare che sia il cliente a scegliere / lei potrà esporre il mio libro in vetrina, in un angolino...»
I clienti che chiedono consigli sulla lettura sono un venti per cento scarso del totale. In genere persone che cercano regali per terzi, quindi anche più incerti e dubbiosi del solito e comunque per nulla interessati a sperimentazioni o a autori poco o per nulla noti. Gli amanti dei generi più frequentati dagli autori più o meno selvatici (poesia, romanzo sentimentale di stampo autobiografico, pamphlet politicamente rabbioso, memorie) sono meno dell'1% del totale. E tra costoro gli interessati a un nuovo autore sconosciuto hanno una frequenza infinitesimale.
Discorso non troppo diverso si può fare per gli editori, che spesso presentano con libri dalle copertine tragicamente e visibilmente inadeguate. Il tipo di copertine che spingono il possibile cliente a ignorare il libro o a metterlo frettolosamente da parte. 
«Bene. È il momento per tirare fuori il mestiere, perbacco!»
In sostanza affermare di aver letto il libro, di averlo apprezzato e proporlo senza dubbi né esitazioni al cliente.
Il libro magari lo si è anche letto o comunque guardato. E azzardato un giudizio. In fondo il mestiere nasce anche dalla capacità di «sistemare» un libro in un'immaginaria libreria. 
Ma quale può essere la classificazione possibile per un libro malcondotto, con i tempi dei verbi incerti e dubbi, puerile e stentoreo, paurosamente sentimentale o gratuitamente minaccioso, con un finale eccessivo e ridicolo?
Certo nessun libro ha tutte queste caratteristiche insieme ma ciascuna può essere senza difficoltà assegnata a uno dei libri autopubblicati che ricordo. E, vigliaccamente, mi rifiuto di spiegare all'autore o all'editore il motivo per il quale il libro non ha venduto nulla, neppure dopo sei mesi in libreria. In fondo sono soltanto un libraio e non un critico letterario. 
Autori coraggiosamente pieni di sé ed editori vanagloriosi non devono essere contraddetti o chiamati a un momento di riflessione sulle qualità reali del proprio prodotto al momento del rendiconto, pena un brusco cambiamento di stile nel comportamento, un'aggressività malamente tenuta a freno, una durezza improvvisa nei modi. In fondo poter attribuire la colpa dello scacco al libraio è un ottimo modo per poter scacciare lo spettro del fiasco personale ed evitare faticosi esami di coscienza e moleste riflessioni.
L'esistenza di internet ha solo lievemente ridotto il numero di autori autopubblicati e di coraggiosi editori. L'uso degli e-book e di tutte le altre possibili modalità di autopresentazione non sembra interessare molti «giovani autori», evidentemente alla ricerca di un lettore mitologico, impoltronato sotto lampada a stelo, puro stile anni '50 - lettore, lampada e poltrona, e ancora meno interessa gli editori - e qui forse per motivi non del tutto apprezzabili.
Ma ancora di meno a interessare entrambi è la possibilità di presentare onestamente il proprio testo, cercare qualcuno capace di rivederlo e dare qualche utile suggerimento, ideare una veste grafica accettabile, magari affidandosi a un amico / amica pratica di fotografia e di grafica, spendere qualcosa per ottenere un parere da un agente editoriale o da uno scrittore professionista. Ciò che davvero conta è poter arrivare davanti a un libraio e sventolare il proprio capolavoro o il proprio affare sicuro. Facendo finta di ignorare che la vita dei libri può certo essere eterna ma, molto più probabilmente, durare al massimo sei - sette mesi, trascorsi i quali il libro avrà terminato la sua breve vita. E trascorso questo tempo che cosa resterà delle speranze di gloria, di fama imperitura? 
Ciò che molti autori autopubblicati ignorano è la sorte di tanti «giovani autori» dei quali si sono perse le tracce dopo uno o due libri pubblicati da grandi editori. Semplicemente riingoiati dall'anonimato dopo un breve passaggio sul palcoscenico. 
Il famoso quarto d'ora di notorietà che si concede a tutti. 
Il desiderio di diventare scrittori o editori è una sirena impossibile da dimenticare, lo so bene, ma almeno in parte labile. Mentre considero la possibilità reale di vendita del nuovo romanzo edito da «Tipografia progetto nuovi autori» o dall'editore «L'ormeggio» mi chiedo per quanto tempo l'autore conserverà tutto l'entusiasmo che mostra. E se poi tornerà a controllare il venduto. 
In libreria devo avere almeno una cinquantina di libri «dimenticati» da autori o editori che immagino abbiano gettato la spugna. E questi fantasmi di libri sono più nudi e più tristi anche dei libri rimasti in libreria a invecchiare perché pubblicati da editori dichiaratamente nel frattempo falliti. 
Ma anche così sono riluttante a portarli al più vicino cassonetto per il recupero carta. Non so, qualcuno degli autori potrebbe ancora passare...





P.S. Per completezza di informazione voglio soltanto ricordare alcuni piccoli editori che normalmente ospito in libreria e che non hanno alcuna parentela con quelli qui presentati. Un editore di fumetti, uno di fotografia, uno di filosofia. Lavorano da anni e puntualmente mi presentano le loro novità, una alla volta. Qualcosa si vende persino. Talvolta ho il desiderio di tagliare la corda, vedendoli, ma in fondo sento questo impulso anche con i ben più titolati rappresentanti dei Veri Editori. 
Devo essere un tipo poco socievole, come ha sempre detto mia mamma.
   

 

2.11.11

Una mattina, in banca


Tra le necessità che mi devo accollare c'è anche la rituale visita alla banca, dove versare «gli incassi», ovvero il vile denaro che i clienti hanno avuto la bontà di spendere in libreria.  Visto il momentaccio dell'Italia non si tratta mai di grosse cifre, sicché non ho bisogno di farmi scortare da qualcuno. Mi munisco di una busta, dei denari e via, a piedi, dal momento che la banca non è lontana. Oggi sono partito munito anche del mio ridicolo cane, non tanto per paura di rapine ma per fargli prendere un po' d'aria. In caso di incontri con malintenzionati - o anche di semplici sconosciuti - il mio coraggiosissimo cane si fa piccolo come un orsetto di peluche e tenta di nascondersi dietro le mie gambe. 
Siamo entrati, abbiamo passato la porta rotante, «fammi entrare, kz, non devi entrare solo tu», e ci siamo accomodati in attesa del nostro turno. 
Nella «mia» banca, dove per «mia» si intende soltanto «la banca che ci presta i soldi per tirare avanti», non c'è mai particolare movimento. Ci sono due o tre persone in attesa e nulla di più. Durante l'attesa scopro immancabilmente che in banca si possono fare operazioni che ignoravo e scopro anche che sono ben pochi i soggetti che verosimilmente sono più pezzenti del sottoscritto. E questi sono immancabilmente giovani. I miei coetanei, vestiti di loden, vitello, nappa, pelle si aggirano dichiarando ad alta voce:«Perché non sono ancora arrivati i 4.320,17 interessi accreditatimi tre giorni fa?». Vi prego notare la finezza di dichiarare ad alta voce l'importo degli interessi, in modo che ognuno dei presenti possa ipotizzare il capitale. O dichiarare, sempre ad alta voce: «Certo che le cose vanno male, è colpa degli immigrati, di tutti quei rom romeni che vengono qui a derubarci». 
In entrambi i casi puntualizzo che non ho inventato nulla, nemmeno le virgole. 
Ma a parte i rentiers e gli evasori fiscali, probabilmente gli unici che hanno motivi seri per andare in banca, è possibile incontrare anche dei soggetti felicemente immemori, per i quali una coda è un'ottima occasione per chiacchierare. 
E per fare commenti sulla situazione attuale.
Oggi è stata la volta di un uomo decisamente sovrappeso che mi ha abbordato, così commentando l'evidente vigliaccheria del mio cane: «Ci sono cani così che hanno sempre paura ma poi salvano intere famiglie.»
Ho sorriso. Certo. 
«Come quello che è successo in Toscana»
Anche in Liguria, puntualizzo. 
«Certo. È che le scuole non servono a nulla. Tutti sanno usare i computer ma se piove non sanno più cosa fare».
...
«Proprio così. Una volta insegnavano a xxxxx e a xxxxxx, ma adesso sanno solo scriversi con computer. Poi succedono certe cose e buonanotte.»
Non so che cosa rispondere, davvero. 
Io pensavo che ciò che è accaduto in Liguria e Toscana fosse la conseguenza di investimenti ritardati o non fatti, di inattività, stupidità o inazione di certe giunte locali popolate da un ceto politico cieco o corrotto. 
E invece no. 
Tutta colpa di studenti, insegnanti, scuole eccetera.
E del computer. 
«Una volta insegnavano a...»
A fare cosa? 
A fermare le alluvioni con le mani? 
A fare la danza contro la pioggia?
A nascondersi sotto i banchi in caso in caso di bombardamento nucleare e di pioggia esagerata?
Ho versato e sono fuggito. 
Ho avuto spesso la sensazione che la gente non capisse davvero che cosa stava succedendo, ma potevo provare a immaginare quale fosse il filo dei suoi pensieri. Ho immaginato gente in buona fede che si fidava di Berlusconi - non facile, giuro - proletari che votavano convinti per la Lega, diseredati convocati grazie a un pranzo al sacco e una gita a Roma, che applaudono un Cetto La Qualunque o un Mimmo Scilipoti, ma finora non avevo ancora immaginato fosse possibile addossare la colpa di quello che succede ai computer. 
Scarsa fantasia mia, probabilmente. Un intellettuale è probabilmente la cosa più inutile del mondo.
La bicicletta inutile per il pesce.
O, come si diceva un tempo, citando Maotsetong: «chi non fa inchiesta non ha diritto di parola». 
Gia. ma serve a qualcosa fare inchiesta in questa Italia del 2011?