Il Gruppo Espresso-Repubblica, invadendo il campo dei tanti editori di vanità che sopravvivevano di piccole furbizie e modesti raggiri, lancia l'iniziativa Il mio libro - se l'hai scritto va stampato - dove propone la possibilità di pubblicare il proprio manoscritto (saggio, romanzo, antologia ecc.) in forma di volume nella tiratura desiderata. Fatta una prova on line (romanzo, 600 pagine, rilegatura morbida, 10 copie) ne ho ottenuto un preventivo di 157,63 euro, cioé 15,76 euro di costo copia. Accettabile, tutto sommato. Apparentemente non esiste modo per ottenere un ISBN e quindi di poter accedere alle librerie on line ma, in compenso, è possibile mettere in vendita la propria «creatura» direttamente sul sito entrando nella «community» degli autori autoconvocati. Il sito si propone anche come luogo di incontro e discussione tra autori anche se i toni sono forzatamente un po' surreali e necessariamente autoreferenziali. Da nessuna parte, comunque, è scritto che la pubblicazione potrà essere un viatico al successo, anche se sempre su «La Repubblica» di questi giorni mi è capitato di vedere un sottotitolo all'inevitabile articolo di presentazione dell'iniziativa che strizzava l'occhio ai clienti-autori con un «... e tra gli editori qualcuno se n'è accorto». Un dire e non dire che... dice tutto.
Per il momento la cosa ha ancora i connotati di un karaoke del libro, verrebbe voglia di dire, anche se rischia di risultare una definizione un po' crudele.
Ci sono comunque alcune osservazioni che merita fare prima di azzardare un commento o un giudizio.
- In più occasioni mi è capitato di scrivere che un libro è, entro certi limiti, un'opera collettiva. Accanto all'autore siedono virtualmente altre figure professionali - l'editor, il correttore, il grafico. Il loro contributo può essere vitale per fare di un romanzo comunque valido un unicum.
L'autopubblicazione, eliminando la necessità della consulenza e del contatto e della discussione preventiva alla pubblicazione, «congela» il testo nella sua prima forma cancellando la possibilità di sviluppi e riflessi che un confronto professionale avrebbe potuto suscitare. E non sto parlando del consiglio dello zio che insegna italiano al liceo. Dire «siamo tutti autori», capaci e autosufficienti, è un po' come dire che, in ultima analisi, nessuno lo è. Ovvero che tutti lo sono ma in forma potenziale e parzialmente inespressa. E parlando di consulenza non mi riferisco al bieco «trattamento» commerciale di un romanzo vivace e anticonvenzionale in modo da estrarne un thriller normalizzato. Questo genere di trattamenti non sono poi così frequenti come si pensa e il più delle volte rientrano nella categoria delle leggende metropolitane.
- Lo scrivente che diventa autore avendo travasato il suo file nel sito del Gruppo Espresso non ha verosimilmente fatto il suo ingresso nel dorato mondo della Grande Letteratura. Dispone ora di un oggetto più razionale e trattabile di un fascio di fogli rilegati con la spirale e della possibilità di autopresentarsi a un pubblico. Ma a un pubblico di individui convenuti sul sito con il medesimo fine di essere finalmente compresi e apprezzati e quindi forse non così finemente sintonizzati sull'ascolto delle opere altrui. Meglio che niente, comunque? Sì, meglio di niente.
- Il libro, comunque sia, non potrà essere commercializzato a livello professionale. Triste ma vero. È teoricamente possibile dotarsi (pagando un prezzo ragionevole) di un ISBN e di un EAN ma, a parte le librerie on line, per vedere la propria opera in libreria si dovrà provvedere personalmente «Buongiorno. Io sono l'autore del romanzo Morto di giovedì e mi chiedevo se questa libreria... Non trattate questo genere?... Ma mi era parso... È un noir, il mio, come Lucarelli o Ellroy... non vendete noir?... Ma se li avete dappertutto...» No, meglio lasciar perdere.
- Ci sono troppi libri e troppi pochi lettori. Non è uno scherzo. I forti lettori (coloro che leggono più di dodici libri all'anno) in Italia sono tra i tre e i quattro milioni di persone. Curiose, certo, ma anche scafatissime ed esigentissime. Virtualmente impossibile smuoverle dai propri personali percorsi di lettura a vantaggio di un autore sconosciuto che si è stampato il suo libro da sé. Questo anche ammesso che l'autore possa contare su qualche recensione o articolo. «Proporre» un nuovo autore è un lavoraccio, vi direbbero Mondadori, Rizzoli o Feltrinelli. Creare interesse verso di lui in un pubblico di lettori tutto sommato ristretto e obbligato dalla fase economica a non spendere denaro in titoli dubbi assomiglia sempre di più al raccogliere acqua col setaccio.
- Se l'hai scritto va stampato è un ottimo slogan.
Per uno stampatore.
Pessimo per chi scrive.
Tutti hanno il diritto, pagando, di dare una forma gradevole al prodotto del loro ingegno, ci mancherebbe. E hanno il diritto di farne omaggio o venderlo ad amici e parenti. Ma dichiararsi giardinieri perché si possiede un'azalea in vaso è quantomeno disonesto. Verso se stessi, in primo luogo.
- Tutti hanno il romanzo italiano del XXI secolo in fondo a un cassetto.
E tutti ambiscono a dire la loro sul mondo, la vita, l'amore, il destino, la morte e la sofferenza. Tutti, se potessero, esprimerebbero la loro opinione in TV. O sui giornali.
Ma quasi nessuno sarebbe in grado di farlo in modo da suscitare e mantenere l'interesse altrui.
La comunicazione professionale è una competenza che si acquisisce con lavoro e fatica.
Io so fare il libraio e mi viene riconosciuta una certa competenza.
NON SO, invece, fare rammendi invisibili.
Disegnare ritratti.
Intrattenere un gruppo di bimbi.
Comandare una portarei o una petroliera.
Probabilmente potrei imparare a fare ognuna di queste cose, ma dovrei sbattermi parecchio per giungere a farlo decentemente.
Chissà perchè, invece, sono in molti a credere che per condurre un'attività di comunicazione e intrattenimento - compreso scrivere romanzi - sia sufficiente aver vissuto un certo numero di anni, impiegati, in genere, a fare tutt'altro.
Forse perchè siamo ormai abituati a vedere format televisivi dove poveri imbecilli fanno, per l'appunto, gli imbecilli per un po' di soldi e un quarto d'ora di notorietà.
Ho il forte timore che l'iniziativa del Gruppo Espresso-Repubblica abbia, in fondo, più punti di contatto con il Grande Fratello che con la storia della Letteratura Italiana.
Va bene, sono odioso. Nessuna difficoltà ad ammetterlo.
D'altro canto Doris Lessing dice che scrivere non è un dovere.
Ancora meno l'essere letti, si suppone.