Pochi giorni e eccomi ripiombato nel mondo della fantascienza. Ne leggo, certo, sto finendo il terzo volume della Trilogia di Virga di Karl Schroeder– ciclo complesso che merita una riflessione più estesa, che condurrò qui o su LN-LibriNuovi – e sto lavorando su un mio romanzo, tentando di farne un e-book. Ed è proprio da questo elemento che sono nate riflessioni a catena, sulla fantascienza, sul weird e più in generale sulla scrittura.
Che cosa permette di stabilire che il libro che state leggendo è di fantascienza? O di horror? O di weird? O sentimentale? O Maistream? Esiste un modo – legittimo – per fissare a priori una categoria per un testo o si tratta soltanto di una possibile forma di promozione escogitata dall'editore? Noi, oggi, nel 2017, crediamo di poter riconoscere i possibili generi dei romanzi e, nell'ambito dei generi, giungiamo a suddividerli in sottocategorie. Nell'ambito della sf: hard sf, distopia, fantascienza sociologica, steampunk, space opera, cyberpunk, ucronia, viaggi nel tempo, fantascienza apocalittica e post-apocalittica, slipstream, military sf, planetary romance... E mi fermo qui giusto perché non mi vengono in mente altre sottocategorie e non certe perché queste siano finite.
Tutto ciò ha un senso reale o si tratta di un gizmo per recensori pigri e storici letterari pignoli? In altre parole, personalmente siete abituati a rifilare una categoria / sottocategoria a ciò che leggete o ne fate volentieri a meno?
Immagino scegliate la seconda possibilità o – perlomeno per me è così –, anche se, dovendovi trovare a spiegare che cosa state leggendo, vi troverete obbligati a incasellare frettolosamente il testo in una categoria ben definita: «Sto leggendo un romanzo storico con un forte tema sentimentale» [Wuthering Heights], «Un romanzo fantastico pieno di creature bizzarre» [Gulliver's Travels], «Un noir ambientato nella Russia di fine '800» [Delitto e Castigo] eccetera. Evidentemente l'inserire un romanzo in una categoria finisce per depauperarlo non poco.
In molti casi sarà sufficiente citarne l'autore perché tutto il complicato meccanismo di genere vada a farsi benedire, ma nel caso di romanzi incerti – Cloud Atlas (L'atlante delle nuvole) di David Mitchell è un ottimo esempio – sarete comunque costretti a raccontarne una parte e la stessa cosa dovrete fare nel caso di un testo di un autore poco noto o di un esordiente. A meno di non risolvere (nuovamente) il tutto con un «Un dieselpunk ambientato in Messico all'inizio del '900, di Tizio Felicetti», che è come dire nulla.
Ma il genere continua a essere la categoria preferita dagli editori, fa parte del marketing dichiarare che il tal romanzo, il più delle volte di valore mediocre, è «Un thriller acuminato come una lama. E che fa molto male», con in quarta di copertina una breve tirata su:
«L'ex-ispettore Nordinquartsson è stato buttato fuori dalla polizia per uso di droga, ma quando, una sera, troverà i resti del cadavere di Noby, la escort preferita da Gontelowsky, il ricco proprietario del centro commerciale di Utterlandeswere, avrà finalmente la sua occasione».
Non si tratta di un testo, semplicemente di marketing editoriale, lo stesso che potete trovare nelle pagine dedicate ai libri di settimanali, quotidiani e pagine web. Inevitabilmente, in rapporto alla relativa disponibilità di denaro dell'editore – e in non pochi casi dell'autore – la quarta di copertina verrà ripetuta come un mantra, accompagnata dal titolo: «Un thriller acuminato...».
In sostanza il forte dubbio che nasce è che un uso esagerato dei generi sia diventato «virale» anche tra i lettori e soprattutto tra gli autori che, in un modo o nell'altro, si sforzano di aderire a un canone basato sul marketing piuttosto che seguire le proprie convinzioni. Il rischio, d'altro canto, è quello di sentirsi chiedere: «Sì, ma questo è un romanzo di che genere?». E non sarà sufficiente rispondere: «È un romanzo. E basta».
Merita rifletterci un momento, cercando di resistere alla tentazione di incasellare subito il romanzo o il racconto in un genere. In fondo siamo lettori, non tassonomisti e il piacere di un testo non dovrebbe essere turbato da ansie di sistematizzazione.
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Per quanto mi riguarda, comunque, posso confermare che «Un problema di tempo» è una space opera, con elementi steampunk e biopunk, in una cornice di Planetary Romance ricca di military sf, con non pochi elementi di hard sf e di soft sf e...
Devo piantarla?
Va bene, va bene, è solo che temevo non si capisse di che cosa parlava...
Beh, alla prossima.