Sono appena ritornato dalla montagna.
Non era una fuga partigiana né un momento di relax, semplicemente dovevo ridipingere - come Tom Sawyer - uno steccato o - meglio - una balconata e un po' di infissi.
La mia esperienza in proposito era pari più o meno a zero ma la buona volontà non mi mancava. Sono stato su fino a oggi e, come è ormai noto, la connessione in montagna è quello che è. Senza contare che non ho avuto tempo praticamente per fare altro che smontare, cartavetrare, dipingere, rimontare e bestemmiare.
Di umore non proprio eccellente, scrivo qui quel che avevo da dire prima di partire.
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Martedì sera sono andato a vedere Prometheus, di Ridley Scott. Sinceramente, un film che non merita nemmeno poche righe sul blog. Una stracca ripetizione, una minestrina riscaldata di temi già presentati in altri film, un prequel piuttosto confuso del ciclo di Alien, del quale se ne sarebbe comodamente fatto a meno. Mi ha dispiaciuto vedere Noomi Rapace, costretta in una parte demenziale - la pseudoarcheologa stile Peter Kolosimo - e con una pettinatura assurda, ad arrabattarsi vanamente per rendere in qualche modo credibile un Alien revenant...
Per non parlare degli alieni in formato
neoclassico, o l'androide misteriosamente impegnato in tradimenti
incomprensibili.
Se poi ricordo che la sera precedente ho visto un film delirante, M.A.R.K. 13, con Iggy Pop tra gli attori, buon esempio di sf/horror rinunciabilissima, ce n'è abbastanza da rinunciare alla fantascienza per un po'.
No, sinceramente, potevo anche risparmiare il tempo e impiegare altrimenti i 10 euro, dedicandoli all'acquisto che so... di un Urania.
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Quest'estate ho comprato e letto un paio di Urania, quello di agosto, L'evoluzione del vuoto /1 di Peter F. Hamilton, e quello di settembre, L'uomo che credeva di essere se stesso di David Ambrose. Il primo l'ho letto (quasi) fino alla fine, mentre il secondo l'ho finito - e regolarmente già dimenticato.
Ed è così che altre nubi si addensano sul mio amore per la sf.
Il romanzo di Hamilton l'ho comprato nel nome della buona volontà e della mia immarcescibile fiducia nella fantascienza e nei suoi autori. L'ho letto nel nome della stessa fedeltà. Solo che, sinceramente, la scarsissima rilevanza dei personaggi, l'oscurità - probabilmente dovuta al mio scarso acume - dell'intreccio e la volontaria o involontaria comicità di talune locuzioni sul tipo: «La sua astronave viaggiava
alla velocità di 85 anni luce all'ora», hanno dapprima sabotato e
poi inchiodato definitivamente la lettura.
Ho letto alcune recensioni indipendenti
in giro per la rete, trovando in più occasioni giudizi e valutazioni
non troppo diverse dalle mie, anche se sicuramente meno radicali e più
possibiliste. In molti lodavano l'inesauribile fantasia del buon
Hamilton, dote che non gli nego minimamente ma che, minata alla base
dalla bidimensionalità dei personaggi, finisce per apparire una
semplice accumulazione, un gioco di prestigio che non ha molto a che
vedere con la realtà (apparente) della vicenda.
«La traduzione, molto dipende dalla
traduzione»
Vero, abbastanza vero. Senonché ho
controllato lo stile di Hamilton on line e vi ho ritrovato lo stesso
incedere frettoloso, lo stesso procedere affannato, come se
soffermarsi per qualche istante a sbozzare meglio ambiente e
personaggi fosse un insulto alla narrativa. I suoi personaggi girano
una dozzina o forse più mondi diversi che nessuno, né il narratore e ancor meno i lettori, sarebbero in grado di distinguere l'uno dall'altro. Nemmeno la benedizione di un cielo di un colore appena un po' diverso dal nostro terrestrissimo azzurro...
Ma l'insoddisfazione per il (mezzo) romanzo di Hamilton ha suscitato in me altri pensieri. Ho riguardato le recensioni scritte in altri momenti su altri numeri di Urania, recensioni che si possono trovare qui e qui oltre che qui e in una mezza dozzina di altri posti, basta inserire «Urania» come parola chiave in questo blog e in quello di LN-LibriNuovi-out-of-print, e mi sono messo a riflettere. Non anticipo il risultato della riflessione, anche perché non si tratta di una riflessione tanto breve e credo meriti un altro post dedicato.
Fatto sta che comincio ad averne un po' pieni i corbelli dell'attuale gestione di Urania e soprattutto della politica mondadoriana in proposito.
Ma non anticipo.
Per intanto possiamo cominciare ad affollare le edicole, dove uscirà il nuovo Urania con il testo di due promettenti esordienti, uno nato nel 1917, l'altro nel 1919, il cui romanzo era stato originariamente pubblicato nel 1952. Ne riporto i nomi, nel caso non li aveste mai sentiti nominare: A.C. Clarke e F. Pohl.
Quanto al romanzo di David Ambrose, tanto per ritornare alle mie letture, si tratta di un romanzo a suo tempo già pubblicato da Meridiano Zero, editore che, come ognuno sa, non ha molto a che vedere con la sf.
Quanto al libro, si tratta di un esempio stiracchiato di plot basato sul tema del viaggio temporale e degli universi alternativi. Condotto con discreta abilità fino a tre quarti della sua lunghezza, naufraga in un finale confusissimo, che sono del tutto incapace - oltre non averne la minima voglia - di riportare qui. Si tratta, per la cronaca, di un romanzo originariamente pubblicato 19 anni fa, nel 1993. Inevitabile pensare che all'epoca il libro potesse (forse) apparire in qualche modo «nuovo», ma nell'A.D. 2012, dopo quattro serie di «Fringe», risulta perlomeno superato.
1993, appunto.
Q.E.D.