«Il self publishing potrebbe rivelarsi, sul medio termine, una
colossale fregatura. E il digitale non va pensato come una ricaduta
della carta stampata, ma come un universo autonomo.»
Also sprach Michele Rossi, responsabile narrativa della Rizzoli, cercando, nel corso di un'intervista pubblicata su La Stampa del 30.07.2012. Un'intervista da un certo punto di vista assolutamente esemplare. Interrogato sullo stato contemporaneo della narrativa in Italia, Michele Rossi, riesce ad autocontraddirsi quasi ad ogni capoverso: «Noi dobbiamo fare libri diversi: di alta letteratura oppure più
commerciali, ma devono essere appunto libri di autori con un profilo
autonomo» e, contemporaneamente: «Ma la scommessa è puntare sul digitale per autori che potrebbero esserne
particolarmente valorizzati, non per qualsiasi libro. Anche il digitale
va, appunto, governato».
In sostanza: siamo disponibili a puntare su autori con una personalità narrativa ben definita, ma anche su autori che ci facciano risparmiare sulla tiratura e sulla distribuzione e, detto di passata, anche sui libroidi, ovvero libri di breve vita e valore culturale tendente a zero.
Curioso, vi sareste aspettati qualcosa di diverso da un membro del personale direttivo Rizzoli? Forse una frase facilmente interpretabile come: «Mi piacerebbe fare libri che si vendono, di autori noti e apprezzati come di perfetti nessuno a costo quasi zero, come pure di completi ignoranti che hanno però di buono il fatto di essere già noti per qualsiasi altro motivo». No, un dirigente serio ha la capacità di torcere le parole e le frasi in modo da non affermare ciò che sta affermando. Di muovere la carte sul tavolo a una velocità inattesa e inafferrabile per chi li legge.
Michele Rossi accenna anche alla crisi, «La “tempesta perfetta” che si è abbattuta sul mercato non permette tentennamenti e mezze tinte [...] Non sono per la decrescita, sarebbe disastrosa. Ma pubblicare qualche libro in meno per poterli seguire molto bene tutti, questo sì.» e a una cifra totale del mercato librario, «il miliardo e quattro[centomila di euro] dell’editoria italiana nel suo insieme» che, se comparata con i 3.000 mld di lire [1] del fatturato totale librario di qualche anno fa, dà le dimensioni della profondissima crisi nel quale il mercato si trova.
Ma, in sostanza, che cosa ci dice Michele Rossi?
Beh, non molto. E molto di ciò che ci dice gli esce involontariamente, come un gaffeur inopportunamente invitato al té di Madame. Ci dice che Rizzoli è contentissima di aver cuccato una meraviglia come Silvia Avallone [2] ma che comunque non si è liberata dei complessi verso la Grande Mondadori; che il quadro del settore è disperato e disperante e che gli e-book possono essere una risorsa, soprattutto perché fanno risparmiare sulla carta, sulla tipografia e sulla distribuzione; che gli autori costano e che i lettori italiani: A) non sono abbastanza fessi da credere a tutte le panzane sparate dagli editori, ma anche B) troppo fessi per leggere autori rispettabili come Walter Siti, preferendogli un autore di impedimenta come Marco Presta (Un calcio in bocca fa miracoli), della scuderia Einaudi, gruppo Mondadori. Che Rizzoli, a ogni buon conto, ridurrà i titoli in uscita, che il buon André Schiffrin [3] continua allegramente a infestare gli incubi dei grossi editori e che, infine, Rizzoli punterà ancora una volta su autori alla Ken Follett per tentare di rimanere sul mercato.
Una intervista confusa e cortigiana - ovviamente, dal momento che il gruppo Rizzoli è anche proprietario de La Stampa - e che non aggiunge nulla, né come riflessione né come analisi, alla situazione dell'editoria italiana. Al massimo regala - paradossalmente, ricordando la frase citata in apertura - una consolazione agli autori self-publishing, ricordando che il signor Rossi ha esordito in narrativa con un editore «a pagamento» come Pequod.
Nulla di nulla sulle tendenze e sull'andamento reale del mercato librario italiano, se non una serie di consuete formule sull'editoria che non è più tale e sulla scomparsa, ormai cronologicamente equiparabile all'estinzione dei dinosauri, degli editori-padroni.
In qualità di ex-libraio posso al massimo apprezzare la volontà, seppure mai apertamente enunciata, di ridurre le novità in uscita e deprecare le finte interviste. Ma, a parte questo, nulla. Nulla di nulla.
[1] 3.000 mld di lire = 1.549 mln di euro
[2] autrice di Acciaio, premio Campiello e seconda classificata al Premio Strega.
[3] autore di Editoria senza editori, Bollati Boringhieri, 2000
In sostanza: siamo disponibili a puntare su autori con una personalità narrativa ben definita, ma anche su autori che ci facciano risparmiare sulla tiratura e sulla distribuzione e, detto di passata, anche sui libroidi, ovvero libri di breve vita e valore culturale tendente a zero.
Curioso, vi sareste aspettati qualcosa di diverso da un membro del personale direttivo Rizzoli? Forse una frase facilmente interpretabile come: «Mi piacerebbe fare libri che si vendono, di autori noti e apprezzati come di perfetti nessuno a costo quasi zero, come pure di completi ignoranti che hanno però di buono il fatto di essere già noti per qualsiasi altro motivo». No, un dirigente serio ha la capacità di torcere le parole e le frasi in modo da non affermare ciò che sta affermando. Di muovere la carte sul tavolo a una velocità inattesa e inafferrabile per chi li legge.
Michele Rossi accenna anche alla crisi, «La “tempesta perfetta” che si è abbattuta sul mercato non permette tentennamenti e mezze tinte [...] Non sono per la decrescita, sarebbe disastrosa. Ma pubblicare qualche libro in meno per poterli seguire molto bene tutti, questo sì.» e a una cifra totale del mercato librario, «il miliardo e quattro[centomila di euro] dell’editoria italiana nel suo insieme» che, se comparata con i 3.000 mld di lire [1] del fatturato totale librario di qualche anno fa, dà le dimensioni della profondissima crisi nel quale il mercato si trova.
Silvia Avallone |
Ma, in sostanza, che cosa ci dice Michele Rossi?
Beh, non molto. E molto di ciò che ci dice gli esce involontariamente, come un gaffeur inopportunamente invitato al té di Madame. Ci dice che Rizzoli è contentissima di aver cuccato una meraviglia come Silvia Avallone [2] ma che comunque non si è liberata dei complessi verso la Grande Mondadori; che il quadro del settore è disperato e disperante e che gli e-book possono essere una risorsa, soprattutto perché fanno risparmiare sulla carta, sulla tipografia e sulla distribuzione; che gli autori costano e che i lettori italiani: A) non sono abbastanza fessi da credere a tutte le panzane sparate dagli editori, ma anche B) troppo fessi per leggere autori rispettabili come Walter Siti, preferendogli un autore di impedimenta come Marco Presta (Un calcio in bocca fa miracoli), della scuderia Einaudi, gruppo Mondadori. Che Rizzoli, a ogni buon conto, ridurrà i titoli in uscita, che il buon André Schiffrin [3] continua allegramente a infestare gli incubi dei grossi editori e che, infine, Rizzoli punterà ancora una volta su autori alla Ken Follett per tentare di rimanere sul mercato.
André Schiffrin |
Una intervista confusa e cortigiana - ovviamente, dal momento che il gruppo Rizzoli è anche proprietario de La Stampa - e che non aggiunge nulla, né come riflessione né come analisi, alla situazione dell'editoria italiana. Al massimo regala - paradossalmente, ricordando la frase citata in apertura - una consolazione agli autori self-publishing, ricordando che il signor Rossi ha esordito in narrativa con un editore «a pagamento» come Pequod.
Nulla di nulla sulle tendenze e sull'andamento reale del mercato librario italiano, se non una serie di consuete formule sull'editoria che non è più tale e sulla scomparsa, ormai cronologicamente equiparabile all'estinzione dei dinosauri, degli editori-padroni.
In qualità di ex-libraio posso al massimo apprezzare la volontà, seppure mai apertamente enunciata, di ridurre le novità in uscita e deprecare le finte interviste. Ma, a parte questo, nulla. Nulla di nulla.
[1] 3.000 mld di lire = 1.549 mln di euro
[2] autrice di Acciaio, premio Campiello e seconda classificata al Premio Strega.
[3] autore di Editoria senza editori, Bollati Boringhieri, 2000