30.1.20

Il Mare Obliquo 53

I nuovi amici decidono di scortare nel viaggio sotterraneo Klog e i suoi amici e la scorta si rivela ben presto necessaria.
 ----------------------------------------------------------------------
Klog, mentre percorre le strade della Città degli Oscuri, si sente insieme sollevato e nervoso. I Gu'hijirr bruni, divenuti protettori, marciano ordinatamente intorno a loro, i lunghi archi a tracolla e in silenzio, ma se ora quella presenza è benvenuta, le frasi del Custode delle Parole hanno sortito l'effetto di rendere ancor più inquietante il possibile incontro con i Mela.

– Ehi, tu! Come sono i Mela? – Chiede ad uno degli Oscuri che procedono al suo fianco, decisamente più alto dei compagni.

L'Oscuro sorride e fa un gentile cenno di diniego con il capo.

– Cosa c'é? Non sai la mia lingua?

– Non ho detto questo. – Il Gu'Hijirr Bruno parla lentamente, con attenzione e con un accento strano, ricco di dentali.

– Non ho dd-ett-to quest-to. Ma lo sai che parli buffo?

– Mi manca la pratica. – Replica pensieroso il soldato.

– Bene. E allora come sono i Mela?

– Ghudett-Dhor ha parlato. Non l'hai udito?

– Sì, ma ha detto un po' poco, non credi?

– Quando li vedrai saprai.

Klog corruga le sopracciglia e resiste alla tentazione di attaccar briga.

Si stringe nelle spalle, deciso a ricominciare in un altro momento, e comincia a guardarsi intorno con attenzione.

Adesso che il Popolo Eterno si è rivelato amico anche la città ha perso l'alone di minaccia per mostrare per intero la sua austera bellezza. Lunghe sinuose linee argentee disegnano i profili di gradini, archi, logge, bovindi, porte, finestre che si formano all'improvviso davanti ai suoi occhi stranieri, per mutare, scorrere impercettibilmente non appena distoglie lo sguardo. Ad un'occhiata superficiale l'architettura dei Gu'Hijirr Bruni appare almeno sobria se non severa, ma dopo qualche istante la ricchezza inesauribile delle linee, dei disegni appena suggeriti dall'argento diviene evidente, pur conservando una qualità liquida, instabile. La linea di una loggia chiusa da sottili colonne si trasforma nella cornice di un'ordine di finestre chiuse da inferriate dal disegno a spirale per poi suggerire le radici di una torre inserita in un muro che digrada dolcemente a terra come un'onda.

E i disegni d'argento si inseguono sulle lunghe gradinate che spezzano l'ordine delle vie, aprendo improvvisi scorci sui grandi alberi dell'anello di colline che circondano la città.

– Come si chiama questo posto? Almeno questo saprai dirmelo.

– Ayss. Nella tua lingua diresti l'Ultima.

Klog medita per qualche istante. – Ayss. E come si dice l'ultimo?

– Ayss. I luoghi non hanno genere.

– Per le fate non è così.

Il soldato tace per qualche attimo schioccando la lingua ogni tanto, apparentemente perplesso.

– Le fate danno un sesso ai luoghi, alle cose?

– Hanno almeno sette generi, cioé sono sette quelli di cui ho udito discorrere, ma non posso escludere che ve ne siano altri.

L'Oscuro annuisce turbato e si allontana di qualche passo. Lo vede discorrere con un compagno per poi ritornare al suo posto.

– Hanno 11 generi, le fate. – mormora l'Oscuro.

– Undici? Ne conoscevo solo sette.

– Undici.

– Curioso. Mia madre era un'Efhi, ma era Efhi anche il suo ago, lungo e sottile e le foglie delle primule, ma non il fiore delle primule che era Djumel o il piccolo Grandirami che mi portava in groppa da cucciolo che era synny o sua madre che era…

– Efhi? – Azzarda l'Oscuro.

– No, Za-atl.

– Incomprensibile.

– Ma no, ma no. Basta avere la chiave per riconoscere i generi. Tu, per esempio: devi essere un Seb'sel, cioè un serio-padre-lavoratore, mentre io sono un Yku, un Incoerente-infantile-perditempo. Capisci? Tu hai cuccioli tuoi, vero?

– Nel mio Arco ce ne sono tre. Lo spazio è poco, nascono pochi piccoli.

Klog fa ampi gesti con il capo ad indicare comprensione, sorride e decide di tacere per un po'. Gente seria e precisa gli Oscuri, chissà come giudicano gli intricati generi e sottogeneri delle Gwellyniuin, probabilmente molto male. Undici generi! Klog ne ha contati duecentotrentuno negli anni da pelosetto trascorsi nella foresta. Generi che andavano da Vhaau, pesante-aggressivo-rozzo a Cini'n vago-appassionato-lamentoso-occhigrandi. Per le fate è un gioco anche il genere, un disegnare senza chiedersi nulla, come bambini che appiccicano soprannomi a tutti.

Escono dalla città e inconsciamente accelerano il passo. Gli oscuri si fermano per consultarsi. Tra loro parlano a bassissima voce e senza il minimo movimento delle mani o del capo. Gli ex-prigionieri li osservano in silenzio. Solo Plinio guarda il bosco arricciando il naso come se annusasse.

– Senti qualcosa? – Gli chiede Matushka.

– No.

– Nemmeno io. Forse ci vorrebbe un cane.

Plinio si rabbuia. – Non ne vedo la necessità. – Indica la grande volta di roccia nascosta dal riflesso argenteo. – Ci vorrebbe un po' di buio. Con questa luce mi sembra di essere cieco.

– È solo la centesima volta che lo dici.

– E allora?… Guarda i neri si muovono.

Gli Oscuri devono essere arrivati a qualche conclusione. Il loro gruppo si divide e alcuni di loro si allontanano ai due lati, dirigendosi verso il bosco.



– Ottimo. – Approva Fahgön. – Gli esploratori sui lati ci proteggeranno da agguati. Ehi, voi! Io e i miei compagni possiamo stare in retroguardia.

Un Oscuro con il mantello più lungo considera Fahgön e gli altri cervi e per qualche istante sembra che l'unica risposta sia il lento movimento della terza palpebra che si chiude sulle pupille rendendo la sua espressione imperscrutabile.

– Va bene. Ma cinque arcieri vi seguiranno.

Fahgön accetta ma non sembra particolarmente soddisfatto. Volta la groppa possente adorna del lungo pelo invernale seguito dai suoi ed affiancato dagli Oscuri.

La strada tagliata dal Popolo Eterno corre diritta e regolare nel bosco, valica piccoli corsi d'acqua, attraversa colline con cunicoli netti, ricoperti da quel materiale nero simile ad uno strato di grafite che ricopre anche le loro case e gli abiti.

All'uscita di una breve galleria li attende una torre diroccata che sorge a fianco della strada.

– Ehi cos'è?

– Il limite delle terre dei Mela. – Il soldato aumenta impercettibilmente la stretta sull'arco. – Questa era la casa dell'ottavo Custode delle Parole.

– E cosa ne è stato di lui? – Insiste Klog.

– Egli era il più anziano. Era anche il disegnatore di Ayss e delle strade che vi giungono o si allontanano da essa.

– Un pezzo grosso, insomma. Ma non mi hai risposto.

– Egli è stato vittima dello Splendore. Non vedi?

Il Bodhovin rallenta il passo per guardare la torre, quasi completamente sommersa dalla vegetazione chiara e luminosa. Solo in pochi punti, riconoscibili a fatica, sopravvive la scura copertura originale della torre.

– Com'è successo?

L'Oscuro durante l'esame di Klog è stato con il volto ostentatamente girato verso la strada, come se la vista della torre fosse troppo penosa per lui. Tarda a rispondergli e lascia che le dita che si chiudono e si aprono intorno all'arco denuncino il suo nervosismo.

– Il Maurr non può resistere allo splendore senza essere rinnovato. Senza la nostra attenzione. Questa strada è ricoperta di Maurr e si conserva perché la percorriamo ogni giorno. Il nostro piccolo regno resiste solo grazie ai nostri passi ed ai nostri sguardi.

– Maurr sarebbe quella patina nera che copre le vostre case?

L'Oscuro annuisce. – Ci sono due tipi di piccole vite qui nelle foreste sotterrate, quelle luminose che accendono gli alberi e donano splendore e quelle oscure e refrattarie. Queste ultime le abbiamo coltivate e scelte fino ad averne un ceppo puro che resiste allo Splendore. Chi vi si espone senza difesa dopo poche settimane diventa folle e cieco. Il contrappasso al nostro amato isolamento è questo. Il Maurr è sensibile ai nostri pensieri, un incantesimo steso dall'Ottavo Custode lo rende stabile solo sotto lo sguardo di creature viventi.

– E allora questa torre…

– Già. Una follia, non si può mantenere coerente Maurr rimanendo soli. Ma si racconta che l'Ottavo volesse conquistare l'intero mondo sotterraneo e che, contrastato dai Sette, si sia qui isolato trovando la giusta punizione. 

 

– Quindi i vostri oggetti, le vostre case devono essere bellissime per poter continuare a richiamare i vostri sguardi.

Gudre-Yinnu, che ha ascoltato l'intera conversazione in silenzio, indica il piano elegante ed arrotondato della strada, i segnapassi dal disegno leggero, delicati come calici rovesciati. – Siete condannati alla bellezza.

L'oscuro annuisce. – Ben strana sorte. Ma ve ne sono di peggiori.

– Ma qual'è la natura dei Domini Sotterranei? Quanto scendono in profondità? Quanti popoli li abitano?

L'Oscuro sorride e per un attimo il suo tranquillo divertimento lo rende simile al Guardiano delle Parole che li aveva ricevuti. – Non puoi fare a meno di interrogare ed interrogarti, non è vero Uomo-di-Luna? Ma esistono domande che non ammettono risposta.

– Anche queste?

– No. La caverna ha una pianta a forma di stella a sette braccia. Probabilmente i Primi o qualcuno di ancor più antico l'ha così scavata per qualche scopo che non possiamo più neppure sperare di comprendere. Sotto di essa si stendono altre caverne. Alcuni di noi sono discesi per altri tre livelli prima di tornare a volgere i loro passi verso la patria. Altri popoli le abitano: i Monocoli, i Pallava, le Ombre-Locusta, gli Illammpa, i Serpenti-Mosaico e probabilmente altri ancora, ma di tutti costoro, delle loro origini e costumi ignoriamo quasi tutto. Sei soddisfatto?

Il Neek scuote il capo. – Tu che mi conosci così bene saprai che non posso essere soddisfatto di cenni tanto vaghi. Le altre caverne hanno la stessa pianta?

Il soldato si stringe nelle spalle. – I nostri inviati non le hanno esplorate fino ai loro confini ultimi.

– Già, vite lunghe come le vostre non si gettano via per una semplice curiosità.

L'Oscuro apre le braccia. – Altri seguiranno. Chi ha detto che il mondo debba essere bruciato in un solo sguardo? Attento, Uomo-di-Luna, il termine giunge quando si crede di aver conosciuto tutto.

La risata di Gudre-Yinnu fa girare di scatto gli altri arcieri e i suoi compagni di strada. – Il mondo è tanto vasto. E poi io non ho paura della morte, ho vissuto troppo tempo nascosto, temendola e invocandola insieme. Quand'anche le caverne fossero infinite le percorrerei tutte, misurandole per tutto il loro perimetro. I miei parenti hanno sempre detto che è la parte di sangue che mi viene dalla Gente Nuova a rendermi inquieto. Cosa ne dici, sarà vero?

– Stai scherzando, Uomo-di-Luna. Nessun popolo possiede caratteristiche solo sue. Nemmeno noi siamo solo pazienti.

Il Neek annuisce. Anche un individuo più irruente di lui avrebbe compreso che l'arciere era giunto al termine della sua dose quotidiana di sopportazione.

Klog, indispettito, deve abbandonare il proposito di lavorarsi poco per volta l'Oscuro per indurlo a rivelare qualcosa sui Mela. Gudre-Yinnu, goffo come un Uomo che corteggia una Fata, è riuscito ad irritarlo così bene che la risposta a un'altra domanda sarebbe probabilmente una freccia in un occhio.

Di abbordare un altro Oscuro e ricominciare da capo non se ne parla proprio, almeno per il momento. Non resta che attendere una sosta e ricominciare quando anche gli Oscuri, a pancia piena, saranno di umore migliore.

Mentre cammina il Boldhovin, nell'impossibilità di conversare, rumina una quantità di pensieri. Così gli Oscuri devono continuare a guardare tutto senza stancarsi, pena la distruzione del loro mondo. Già. Ecco perché si truccano in quel modo, dipingendosi occhi più lunghi ed ampi del vero. Devono tutto al loro sguardo. E quando dormono? Forse non dormono mai tutti insieme o dormono con gli occhi aperti. Con quella luce? E chi ci riuscirebbe? Ma forse i Mela ci riescono. Istintivamente Klog solleva lo sguardo. È solo un'impressione o gli arcieri si sono stretti di più intorno a loro? Gli alberi appena oltre la via sono più luminosi o è solo un'illusione? Gli Oscuri inviati sulle ali guadagnano nuovamente la strada tenendo gli archi puntati verso il folto del bosco. 

 

Un istante dopo sono Fahgön e gli altri grandirami a raggiungerli. – Ci sono! – Grida il cervo, apparentemente felice come un cucciolo.

– Ma io non vedo nulla, maledizione! – Esclama Matushka.

Un Oscuro si volta e la invita a guardare poche decine di passi avanti a loro.

Il bosco sembra aver invaso la strada, scomparsa nel riflesso luminoso.

– Specchi! – Grida Gudre-Yinnu. – Sono solo specchi.

Nessuno degli Oscuri si cura di lui. Evidentemente i Gu'Hijirr Bruni conoscono bene i loro nemici ed i loro trucchi. Un paio di arcieri estraggono da sotto il mantello alcune pietre che lanciano con una frombola verso gli specchi. Le immagini riflesse degli alberi si spezzano e si moltiplicano. Per un istante Klog ha la sensazione di afferrare forme e movimenti degli assalitori, ma nella confusione di immagini è impossibile essere sicuri.

– Ma si vestono di specchi! – Urla a un tratto il Boldhovin. Gli Oscuri ricaricano le frombole e lanciano ancora. Ma il bosco sembra muoversi anche di fianco a loro, ogni linea oscilla, si sposta, si inclina. Klog è costretto a distogliere lo sguardo fissandolo sul nero riposante della schiena di un arciere. Il rumore di vetro rotto e calpestato, l'urto delle pietre, il sibilare delle frecce sono gli unici suoni della battaglia. Né gli Oscuri né i loro nemici parlano o gridano e capire come vanno le cose è veramente difficile.

Fahgön e i suoi scalpitano nervosi, soffiano, emettono cupi muggiti. – Si avvicinano sempre più. – Mormora Gudre-Yinnu estraendo la lunga spada ricurva dei Notturni. – E io non ho intenzione di aspettarli qui fermo.

E già il Neek sta per lanciarsi contro gli invisibili nemici, ma sono i Grandirami a precederlo. Fahgön e gli altri, con le corna acuminate rivolte verso le immagini del bosco, sembrano presi da una singolare follia. Corrono facendo tremare il terreno e guadagnando velocità ad ogni passo.

Piombano sulla parete di specchi come tori lanciati contro un'esposizione di cristalli. Si aprono varchi nelle file dei nemici, lasciando vedere nuovamente la pavimentazione originale della strada.

Gli Oscuri non perdono tempo e di corsa seguono i cervi, estraggono spade sottili, dalla lama nera e opaca e si buttano sul caos di immagini riflesse dai Mela sbandati.

Il corpo a corpo dura pochi istanti. I nemici, spaventati dai cervi dei quali non avevano alcuna nozione, si affrettano ad abbandonare il campo .

Sul terreno restano alcuni corpi scintillanti e migliaia di frammenti di vetro.

I cervi li inseguono ancora per poche decine di passi per poi ritornare indietro con andatura leggera e danzante.

– Visto? – Fahgön scuote il grande palco di corna con un movimento lento e maestoso. – Non sempre le imboscate riescono. 

Klog annuisce, ben contento che una volta tanto le fissazioni dei Grandirami li abbiano tratti fuori dai guai. Incuriosito si china a guardare uno dei Mela. Non è vestito di specchi come aveva creduto, ma la loro stessa pelle è fatta di minutissime schegge di specchio.

Distinguerne forma e connotati, anche adesso che ne ha di fronte uno non è facile. Sono creature minuscole, esili, dal cranio molto allungato. Il Mela impugna ancora il sostegno di uno dei grandi specchi del quale si faceva scudo. Con cautela il Boldhovin ne gira il volto.

– Ma non hanno occhi! – Grida inorridito, mollando la presa di scatto.

Uno degli Oscuri si avvicina e con un calcio manda il corpo del Mela a rotolare oltre il bordo della strada.





Quando, dopo alcune ore di marcia, si fermano per riposare l'esaltazione per la battaglia vinta ha già lasciato posto alla stanchezza ed alla malinconia.

– Erano piccoli come cuccioli, la metà di voi Oscuri. Si fatica davvero a credere che siano pericolosi.

– Lo splendore li muove. – L'ufficiale dal lungo manto nero ha un moto di insofferenza e si alza per sedersi lontano dal Neek.

– Tu cosa ne dici, Basso Okme? Cosa ho mai detto di così offensivo?

Il corvo di legno, lo sguardo fisso sul limite baluginante dell'orizzonte, si scuote come se si fosse svegliato in quel momento. – Gli Oscuri vivono da assediati. Ma in questo strano mondo non è possibile sopravvivere senza resistere. Chi vi si abbandona perisce, diviene servo dello Splendore. Hai guardato bene i Mela?

– Hanno una strana pelle. Lo ammetto. E soprattutto non hanno occhi.

– Sai perché?

Gudre-Yinnu fa un cenno di diniego ed estrae dalla borsa del pan biscotto e del formaggio. – Non ne ho idea. Se non ti dispiace metto qualcosa sotto i denti.

– Ricordi quando il Custode delle Parole mi ha trattenuto a colloquio?

– Certo.

– Mi ha detto dei Mela, allora. E degli animali dello Splendore. Né gli uni né gli altri posseggono più occhi, perché vedono attraverso il corpo, le mani, la pelle. Le minuscole creature che li ricoprono sono sensibili ai più minuti movimenti dell'aria e possono guidarli. Probabilmente non è stato penoso abituarsi, essi stessi sono diventati lo Splendore. Questa è la loro patria e gli Oscuri si rendono conto di essere degli invasori, creature intollerabili per i Mela e le altre creature delle foreste sotterrate.

– Bella storia. Ma hanno case, strade, città i Mela o vivono sotto questo cielo come animali?

– Non hanno bisogno di costruire né di commerciare né tantomeno di parlare. Non possiedono neppure i propri nomi. Sono i degni figli di questa foreste meravigliose e inospitali, in cui ogni luogo ne vale un altro e tutto si assomiglia.

Il Neek finisce di masticare mentre si guarda lungamente intorno. – Sì. In una terra senza notte questo è possibile. C'è da perderci la testa. Ma forse i Mela non hanno bisogno di pensare, di desiderare. Non è una situazione invidiabile? – Ride. – Vai dove ti porta la pelle, senza chiederti né perché né come. Lodo la saggezza del Custode delle Parole per non averci detto nulla di loro. Io stesso anche dopo averli visti non saprei come descriverli. Le parole possono rendere ragione solo di chi ne fa uso e di ciò che da esse è nato. Ma a me non basta. Lo sai, corvaccio? Non mi basterà neppure aver visto le Acque del Centro. Altre terre si stendono sotto queste, vorrei vederle, possederle. Da quando ho abbandonato la Rocca una fretta inspiegabile mi ha preso. La sento mentre dormo e sogno ogni notte di attraversare porte e corridoi senza fine. Visioni meravigliose e deliziose compagnie mi attendono dietro le porte accostate, luci terse e delicate mi invitano ad entrare, sedermi, riposare. Visi e corpi illuminati dalla tiepida luce del fuoco mi promettono un affetto inesauribile e dolcissimi momenti di abbandono. Fuggo terrorizzato e scendo antichi gradini, attraverso luoghi umidi d'ombra, osservato e spiato da creature abbiette, informi. Devo seguire me stesso, Basso Okme. Riesci a capire almeno tu che sei una creatura non-nata?

– Domani giungeremo alle Acque del Centro. In due giorni di viaggio arriveremo alle Montagne-Colonna ed alle fortezze di Mezzo-Cielo dov'è il limite della potenza degli Oscuri. Potrai venire con noi fino alle terre dei Giganti di Cristallo o rimanere qui. È questo che ti suggerisce il tuo cuore?

– E tu come puoi saperlo? Come puoi vedere dove anche il mio sguardo vacilla e tutto si confonde? Vorrei possedere un solo momento dei miei pensieri, tenerlo ancora rovente nella mano ed aprirla poco alla volta per guardarlo una volta freddo e immobile. Allora forse potrei risponderti, spiegarti e spiegarmi la sostanza dei desideri. Ma non si possono stringere in pugno i pensieri, la loro materia non è quella che forma i nostri corpi. Vedi? I Mela non debbono cercare così la ragione di ogni loro rabbia, di ogni disgusto e paura. Impulsi benefici li guidano o li fermano. E nemmeno sentono mai la voglia di maledire il cielo.

Basso Okme annuisce. Inutile cercare le parole per rispondere al Neek.: nulla può pacificarlo. Il Corvo-di-Legno chiude lentamente gli occhi avvertendo il leggero cigolio delle palpebre di legno che scendono a coprire le pupille di avorio candido. Nel campo solo le sentinelle sono rimaste a vegliare: viaggiatori e soldati dormono con il capo avvolto nei mantelli per non essere disturbati dal chiarore. Come sempre dormiranno male, di sonni agitati, senza la speranza dell'ombra benefica.



23.1.20

Il Mare Obliquo 52

Il vagare nell'interminabile foresta sotterrata di Klog e dei suoi amici continua fino a quando non incontreranno i veri abitanti della titanica grotta.
-----------------------------------------------------------------------
– Ehi, Basso Okme, dove ti sei nascosto?
Il richiamo di Matushka ha per unica risposta un'eco distorta che cessa all'improvviso, come assorbita dagli alberi.
– Non capisco. Era qui fino ad un attimo fa. – Klog si sporge in avanti cercando inutilmente di mettere a fuoco lo sguardo. – Mi ha indicato queste orme.
Gudre Yinnu si inginocchia a terra seguito dallo sguardo sospettoso di Fahgön.
– Mai viste simili tracce.
– Sono confuse, come se qualcuno avesse tentato di cancellarle con una coperta.
– È vero! Hai occhio boldhovin.
Klog sorride soddisfatto solo per un attimo. – È stato Basso Okme a farmelo notare. Ma adesso cosa facciamo?
– Senti questo rumore?
– Mi sembra pioggia, ma molto lontana.
Il Neek scuote il capo. – No, non è la pioggia. Quando ci avvicineremo diverrà un boato e una volta giunti non riusciremo più neppure a udirci tra noi. È la Sorgente.
– E Basso Okme?
Gudre-Yinnu si stringe nelle spalle. – Sarà qui nei dintorni. Quando avremo finito la colazione arriverà.
Consumano il cibo in silenzio, nonostante i tentativi del Neek di attaccare discorso. A turno Plinio, Matushka e Klog si affacciano all'apertura dell'albero per controllare.
– Sarebbe ora di partire.
– Non è ancora tornato. – Dice a bassa voce Matushka.
– Lasceremo qui qualcuno ad aspettarlo.
– NO!
Gudre-Yinnu si volta di scatto. – E perché mai, Fahgön?
– Siamo pochi e là fuori vi sono creature che possono assalirci, nate e cresciute qui. In casi come questi innanzi tutto non bisogna dividersi.
– Bene, allora andremo tutti insieme alla sorgente. In quanto a Basso Okme quando tornerà ci attenderà qui.
– E se non dovesse tornare? Se qualcuno glielo impedisse? Le orme le abbiamo viste tutti.
Gli occhi del Neek per un attimo si accendono di un bagliore intenso. – E dovremmo vagare per la foresta a cercarlo? Mentre la Sorgente è là ad attenderci?
Nessuno trova nulla da rispondere. Scorrono lunghi minuti mentre il fruscìo delle acque remote si fa più forte, quasi ipnotico.
– Io vado. Non posso attendere ancora. – Gudre-Yinnu si alza e cinge la ejiri. – Se potete attendetemi qui, altrimenti addio.
I cervi ed i tre amici di Sibiell lo guardano mentre calza gli stivali e si carica sulle spalle lo zaino. Senza più parlare il notturno esce all'aperto, si guarda intorno per un attimo e si allontana.
– Bello avere le idee chiare. – Commenta Klog dopo un po'. – Conviene aspettare che abbiano preso anche lui per fare un'unica spedizione.
Fahgön emette un verso bellicoso. – Stupido. Stupido e bugiardo. Seguiremo le tracce finchè possibile e ritroveremo Basso Okme.
– E poi? Come faremo a uscire di qui?
– Ritroveremo anche il Neek. Sarà lui a portarci fuori.
– Queste orme sono maledettamente confuse. E finora del corvo di legno non ne ho viste.
– Non è mica strano, sai Plinio? Se lo trasportano loro avrà pure qualche difficoltà a lasciare tracce.– Il tono della volpe è pungente ma il gatto non ci fa caso.
– Già. Questo è vero. Cos'ha detto di preciso, Klog?
– Che le creature che abitano qui… Ma che noia! L'avrò già detto almeno venti volte!
– Dillo per la ventunesima.
Il Boldhovin sbuffa. – Che le creature che abitano qui devono avere occhi molto diversi dai nostri. Che camminano su due gambe come noi. E che probabilmente gli somigliano.
– Se fosse vero il nostro amico non avrebbe troppo da temere.
– Dici Plinio? Già, d'altro canto se non sono tarli non credo vogliano mangiarlo.
Un brontolio seccato di Fahgön fa tacere bruscamente la volpe. I cervi si sono disposti a croce intorno a loro ed il poderoso Grandirami marcia a sinistra, sollevando spesso il capo ad annusare l'aria.


– Ehilà, si sentono odori strani? – Chiede Klog dopo un'annusata particolarmente lunga.
Il cervo rotea appena gli occhi e gli lancia un'occhiata omicida. – Sì.
– Capisco. – Klog annusa rumorosamente l'aria ma tutto ciò che riesce a sentire è l'odore umido di pioggia da poco terminata e il fresco profumo dell'erba. Il Boldhovin fa qualche altro tentativo poi si stringe nelle spalle, affonda la mano nella borsa per controllare se la Pietragemella è sempre al suo posto e si guarda intorno, cercando di sorprendere qualcosa o qualcuno spostando lo sguardo all'improvviso. Ma anche quel gioco lo annoia ben presto: la luce chiara ed immobile stanca la vista e in compenso la sensazione di giocare al gioco delle belle statuine con l'intero bosco non cessa.
Dopo un'ora di cammino lento e silenzioso, seguendo tracce poco visibili ed annusando l'aria, sono costretti a fermarsi.
– Ma sono passati di qua?
Plinio si affaccia sulla riva, contempla le proprie fattezze deformate dal lento flusso dell'acqua e annuisce. – Le tracce finiscono. Se non sono volati via devono essere passati di qui.
– E noi come passeremo? Sarà largo venti braccia.
– Nuoteremo. La corrente non è troppo forte.
Klog sbarra gli occhi. – Tu sei matto Fahgön. Hai visto COSA c'è in queste acque?
Il cervo non risponde subito. Raggiunge la riva e osserva a lungo le acque scure. – Sono piuttosto limpide. Ma anche profonde. – Con un moto improvviso parte al galoppo, costeggiando il torrente, quindi torna indietro, li supera e si allontana nella direzione opposta.
– Buonanotte. – Matushka parla a voce bassissima. – Anche il grandirami ha mandato il cervello in vacanza. Credo sia il caso di cominciare a ragionare in proprio.
– Ecco qua! – Fahgön si è fermato all'improvviso ed indica con la punta delle corna qualcosa nascosto nel folto di un cespuglio.
– …Parrebbe. – Dice Plinio.
– Non parrebbe! È una barca.
– È un po' strana, però. Perchè ha quella specie di vela obliqua? – Domanda Klog.
– Forse non è una vela. – Matushka aggrotta la fronte. – Forse serve solo per proteggere dalla pioggia. –
– Ha molta importanza? – Chiede Fahgön.
– Non troppa. – Ammette Plinio. – Spingiamola fino alla riva.
Ma anche mentre la spingono Klog e il gatto non possono fare a meno di pensare che una barca simile, sagomata a mezza oliva e quasi interamente coperta da una tela che scende dal piccolo albero di prua fino a poppa non si è mai vista prima.
Plinio viene giudicato abbastanza robusto per fungere insieme da timoniere e da rematore e con quattro trasbordi si trovano tutti dall'altra parte.
– Bene. E adesso?
– Bisogna ritrovare le tracce.
– E bravo il mio Grandirami. E se quelli si fossero fatti una rematina di una trentina di miglia o in su o in giù?
Fahgön scuote la testa. – Con una barca tanto piccola? E poi più giù ci sono sicuramente delle rapide, mentre remare controcorrente è faticoso. Quindi i nostri nemici devono essere per forza da queste parti.
– Forse non hai torto. Cerchiamo. – Ammette Klog, tutto sommato stupito della perspicacia del cervo. Dopo qualche minuto tuttavia il Boldhovin ridacchia notando che comunque Fahgön ha dato un saggio della sua mentalità con quel "nemici" affibbiato a creature finora assolutamente sconosciute.
Dopo mezz'oretta di ricerche, però comincia a nascergli il dubbio che le geniali conclusioni del cervo fossero assolutamente campate per aria. Si sono levate sì alcune voci per dire "li ho trovati", ma si trattava in genere di segni lasciati da loro stessi.
All'ennesimo urlo: "Attenti! Sono qui!" Klog non alza nemmeno la testa e continua a fissare un ciuffo di erba candida semicalpestato.
– Alzati, splendente.  


Il Boldhovin solleva il capo ruotandolo di lato e si trova sotto il naso la punta di una freccia. Si alza con molta cautela. La creatura che lo tiene sotto tiro è poco più alta di lui e coperta da abiti di una stoffa stranamente opaca e scura. Il volto è sottile e rugoso, coriaceo come quello di un Gu'Hijirr, ma ha occhi sottilissimi che sembrano prolungarsi sulle tempie senza terminare del tutto.
Gli ci vuole qualche secondo per capire che quel bizzarro effetto è ottenuto con due linee disegnate direttamente sulla pelle che scompaiono sempre più fini sotto le stoffa che ricopre il capo.
– Cosa vuol dire splendente? E come mai ti capisco?
L'indigeno apre la bocca senza parlare e schiocca la lingua, che ha robusta e appuntita come quella di una tartaruga.
– Allora, fratello: cosa vuol dire splendente?
Nemmeno questa volta la creatura gli risponde. Si limita a dargli una piccola spinta con la punta della freccia incoccata in un lungo arco ed a indicargli i suoi compagni, riuniti vicino alla piccola barca e circondati da un folto gruppo di arcieri.
Klog si avvia mestamente, tallonato dal suo guardiano, chiedendosi stavolta chi mai verrà a salvarli.
– Si cade un po' troppo spesso in imboscate eh, Grandirami?
Fahgön si limita a lanciargli uno sguardo sprezzante e torna a fissare con aria bellicosa i nemici che teneva tanto ad incontrare.
– Mi hanno chiamato splendente. Sarà un complimento? – Chiede a Matushka.
– Non credo. Vedi loro come sono vestiti? Hai guardato i nostri abiti?
Klog abbassa lo sguardo. Le minuscole creature di cui aveva parlato il Neek hanno trovato asilo anche sui loro abiti che brillano della stessa luce argentea e lunare che illumina la selva.
– Oh, bella. E perché i loro vestiti… – Si interrompe. Ben strana la stoffa dei quali sono tessuti, leggera come seta non pare avere maggior consistenza della tenebra notturna. È un'isola di oscurità assoluta, come buio rappreso ed indossato. Dalle spalle strette e ossute scendono ampi mantelli che accarezzano la terra.
– Probabilmente oscuro e splendente sono i due termini che significano buono e cattivo. – Dice Plinio. – E noi siamo nella categoria sbagliata.
– Cosa vogliono fare, accopparci tutti?
– Mi paiono comunque almeno incuriositi. Ci porteranno nella loro città e là ci saranno dei signori che decideranno della nostra sorte.
Il Boldhovin aggrondato li guarda per un po'. Non sono più espressivi del tronco di una quercia e parlottano tra loro in una lingua soffiata ed aspirata che li trasforma in tanti piccoli mantici.
– Plinio, tu che sai tante cose. Come mai prima li abbiamo capiti ed ora non più?
– Puoi farmi la domanda anche in un altro modo, Matushka. Come mai conoscono la lingua che si parla dalla parti di Canddermyn?
– Ecco, appunto.
– Non ne ho la più pallida idea. Eppure con facce come quelle se ne avessi incontrati me li ricorderei. Magari con le loro barchette risalgono il mare Obliquo e arrivano ovunque.
– Andiamo, splendenti. – Ordina una voce. Circondati dai loro guardiani si inoltrano nella foresta, diretti alla Città degli Oscuri.
Non devono camminare troppo a lungo per giungere a destinazione. Passato un tratto di selva fitto di alberi simili a mastodontiche betulle la città degli Oscuri si rivela improvvisa, distesa appena oltre una collina.
Ha vie nette, rettilinee, che brillano debolmente tra i palazzi bassi e ampi, dipinti o costruiti della stessa misteriosa oscurità che veste i suoi abitanti.
Il piccolo gruppo di viaggiatori si immobilizza silenzioso e persino i cervi sembrano colpiti dallo spettacolo. La città non è molto grande e le nove altissime torri, sottili aghi di tenebra che spiccano sullo sfondo argenteo e diafano degli alberi, le donano slancio e bellezza come ad una costruzione divina.
"… I Gu'Hijirr Bruni…" Sussurra Plinio e Klog è improvvisamente sicuro che il gatto abbia detto la verità. Quelle strane creature devono far parte per forza della Gente Perduta, del Popolo Eterno come amavano chiamarsi.
Scendono dalla cima dell'altura non più spaventati ma sentendosi creature da poco, volgari intrusi giunti al cospetto dei Signori dei Secoli.
Nelle vie, disposte a corona attorno ad ogni torre, circola poca gente, quieta e stranamente silenziosa, che non sembra far loro minimamente caso.


– Hai visto, Klog? I mantelli non sono tutti della stessa lunghezza. – Mormora a un certo punto Matushka.
– Non me ne ero accorto. Ma tu hai visto che non ci sono piccoli in giro?
– Eh, già. Magari li tengono chiusi in casa.
Quasi per smentire il Boldhovin due minuscoli Oscuri escono tenendosi per mano da una porta bassa decorata dal disegno di piccole campane argentate.
I due piccoli li studiano per qualche istante con evidente curiosità, fermi davanti alla soglia della costruzione, il piccolo mantello che non arriva a toccare il suolo. L'esame dura il tempo del loro passaggio quindi, senza che nessuno abbia loro rivolto la parola, si allontanano nella direzione opposta sempre tenendosi per mano.
– Che piccoli ben educati. – Plinio sorride. – Siamo finiti in mezzo a gente civile, si direbbe.
– Loro magari lo saranno anche, ma ti sei chiesto cosa pensano di noi, eh, testone?
– Già. – Il gatto medita per qualche istante. – Sarà meglio comportarsi bene.
Ai piedi della grande torre si stende una piazza circolare, circondata da un colonnato dagli archi molto acuti. Ubbidendo ad un ordine silenzioso i loro guardiani si allontanano andando a prendere posto a fianco delle colonne. Ai prigionieri non resta altro da fare che guardarsi intorno, nell'attesa di qualcosa, probabilmente dell'arrivo di qualche importante personaggio del Popolo Eterno.
Il tempo passa, i secondi si fanno minuti. Stanco per la camminata Klog si siede sul pavimento a losanghe nere e argento, pulito come quello di una reggia. Per un po' il Boldhovin fissa i soldati, dritti nella luce degli archi, con i mantelli ampi e l'alta redingote che rende sottili i loro visi, poi passa ad esaminare la torre.
L'oscurità delle sue pareti è attraversata da sottilissimi segni argentati, probabilmente iscrizioni. Si rialza e, tenendo d'occhio i guardiani si avvicina. La sua prima impressione si rivela giusta, non solo, ma Klog si accorge che riesce a comprendere il testo inciso sulla torre. Si tratta della storia dei Re di Dancemarare, dagli antichissimi Hejan fino agli Odo ed alla Casa di Artamiro. Legge per qualche minuto, stupito e infine si volta per guardarsi intorno con rinnovata curiosità. Forse anche le altre torri sono altrettanto ricche di iscrizioni. Che cosa racconteranno? Forse la storia della Casa d'Oriente della Gente Nuova o le leggende di Therrelise e delle Rocche dei Notturni. E cosa conterranno mai?
"Parole, Klog, la Memoria dell'Orlo del mondo."
Nella mente del Boldhovin compare un'alta parete di roccia coperta dalla calligrafia circolare dei Silvani e per la prima volta riesce a leggere quei caratteri bizzarri che inutilmente sua madre Armelinda aveva tentato – con poca pazienza per la verità – di insegnargli. I graffiti sulla roccia sono semicancellati, segnati dal color ruggine del muschio, spianati dal vento e dalla pioggia e mentre li legge ad alta voce nella propria mente sente l'eco di altre voci accompagnarlo.
"… Si dovrà conservare la memoria delle mille e mille parole nate dalla mente dei nati d'aria, di terra, d'acqua, della gente-che-corre, degli Uomini-di-Luna, del Popolo Eterno e di tutti coloro che avranno attraversato il cammino dell'Orlo del Mondo, perché di tutto il tempo trascorso non rimane che la materia più leggera e volatile: le parole… "
Un mormorio alle sue spalle interrompe la sua visione e Klog si volge di scatto verso la Torre, dove una porta si è silenziosamente aperta.
Ad attraversarla sono due figure ben note: Basso Okme e Gudre-Yinnu. Il primo concentrato su qualche strano pensiero, lo sguardo distratto e l'incedere svagato, il secondo animato da un'impazienza rabbiosa, che rende ogni suo passo un esercizio di furore appena trattenuto.
– Basso Okme, Gudre Yinnu! Come state, cosa fate qui?
– Klog… – Il corvo di legno si scuote e allarga il becco come il suo collega della fiaba. – E cosa ci fate qui tutti quanti?
– Questo l'ho chiesto prima io. Vi hanno preso gli Oscuri no? Beh, anche noi.
Il Neek sorride a labbra strette. – Ci siamo ritrovati alla fine.
– Io l'avevo detto. – L'inconfondibile Fahgön scruta con poca benevolenza il quasi-notturno e aggiunge: – Ci lasceranno andare?
– È probabile. – Un terzo personaggio è scivolato alle spalle dei loro compagni passando dalla porta della Torre: un Oscuro dal viso ancor più rugoso dei suoi compagni e dal mantello molto lungo ed ampio.
– Tu sei il Custode delle Parole. – Klog ha parlato ancor prima di rendersene conto. Porta una mano alla bocca stupito e si inchina per scusarsi.


– Non scusarti, Boldhovin, so che hai parlato con la Voce dei Fratelli Immobili. Sì io sono uno dei Sette Custodi delle Parole. – L'anziano Oscuro alza lo sguardo verso il cielo con espressione indecifrabile. – Lo sapete cosa si trova oltre la Città?
– No. – Rispondono i viaggiatori.
– La Sorgente del Mare Obliquo. – Dice il Neek.
– Tu sei una strana persona. Sei un'Anima-Divisa, sempre alla ricerca della parte che credi di aver perduto.
– Ho ragione? – Insiste Gudre-Yinnu.
– Ne abbiamo già parlato. Dalle Acque del Centro nascono i Mari, ma questo non è importante.
Il Neek scuote il capo con forza. – Voi siete simili alla mia gente: volete solo conservare, non conoscere, non trovare.
La bocca del Guardiano delle Parole si stira in una specie di sorriso. – Abbiamo visto, abbiamo conosciuto. Forse siamo davvero come la tua gente. Ma le nostre vite sono così estese da veder consumare una roccia dal vento e per noi quello è uno spettacolo davvero degno di attenzione.
– Cosa c'è oltre la Città? Oltre le Acque del Centro intendo dire. – L'Oscuro scruta in mezzo ai viaggiatori e vede Matushka. – Ci sono i Mela, piccola volpe.
– E cosa sono mai i Mela? – Sbotta Klog.
– Confusione, follia. Sono gli Accecati, i Perduti. Le loro terre non hanno confine come la loro anima. Non riescono a separarsi dallo Splendore.
– Immagino siano pericolosi. – Commenta Plinio.
– Hanno spade, lance, corrono sui denti-gialli, attaccano di fronte o di spalle? – Chiede Fahgön.
– I Mela non devono essere descritti, viaggiatori. Bisogna vigilare sulle parole perché esse creano immagini ambigue. I Mela esistono: a loro modo vivono, sognano e ci minacciano.
– Non capisco.
– Non importa Grandirami. Così vi chiamano nella lingua di Dancemarare, non è vero? Se vi accadrà di incontrarli cercate di dimenticare chi siete, il vostro obiettivo, le vostre abitudini. – Il Custode delle Parole indica i soldati schierati sul colonnato. – Vi daremo una scorta per attraversare quelle terre.
– Cosa sai di noi?
– So quanto basta, Boldhovin. So che l'Orlo del Mondo sta nuovamente smarrendosi e che tu rechi nella tua borsa la Speranza. Gli uomini-ragnatela, gli Aloq come li chiamate voi, ci hanno avvisato.
– Vedrò le Acque del Centro? – Chiede Gudre Yinnu.
– Sì. Ma resterai un'Anima-Divisa.
Il Neek si stringe nelle spalle. – Sono nato in questa pelle. Possiamo andare?
– Un momento, Gudre-Yinnu, aspetta. Cosa c'è oltre i Mela? – Chiede Klog.
– Le Foreste sotterrate terminano. Dopo le nostre fortezze di Mezzo-Cielo c'è il Deserto delle Nubi Rovesciate e ancora oltre Fieduinn e gli altri giganti di cristallo.
– Ma da quanto tempo mancate dal nostro mondo? – Chiede Matushka.
– Uno solo è il mondo. – Il Custode torna a stirare le labbra nel suo sorriso. – E quindi noi non siamo mai mancati. Lo ricordo affollato e bizzarro, ma ne serbiamo la memoria attraverso le sue parole. Una terribile guerra lo sta scuotendo.
– Artamiro e Bartsodesch.– Dice Fahgön.
– No. Essi usano le stesse parole. Può separarli solo la superbia, l'interesse. No, si tratta di una guerra feroce che separa la Gente Antica dalla Gente Nuova. Le loro parole sono diverse, hanno differenti significati e questo rende la guerra davvero terribile e feroce. Andate ora, presto, il Cambiamento avanza.