I nuovi amici decidono di scortare nel viaggio sotterraneo Klog e i suoi amici e la scorta si rivela ben presto necessaria. |
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Klog,
mentre percorre le strade della Città degli Oscuri, si sente insieme
sollevato e nervoso. I Gu'hijirr bruni, divenuti protettori, marciano
ordinatamente intorno a loro, i lunghi archi a tracolla e in
silenzio, ma se ora quella presenza è benvenuta, le frasi del
Custode delle Parole hanno sortito l'effetto di rendere ancor più
inquietante il possibile incontro con i Mela.
–
Ehi, tu! Come sono i Mela? – Chiede ad uno degli Oscuri che
procedono al suo fianco, decisamente più alto dei compagni.
L'Oscuro
sorride e fa un gentile cenno di diniego con il capo.
–
Cosa c'é? Non sai la mia lingua?
–
Non ho detto questo. – Il Gu'Hijirr Bruno parla lentamente, con
attenzione e con un accento strano, ricco di dentali.
–
Non ho dd-ett-to quest-to. Ma lo sai che parli buffo?
–
Mi manca la pratica. – Replica pensieroso il soldato.
–
Bene. E allora come sono i Mela?
–
Ghudett-Dhor ha parlato. Non l'hai udito?
–
Sì, ma ha detto un po' poco, non credi?
–
Quando li vedrai saprai.
Klog
corruga le sopracciglia e resiste alla tentazione di attaccar briga.
Si
stringe nelle spalle, deciso a ricominciare in un altro momento, e
comincia a guardarsi intorno con attenzione.
Adesso
che il Popolo Eterno si è rivelato amico anche la città ha perso
l'alone di minaccia per mostrare per intero la sua austera bellezza.
Lunghe sinuose linee argentee disegnano i profili di gradini, archi,
logge, bovindi, porte, finestre che si formano all'improvviso davanti
ai suoi occhi stranieri, per mutare, scorrere impercettibilmente non
appena distoglie lo sguardo. Ad un'occhiata superficiale
l'architettura dei Gu'Hijirr Bruni appare almeno sobria se non
severa, ma dopo qualche istante la ricchezza inesauribile delle
linee, dei disegni appena suggeriti dall'argento diviene evidente,
pur conservando una qualità liquida, instabile. La linea di una
loggia chiusa da sottili colonne si trasforma nella cornice di
un'ordine di finestre chiuse da inferriate dal disegno a spirale per
poi suggerire le radici di una torre inserita in un muro che digrada
dolcemente a terra come un'onda.
E
i disegni d'argento si inseguono sulle lunghe gradinate che spezzano
l'ordine delle vie, aprendo improvvisi scorci sui grandi alberi
dell'anello di colline che circondano la città.
–
Come si chiama questo posto? Almeno questo saprai dirmelo.
–
Ayss. Nella tua lingua diresti l'Ultima.
Klog
medita per qualche istante. – Ayss. E come si dice l'ultimo?
–
Ayss. I luoghi non hanno genere.
–
Per le fate non è così.
Il
soldato tace per qualche attimo schioccando la lingua ogni tanto,
apparentemente perplesso.
–
Le fate danno un sesso ai luoghi, alle cose?
–
Hanno almeno sette generi, cioé sono sette quelli di cui ho udito
discorrere, ma non posso escludere che ve ne siano altri.
L'Oscuro
annuisce turbato e si allontana di qualche passo. Lo vede discorrere
con un compagno per poi ritornare al suo posto.
–
Hanno 11 generi, le fate. – mormora l'Oscuro.
–
Undici? Ne conoscevo solo sette.
–
Undici.
–
Curioso. Mia madre era un'Efhi, ma era Efhi anche il suo ago, lungo e
sottile e le foglie delle primule, ma non il fiore delle primule che
era Djumel o il piccolo Grandirami che mi portava in groppa da
cucciolo che era synny o sua madre che era…
–
Efhi? – Azzarda l'Oscuro.
–
No, Za-atl.
–
Incomprensibile.
–
Ma no, ma no. Basta avere la chiave per riconoscere i generi. Tu, per
esempio: devi essere un Seb'sel, cioè un serio-padre-lavoratore,
mentre io sono un Yku, un Incoerente-infantile-perditempo. Capisci?
Tu hai cuccioli tuoi, vero?
–
Nel mio Arco ce ne sono tre. Lo spazio è poco, nascono pochi
piccoli.
Klog
fa ampi gesti con il capo ad indicare comprensione, sorride e decide
di tacere per un po'. Gente seria e precisa gli Oscuri, chissà come
giudicano gli intricati generi e sottogeneri delle Gwellyniuin,
probabilmente molto male. Undici generi! Klog ne ha contati
duecentotrentuno negli anni da pelosetto trascorsi nella foresta.
Generi che andavano da Vhaau, pesante-aggressivo-rozzo a Cini'n
vago-appassionato-lamentoso-occhigrandi. Per le fate è un gioco
anche il genere, un disegnare senza chiedersi nulla, come bambini che
appiccicano soprannomi a tutti.
Escono
dalla città e inconsciamente accelerano il passo. Gli oscuri si
fermano per consultarsi. Tra loro parlano a bassissima voce e senza
il minimo movimento delle mani o del capo. Gli ex-prigionieri li
osservano in silenzio. Solo Plinio guarda il bosco arricciando il
naso come se annusasse.
–
Senti qualcosa? – Gli chiede Matushka.
–
No.
–
Nemmeno io. Forse ci vorrebbe un cane.
Plinio
si rabbuia. – Non ne vedo la necessità. – Indica la grande volta
di roccia nascosta dal riflesso argenteo. – Ci vorrebbe un po' di
buio. Con questa luce mi sembra di essere cieco.
–
È solo la centesima volta che lo dici.
–
E allora?… Guarda i neri si muovono.
Gli
Oscuri devono essere arrivati a qualche conclusione. Il loro gruppo
si divide e alcuni di loro si allontanano ai due lati, dirigendosi
verso il bosco.
–
Ottimo. – Approva Fahgön. – Gli esploratori sui lati ci
proteggeranno da agguati. Ehi, voi! Io e i miei compagni possiamo
stare in retroguardia.
Un
Oscuro con il mantello più lungo considera Fahgön e gli altri cervi
e per qualche istante sembra che l'unica risposta sia il lento
movimento della terza palpebra che si chiude sulle pupille rendendo
la sua espressione imperscrutabile.
–
Va bene. Ma cinque arcieri vi seguiranno.
Fahgön
accetta ma non sembra particolarmente soddisfatto. Volta la groppa
possente adorna del lungo pelo invernale seguito dai suoi ed
affiancato dagli Oscuri.
La
strada tagliata dal Popolo Eterno corre diritta e regolare nel bosco,
valica piccoli corsi d'acqua, attraversa colline con cunicoli netti,
ricoperti da quel materiale nero simile ad uno strato di grafite che
ricopre anche le loro case e gli abiti.
All'uscita
di una breve galleria li attende una torre diroccata che sorge a
fianco della strada.
–
Ehi cos'è?
–
Il limite delle terre dei Mela. – Il soldato aumenta
impercettibilmente la stretta sull'arco. – Questa era la casa
dell'ottavo Custode delle Parole.
–
E cosa ne è stato di lui? – Insiste Klog.
–
Egli era il più anziano. Era anche il disegnatore di Ayss e delle
strade che vi giungono o si allontanano da essa.
–
Un pezzo grosso, insomma. Ma non mi hai risposto.
–
Egli è stato vittima dello Splendore. Non vedi?
Il
Bodhovin rallenta il passo per guardare la torre, quasi completamente
sommersa dalla vegetazione chiara e luminosa. Solo in pochi punti,
riconoscibili a fatica, sopravvive la scura copertura originale della
torre.
–
Com'è successo?
L'Oscuro
durante l'esame di Klog è stato con il volto ostentatamente girato
verso la strada, come se la vista della torre fosse troppo penosa per
lui. Tarda a rispondergli e lascia che le dita che si chiudono e si
aprono intorno all'arco denuncino il suo nervosismo.
–
Il Maurr non può resistere allo splendore senza essere rinnovato.
Senza la nostra attenzione. Questa strada è ricoperta di Maurr e si
conserva perché la percorriamo ogni giorno. Il nostro piccolo regno
resiste solo grazie ai nostri passi ed ai nostri sguardi.
–
Maurr sarebbe quella patina nera che copre le vostre case?
L'Oscuro
annuisce. – Ci sono due tipi di piccole vite qui nelle foreste
sotterrate, quelle luminose che accendono gli alberi e donano
splendore e quelle oscure e refrattarie. Queste ultime le abbiamo
coltivate e scelte fino ad averne un ceppo puro che resiste allo
Splendore. Chi vi si espone senza difesa dopo poche settimane diventa
folle e cieco. Il contrappasso al nostro amato isolamento è questo.
Il Maurr è sensibile ai nostri pensieri, un incantesimo steso
dall'Ottavo Custode lo rende stabile solo sotto lo sguardo di
creature viventi.
–
E allora questa torre…
–
Già. Una follia, non si può mantenere coerente Maurr rimanendo
soli. Ma si racconta che l'Ottavo volesse conquistare l'intero mondo
sotterraneo e che, contrastato dai Sette, si sia qui isolato trovando
la giusta punizione.
–
Quindi i vostri oggetti, le vostre case devono essere bellissime per
poter continuare a richiamare i vostri sguardi.
Gudre-Yinnu,
che ha ascoltato l'intera conversazione in silenzio, indica il piano
elegante ed arrotondato della strada, i segnapassi dal disegno
leggero, delicati come calici rovesciati. – Siete condannati alla
bellezza.
L'oscuro
annuisce. – Ben strana sorte. Ma ve ne sono di peggiori.
–
Ma qual'è la natura dei Domini Sotterranei? Quanto scendono in
profondità? Quanti popoli li abitano?
L'Oscuro
sorride e per un attimo il suo tranquillo divertimento lo rende
simile al Guardiano delle Parole che li aveva ricevuti. – Non puoi
fare a meno di interrogare ed interrogarti, non è vero Uomo-di-Luna?
Ma esistono domande che non ammettono risposta.
–
Anche queste?
–
No. La caverna ha una pianta a forma di stella a sette braccia.
Probabilmente i Primi o qualcuno di ancor più antico l'ha così
scavata per qualche scopo che non possiamo più neppure sperare di
comprendere. Sotto di essa si stendono altre caverne. Alcuni di noi
sono discesi per altri tre livelli prima di tornare a volgere i loro
passi verso la patria. Altri popoli le abitano: i Monocoli, i
Pallava, le Ombre-Locusta, gli Illammpa, i Serpenti-Mosaico e
probabilmente altri ancora, ma di tutti costoro, delle loro origini e
costumi ignoriamo quasi tutto. Sei soddisfatto?
Il
Neek scuote il capo. – Tu che mi conosci così bene saprai che non
posso essere soddisfatto di cenni tanto vaghi. Le altre caverne hanno
la stessa pianta?
Il
soldato si stringe nelle spalle. – I nostri inviati non le hanno
esplorate fino ai loro confini ultimi.
–
Già, vite lunghe come le vostre non si gettano via per una semplice
curiosità.
L'Oscuro
apre le braccia. – Altri seguiranno. Chi ha detto che il mondo
debba essere bruciato in un solo sguardo? Attento, Uomo-di-Luna, il
termine giunge quando si crede di aver conosciuto tutto.
La
risata di Gudre-Yinnu fa girare di scatto gli altri arcieri e i suoi
compagni di strada. – Il mondo è tanto vasto. E poi io non ho
paura della morte, ho vissuto troppo tempo nascosto, temendola e
invocandola insieme. Quand'anche le caverne fossero infinite le
percorrerei tutte, misurandole per tutto il loro perimetro. I miei
parenti hanno sempre detto che è la parte di sangue che mi viene
dalla Gente Nuova a rendermi inquieto. Cosa ne dici, sarà vero?
–
Stai scherzando, Uomo-di-Luna. Nessun popolo possiede caratteristiche
solo sue. Nemmeno noi siamo solo pazienti.
Il
Neek annuisce. Anche un individuo più irruente di lui avrebbe
compreso che l'arciere era giunto al termine della sua dose
quotidiana di sopportazione.
Klog,
indispettito, deve abbandonare il proposito di lavorarsi poco per
volta l'Oscuro per indurlo a rivelare qualcosa sui Mela. Gudre-Yinnu,
goffo come un Uomo che corteggia una Fata, è riuscito ad irritarlo
così bene che la risposta a un'altra domanda sarebbe probabilmente
una freccia in un occhio.
Di
abbordare un altro Oscuro e ricominciare da capo non se ne parla
proprio, almeno per il momento. Non resta che attendere una sosta e
ricominciare quando anche gli Oscuri, a pancia piena, saranno di
umore migliore.
Mentre
cammina il Boldhovin, nell'impossibilità di conversare, rumina una
quantità di pensieri. Così gli Oscuri devono continuare a guardare
tutto senza stancarsi, pena la distruzione del loro mondo. Già. Ecco
perché si truccano in quel modo, dipingendosi occhi più lunghi ed
ampi del vero. Devono tutto al loro sguardo. E quando dormono? Forse
non dormono mai tutti insieme o dormono con gli occhi aperti. Con
quella luce? E chi ci riuscirebbe? Ma forse i Mela ci riescono.
Istintivamente Klog solleva lo sguardo. È solo un'impressione o gli
arcieri si sono stretti di più intorno a loro? Gli alberi appena
oltre la via sono più luminosi o è solo un'illusione? Gli Oscuri
inviati sulle ali guadagnano nuovamente la strada tenendo gli archi
puntati verso il folto del bosco.
Un
istante dopo sono Fahgön e gli altri grandirami a raggiungerli. –
Ci sono! – Grida il cervo, apparentemente felice come un cucciolo.
–
Ma io non vedo nulla, maledizione! – Esclama Matushka.
Un
Oscuro si volta e la invita a guardare poche decine di passi avanti a
loro.
Il
bosco sembra aver invaso la strada, scomparsa nel riflesso luminoso.
–
Specchi! – Grida Gudre-Yinnu. – Sono solo specchi.
Nessuno
degli Oscuri si cura di lui. Evidentemente i Gu'Hijirr Bruni
conoscono bene i loro nemici ed i loro trucchi. Un paio di arcieri
estraggono da sotto il mantello alcune pietre che lanciano con una
frombola verso gli specchi. Le immagini riflesse degli alberi si
spezzano e si moltiplicano. Per un istante Klog ha la sensazione di
afferrare forme e movimenti degli assalitori, ma nella confusione di
immagini è impossibile essere sicuri.
–
Ma si vestono di specchi! – Urla a un tratto il Boldhovin. Gli
Oscuri ricaricano le frombole e lanciano ancora. Ma il bosco sembra
muoversi anche di fianco a loro, ogni linea oscilla, si sposta, si
inclina. Klog è costretto a distogliere lo sguardo fissandolo sul
nero riposante della schiena di un arciere. Il rumore di vetro rotto
e calpestato, l'urto delle pietre, il sibilare delle frecce sono gli
unici suoni della battaglia. Né gli Oscuri né i loro nemici parlano
o gridano e capire come vanno le cose è veramente difficile.
Fahgön
e i suoi scalpitano nervosi, soffiano, emettono cupi muggiti. – Si
avvicinano sempre più. – Mormora Gudre-Yinnu estraendo la lunga
spada ricurva dei Notturni. – E io non ho intenzione di aspettarli
qui fermo.
E
già il Neek sta per lanciarsi contro gli invisibili nemici, ma sono
i Grandirami a precederlo. Fahgön e gli altri, con le corna
acuminate rivolte verso le immagini del bosco, sembrano presi da una
singolare follia. Corrono facendo tremare il terreno e guadagnando
velocità ad ogni passo.
Piombano
sulla parete di specchi come tori lanciati contro un'esposizione di
cristalli. Si aprono varchi nelle file dei nemici, lasciando vedere
nuovamente la pavimentazione originale della strada.
Gli
Oscuri non perdono tempo e di corsa seguono i cervi, estraggono spade
sottili, dalla lama nera e opaca e si buttano sul caos di immagini
riflesse dai Mela sbandati.
Il
corpo a corpo dura pochi istanti. I nemici, spaventati dai cervi dei
quali non avevano alcuna nozione, si affrettano ad abbandonare il
campo .
Sul
terreno restano alcuni corpi scintillanti e migliaia di frammenti di
vetro.
I
cervi li inseguono ancora per poche decine di passi per poi ritornare
indietro con andatura leggera e danzante.
–
Visto? – Fahgön scuote il grande palco di corna con un movimento
lento e maestoso. – Non sempre le imboscate riescono.
Klog
annuisce, ben contento che una volta tanto le fissazioni dei
Grandirami li abbiano tratti fuori dai guai. Incuriosito si china a
guardare uno dei Mela. Non è vestito di specchi come aveva creduto,
ma la loro stessa pelle è fatta di minutissime schegge di specchio.
Distinguerne
forma e connotati, anche adesso che ne ha di fronte uno non è
facile. Sono creature minuscole, esili, dal cranio molto allungato.
Il Mela impugna ancora il sostegno di uno dei grandi specchi del
quale si faceva scudo. Con cautela il Boldhovin ne gira il volto.
–
Ma non hanno occhi! – Grida inorridito, mollando la presa di
scatto.
Uno
degli Oscuri si avvicina e con un calcio manda il corpo del Mela a
rotolare oltre il bordo della strada.
Quando,
dopo alcune ore di marcia, si fermano per riposare l'esaltazione per
la battaglia vinta ha già lasciato posto alla stanchezza ed alla
malinconia.
–
Erano piccoli come cuccioli, la metà di voi Oscuri. Si fatica
davvero a credere che siano pericolosi.
–
Lo splendore li muove. – L'ufficiale dal lungo manto nero ha un
moto di insofferenza e si alza per sedersi lontano dal Neek.
–
Tu cosa ne dici, Basso Okme? Cosa ho mai detto di così offensivo?
Il
corvo di legno, lo sguardo fisso sul limite baluginante
dell'orizzonte, si scuote come se si fosse svegliato in quel momento.
– Gli Oscuri vivono da assediati. Ma in questo strano mondo non è
possibile sopravvivere senza resistere. Chi vi si abbandona perisce,
diviene servo dello Splendore. Hai guardato bene i Mela?
–
Hanno una strana pelle. Lo ammetto. E soprattutto non hanno occhi.
–
Sai perché?
Gudre-Yinnu
fa un cenno di diniego ed estrae dalla borsa del pan biscotto e del
formaggio. – Non ne ho idea. Se non ti dispiace metto qualcosa
sotto i denti.
–
Ricordi quando il Custode delle Parole mi ha trattenuto a colloquio?
–
Certo.
–
Mi ha detto dei Mela, allora. E degli animali dello Splendore. Né
gli uni né gli altri posseggono più occhi, perché vedono
attraverso il corpo, le mani, la pelle. Le minuscole creature che li
ricoprono sono sensibili ai più minuti movimenti dell'aria e possono
guidarli. Probabilmente non è stato penoso abituarsi, essi stessi
sono diventati lo Splendore. Questa è la loro patria e gli Oscuri si
rendono conto di essere degli invasori, creature intollerabili per i
Mela e le altre creature delle foreste sotterrate.
–
Bella storia. Ma hanno case, strade, città i Mela o vivono sotto
questo cielo come animali?
–
Non hanno bisogno di costruire né di commerciare né tantomeno di
parlare. Non possiedono neppure i propri nomi. Sono i degni figli di
questa foreste meravigliose e inospitali, in cui ogni luogo ne vale
un altro e tutto si assomiglia.
Il
Neek finisce di masticare mentre si guarda lungamente intorno. –
Sì. In una terra senza notte questo è possibile. C'è da perderci
la testa. Ma forse i Mela non hanno bisogno di pensare, di
desiderare. Non è una situazione invidiabile? – Ride. – Vai dove
ti porta la pelle, senza chiederti né perché né come. Lodo la
saggezza del Custode delle Parole per non averci detto nulla di loro.
Io stesso anche dopo averli visti non saprei come descriverli. Le
parole possono rendere ragione solo di chi ne fa uso e di ciò che da
esse è nato. Ma a me non basta. Lo sai, corvaccio? Non mi basterà
neppure aver visto le Acque del Centro. Altre terre si stendono sotto
queste, vorrei vederle, possederle. Da quando ho abbandonato la Rocca
una fretta inspiegabile mi ha preso. La sento mentre dormo e sogno
ogni notte di attraversare porte e corridoi senza fine. Visioni
meravigliose e deliziose compagnie mi attendono dietro le porte
accostate, luci terse e delicate mi invitano ad entrare, sedermi,
riposare. Visi e corpi illuminati dalla tiepida luce del fuoco mi
promettono un affetto inesauribile e dolcissimi momenti di abbandono.
Fuggo terrorizzato e scendo antichi gradini, attraverso luoghi umidi
d'ombra, osservato e spiato da creature abbiette, informi. Devo
seguire me stesso, Basso Okme. Riesci a capire almeno tu che sei una
creatura non-nata?
–
Domani giungeremo alle Acque del Centro. In due giorni di viaggio
arriveremo alle Montagne-Colonna ed alle fortezze di Mezzo-Cielo
dov'è il limite della potenza degli Oscuri. Potrai venire con noi
fino alle terre dei Giganti di Cristallo o rimanere qui. È questo
che ti suggerisce il tuo cuore?
–
E tu come puoi saperlo? Come puoi vedere dove anche il mio sguardo
vacilla e tutto si confonde? Vorrei possedere un solo momento dei
miei pensieri, tenerlo ancora rovente nella mano ed aprirla poco alla
volta per guardarlo una volta freddo e immobile. Allora forse potrei
risponderti, spiegarti e spiegarmi la sostanza dei desideri. Ma non
si possono stringere in pugno i pensieri, la loro materia non è
quella che forma i nostri corpi. Vedi? I Mela non debbono cercare
così la ragione di ogni loro rabbia, di ogni disgusto e paura.
Impulsi benefici li guidano o li fermano. E nemmeno sentono mai la
voglia di maledire il cielo.
Basso
Okme annuisce. Inutile cercare le parole per rispondere al Neek.:
nulla può pacificarlo. Il Corvo-di-Legno chiude lentamente gli occhi
avvertendo il leggero cigolio delle palpebre di legno che scendono a
coprire le pupille di avorio candido. Nel campo solo le sentinelle
sono rimaste a vegliare: viaggiatori e soldati dormono con il capo
avvolto nei mantelli per non essere disturbati dal chiarore. Come
sempre dormiranno male, di sonni agitati, senza la speranza
dell'ombra benefica.