
Ci dovevo arrivare, prima o poi.
...
Panico nel pubblico.
...
No, calma.
A parlare di cosa mi è capitato dopo l'ictus (leggero) che mi ha colpito l'estate scorsa.
A parlare, in particolare, di cosa è accaduto alla mia passione per la scrittura.
Andiamo in ordine, più o meno.
Il primo problema, banale ma reale, è che mia mano sinistra non funziona più troppo bene.
È più debole, imprecisa, si stanca molto presto. Io ho sempre battuto con 5-6 dita, delle quali tre appartenevano alla mano sinistra. Adesso se tento di scrivere attaccapanni mi viene quasi sempre un «ayyattconnni» o qualcosa del genere. Se sto scrivendo una recensione o un articolo smadonno, sospiro, attivo il tasto backspace e cancello e riscrivo, più lentamente. Il rischio, ovviamente, è quello di dimenticare o confondere la frase o il passaggio che mi avevano attraversato la mente per un istante. Un altro rischio - non troppo piccolo - è quello di decidere di tagliare la frase e «normalizzarla» rendendola più facile e, probabilmente, più incolore.
Dovrei sforzarmi di scrivere pianamente e ordinatamente.
Ma chi ci riesce più, alla mia età?
Assomiglia a dover reimparare a scrivere quando ormai i nervi funzionano ostinatamente come hanno funzionato negli ultimi 30-35 anni... Tranne che adesso non si accorgono di non aver battuto alcuni tasti («attccpnni») o di aver battuto la «y» invece della «t» («ayyac...).
Tiro il fiato e mi rimetto a scrivere.
Di questo passo il backspace si consumerà più di tutti gli altri tasti messi insieme.
Non mi vengono idee per scrivere. E questo è il secondo problema, apparentemente.
In realtà è difficile capire se il desiderio (e lo spunto) di scrivere qualcosa nascono perché sono parte di un processo unico e ciclico per il quale la capacità di scrivere stimola l'attenzione verso il mondo e, reciprocamente, l'attenzione per il mondo stimola la capacità di scrivere.
Fatto sta che adesso il meccanismo è rotto. Tragicamente rotto.
Qualsiasi fantasma di idea mi attraversi la mente si scontra fatalmente con la mia relativa incapacità di scrivere. Che funziona anche nella scrittura a mano, detto per inciso.
So come scrivo.
Le idee si sommano, si scavalcano, si sostituiscono.
Prendono forma per essere presto rimpiazzate da altre fino ad arrivare a una forma che mi soddisfa.
Il tutto accade in pochi secondi, un tempo al quale le mie mani sono adesso sostanzialmente incapaci di reagire.
So come scrivo.
Devo scrivere in forma quasi perfettamente completa già alla prima stesura.
Buonanotte.
Infatti dall'estate scorsa tutto ciò che sono riuscito a scrivere è la chiusura (già progettata, peraltro) del racconto apparso su Fata Morgana 12. Non mi ha particolarmente soddisfatto, per la verità, ma di meglio non mi è stato possibile fare.
Mi capita talvolta di rileggere i miei testi inediti, in questo periodo. Un'agonia, a essere sincero. Proprio ciò che fatico a scrivere ultimamente - gli interludi, i passaggi, le distrazioni, i salti di senso e di equilibrio che rendono un testo godibile e imprevedibile - riluce ricco e sfacciato nei miei vecchi testi. È un'impressione, lo so, ma è difficile resistere alla (terrificante) sensazione che quel genere di scrittura sia ormai fuori dalla mia gittata e dalle mie possibilità.
Il problema fondamentale, in sostanza, potrebbe essere che - sempre ammesso ricomincino a zampillarmi idee nella zucca - dovrei avere mooolto più tempo di una volta per riuscire a scribacchiare una paginetta. Sempre ammesso che la mia velocità di scrittura regga almeno decentemente il ritmo delle idee.
Tenendo conto del mio lavoro attuale, direi che il tempo è sempre stato un problema - se non IL Problema - nella scrittura. Poi, certo, è possibile che mi trovi da un giorno all'altro a non avere più nulla da fare. Ma temo che a quel punto dovrei trovare qualcosa da fare in un modo o nell'altro. «Non restare con le mani in mano» come insegna il demente nazionale.
Che fare?
Mi consigliano di attendere. Di vedere come va la mano. Di fare esercizio con la sinistra.
Tentare di scrivere, tento.
Questo sciagurato e scalcinato blog ne è un esempio.
Gli articoli e le recensioni scritte per LN anche.
Da questo punto di vista sarebbe estremamente prezioso per me sapere se è così evidente il cambiamento intervenuto in chi scrive. Se avete voglia di dirmi qualcosa - senza pietismi o inutili cortesie - sono tutto orecchie.
Per la narrativa...
Consolata Lanza, scrittrice vivacissima, mi dice che lei ha passato diversi mesi senza scrivere. dopo un'operazione. Inchiodata, bloccata, vuota.
Mi dice che questo, forse, è ciò che sto passando anch'io.
Non credo che Consolata avesse avuto, all'epoca, la sinistra fuori assetto, ma comunque accetto e ringrazio.
Un altra possibilità è cambiare drasticamente il genere di testi che scrivo. Niente più romanzi né racconti ma racconti brevi o brevissimi, progettati fino all'ultima riga. Magari dettati al PC mediante un microfono.
È possibile e verosimile?
Non mi ci vedo troppo, ma l'importante è non disperare.
Poi qualcuno può anche giustamente commentare «ma chissenefrega di uno scrittore che ha pubblicato in vita sua una manciata di racconti...» e mi sarebbe difficile dargli torto. Posso soltanto rispondere, per quanto mi riguarda, che scrivere è stato per diversi anni una delle mie «vie di fuga», uno dei pochi metodi personali per separarmi temporaneamente dalla mia vita quotidiana. Un modo per giudicarla dall'esterno e provare a immaginare altre vite possibili.
In questo momento mi sento, sinceramente, molto solo. Una specie di naufrago, sia pure temporaneo... Ma è anche possibile che si tratti di un evento transitorio, qualcosa del quale potrò ridere quando riceverò il Nobel alla letteratura...
Non mi resta, a questo punto, che provare a scrivere qualcosa di molto rapido, anzi rapidissimo, tanto per vedere se mi è possibile.
«Luigi stava tornando a casa come tutti i giorni. Prendeva due autobus, il 19 per 5 fermate e il 65 per 8. Riconoscere la cadenza delle fermate era una pratica quotidiana, una sinecura che sbrigava senza nemmeno più porgli particolare attenzione. Ma quel giorno lasciò passare l'ottava fermata del 65 senza accorgersene e dovette scendere alla fermata successiva, la nona, posta dall'altra parte della grande piazza.
Il sole era forte, quasi insopportabile e l'asfalto ne rifletteva lo splendore rabbioso come lo specchio di un lago oscuro.
Dall'altra parte della piazza un ragazzo stava attraversando la strada con la stanchezza un po' ovvia di loro studenti.
Buffo, Luigi avrebbe detto che si trattava di una copia perfetta di lui. Stessi jeans larghi, stessa maglia bianca con una grande scritta sulla schiena.
Luigi, stordito, scosse la testa e poggiò un piede giù dal frammento di marciapiede dove l'autobus l'aveva lasciato. Ma l'asfalto sembrava in tutto e per tutto limacciosa acqua oscura.
Si sentì trascinare giù, senza riuscire a fermarsi. Provò a urlare ma inutilmente.
Le abitudini possono essere pericolose.
Molto pericolose. »
Beh, c'è voluta più o meno un'oretta.
Q.E.D.
Alla prossima.

Panico nel pubblico.
...
No, calma.
A parlare di cosa mi è capitato dopo l'ictus (leggero) che mi ha colpito l'estate scorsa.
A parlare, in particolare, di cosa è accaduto alla mia passione per la scrittura.
Andiamo in ordine, più o meno.
Il primo problema, banale ma reale, è che mia mano sinistra non funziona più troppo bene.
È più debole, imprecisa, si stanca molto presto. Io ho sempre battuto con 5-6 dita, delle quali tre appartenevano alla mano sinistra. Adesso se tento di scrivere attaccapanni mi viene quasi sempre un «ayyattconnni» o qualcosa del genere. Se sto scrivendo una recensione o un articolo smadonno, sospiro, attivo il tasto backspace e cancello e riscrivo, più lentamente. Il rischio, ovviamente, è quello di dimenticare o confondere la frase o il passaggio che mi avevano attraversato la mente per un istante. Un altro rischio - non troppo piccolo - è quello di decidere di tagliare la frase e «normalizzarla» rendendola più facile e, probabilmente, più incolore.
Dovrei sforzarmi di scrivere pianamente e ordinatamente.
Ma chi ci riesce più, alla mia età?
Assomiglia a dover reimparare a scrivere quando ormai i nervi funzionano ostinatamente come hanno funzionato negli ultimi 30-35 anni... Tranne che adesso non si accorgono di non aver battuto alcuni tasti («attccpnni») o di aver battuto la «y» invece della «t» («ayyac...).
Tiro il fiato e mi rimetto a scrivere.
Di questo passo il backspace si consumerà più di tutti gli altri tasti messi insieme.
Non mi vengono idee per scrivere. E questo è il secondo problema, apparentemente.
In realtà è difficile capire se il desiderio (e lo spunto) di scrivere qualcosa nascono perché sono parte di un processo unico e ciclico per il quale la capacità di scrivere stimola l'attenzione verso il mondo e, reciprocamente, l'attenzione per il mondo stimola la capacità di scrivere.
Fatto sta che adesso il meccanismo è rotto. Tragicamente rotto.
Qualsiasi fantasma di idea mi attraversi la mente si scontra fatalmente con la mia relativa incapacità di scrivere. Che funziona anche nella scrittura a mano, detto per inciso.
So come scrivo.
Le idee si sommano, si scavalcano, si sostituiscono.
Prendono forma per essere presto rimpiazzate da altre fino ad arrivare a una forma che mi soddisfa.
Il tutto accade in pochi secondi, un tempo al quale le mie mani sono adesso sostanzialmente incapaci di reagire.
So come scrivo.
Devo scrivere in forma quasi perfettamente completa già alla prima stesura.
Buonanotte.
Infatti dall'estate scorsa tutto ciò che sono riuscito a scrivere è la chiusura (già progettata, peraltro) del racconto apparso su Fata Morgana 12. Non mi ha particolarmente soddisfatto, per la verità, ma di meglio non mi è stato possibile fare.
Mi capita talvolta di rileggere i miei testi inediti, in questo periodo. Un'agonia, a essere sincero. Proprio ciò che fatico a scrivere ultimamente - gli interludi, i passaggi, le distrazioni, i salti di senso e di equilibrio che rendono un testo godibile e imprevedibile - riluce ricco e sfacciato nei miei vecchi testi. È un'impressione, lo so, ma è difficile resistere alla (terrificante) sensazione che quel genere di scrittura sia ormai fuori dalla mia gittata e dalle mie possibilità.
Il problema fondamentale, in sostanza, potrebbe essere che - sempre ammesso ricomincino a zampillarmi idee nella zucca - dovrei avere mooolto più tempo di una volta per riuscire a scribacchiare una paginetta. Sempre ammesso che la mia velocità di scrittura regga almeno decentemente il ritmo delle idee.
Tenendo conto del mio lavoro attuale, direi che il tempo è sempre stato un problema - se non IL Problema - nella scrittura. Poi, certo, è possibile che mi trovi da un giorno all'altro a non avere più nulla da fare. Ma temo che a quel punto dovrei trovare qualcosa da fare in un modo o nell'altro. «Non restare con le mani in mano» come insegna il demente nazionale.
Che fare?
Mi consigliano di attendere. Di vedere come va la mano. Di fare esercizio con la sinistra.
Tentare di scrivere, tento.
Questo sciagurato e scalcinato blog ne è un esempio.
Gli articoli e le recensioni scritte per LN anche.
Da questo punto di vista sarebbe estremamente prezioso per me sapere se è così evidente il cambiamento intervenuto in chi scrive. Se avete voglia di dirmi qualcosa - senza pietismi o inutili cortesie - sono tutto orecchie.
Per la narrativa...
Consolata Lanza, scrittrice vivacissima, mi dice che lei ha passato diversi mesi senza scrivere. dopo un'operazione. Inchiodata, bloccata, vuota.
Mi dice che questo, forse, è ciò che sto passando anch'io.
Non credo che Consolata avesse avuto, all'epoca, la sinistra fuori assetto, ma comunque accetto e ringrazio.
Un altra possibilità è cambiare drasticamente il genere di testi che scrivo. Niente più romanzi né racconti ma racconti brevi o brevissimi, progettati fino all'ultima riga. Magari dettati al PC mediante un microfono.
È possibile e verosimile?
Non mi ci vedo troppo, ma l'importante è non disperare.
Poi qualcuno può anche giustamente commentare «ma chissenefrega di uno scrittore che ha pubblicato in vita sua una manciata di racconti...» e mi sarebbe difficile dargli torto. Posso soltanto rispondere, per quanto mi riguarda, che scrivere è stato per diversi anni una delle mie «vie di fuga», uno dei pochi metodi personali per separarmi temporaneamente dalla mia vita quotidiana. Un modo per giudicarla dall'esterno e provare a immaginare altre vite possibili.
In questo momento mi sento, sinceramente, molto solo. Una specie di naufrago, sia pure temporaneo... Ma è anche possibile che si tratti di un evento transitorio, qualcosa del quale potrò ridere quando riceverò il Nobel alla letteratura...
Non mi resta, a questo punto, che provare a scrivere qualcosa di molto rapido, anzi rapidissimo, tanto per vedere se mi è possibile.
«Luigi stava tornando a casa come tutti i giorni. Prendeva due autobus, il 19 per 5 fermate e il 65 per 8. Riconoscere la cadenza delle fermate era una pratica quotidiana, una sinecura che sbrigava senza nemmeno più porgli particolare attenzione. Ma quel giorno lasciò passare l'ottava fermata del 65 senza accorgersene e dovette scendere alla fermata successiva, la nona, posta dall'altra parte della grande piazza.
Il sole era forte, quasi insopportabile e l'asfalto ne rifletteva lo splendore rabbioso come lo specchio di un lago oscuro.
Dall'altra parte della piazza un ragazzo stava attraversando la strada con la stanchezza un po' ovvia di loro studenti.
Buffo, Luigi avrebbe detto che si trattava di una copia perfetta di lui. Stessi jeans larghi, stessa maglia bianca con una grande scritta sulla schiena.
Luigi, stordito, scosse la testa e poggiò un piede giù dal frammento di marciapiede dove l'autobus l'aveva lasciato. Ma l'asfalto sembrava in tutto e per tutto limacciosa acqua oscura.
Si sentì trascinare giù, senza riuscire a fermarsi. Provò a urlare ma inutilmente.
Le abitudini possono essere pericolose.
Molto pericolose. »
Beh, c'è voluta più o meno un'oretta.
Q.E.D.
Alla prossima.
