30.3.12

L'ultimo e il primo

Sembra incredibile ma il penultimo giorno della libreria coincide con un battesimo. 
Librario. 
Il libro  in questione è «140 Lettere d'Amore» di Vittorio de Alfaro, ex-docente universitario del Corso di laurea di Fisica di Torino, lettere inviate da Iacopo - nom de plume dell'autore - a Iole negli anni compresi tra il 1953 e il 1957. 



Si tratta di anni fondamentali per la storia italiana e per la situazione internazionale. Gli anni dell'invasione dell'Ungheria e della profonda frattura all'interno del PCI al quale sia Iacopo che Iole in quegli anni aderivano. Lettere personali, ma anche profondamente e quasi quotidianamente politiche, che misuravano le dimensioni della vita a venire nei rapporti personali come nei movimenti sociali e politici. 
Un piccolo libro, ma importante. 
...
Il libro sarà in vendita presso la C.S. di Via Ormea fino a domani alle 19.00. 
Poi...
Sarà in vendita presso la libreria Cortina, che subentrerà sempre in V. Ormea, dal 15.4.2012.

Poi lo venderemo in quanto CS_libri con ordini a: 

cs_libri[et]fastwebnet.it o a massimo.citi[et]fastwebnet.it. 
Particolare importante: spedizione senza spese.     

O lo potrete trovare e ordinare presso le principali librerie on line. IBS, Webster, Mailtrade, Libreria dello Studente...
Ma NON presso Amazon.it. 
Che non è che non sia una delle principali eccetera, ma semplicemente perché teutonicamente disprezza i poveracci e non vende i nostri libri. E nemmeno quelli di qualche altra centinaia di piccoli editori.
E noi, non potendo fare altro, lo disprezziamo a nostra volta. 



27.3.12

La luna sulla scrivania



Ma un blog è il posto giusto dove pubblicare narrativa? 
Probabilmente no, ma sono tempi difficili, tempi di lavoro esagerato, affannato, di improvvisi scatti di nervi, penose consultazioni con il commercialista, trattative interminabili con chi verrà dopo di noi, libri da eliminare, da regalare, da smaltire in qualche modo, accordi con chi deve portarsi via mobili, computer e altri impedimenta. Il risultato è che non ho il tempo né la testa per scrivere sul blog. D'altro canto, frugando tra le antichità della libreria - incredibile la quantità di carte d'ogni genere che si ritrovano su scaffali dimenticati o in fondo a un cassetto - saltano fuori testi pubblicati e poi perduti. Un collected paper collettivo di tutti coloro che nel tempo hanno collaborato con noi. 
Inevitabile che tra tutti ci siano anche testi miei, sia pure pubblicati rigorosamente sotto pseudonimo, e fatale che i lettori di questo blog si trovino ad avere la possibilità di leggere questi brevi testi. 
La luna sulla scrivania è un racconto di tipo calviniano - nel senso di ispirazione, non certo di qualità - pubblicato su Fata Morgana 1, della quale abbiamo ritrovato una scatola in un corridoio del sotterraneo. Riletto oggi, direi che rappresenta bene i miei sentimenti nei confronti dei «meneggment» che infesta questo disgraziato paese. 
Nulla di violento, sia chiaro, e probabilmente, in ultima analisi, un'ammissione di impotenza, ma anche una certa allegra, maligna soddisfazione. 
Buona lettura. 
...

In quell'angolo ci avevano sempre tenuto un enorme philodendron, un vero gigante. Nel grande vaso qualcuno continuava a schiacciare mozziconi nonostante i messaggi intimidatori lasciati da un paio di colleghe. Ma la pianta non sembrava soffrirne, anzi: le foglie più giovani arrivavano ormai a sfiorare il soffitto.
L'arrivo del nuovo direttore ha segnato, tra le tante altre cose, anche la fine dell'augusta pianta che avevo visto installata nel suo angolo, fin dai miei primi giorni di lavoro. Le scrivanie sono scomparse dietro tramezzi color cartone ondulato, ed ognuno di noi si è trovato appartato in una specie di intimità: un'intimità aperta in alto come una formica o un topo di laboratorio.
Prima, il mio angolino era vicino alla finestra ed al radiatore, e mi offriva oltre che vantaggi stagionali - sono incline ai brividi frequenti - anche la possibilità di dare di tanto in tanto una sbirciata al cielo. La nuova disposizione mi ha sbalzato al posto del philodendron, finito chissà dove. Non mi sono lamentato, ho solo sospirato guardando la piantina dell'ufficio sul pannello affisso all'ingresso del piano.
La mattina ho preso posto, un pochino a disagio come tutti, ho atteso il collegamento in rete locale, ho impugnato lo scanner ed ho iniziato. Devo caricare nella memoria di Esagerato, il computer centrale della S.A.E.M., fatture, documenti accompagnatori, pezzi di carta più o meno legali di tutti i colori possibili, dotati di cornicette, righine, intestazioni pompose, ordinarie o addirittura grottesche o - più raramente - eleganti, essenziali, quasi sicuramente opera di un grafico.
Al termine della lettura lo scanner emette un «Biiip» prolungato. Attivo la decodifica, controllo che Esagerato abbia letto tutto come si deve e via, un altro foglio. Lavoro banale, certo, ma che ha i suoi aspetti che se non definirei proprio divertenti, almeno soddisfacenti sì. Ci sono ditte che hanno elaborato piccoli capolavori grafici, scelte di colori, giochi di linee che mi affascinano, rendono il passaggio lento, quasi morboso dello scanner sulla carta, una parentesi di bellezza nell'aridità del mio lavoro.
Lo sguardo segue la tenue luce verde imitando la sua puntualità che sa di magia, perdendosi in linee e colori come in un quadro di Mondrian.
Ma quella nuova posizione non mi piaceva. La luce del giorno arrivava male fin lì, schermata, spezzata dai troppi tramezzi e la luce artificiale alla quale ero ormai condannato rendeva i colori tutti ugualmente acidi o neutri, smorzava l'impatto delle linee confondendole, aggrovigliandole.
La mano che disponeva i fogli nello scanner, la mia migliore collaboratrice: seria, tranquilla, affidabile quanto i programmi di Esagerato, ora aveva preso a scartare, si imbambolava come la mano di un dilettante per poi compiere scatti repentini, assurdi. Il lavoro di correzione dei suoi prodotti diveniva lungo e penoso, tanto da ritardare l'intero reparto.
In capo a pochi giorni sono passato dal fastidio all'incubo. Qualunque ombra di bellezza è svanita dal mio lavoro, afferro i fogli con rabbia, li passo nello scanner chiudendo gli occhi e premendo come un invasato, foglio storti, capovolti dove lettere e numeri assumono forme grottesche, creando alfabeti e sistemi di numerazione mai esistiti sui quali il mio senso della bellezza, frustrato ma ancora ben vivo, indugia qualche volta assaporando l'inebriante profumo della rovina imminente.
Adesso a casa picchio i bambini, io che ho trascorso senza lamentarmi e senza uno scatto di nervi i primi tre anni di vita del maggiore dormendo solo poche ore per notte. Ogni minima contrarietà mi sembra un oltraggio intollerabile, faccio l'amore con mia moglie con la stessa rabbia febbrile, la attraverso, la penetro senza nessun piacere, la accarezzo saltando il seno quasi con uno spasmo, boccheggiando sul ventre vellutato e rotolando vergognosamente fino alle ginocchia, quasi mi fosse divenuto impossibile riconoscerla.
Ho incominciato a spegnere lo scanner ed a battere i dati direttamente sulla tastiera, ma non ho modo di imitare la grafica peculiare di ogni cliente e poi sbaglio facilmente, inverto i numeri. Il 362 diviene spesso un 326, il 679 si trasforma in 697.
Già due volte ho trovato sulla scrivania un richiamo scritto della direzione e so già che al terzo non sono più date altre possibiltà.
É questo il motivo per cui ho comprato un grosso philodendron, il più grande che ho scovato e mi trovo qui, fuori dalla S.A.E.M. ad un'ora inconcepibile per il lavoro. Ho preso a nolo un furgoncino per trasportarlo, la pianta è sul pianale alle spalle della cabina di guida, in compagnia di un paio di asce da boscaiolo. Convincere i sorveglianti esibendo un falso ordine di servizio e trasportare la pianta fino al terzo piano non è stato un affare facile, ma adesso è di nuovo qui, al posto della mia scrivania che ho trasportato accanto alla finestra dopo aver abbattuto una dozzina di tramezzi.
La luce della luna, questa sera resa nitida dal vento, illumina il piano di lavoro e strappa piccoli riflessi allo scanner, ritornato solo per questa sera ad essere il giocattolo più amato, quello desiderato per lunghissime sere passate in attesa del sibilo morbido della televisione dei genitori che si spegne, prima di addormentarsi.
Abbatto i tramezzi, li ammucchio nell'ufficio del nuovo direttore. Li dispongo uno sopra l'altro in perfetto ordine.
Ora la luna illumina tutte le scrivanie, strappa riflessi d'argento ai portapenne di vetro ed alle vaschette colme di clips, dona un colore più scuro ed autorevole a dossier e cartelline. C'è pace, equilibrio nella composizione, i piani di vetro rimandano una luce sopita, scura, come il riflesso di onde leggere in un lago d'autunno.
Prendo una sedia e la porto accanto alla finestra. Attenderò l'alba per andarmene.



25.3.12

Lontano


Ho conosciuto György Ligeti più o meno come molti altri, assistendo al film «2001 odissea nello spazio» di Stanley Kubrick. La colonna sonora della celeberrima ultima mezz'ora del film è infatti composta da vari frammenti di quattro brani di Ligeti, Atmosphere, Lux Aeterna, Adventures e il Requiem. Interessante notare che Ligeti a suo tempo fece causa, vincendola, a Kubrik, che impiegò - tagliuzzandola in vario modo - i suoi brani musicali senza preoccuparsi né di avvisare il compositore né di chiedergli l'autorizzazione a utilizzare la sua musica.
In ogni caso l'incontro ravvicinato con Ligeti mi spinse ad approfondire la conoscenza, concedendomi qualche mezz'ora di assoluta e perfetta solitudine in compagnia dello spazio e del tempo.
...
Romeno di etnia ungherese, nato in Transilvania, Ligeti subì la persecuzione antisemita e fu costretto ai lavori forzati mentre la sua famiglia veniva deportata ad Auschwitz da dove ritornò soltanto sua madre. 
Considerato il tipico «musicista contemporaneo», anche per chi ascolta abitualmente musica risulta talvolta ostico o incomprensibile. D'altro canto il fascino ultraterreno di alcuni tra i suoi brani è innegabile ed è molto probabilmente ciò che ha spinto Kubrik ad impiegare la sua musica. 
Qui presento la quarta parte del Requiem, «Lacrimosa», nell'esecuzione di Esa-Pekka Salonen, direttore d'orchestra finlandese che collabora con la l'Orchestra filarmonica di Londra e con la filarmonica di Los Angeles.
È consigliabile ascoltare il brano in cuffia e in perfetta solitudine. A meno di non avere conviventi poco impressionabili o decisamente sordi.


22.3.12

Meno settecentomila e zone limitrofe



Il mio attuale stato, da vero fantasma nel mondo della distribuzione editoriale libraria, ha i suoi pregi. 
Infatti chi mi ha frequentato finora per motivi professionali - rappresentanti, editori, librai - ora non ha più nulla che gli impedisca di parlare chiaramente della situazione generale dell'editoria, sia locale, ovvero in Torino e dintorni, sia a livello nazionale. 
Partirò da un dato di dominio pubblico, dato che ho potuto constatare «sulla mia pelle». Nel corso del 2011 il numero dei forti lettori (lettori di almeno di dodici libri/anno), secondo l'ISTAT, è diminuito di ben settecentomila unità. Dal momento che i forti lettori italiani sono poco meno di quattro milioni, si tratta di un dato a dir poco agghiacciante. Un lungo (e confuso) articolo uscito su «La Repubblica» avanzava il dubbio che in realtà tale diminuzione sia più virtuale che reale, dal momento che l'ISTAT non prende in considerazione gli e-book e, in generale, i libri non acquistati in libreria. Probabile che buon parte di questi 700.000 nuovi non-lettori in realtà stiano benissimo e vi salutino seminascosti dietro un kindle o un tablet. Come è probabile che buona parte degli acquisti si siano trasferiti dalle librerie - indipendenti o di catena - ai banchi dell'usato o nelle cantine delle case di campagna. 
Un dato che ritorna parlando delle famose - o famigerate - librerie Feltrinelli che nel corso del 2011 hanno avuto una diminuzione del fatturato intorno all'8%. Dato altrettanto agghiacciante, tenendo conto che si tratta di dati aziendali, quindi da soppesare con le necessarie cautele e che in qualche situazione locale - a Torino, dove le librerie Feltrinelli sono in tutto quattro - la crisi ha colpito con un comodo -25%. 
Ci sarebbe di che consolarsi, per quanto mi riguarda, anche per lo stile tipicamente feltrinelliano fatto di presunzione & ignoranza, che ho sperimentato sia come collega che come editore, ma non sono dell'umore adatto a una sana schadenfreude e mi limito ad annotare la cattiva performance delle attività riunite sotto il segno della F inclinata. Cattiva performance che significa matematicamente una riduzione del personale, nel senso di un taglio ai tempi e una rivoluzione dei turni. Gott (nicht mehr) mit uns. 
Ma altrove la situazione non è affatto migliore. In cassa integrazione i dipendenti della libreria COOP di p.za Castello, in piena crisi le librerie indipendenti con altre chiusure annunciate o in corso, non stanno meglio le librerie universitarie. Dalla CELID, da tempo in cassa integrazione a rotazione, ai miei ex-colleghi, la CLU e la Libreria Cortina che hanno avuto un inizio dei corsi di marzo con una crollo netto delle vendite. E qui - non poi troppo stranamente - ho ancora meno motivo per esultare. Per quanto siano ex-concorrenti non abbiamo mai avuto cattivi rapporti tra noi. Qualche piccolo pettegolezzo, qualche malumore ma nulla di più. In realtà, ora che sono fuori dalla mischia, non faticherò troppo nel dire che mi dispiace per loro. Soprattutto perché i libri che non hanno venduto loro sono stati per la maggior  acquistati presso il moloch Amazon o fotocopiati nell'assoluta indifferenza della GdF. Fotocopiati senza scontrino, detto di passata.
«Siamo in mezzo a un cambio d'epoca» mi ha detto Daniela della CLU, «e non so se ci sarà ancora un futuro per noi».
Nessuno, letteramente n e s s u n o, si è finora preoccupato della situazione del libro in Italia. Sarà giusto e sacrosanto avanzare lamentele sul prezzo dei libri, attaccare la demenziale politica delle novità attuata dai grandi editori, deprecare il livello della produzione e aborrire i titoli più venduti, ma la cosa davvero preoccupante è il silenzio assordante della politica nei confronti del libro e della cultura. Nemmeno il governo che è succeduto al terrificante gabinetto Berlusconi ha finora mostrato un minimo di interesse verso il mondo editoriale. Laddove, se non altro, il nostro benamato Berlusca si preoccupava della sua gallina dalla uova di latta, la Mondadori. Monti e gli altri bocconiani hanno, evidentemente studiato su libri fotocopiati.
L'Italia è in fondo a tutte le classifiche - di spesa pro capite in libri, di acquisto, di uso delle biblioteche - ha un 20% di laureati con il 40% di Francia, Germania e Inghilterra e tutto ciò che il governo riesce a fare è lavorare su una legge che prevede il licenziamento in cambio di quattro soldi. 
È un peccato essere disoccupati. 
Se non altro perché avrei fatto volentieri sciopero. 




19.3.12

Rivedersi



Sabato scorso, giorno di S. Patrizio, si è svolta la festa di chiusura della CS Coop.Studi di Torino. Una festa «irlandese», caduta per un semplice caso proprio in occasione del giorno dedicato al patrono della verde Irlanda. 
Come nei verbali della società cooperativa dovrei scrivere, a questo punto, «numerosi soci sono intervenuti manifestando soddisfazione per la gestione della società ed apprezzamento nei confronti degli amministratori», ma non mi pare il caso. 
Diciamo che sono intervenuti diversi soci e amici, tra i quali l'ottima Lady Simmons, autrice delle foto che troverete di seguito.
Tra l'altro ha partecipato la mia diabolica & carissima figlia, in veste gentile e disponibile, uno dei suoi mille e mille travestimenti.

Con qualcuno si è parlato della situazione attuale del libro e delle librerie, con altri si è ricordato il passato. Un passato non molto recente, a essere sincero. Intanto si è bevuto e mangiato - in abbondanza, direi - grazie all'impegno gastronomico dei soci della CS, evidentemente abili e capaci anche dietro i fornelli.



Inevitabile una certa tristezza, perlomeno all'inizio, presto dimenticata tra i saluti, le chiacchiere, i ricordi e le speranze. 
Già, le speranze per il futuro. Un argomento non facile, lo so, e che mi insegue non appena rimango solo, particolarmente la sera prima di dormire e nelle prime ore del mattino. 
«Sempre meglio che pensare alle ricevute bancarie in scadenza», opina il mio arcinoto SuperIo, e non posso dargli torto. 
Che cosa farò nel futuro non è ancora troppo chiaro, questo posso dirlo senza tema di smentite. Posso dichiarare qui che i libri «CS_libri» non scompariranno tanto presto, come il buon Massimo Soumaré ha scritto nel suo blog - qui fotografato in compagnia di Silvia Treves. 




Infatti rileverò i titoli superstiti e il marchio CS_libri in modo da poter offrire ai libri una sopravvivenza e una seconda vita. 
Ma nulla di più.
Ovviamente nulla che somigli anche solo lontanamente a un sistema per sopravvivere. Con una dozzina di libri al mese a 10 euro medi di incasso cad. non ci campa nessuno. Ma dal mio punto di vista è importante. Una sorta di scommessa fatta con me stesso. 


A quelli seguiranno altri libri? 
E-book? 
Ricchi premi e cotillons? 
Tutto è possibile, spero. Qui comunque avrete altre notizie. 
...
È mancato qualcosa per rendere completa la festa? 
Beh, tutte le persone con le quali ho collaborato per LN-LibriNuovi, Fata Morgana, ALIA e per le tante iniziative condotte in questi anni, in collaborazione con biblioteche, associazioni, autori, editori e così via. 
Molte non abitano a Torino e ho ricevuto loro notizie via e-mail. Altre mi hanno telefonato o mi hanno scritto su facebook. 
Di altre ho perso le tracce, e mi dispiace. 
Ma è probabile avrò modo di incontrarle ancora. 
In fondo sono ancora in movimento. 
E non da solo. 





18.3.12

Da ascoltare più volte


Ho conosciuto Pat Metheny in occasione della sua collaborazione con David Bowie, per il pezzo This is not America, uno dei brani migliori interpretati da Bowie.
Non mi piacque moltissimo subito, a essere sincero, ma decisi, non saprei ancora dire perché, che il mio collega in libreria dovesse gradire moltissimo il jazz-fusion e gli regalai un LP del Pat Metheny Group.
Naturalmente non gli piacque per nulla e quando se ne andò dalla libreria, qualche mese dopo, lasciò il disco in un cassetto dove lo recuperai. 
...
Lo ascoltai più volte prima di cominciare davvero ad apprezzare il suono del tutto particolare di Pat Metheny e di Lyle Mays, la sottile, delicata malinconia che intesse i loro pezzi, anche quelli apparentemente più vivaci e allegri. Un vero miracolo per un ex-saxofonista jazz come il sottoscritto, assolutamente convinto che il jazz senza fiati non meriti nemmeno di essere suonato. Un po' la stessa cosa che mi è capitata con Bill Evans e McCoy Tyner. Ma questa è tutta un'altra storia.  
Qui un'esecuzione dal vivo di Into the dream, del '98.  Durata, circa dieci minuti.




16.3.12

Un post che non è un post



Soltanto per ringraziare un'amica che ha presentato sul suo blog la nostra piccola cerimonia.

La stessa che presentiamo su facebook.

 Vi aspettiamo!


Per una festa più tradizionale...




O anche un po' meno tradizionale





14.3.12

Correndo verso il tramonto


Oggi, finalmente, sono andato a parlare con la banca, alla quale dobbiamo, per il fido concessoci, una tot. 
Un tot a cinque cifre. 
Mi hanno chiamato, con una cortese telefonata ieri pomeriggio, per «comunicazioni sul conto presso di noi» e sono arrivato in banca ben deciso a vendere cara la pelle. Cercando di ignorare la tremarella - sia pure, in definitiva, immotivata - che mi aveva preso già da ieri. 
La gentile funzionaria, addetta ai rapporti con i clienti, mi ha chiesto «Come va?» e io ho risposto brevemente, una cosa tipo «Non troppo bene». Si è meravigliata, mi ha fatto accomodare, mi ha chiesto notizie di un certo libro che vorrebbe leggere e poi, infine, ha scoperto i cannoni. 
«Il problema è che la Banca ritiene di dover alzare gli interessi passivi... di un punto, non gran cosa... Il fatto è che ci sono molti clienti in sofferenza e così... lei capisce, la banca è come un'attività qualunque... non deve perderci, innanzitutto...»
Un cortese pistolotto inteso a evitare che mi incavolassi subito, pensando che 1 (uno) punto percentuale su tot euro fa più tot euro. 
Ma io non ero incavolato. 
Pensavo soltanto che, a fronte degli svariati miliardi di euro prestati alle banche italiane dalla BCE a un 1% di interesse annuo, le banche italiane aumentano gli interessi passivi sulle attività commerciali, manifatturiere e industriali. Un aiuto allo sviluppo, come no. 
La funzionaria si è allontanata un momento lasciando accessibile la pagina del suo pc, aperta su un povero cristo che viaggiava con interessi passivi più alti di due-tre punti dei miei. Da consolarsi, per così dire. 
«La sua situazione non è unica, vede...» È rientrata, senza farmi notare la mia inopportuna curiosità, «... oggi è un giorno così,. per me... dovrebbe solo firmarmi questa lettera di accettazione... »
La firmo, certo. Poi attacco la mia tirata. La banca può alzare gli interessi anche di tre o quattro punti. Con la fine del mese chiudiamo il punto vendita e i vostri soldi non ci serviranno più. Abbiamo messo in liquidazione tutto e buonanotte. 
Dopo averglielo detto ha avuto una strana reazione. Mi guarda: «E lei che cosa farà?»  
Curioso. 
La stessa domanda che mi ha fatto qualche centinaio di soci e clienti. 
Chissà se le frega davvero qualcosa? 
La guardo. 
È persino possibile. 
In fondo è sempre una lettrice. E probabilmente ha una certa considerazione per chi lavora in una libreria. 
Mi sono sempre considerato un panda, una specie in via di estinzione. Adesso, da quasi estinto, ho qualche privilegio. 
Le enumero una serie di possibilità, con una leggera sensazione di irrealtà. Non devi chiedermi dei soldi? Non devi chiedermi come farò a rientrare del vostro fido? Non mi minacci di qualcosa di terribilmente giudiziario? 
No, per il momento ci lasciamo con una certa grazia. 
Ci salutiamo come due nobiluomini del '600. Ci rivedremo con il suo libro. Ci tiene davvero. Me ne trascrive i dati - autore, titolo, editore - su un foglietto. «Quando me lo porterà ne riparleremo».
Me ne vado, con la sensazione di essere un evaso che sgattaiola via con il pelo ritto, pronto a sentire l'inevitabile suono della sirena. 
...
Un altro piccolo passo verso il tramonto. 
Lo so, lo so, sembra che non abbia altro in mente. 
In realtà sto facendo, contemporaneamente, altre 3 o 4 cose. Sto scrivendo una (maledettissima) recensione per LN, ne impagino altre, sto scrivendo un romanzo - sono arrivato a un punto di svolta e ho la sensazione, ora, di viaggiare in discesa - sto leggendo tre romanzi per conto di ALGA, sto imparando a impaginare testi in e-book... E non me la cavo troppo male, direi.
Ma parlarne qui non mi sembra né utile né importante. 
Probabilmente ho torto. 
In ogni caso aspetto tutti coloro che potranno venire il prossimo sabato, ore 18.00, in libreria. 
Per il nostro personale funerale irlandese. 



11.3.12

Fuoco e rabbia


L'artista che presento questa settimana non ha avuto una vita facile, e neppure una carriera immancabilmente fatta di successi. Non è particolarmente nota in Italia - anche se, a suo tempo, ha avuto un po' più di un quarto d'ora di notorietà - ed è stata al centro di polemiche, attacchi, incomprensioni e censure dovuti alle sue prese di posizione nei confronti della chiesa cattolica e degli abusi verso i minori commessi dai alcuni tra i suoi esponenti. 
Tanto più violenti tenendo conto della giovane età della protagonista, che «tradiva», dimostrando di avere proprie idee piuttosto evidenti, il sogno borghese di fama dov'era stata frettosolosamente infilata. 
...
Sinéad O'Connor, irlandese di Glenageary, nei dintorni di Dublino, è artisticamente nata con l'album «The lion and the cobra», al quale sono seguiti altri otto album, l'ultimo pubblicato quest'anno. 
Sentii «The lion and the cobra» su una musicassetta ora definitivamente perduta, come è perduto il walkman sul quale la sentii fino a consumarla. Il pezzo che presento di seguito non è probabilmente perfetto da un punto di vista strettamente musicale - un arrangiamento operistico non sempre perfettamente adeguato - ma rappresenta molto bene il fuoco e la rabbia di una grande artista. Buon ascolto a tutti.

 

10.3.12

Grande Medusa Meccanica



Un vecchio racconto, ripescato casualmente in un dischetto mentre controllavo che diavolo ci fosse su una trentina di dischetti 3,5", ripescati in una scatola dimenticata sotto uno scaffale. 
Ho aperto «GraMeMec» senza sapere che diavolo fosse e mi sono trovato davanti questo racconto, pubblicato, credo, in un LN della prima serie, a circolazione limitata ai soli soci della CS. Pubblicato sotto pseudonimo, per evitare commenti e giudizi da parte dei soci. Rivisto a vent'anni di distanza non mi è sembrato poi così orrendo o impubblicabile. Oltre tutto pubblicandolo sul blog evito di riperderlo. 
Rileggendolo mi è tornato in mente com'è nato: una scommessa fatta con un amico nel tentare di scrivere un racconto su un tema molto banale, come la quantità di ombrelli dimenticati in libreria. Scommessa che non saprei dire se vinta o meno. Comunque sia, buona lettura a tutti.

...


Mai perduto un ombrello in vita mia. Mai capitato di dimenticarlo in un negozio, sull'autobus, sul lavoro, nell'auto di un amico, in casa della fidanzata, sul treno o in uno qualunque dei luoghi dove si è soliti dimenticare ombrelli.
E questo nell'arco di una vita neppure troppo breve: esattamente 37 anni, 7 mesi, 12 giorni e spiccioli.
Ma oggi sono giunto alla decisione irrevocabile di interromperla, spezzarla. Di farla finita, in breve.
E il motivo dell'insano gesto sono proprio gli ombrelli.
Dicevo: mai perduto un ombrello in vita mia. Non intendo vantarmene e neppure rivendicare qualche merito. Posso ammettere di essere una persona molto precisa, attenta, educata. Non tutti sono come me. Non lo dico per superbia, ma se tutti fossero come me non sarei costretto a compiere un gesto così poco connaturato alla mia indole.
Voglio scusarmi fin d'ora per le inutili digressioni e le minute osservazioni personali, ma per la prima volta in vita mia sono assolutamente certo che qualcuno leggerà queste mie righe e non vorrei si traessero conclusioni affrettate su di me e sul modo in cui ho risolto di condurre la mia esistenza.
Ma andiamo in ordine.
All'ultima rilevazione da me personalmente compiuta risulta che ho in casa 271.452 ombrelli. Essi si trovano in 8 delle 11 stanze della casa di mia proprietà, una vecchia villa con giardino nel miglior quartiere della città. Da una banale sottrazione ne risulta che io e zia Elsa siamo confinati in tre stanze, nelle quali siamo costretti ad ammucchiare buona parte dei mobili e tutti i nostri effetti personali. Le altre, e anche la mansarda e la cantina, sono occupate dagli ombrelli.
Ci tengo a dire che non si tratta di un'eccentrica collezione. Tutti gli ombrelli che mi trovo ad ospitare mi sono stati via via consegnati da persone diverse, nella mia città di residenza e nel corso di viaggi, taluni anche all'estero. Non ho mai in alcun modo sollecitato queste consegne. Semplicemente, se entro in un negozio, in un ufficio, in un cinema, in un bar, in qualsiasi luogo pubblico vengo presto abbordato da un benintenzionato che con un allegro sorriso mi consegna un ombrello: « Tenga, questo è suo, l'ha dimenticato qui ieri / la settimana scorsa / un anno fa» Inutile negare o schermirmi. Uscendo mi trovo immancabilmente fornito di un nuovo ombrello. Inutile anche abbandonarlo da qualche parte: mi sarà restituito. In quanto al distruggerlo o al rivenderlo o regalarlo, ognuna di queste condotte si è rivelata inutile o controproducente. Ho infatti registrato costantemente il flusso degli ombrelli in arrivo, constatando che ad ogni gruppo di ombrelli venduto, distrutto o regalato corrispondeva un'impennata nelle consegne. Ho così finito per stabilire che era preferibile per me tenere un basso profilo e non improvvisare manovre temerarie. 
Da qualche tempo a questa parte la perniciosa gentilezza dei miei simili è giunta a perseguitarmi a casa. Non passa giorno senza che la mia quiete familiare non venga turbata da qualche volenteroso armato di ombrello e ben deciso a restituirlo al legittimo proprietario. I più cortesi e precisi arrivano ad avvolgerlo nella carta velina.
Non che non abbia già escogitato numerosi tentativi di liberarmi del mio ingombrante fardello, ma il fatto stesso di trovarmi a dover compiere questo passo estremo testimonia del loro fallimento. Posseggo solo questa casa e una rendita limitata, mi trovo quindi nell'impossibilità economica di inviare i miei ombrelli in luoghi dove ne esista la necessità e manchino le risorse e la tecnologia per produrli. D'altro canto innumerevoli sono stati gli ostacoli che mi sono stati frapposti, gli atteggiamenti sospettosi, le resistenze, le suscettibilità, i sarcasmi.
Ecco che sta nuovamente suonando il campanello della porta a pianterreno. Odo zia Elsa che scende le scale ed apre la porta: buongiorno / buongiorno / il signore...suo figlio? / mio nipote / ecco, suo nipote ha lasciato sulla panchina... ho pensato di portarglielo / non è nostro / guardi, ne sono certa, l'aveva quando è arrivato / le dico di no (inutile tutto inutile) / ma l'assicuro, chieda a lui. Lo prenda, comunque, sa un ombrello fa sempre comodo...
Avverto il rumore della porta chiusa, il passo della zia che risale le scale, la sento mentre apre la porta della vecchia sala e getta l'ombrello nel mucchio, ormai arrivato fino al soffitto. Poi chiude la porta e si ritira nella sua piccola stanza.
A questo punto suppongo sia opportuno dilungarmi almeno un po' su zia Elsa. Sono sicuro che a lei farebbe piacere e poi i miei lettori riterrebbe indelicato non dedicarle almeno due righe, dopo averla citata.
Non è mia zia, innanzitutto, ma una sorellastra di mia madre, una bambina dimenticata da qualcuno nel giardino della nostra casa, che i miei nonni hanno prima nutrito e infine adottato, sia pure non ufficialmente. Non ufficialmente perché nel maggio del '45 di ufficiale c'era ben poco.
Adesso zia Elsa vive con me. Mi prepara da mangiare, mi lava la roba, tiene pulita la casa, fa le spese e sa suonare con la fisarmonica l'intero repertorio di Natalino Otto e Oscar Carboni.
Non posso che dirne bene, tanto più in questa mia unica e ultima scrittura pubblica. Anzi, colgo l'occasione per dichiarare che per me Zia Elsa è stata come una seconda mamma. La prego ancora di perdonarmi per tutte le piccole grettezze, le ingratitudini, gli scatti di nervi, le pignolerie e le meschinità che le ho inflitto. Purtroppo la mia indole e la mia educazione mi hanno reso puntiglioso e aspro, insoddisfatto e lunatico.
La mia dipartita prematura comunque la compenserà, lasciandola padrona della casa e probabilmente la mia scomparsa risolverà il problema degli ombrelli. Forse il funesto demiurgo che ha stabilito di far di me lo zimbello della sua bizzarra perfidia, finalmente placato, si deciderà a cercare un'altra vittima.
Non sono solito evocare enti soprannaturali - ho avuto una formazione scientifica - ma, nonostante tutta la mia buona volontà, non sono riuscito a trovare alcuna spiegazione piana e razionale alla mia singolare sorte.
Non ho ricordi rivelatori in proposito, per quanto con la memoria mi sforzi di giungere fino ai miei primi mesi. Pur se figlio unico reputo di aver avuto un'infanzia normale, allietata dai giochi e dagli scherzi del mio povero papà, commerciante di francobolli e collezionista di cotillon di capodanno, e rafforzata dal calmo raziocinio di mia madre, che mi ha insegnato il valore dell'ordine e del metodo.
No, non posso affermare di essere stato in qualche modo predestinato a simile sorte. Eppure...
Ma perché negarlo o nasconderlo? In fondo questa mia è anche palestra di verità e quindi debbo andare fino in fondo, scavare fino a trovare le radici. Debbo ammettere che, di tanto in tanto, in giorni in cui ho avvertito la mia solitudine più acuta, ho dedicato diversi minuti a considerare la smisurata varietà di ombrelli che ormai posseggo. Sono entrato nelle stanze dagli scuri chiusi e ho respirato a fondo l'odore della seta, del nailon, dei legni, della plastica. In piedi nella penombra coglievo il baluginare di giunti, asticciole, molle, mi sentivo immerso in un mondo di fredde e impeccabili articolazioni, di scatti calcolati, di bellezze scheletrite ed essenziali. In quegli attimi, quando il respiro improvviso di un ombrello automatico mi faceva sobbalzare, mi sentivo stranamente sollevato; percepivo la bellezza sovrumana di quei movimenti compiuti, definitivi, e intuivo la presenza del loro Dio, il mio demiurgo. Talvolta mi è anche capitato di averne per qualche attimo la visione. Si tratta di un'immensa, gelida medusa, dai movimenti segmentati, maestosa come il moto di un pianeta o di un satellite.
Sono quelli gli unici riprovevoli momenti nei quali ho concesso libertà ai miei pensieri, nei quali mi sono permesso riflessioni oziose. Esattamente ciò che mia madre non avrebbe mai tollerato e che neppure io, di conseguenza, posso tollerare.

La mia vita ordinata, conseguente è minacciata dal caos che ormai mi sommerge. Qualunque attività mi è preclusa dalla costante consegna di ombrelli, mattino e sera, anche nei giorni festivi. Non riesco più a dedicarmi a nessuna delle mie modeste ma soddisfacenti attività, alle mie collezioni, ai miei studi. Non esiste più per me speranza di solitudine, possibilità di riacquistare l'anonimato.
Trasferirmi, andarmene non risolverebbe il mio problema. E lontano dalla mia abitazione, dalle mie abitudini non potrei sopravvivere.
Procederò al suicidio mediante l'ingestione di una moderata quantità di un veleno che non avrà effetti sull'apparato motorio e che mi lascerà ben composto e ordinato anche oltre la soglia della vita.

Procedo a sciogliere il veleno in acqua. L'acqua è rimasta limpida e insapore. Questo scongiurerà la possibilità di essere rinvenuto con una smorfia disdicevole sul viso.
Mi abbandono cautamente allo schienale della sedia. Da tutte le stanze della casa odo provenire ticchettii e leggeri fremiti. É il Demiurgo che saluta il mio arrivo. Sento le gambe farsi pesanti e fredde. Non riesco più a muovere i piedi. Gli ombrelli automatici si stanno aprendo uno dopo l'altro, come grandi pipistrelli sbattono le ali contro le porte, i muri, le finestre serrate. Immagino la seta e il nailon che scivolano e si muovono a comporre un tempestoso mare teatrale.
Il freddo mi sta raggiungendo. Scrivo con pena queste ultime righe. Un ultimo faticoso pensiero mi accompagna verso la soglia. Non è solo un pensiero: è un urlo, un ruggito, una tempesta di dolore che mi sovrasta e mi assorda. Proviene dai mille e mille ombrelli che vivono nella mia casa, da quelli grandi, foderati di stoffe scozzesi fino a quelli piccoli, da bambino, pieni di graziosi disegni dai colori chiassosi. Sono le loro voci sottili e metalliche dotate di una strana, inafferrabile risonanza, come di stoffa lucida accarezzata. Dentro di me si compone una frase.

«Perché, perché anche tu ci abbandoni? Non siamo già stati tutti abbandonati più volte? Non lasciarci! Resta ancora con noi: sei preciso, ordinato, tu. Non dimentichi mai nulla. Sii ancora una volta il nostro Signore, la nostra Grande Medusa Meccanica!»

Ascolto senza capire prima di scivolare via.

7.3.12

Non è un paese per fantastici. O no?



Pubblicato stamattina sul sito di LN-LibriNuovi out-of-print che probabilmente qualcuno tra voi che mi leggete conosce già, un lungo intervento di Franco Pezzini, amico di vecchia data, collaboratore, tra l'altro, de L'Indice, di Carmilla e persino di LN-LibriNuovi, oltre che redattore UTET,  scrittore e saggista coautore con Angelica Tintori e Arianna Conti di alcuni titoli fondamentali per chi ama l'Horror letterario e cinematografico. Per Gargoyle, nel 2010, Peter & Chris, dioscuri della notte, biografia incrociata di Peter Cushing e Christopher Lee e, sempre per Gargoyle, nel 2008, The dark screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo e per Castelvecchi (2005), Le vampire. crimini e misfatti delle succhiasangue da Carmilla a Van Helsing.
Un buon intervento, scrivevo, a commentare e garbatamente polemizzare con un mio intervento, ripubblicato il 16 febbraio da un numero di LN di qualche anno fa. 
Ne parlo qui non tanto per replicare alle considerazioni di Pezzini che ad oggi, marzo 2012, mi trovano sostanzialmente d'accordo, ma per segnalare che sul sito di LN contiamo, a partire da questa iniziativa, di dedicare uno spazio fisso non soltanto al fantastico - ciò che potete trovare nel sito indicato con l'etichetta «TerraNova» - ma anche uno spazio particolare a un dibattito che intendiamo costruire un po' per volta sulla sorte e il possibile futuro del fantastico italiano, uno spazio denominato «Non è un paese per fantastici?», un tema che, come si intuirà dal genere delle mie narrazioni, ho molto a cuore. 
Invito quindi (quasi) ufficialmente chi tra i lettori di questo blog ha un particolare interesse per il fantastico italiano, come anche chi dubita che non sia mai nato e che non meriti più che tanta attenzione, a contribuire al dibattito in corso. Intervenendo sul sito di LN, inviando i possibili articoli a coordinatori[et]librinuovi.info o, ancora, inviandoli a me, massimo.citi[et]fastwebnet.it. Sarò felicissimo di pubblicarli -  sempre non contengano eccessivo turpiloquio o l'istigazione  alla discriminazione razziale e sessuale verso alieni, zombies, streghe o reventants -  sul sito di LN. 
Non è che non abbia proprio nulla da fare in questo periodo, anzi, ma lavorare per LN è una buon proseguimento di quella che è stata la mia consueta attività negli ultimi trent'anni...
Vi aspetto.  







4.3.12

Dopo i Japan



I Japan sono stati un gruppo musicale attivo tra il 1974 e il 1982. Io li scoprii negli anni '80 e mi dedicai a cercarne tutti gli album in commercio. Dopo lo scioglimento della band seguii la carriera della voce dei Japan, David Sylvian, e le sue collaborazioni con Ryuchi Sakamoto e con Robert Fripp, celestiale chitarrista ma - secondo Bill Bruford, grandissimo batterista dei King Crimson - «un individuo pestifero, interessante ed esasperante allo stesso modo».
...
Sylvian e Fripp hanno collaborato in diversi pezzi, in genere quantomeno molto interessanti, quando non geniali.  La voce morbida e intensa di Sylvian è perfettamente a suo agio sul tappeto sonoro prodotto da Fripp. Un'ottimo brano, da ascoltare, immancabilmente, ad alto volume per cogliere i sottili, elusivi tocchi della chitarra. 



2.3.12

Come una veglia irlandese


Come molti sapranno, esistono molti tipi di funerali. 
Esiste un funerale tipicamente italiano - per la verità molto più filmico che reale - con pianti, lamenti, sofferenze esibite, rammarichi e rimpianti, uomini in nero e donne in gramaglie, giovani pallidi e vecchi spettrali... ed esiste il funerale che si festeggia - no, non è un errore - nelle campagne irlandesi. 
Così si presenta: 

«La veglia irlandese è una celebrazione della vita del defunto. Amici e parenti si riuniscono in casa per giorni: mangiano, bevono e raccontano storie sul defunto. Gli uomini, spesso, si riuniscono fuori casa, mentre le donne rimangono all’interno, soprattutto in cucina. La veglia durerà fino a quando l’ultimo ospite non ha visto il defunto.»

E a noi della defunta CS lo preferiamo di gran lunga. E così abbiamo pensato a un'ultima celebrazione per festeggiare 37 anni di vita e di lavoro. 
E, contemporaneamente, vorremmo fare un augurio al fortunato sopravvissuto, CS_libri, augurandogli una vita altrettanto lunga e decine o centinaia di libri, elettronici e cartacei. 
Vi aspettiamo tutti, uomini e donne, vecchi e giovani, geronti e pischerli, cani e gatti, amici, soci, abbonati, conoscenti, amici on-line e offline, angeli e demoni, donne vissute e verginelle, uomini dabbene e uomini un-po-così, buoni, cattivi e mezzo e mezzo, sostenitori del libro elettronico e tifosi del vecchio-buon-libro-in-carta, polemici e concilianti, attaccanti e difensori, professori e studentelli, ex-comunisti, ex-gruppettari, ex-autonomi ed ex-traparlamentari...
Vi aspettiamo tutti, muniti di vivande - se ne avete voglia - ma anche armati soltanto di un discreto appetito, per mangiare insieme un boccone, bere un bicchiere, saccheggiare quel poco che rimarrà della CS, procurarsi un CS_libro e ricordare tutti insieme com'è stata grande la CS. 
Per festeggiare in un giorno di tristezza.
Perché tutto cambia e tutto deve morire per rinascere.
...
L'appuntamento è nei locali della CS, V. Ormea 69, Torino, alle ore 18.00 di Sabato 17 Marzo.