27.12.19

Il Mare Obliquo 48

Al ritorno da Verhida i rapporti tra Teardraet e Maldanea sono nettamente peggiorati. Il Conte-mago si tormenta cercando di capire che cosa li attende mentre il Cambiamento minaccia la sua stessa residenza. Ma Maldanea è pronta a giocare la vita per seguirlo.
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Una quiete innaturale è caduta sulla Residenza di Teardraet. I servitori, le guardie e i membri della minuscola corte del Conte-Mago ostentano modi gravi e parlano con voce controllata. Maldanea, ancora colpita da ciò che ha appreso a Verhida, ha notato questo cambiamento che è andato a rafforzare la sottile sensazione di panico che l'assale ogni sera, quando abbandona il mondo sensibile per sprofondare nel sonno. Ha finito anch'ella per adeguarsi al nuovo clima, per scegliere abiti scuri, poco appariscenti e trascorrere gran parte del suo tempo sulle terrazze a sud, fissando la remota linea dell'orizzonte per essere la prima a riconoscere i segni della malattia del mondo che li obbligheranno ad abbandonare le isole.
Incontra Teardraet anche meno di prima: da poco egli ha cominciato a disertare anche i loro pasti, un tempo l'unica occasione per la giovane Wessiun di incontrarlo. Ma forse Maldanea non ha provato né stupore né dolore: il gelo che avanza ha messo salde radici anche nel suo cuore e sempre di più ella si sorprende ad osservare le cose con il distacco del viaggiatore.
La piccola Difiduanna e Dama Pascalina osservano con pena questa metamorfosi della loro amica e protetta, ma seppure dedichino ore ed ore delle sempre più brevi giornate del nord a cercare nuovi modi per scuoterla, per averla nuovamente accanto a loro, si sentono depresse e tristi, come giocattoli dimenticati.
– È forse l'amore. – Ipotizza Difiduanna, deplorando in cuor suo che anche Debah sia caduta vittima di un sentimento tanto assurdo.
– Non partecipa più neppure ai suoi pasti, si incontrano per pochi minuti nella Sala delle Udienze, per vestire i panni dei Reggitori di Baran e Verhida, ma null'altro: la porta di T rovesciata resta chiusa per lei.
– Se devo essere sincera, Pascalina, anche il Conte-Mago non mi sembra di ottimo umore di questi tempi. – Osserva la piccola civetta.
Pascalina si stringe platealmente nelle spalle. – Con tutti gli strani pensieri che cova in quella testa di rame e tutte le manovre che passa il tempo a combinare… qualcosa gli sarà andato storto.
– Non so. Passa molto tempo nel suo laboratorio e comunica con quel generale che ha mandato nelle Terre Tiepide, quel Nivel'Iun dell'Isola del Tramonto.
– Persino gente dell'Isola del Tramonto. – Sbuffa Pascalina. – Ma è chiaro: tutti i matti dell'Orlo del Mondo stanno all'ombra delle bandiere di T Rovesciata.
– Questo ci riguarda assai poco. – Difiduanna si sente così saggia e pacata che per un attimo ha il dubbio che sia stato qualcun altro a parlare. – Ciò che ci preme è fare sì che Maldanea ritorni ad essere se stessa.
– E quel tipo strano, quel Mastro Nerubavel? Debah lo considera con molta stima e affetto.
– È partito per una missione per conto di Teardraet, non so né dove né a fare che. – La civetta ostenta molto scetticismo, ma d'altro canto è per lei virtualmente impossibile prendere sul serio la bizzarra creatura che ha conosciuto a Baran, con quell'odore così appetitoso addosso e con quell'accento impossibile.


– Peccato. Forse Maldanea l'avrebbe ascoltato.
Difiduanna chiude gli occhi e scarruffa le piume…bei consiglieri si sceglie la giovane Wessiun. – No, Pascalina: dobbiamo prendere il toro per le corna: devi andare a parlare con il Conte-Mago e ricordargli i suoi doveri di sposo. E se le cose non dovessero cambiare neppure così salirò sulla prima nave diretta verso Dharlemhiun per riferire al Padre-Zio Wessiun, che certo non ne sarà felice.
Pascalina sbarra gli occhi e si porta una mano al petto. – Devo…
– Proprio così. Vuoi che sia io a chiedere di conferire con il Conte-Mago? Ti sembra serio?
– No, non credo. – Ammette Pascalina.
– Bene, allora vai.
– Come vai?
– E quanto vuoi aspettare? Se non vai ora, nel momento nel quale più forte e convinta è la tua – la nostra – indignazione, vuoi farlo quando la mente sarà tornata fredda e prudente?
– Ma forse…
– Vai, Dama Pascalina. Chiama l'addetto di Teardraet e fatti condurre senza indugio, capito? "Senza Indugio!", al suo cospetto.
Pascalina, ancora stordita per l'inaspettata piega che ha preso la conversazione allunga una mano per afferrare il cordone del campanello per chiamare Ghiza, il Boldhovin.
Lo sottile creatura compare all'improvviso e senza rumore come sua abitudine, e come il solito fa sobbalzare la Dama.
– Devo vedere il Conte-Mago. – Dichiara l'anziana Syerdwin. E un attimo dopo. – Senza indugio.
Il servitore si inchina. – Vi prego di seguirmi.
Pascalina lancia un'ultima occhiata a Difiduanna e abbandona il proprio appartamento con lo sguardo ed il passo di chi si reca al patibolo. La civetta la guarda scuotendo il capo e vola sul più alto scaffale della biblioteca di Maldanea. "Dovrò vedere il Conte Gast, temo." Conclude con un lungo sospiro.
– Il Conte-Mago si trova nella Sala dell'Arcobaleno.– Le comunica il boldhovin indicando la grande tenda che conclude il breve corridoio dalle pareti di vetro bianco. – Attendete un attimo e vi annuncerò.
Pascalina annuisce, resistendo alla tentazione di dire "Se non può non importa." Ormai si trova lì e quindi tanto vale portare a termine la sua missione, "In fondo certo non mi ammazzerà." Mormora a se stessa, come a convincere una parte di sé per la quale quella possibilità non è poi così remota.
– Il Conte-Mago vi attende. – La ricomparsa di Ghiza la fa sobbalzare anche più del solito e Pascalina si affretta ad entrare con improvvisa determinazione.
– Non è tollerabile né onesto, Liest Teardraet. Voi venite meno al patto sottoscritto privando Lie Maldanea della considerazione e dell'affetto che ella merita! – Pascalina è vagamente conscia della meravigliosa bellezza del luogo ove Teardraet conduce i propri esperimenti, ma non perde tempo, non riprende neppure il fiato, prima che il timore la freni. – Maldanea ha fiducia in voi e vi ama e come la compensate? Negandole anche la povera compagnia di un pasto consumato insieme! È forse costume dei Moeld trascurare così vergognosamente la propria Id'Iun o è costume delle Terre Fredde? Eppure avete avuto parole d'affetto e di simpatia per lei, le avete forse dimenticate o è vostro abitudine regalare parole come abiti smessi, senza riflettere e senza sentimento? Se non potete rinunciare alla vostra solitudine perché trascinare qui anche Maldanea a condividerla, lei che, sciagurata, ha tanta considerazione per i vostri pensieri? Perché farla soffrire, lei è innocente e curiosa come un cucciolo e come un cucciolo ama gli scherzi e le carezze. Non permetterò che voi le facciate conoscere prima del momento fissato il dolore del tempo che scorre troppo veloce!
Teardraet, seduto, il libro dei Messaggi aperto sulle ginocchia, ha ascoltato immobile la sfuriata di Pascalina, senza che il suo volto lasciasse trasparire né ira né stupore.
Quando la dama Syerdwin ha terminato china il capo sul libro, come se volesse tornare a leggere.


– Queste parole vi fanno onore, Dama Pascalina di Rocca Wessiun. – Commenta dopo qualche attimo di silenzio. – Ma il dolore che sente Maldanea ha molte radici ed affonda profondamente nel suo cuore. Neppure io posso strapparla dalla contemplazione del mare reso grigio dall'inverno e dai suoi tristi pensieri.
Incredula Pascalina tace per qualche momento. – Ma neppure provate. – Prosegue rinfrancata. – Neppure cercate di distoglierla, di partecipare dei suoi timori.
– Avete ragione, ma condividere certi pensieri lascia ancor più amarezza. Non capite, Dama Pascalina: la stessa Maldanea mi ha chiesto di non dividere più i pasti con lei. Ella sta vivendo in un luogo inaccessibile e tiene lontano da sé chiunque cerchi di avvicinarla. Il mio dolore non è inferiore al vostro.
Pascalina rimane letteralmente senza parole. Sospetta che il Conte-Mago si stia prendendo gioco di lei per allontanarla e cerca di aggrapparsi a quel pensiero con una convinzione che ignora lo sguardo serio e la voce cupa del Liest, testimonianze della sua sofferenza.
– Voi dubitate di me, Dama Pascalina e non riesco a darvi torto. Certo le mie oscillazioni, le mie esitazioni, la mia abitudine alla solitudine hanno fatto molto per condurla a questo punto, ma se ho fallito quando il mio cuore era sgombro e infervorato di sempre nuove passioni come potrò riuscire ora?
Pascalina scuote la testa. Ha la sensazione che esistano le parole per rispondere a Teardraet, che siano a portata di mano e se aspetterà un attimo potrà afferrarle. Ma quell'istante scorre via veloce lasciandola muta e disperata. Si inchina al Conte-Mago e si volta bruscamente per ritornare nei suoi appartamenti.

Appena uscita Dama Pascalina Teardraet cerca nuovamente di immergersi nella lettura, ma come pochi minuti prima, la cosa si rivela impossibile. Pensieri lugubri, preoccupazioni, oscuri presagi hanno profondamente inciso la sua abituale sicurezza, l'acume ironico che è sempre stato la sua ricchezza. Soffre come un giovane dalla pelle ancora di un unico colore e così si sente confuso, impaziente.
Maldanea è riuscita a ferirlo, a spingerlo ad agitarsi inquieto, ad aprire cento libri senza leggerne nessuno, a comporre le prime righe di infinite riflessioni vergate con la calligrafia sottile e inclinata che tutti nei regni dell'Ovest conoscono, senza mai terminarle e senza trovare pace neppure in quel solitario esercizio.
La luce che scende dalla cupola di cristallo è cupa e sembra interrotta da delicati frammenti d'ombra che non riesce a cogliere ma che rendono il suo splendido studio una tetra replica di se stesso.
Chiamare ancora una volta Nivel'Iun è solo un modo per illudersi di controllare pienamente la situazione. Ma è il primo a sapere che la guida del gioco non è nelle sue mani in quel momento.
…Se Artamiro dovesse morire… Se Bartsodesh dovesse prevalere… Se Konstantin avesse la meglio nelle sue manovre di palazzo… Se i Re della Gente Antica di Therrelise, Dharlemhiun e Farsoll abbandonassero il campo dei Cancelli d'Occidente… I re alleati di Artamiro esitano ancora, anche se i suoi emissari tessono instancabilmente la tela del nuovo paesaggio al quale lavora da decine d'anni.
Si è legato alla Casa Wessiun, sa delle manovre di Konstantin nelle terre alle fonti del Drew – che vengono a fare così meravigliosamente il suo gioco – sa dei malumori alla corte di Nyby Ornoll e del disorientamento delle Marrak delle Terre Fredde adesso che il Duca Kwister è scomparso, sperduto tra i deserti e le magie del Sud, ma sente che il suo progetto è insidiato da qualcosa di imponderabile, inafferrabile. La sue insegne sono nuovamente oltre il mare, come era accaduto in un tempo che lui stesso teme di non riuscire più a ricordare, ma sono ben poca cosa quel pugno di soldati e il lavoro di un gruppo di messi a lui fedeli per ricongiungere nelle sue mani il destino dei Popoli Antichi.
Con un moto esasperato scopre la superficie lucida di Andòden. Riconosce il proprio viso nel riflesso e scuote il capo: a quanto pare lo specchio ha deciso di limitarsi alla più banale delle sue facoltà.
– Mostrami Artamiro, Andòden. – Ordina.
Il suo volto nello specchio oscilla debolmente, come nel riflesso di uno stagno frustato dai rami di un salice. Un attimo dopo vede il suo volto assumere i contorni di una vecchia statua, dai lineamenti usurati dal tempo, sfregiata e segnata dalla pioggia e dal muschio. 

 
– Smettila con i tuoi stupidi scherzi, Andòden. Mostrami Artamiro. – Ma quali sono le terre che mostra ora lo specchio? Quali lande hanno l'erba del colore del cristallo e sono popolate da alti alberi immobili, le foglie di un colore bruno, metallico? Teardraet fissa inorridito il paesaggio inquadrato nella massiccia cornice di Andòden e un brivido improvviso lo scuote come un vecchio. Quelle sono le terre Cambiate, il destino che attende le sue isole e forse l'intero mondo, condannato da un'incomprensibile malattia.
Altre immagini si rincorrono sulla lucida superficie dello specchio: genti in fuga con le proprie povere cose, città abbandonate, silenziose e immobili, congelate da un sottile strato di cristallo scuro, i volti immemori di coloro che sono stati raggiunti dall'onda del Mutamento, schierati in mezzo ai campi e sulle strade che riflettono i raggi della luna, come giocattoli dimenticati.
Quale sarà il mondo che si troverà infine a possedere?
Quell'assurdità immota, tanto simile al Mondo-Tra-Un-Istante che ha conosciuto da Invisibile? Teardraet vorrebbe che qualcuno venisse a interromperlo, anche Dama Pascalina, con le sue preoccupazioni così naturali eppure così patetiche, ma nessuno entra nel suo studio e nessuna voce lo raggiunge. Non può che continuare a perdersi nel riflesso di Andòden e a sentire la sua determinazione spezzarsi mentre la paura mette salde radici nel suo cuore.
Copre nuovamente lo specchio.
Queidhen. Solo lui può inviargli quelle immagini: è l'unico a conoscere davvero gli Specchi Gemelli che i Signori del mondo della Gente Nuova hanno ereditato senza comprenderli. "Sette furono i Gemelli " è scritto nel Libro delle Rupi.
L'Unico vuole fermarlo, anche se è stato pronto ad aiutarlo quando si trattava di colpire Artamiro. Teardraet si alza per camminare. Pochi minuti davanti allo schermo scuro di Andòden l'hanno reso incerto nei movimenti ed esitante come un malato. Come spesso ha fatto cerca di immaginare il gioco di Queidhen, mentre una parte della sua mente gli ripete che cercare di comprendere le Sue azioni è vano e presuntuoso.
Ma il Conte-Mago è troppo stanco e troppo disperato per ubbidire a quella voce. Enumera nella sua mente le mosse dell'Antico Primo, le battaglie combattute dai suoi Oom, le apparizioni, gli incantesimi dei quali è stato complice. Artamiro si trova abbandonato sull'orlo della vita e solo Egmont Rossiter, suo nipote, è davvero pronto a rimanere con lui fino all'ultimo. Che sia questo il disegno di Queidhen?
Sostenere il giovane Duca di Dancemarare? Un debole sorriso fa per un attimo la sua comparsa sul volto del Moeld: dietro la bandiera di Egmont Rossiter viene la pace e la concordia e non può essere quello il Suo disegno.
A meno che egli non voglia condurre fino alla fine la disgrazia della casa d'Occidente, schierare tutti contro tutti nell'ultima battaglia, in un mondo impoverito e assediato dall'Onda del Mutamento. Teardraet esita davanti a quella conclusione, ma i suoi pensieri corrono e si affollano prima di riuscire a controllarli… Cosa sa, cosa ha visto Queidhen nelle sue peregrinazioni nel tempo che verrà? Quale futuro ha conosciuto? Non c'è che un modo per saperlo: seguirlo nel Mondo-Tra-Un-Istante e anche oltre, giungere dove nessuno se non Lui è arrivato.
La conclusione delle sue riflessioni è spaventosa e insieme obbligata: se non avrà la conoscenza dell'Unico non saprà mai, nonostante tutta la sua esperienza e la sua intelligenza. Teardraet si volta involontariamente a fissare il piccolo armadio dove conserva il liquido che gli permette di divenire l'Invisibile.


Non ha mai osato andare oltre le tre gocce, che lo hanno condotto in un mondo freddo e sgradevole, popolato di ombre inquiete e di suoni strascicati e rugginosi Ciò che si propone di fare adesso è passare a dieci, venti gocce, per cercare di raggiungere il Tempo nel quale ciò che ora teme sarà dimenticato. Non più il Mondo-Tra-Un-Istante, ma il Termine.
Chiude gli occhi. Se di follia si tratta spera che sia interamente sua, che nessuna mente sia penetrata nei suoi pensieri per condurlo a quella decisione.
– Mi avete chiamato. – È difficile dire se Maldanea sia infastidita o assolutamente indifferente alla sua richiesta. Il Conte-Mago esita cercando di ritrovare lucidità ed equilibrio.
– Se vi trovate qui… – Inizia a dire senza terminare la frase, disgustato lui per primo dai propri modi.
– Perché desideravate vedermi?
– Maldanea, certo tu sai…– La fissa con pena. Vorrebbe che lei la sentisse ed abbandonasse quei modi tanto freddi e distanti, ma non può perdonarsi di elemosinare così il suo sorriso, la sua comprensione e si fa ironico, sostenuto.
– Sapete quali e quanti sono i problemi che angustiano la mia corona. – Riprende. – Questo mi spinge a prendere iniziative che possono essere fatali anche per me stesso.
Maldanea tiene il suo sguardo fisso davanti a sé come una sentinella o un martire. Annuisce. – Intendete raggiungere Nivel'Iun e marciare di persona alla conquista di Dharlemhiun?
– Dovrò raggiungere un giorno i miei soldati. – Si preoccupa di rassicurarla, quasi temendo che lei possa mal giudicarlo. Sorride: aver vissuto tanti anni non l'ha immunizzato dal più assurdo dei sentimenti. – Ma non si tratta di questo. Temo ciò che il futuro ci nasconde. Il Mutamento assedia le nostre isole.
Un'ombra di emozione attraversa finalmente il volto della Id'Iun. – Ogni giorno temo di scorgere il suo riflesso di cristallo congelare le onde più lontane.
– Anch'io soffrirò quando sarà il momento di abbandonare questa Residenza e queste terre.
Le parole non pronunciate rimangono in equilibrio tra loro, come un etereo arco colorato. Ma i loro sguardi orgogliosi non si incontrano. Un momento prezioso scompare senza essere afferrato, come è accaduto tante volte.
Teardraet sente farsi il vuoto nella sua mente. Ha resistito tante volte alla tentazione di toccarla, di averla, di sentirla respirare accanto a lui ed ora probabilmente è troppo tardi. Lei è giovane e sincera, l'avrebbe trasformato profondamente, avrebbe reso futili tante cose, ne avrebbe arricchite altre che giudica così poco importanti. Ma perché ora brucia così la sofferenza per ciò che non è stato, per i giorni e le notti che hanno soltanto reso più formidabili le rispettive solitudini?
– Dovrò vestire l'Invisibile. – Spiega. – Dovrò vedere il Mondo-Tra-Molti-Istanti per sconfiggere l'Unico. È la sola strada che mi rimane.
– Verrò con voi.
– Lie Maldanea non potete parlare seriamente.
Lei ride senza allegria. – Non ho nulla di meglio da fare.
– Ben pochi hanno tentato di seguire la strada dell'Invisibile. Il prezzo può essere la pazzia ed una morte orribile. – Maldanea non lo ascolta neppure, fissa l'uno dopo l'altro i settori di vetro colorato che formano la Sala Arcobaleno, quasi volesse sceglierne uno. Un'assurda gioia gli impedisce di continuare a parlare: la propria libertà, difesa per tutti quei mesi, è una ben misera ricchezza.

18.12.19

Il Mare Obliquo 47

Dopo aver salvato la piccola Moridee Kwister, Usif-Lizhi e Oakin continuano il loro viaggio sulla Goren verso le sorgenti del Drew. Ma ancora una volta non mancheranno le sorprese.
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La corrente contraria si è fatta più forte ed anche stando sul ponte si ha la sensazione della fatica dei rematori nel tenere la Goren dritta al centro del fiume.
La piccola Moridee se ne sta da sola sulla breve superficie triangolare del ponte delimitata dalla prua e dal castello di prora. Avvolta in una coperta cedutagli dal Duca Kwister in persona, che le copre anche il capo, tiene il viso sottile e colorito rivolto costantemente verso la sorgente del Drew, come se la forza del suo desiderio potesse dare alla nave più velocità.
– Non ha freddo quella ragazzina?
Kirzil Pennarossa che nell'intimità della propria mente stava giungendo a formulare la stessa domanda guarda stupito il vecchio Oakin che mai e poi mai avrebbe creduto capace di tali delicatezze.
– Ha la coperta dei Lupi-Drago. Non mi sembra possibile.
– Bah. I bambini della Gente Nuova sono impiccioni e curiosi quanto gli adulti. Ed hanno molte vite, non merita assolutamente preoccuparsi per loro.
– Cosa porti in quel boccale?
– E a te cosa importa Kirzil dei Mappin?
– Nulla dall'odore avrei giurato che si trattasse di latte ben caldo con miele, ma forse mi sbaglio.
– Eh sì, ti sbagli proprio. – Oakin il Marinaio, dal volto scavato e macchiato come la pelle dello zaino di un vecchio soldato, chiude con una mano il boccale e si avvia verso la porticina che attraverso la torre di prora conduce alla prua della nave.
– Non hai proprio nulla da fare, maledettissimo ficcanaso di un Mappin? – Ulula Oakin, la mano appoggiata sulla maniglia.
– Come no! Mi ricordo improvvisamente che la mia spada ha urgente bisogno di una bella lucidata, piena com'è del sangue dell'ultimo fellone che ho passato da parte a parte. Corro.
Oakin decide che il suo interlocutore non merita nessuna risposta e sorreggendo con cura il boccale si affretta verso Moridee, prima che l'aria frizzante del mattino raffreddi il latte.
– Grazie, signor comandante. – Lo ringrazia la bambina restituendole il recipiente debitamente svuotato ed asciugandosi due baffi di candida schiuma. – Ci vuole ancora molto per le chiuse?
– Non è lontano, ma la corrente stamattina è particolarmente forte e così ci vorrà ancora un po'.
– Ah. – Sospira Moridee. E dopo qualche istante di silenziosa contemplazione: – C'è Villa Lou, oltre quelle tre curve del fiume, vero? Ed i cancelli dei Fratelli del Drew. Poi c'è Hedra e qualche miglio più sù Ulfa e ancora oltre le Rocche Muscose dei Semurgh, dove il Drew nasce.
– Infatti.
– E non è possibile giungere con la nave oltre Ulfa.– Continua la ragazzina con l'espressione attenta e compunta di una scolara che reciti una lezione. – È vero che i Semurgh sono anche chiamati i Ladri del Ventaglio?
Oakin esita per un istante. – Sì, da tanto tempo.
– E sono della mia gente, della Gente Nuova, vero?
– Sì, ma perché tante domande?
– Beh, temo che dovrò incontrarli e così cerco di informarmi prima. È vero che vestono solo di verde e bruno e che le loro rocche sono scolpite entro grandi picchi, come quelle dei Notturni? 

 
– Non proprio, non esattamente. – Annaspa il vecchio marinaio. – Ho visto poche volte dei Semurgh, pare che abbiano ben poco da vendere ed ancora meno da comprare e sono molto orgogliosi della loro libertà.– Oakin fa una smorfia. – Ma più che di libertà bisognerebbe parlare di una miseria rapace e molto, molto superba. È gente strana, dai costumi ancor più strani. Hanno l'abitudine di girare esclusivamente in gruppi di tre persone delle quali sono una sembra dotata di parola. Ad Ulfa li detestano anche perché per secoli li hanno dovuto combattere. La città è interamente cintata proprio per questo.
– Mio padre dice che i Semurgh venerano la stella del Tramonto che ritengono il riflesso celeste del nostro mondo. – Aggiunge Moridee.
– È possibile. Ma tu come fai a sapere tutte queste cose?
– Mio padre è Custode delle Acque e possiede la più grande Biblioteca dell'Alto Drew. – Spiega la ragazzina senza nascondere una punta di infantile vanità. – Credi che siano loro ad aver prodotto il Canto?
Oakin, che ha udito una versione estremamente ridotta del racconto di Moridee da un Wediliun molto più propenso a dormire che a chiacchierare, impiega qualche secondo per capire di quale canto stia parlando Moridee.
– Il canto… Il canto. – Ripete per prendere tempo. – Certo che è probabile…È gente strana te l'ho detto. Vuoi altro latte?
– No, no grazie.
– Vuoi continuare a rimanere qui?
– Sì. – La bambina esita per un istante. – Signor Comandante crede che mio padre sia là con loro, alle Rocche Muscose? – Chiede infine.
– È possibile, certo. In fondo gli unici piantagrane della zona sono proprio i Semurgh.
– Spero che sia così. Certo che devono essere BEN STRANI per produrre un suono come quello!
Oakin annuisce senza più sapere cos'altro dire e con un sorriso che si augura non sembri troppo vacuo si affretta a scomparire dietro la porta del castello di Prora, lasciando Moridee ai suoi pensieri. 
 


Oltrepassano Villa Lou a metà del cammino del sole. La minuscola cittadina, fondata dalla Società Pittorica di Thorn, nelle Terre dei Cancelli d'Oriente, non ha inalberato sulla punta della Torre Zabaglione il suo vessillo multicolore e sui moli c'è ben poca gente. Moridee si sporge dalla murata per salutare ma nessuno risponde.
– Dev'essere successo qualcosa. A Villa Lou mi salutavano sempre quando passavo.
Usif-Lizhi annuisce serio. Non gli passa neppure per l'anticamera del cervello di sottovalutare il messaggio della piccola Uxielita e guarda con apprensione i pochi individui che sciamano sui moli, tutti apparentemente sfaccendati.
– Non vi sono navi alla fonda, è normale?
– No. – Jay Wediliun si sporge dalla murata per osservare meglio. – E la gente che si vede ha abiti molto strani. A Villa Lou le tradizioni della Scuola Pittorica di Thorn sono rispettate ed è praticamente impossibile incontrare due cittadini di Villa Lou con la stessa combinazione di colori addosso. Esiste un codice molto rigido a questo proposito… – Il mercante Syerdwin si interrompe. – Ma probabilmente vi sto annoiando Signore Usif-Lizhi…
– Al contrario. Vi prego continuate.
– Bah, io stesso sono in possesso solo di poche informazioni. Ho sentito che la Camera Estetica di Villa Lou consegna alla famiglia di ognuno dei nuovi nati una tavola dei colori personale, il Breviario, che viene desunto da alcune caratteristiche celesti del giorno della nascita. Ogni cittadino di Villa Lou è tenuto a rispettare il calendario delle Tinte presente nel Breviario ed a seguirlo in modo puntuale. Si dice che i singoli breviari della Camera Estetica siano congegnati in modo che non vi siano mai in circolazione combinazioni identiche di colori negli stessi giorni.
– Oh, bella! E gli stranieri?
– È molto semplice, mastro Kirzil: a chi si trova a transitare o a risiedere a Villa Lou viene consegnato un Breviario provvisorio che si è tenuti a rispettare fintantoché si rimane entro i confini della città.
– Ma la gente che si vede da qui non mi sembra tanto preoccupata di rispettare le leggi della città: vestono tutti gli stessi colori. – Replica Kirzil Pennarossa. – Cosa sarà accaduto della Camera Estetica?
Il mercante scuote il capo perplesso. – Quei colori non mi dicono molto… Ecco, sta arrivando Oakin: sarà meglio chiedere a lui che fa questa rotta almeno venti volte all'anno.
– Verde e bruno. I Semurgh. Ce l'hanno fatta alla fine quei serpenti. Darò ordine di trascorrere più lontano dalla riva.
La rivelazione del capitano della Goren non sembra provocare soverchie preoccupazioni nei passeggeri mentre allarma visibilmente i membri dell'equipaggio.
– Chi sono i Semurgh? – Il duca Kwister afferra per un braccio Oakin, diretto verso la timoneria.
– Individui assai sgradevoli, rissosi, enigmatici, superbi ed intrattabili. – Con uno scatto l'anziano Gu'Hijirr libera il braccio. – Col vostro permesso, signor Duca.
Pochi attimi dopo il ritmo dei remi della Goren aumenta sensibilmente mentre dai moli di Villa Lou vengono i primi segni di eccitazione. Appaiono archi e balestre e qualche freccia finisce in acqua ancora ad una buona distanza da loro.
– Amichevoli non sono proprio, direi. – Osserva Kirzil. – Ma cosa ci fanno qui?
Usimbal, il secondo della Goren si stringe nelle spalle. – Villa Lou era protetta dalla Milizia di Ulfa e quando i Semurgh scendevano in armi dalle loro Rocche Muscose gli Ulfani erano pronti a ricacciarveli.
– Queste città erano protette dalla Lega delle Chiuse, ma con chi stanno i Semurgh? – Chiede il Duca Kwister. – Con i Cancelli d'Oriente o con Re Artamiro?
– Che io sappia non hanno mai avuto alleati, solo nemici, ma i tempi sono divenuti così incerti. – Usimbal, un Gu'Hijirr ancora giovane ma dalla pelle divenuta precocemente scura e coriacea, inclina sulla nuca il copricapo cilindrico di tela chiara, molto simile a quello di un cuoco e si gratta ostentatamente la fronte. – Certo che così Nyby Ornoll non ha più molti amici ad est di Ennanshua…– Il Gu'HIjirr scruta la riva dove uomini in abito verde e bruno si affannano a lanciare nel fiume frecce e giavellotti e subito dopo alza la testa verso lo stendardo verde e oro inalberato dalla Goren, che la identifica come nave Gu'Hijirr. – Tra poco non sarà più molto sicuro girare con quel pezzo di stoffa sulla testa. – Abbassa quasi impercettibilmente la voce. – Ed è altrettanto probabile che in tutta questa storia l'unico che ha visto abbastanza lontano sia Il Testardo, che ha subito portato la sua bandiera da Bartsodesh. 

 
Oakin che ha udito l'osservazione del suo secondo, diversamente dal solito non si scaglia a difendere Nyby Ornoll ma fissa quasi con malinconia i Semurgh tuttora intenti a bersagliare inutilmente la nave. – Sarebbe meglio, Usimbal, tenerci pronti ad un attacco.
– Corro.
Da una feritoia elegantemente istoriata posta sul pronte di prora emerge dopo qualche attimo l'estremità di una massiccia colonna bronzea adagiata parallelamente al ponte, aperta all'estremità anteriore e decorata da divinità marine ed altre bizzarre creature per tutta la sua lunghezza.
– Cos'è mai quello strano oggetto? – Chiede Usif-Lizhi.
– È una granatiera. – Dice Oakin senza spiegare. – Se non temono la nostra bandiera ed il nostro re almeno rispetteranno questa. Preparala Usimbal.
Passano pochi istanti. La voce del secondo annuncia. – Granatiera caricata e pronta.
– Accendi. Mira al terzo molo.
Un boato formidabile squarcia l'aria e, passato il tempo di un battito di ciglia, il terzo molo di Villa Lou, gremito di arcieri Semurgh, si accende di fiamme. Quando il fumo si dirada il molo è ridotto ad un moncherino annerito e deserto mentre i Semurgh hanno abbandonato le postazioni più avanzate per ripiegare alle spalle del Lungofiume.
– Mirabolante! – Il duca Kwister ancora stordito dalla potenza dell'esplosione non cessa di guardare a turno la riva deserta della città e la minacciosa bocca della granatiera dalla quale ancora sale un leggero fumo bianco. – Non oso pensare quale sarebbe l'effetto di un simile attrezzo su un gruppo di cavalieri.
– E non lo vedrete mai, signor Duca. Queste granatiere sono prodotte da pochi fabbri di Farsoll per ordine della Gilda dei Mercanti di Mare. Servono per la difesa delle navi. Si dice che qualcuno abbia cercato di venderne il segreto ai Cancelli d'Oriente o ad Artamiro, ma ne abbia tratto solo rifiuti inorriditi. Il fatto è che i Signori, che sono gli unici a poterli comperare, sarebbero anche le prime vittime di tali arnesi e quindi…
Il duca Kwister riflette per un istante prima di sorridere. – Siete saggio ed avveduto, Oakin. E sono assolutamente d'accordo che tali pregevoli oggetti siano usati solo dai bravi mercanti Gu'Hijirr.
Il Lupo-Drago lancia ancora un'occhiata in direzione della riva. – Per quanto debba ammettere che la loro efficacia è davvero impareggiabile. 

 
Ma l'euforia per il facile successo sugli arcieri Semurgh lascia ben presto il posto alla tensione. Se gli abitanti delle Rocche Muscose hanno già preso Villa Lou, che ne sarà stato dei Cancelli del Drew?
– Che ne sarà stato delle Chiuse? –
Kirzil Pennarossa si stringe nelle spalle. – Stiamo andando a constatarlo, Harvaiun.
– Già, ma se la chiuse non funzionano come faremo a proseguire?
– Scenderemo e le azioneremo noi.
– E se è pieno di quei tizi?
Il Gu'Hijirr sbuffa e guarda verso il cielo. – Lasceremo loro in ostaggio uno sciocco servitore Syerdwin per renderli più amichevoli.
– Parlavo sul serio.
Se lo scudiero del Duca Kwister è tanto preoccupato da non replicare neppure ai motteggi di un maiale di fiume la situazione deve essere davvero grave, ragiona tra sé Kirzil.
– Mi sono perso qualcosa?
– Che cosa?
– Dico, forse mi sono perso qualche infausto presagio o qualche dotta riflessione. Le rive sono tutte tappezzate di Semurgh?
– Non ho detto questo. Ma il mio Signore è preoccupato per la nostra missione. E anch'io.
– … per la mia pelle.
– C'è qualcosa di disdicevole? Tu quante volte sei sceso in battaglia contro la gente nuova delle Rocche Muscose?
– Stai diventando impertinente, Share Harvaiun. Ricorda che i Gu'Hijirr non combattono se non quando è assolutamente necessario. In genere pagano degli stolti perché lo facciano per loro.
– Per quello hanno le più grosse pance dell'Orlo del mondo.
Il Syerdwin risucchia le labbra all'interno della bocca come se volesse rimangiarsi la battuta e scuote il capo come un cane bagnato.
– Finiamola con questa sciocca discussione, Kirzil. Ne sai qualcosa tu di questa gente? Sai se ci si deve preoccupare davvero?
– Ah, ma allora è questo che cerchi, fiorellino mio, essere rassicurato? Bene non posso farlo. Ho visto Villa Lou un paio di volte, quanto facevo l'apprendista marinaio su una nave simile alla Goren e ti posso giurare che era la città più bella e allegra di tutte quelle delle terre bagnate dal Drew. Averla vista in mano a quei cani rabbiosi mi ha decisamente guastato la digestione. Anch'io temo che le chiuse siano finite in mano a loro. Se Ulfa è caduta l'intera Lega delle Acque è in pericolo… Ma quello che non mi riesce di capire è chi ci sia dietro tutta questa faccenda.
– Konstantin, l'arciduca.
Noro Heban, il bruno mercante della gente nuova, uomo solitamente silenzioso e discreto, si appoggia al bordo della balconata della Goren e tira una lunga boccata dalla sua piccola pipa di terracotta.
– Come puoi dirlo, uomo?
Il mercante sputa nelle acque scure e calme del Drew e fissa un punto all'orizzonte. – Il marito della principessa Calissa è un'uomo ambizioso e contorto. Detesta la gente antica, gu'hijirr, Syerdwin, Lupi-Drago, Notturni tutti nello stesso modo come sa che Ornoll e Vamaiun sono più amici di Artamiro che suoi.
Il mercante infila una mano nella profonda tasca degli ampi pantaloni e ne estrae un piccolo oggetto metallico. – Una freccia è riuscita a giungere fino alla Goren e si è piantata nell'albero di mezzana. Sono riuscito ad estrarne la punta. Guardatela con attenzione.
Il piccolo oggetto passa nelle mani di Kirzil e poi di Share Harvaiun.
– Qui, molto in piccolo c'è una scritta. – Il syerdwin inclina la punta della freccia in modo che la luce del primo pomeriggio la illumini in pieno.
– Jeghu o Seghu, direi.
– Già, Jeghu. Jeghu Eshida, il Primo dei Mastri Fabbri di Therrelise. Vediamo, chi mi sa dire cosa ci fa una freccia dei Lupi-Drago in questa terra tanto lontana?
– Già, cosa ci fa? – Chiede Kirzil.
– Io non lo so. Ma il mio signore e i suoi simili non hanno commerci con quella gente.
– Ehi, come sei sicuro Harvaiun. Ti faranno Lupo-Drago onorario prima o poi. 

 
– Ha ragione. E tu Kirzil non devi ridere della lealtà di Share. Queste frecce vengono dall'arsenale reale di Artamiro e sono state regalate ai Semurgh da Konstantin.
– Ma scusa, Heban, cosa ci guadagna l'Arciduca a far litigare i Cancelli d'Occidente con i Gu'Hijirr? – Chiede Harvaiun.
– … e con i Lupi-Drago e con Horr Vamaiun e le città sorelle? Poco per la sorte del regno ma molto per dimostrare che la situazione è grave e che Dancemarare ha bisogno di un nuovo re.
– Cioè il duca Rossiter.
– Sei informato anche tu, Kirzil, anche se ti dai arie da zotico.
– Meglio nascondere il poco che si sa. La gente non ha paura e si sbottona più facilmente. Pura saggezza mercantile gu'hijirr.
Noro Heban sospira. – Verissimo, maestro. Il fatto è che il Duca Rossiter si trova in faccia a Bartsodesh e ha ben poche speranze che la guerra sia vinta velocemente. Fintanto che le cose stanno così un qualunque stupido incidente può spacciare il duca ed una situazione grave con Farsoll e le altre nazioni alleate può spingere la Sala Purpurea ad eleggere Konstantin ed a deporre Artamiro.
– Siamo già a questo punto? – Chiede incredulo Kirzil.
– Teardraet si sta muovendo dal nord e certo non è amico di Vamaiun. Qui si muovono i Semurgh e la Lega delle Chiuse è in grave pericolo. Cos'altro aspetti per capire?
– Solo una cosa. Come fai ad essere in possesso di queste notizie?
– Oakin era a conoscenza di tutte queste cose e di molte altre. Non era partito da molto da Farsoll e non manca di amicizie né di curiosità.
– Oakin?… – Kirzil Pennarossa appare stupito solo per un attimo poi sorride. – Già, già… come l'ho chiamata uomo ?
– Pura saggezza mercantile Gu'hijirr hai detto. – Ride Noro Heban.
– Ecco, proprio così, nulla di più e nulla di meno.


Il vento si alza improvviso disegnando onde disordinate sull'erba delle rive. E subito dopo vengono le nubi, pesanti, oscure, che hanno trascorso gran parte del tempo diurno adagiate sulle Montagne dell'Orlo, come le tende tirate di un sipario.
La pioggia non tarda, obliqua, violenta: inzuppa in un istante la vela della Goren e lava frenetica il ponte della nave donandogli un riflesso più scuro.
La fatica dei rematori nella corrente fattasi più robusta diviene di momento in momento insostenibile e la nave oscilla, arranca, sembra scivolare come uno scalatore ormai stanco.
– Dovremo fermarci e ancorare. – Dice quasi a se stesso Oakin. – Se la nave prende la corrente sul fianco rischiamo di capovolgerci o di prendere una secca.
La fata Mahaderill, unica ascoltatrice del vecchio comandante, annuisce in silenzio stringendo le labbra. Ha l'espressione ferma e concentrata di chi in vita sua non ha fatto altro che navigare. Oakin la guarda con rispetto: considera un onore trasportare sulla sua nave una gwellyniuin, l'unica che ricordi di aver mai avuto come passeggero.
– Ho la vostra approvazione, dama Mahaderill? – Le chiede senza riflettere.
La fata sorride. I suoi sorrisi sono piccoli prodigi, nascono all'improvviso e riscaldano il cuore di chi le parla, risvegliando il dolce brivido dell'amore. – Quelli del mio popolo non conoscono l'arte della navigazione, mastro Oakin, come potrei negarvi la mia approvazione?
– Già, già come potreste? – Oakin si schiarisce la voce e si gratta ostentamente il fianco. – Usimbal? Dove sei Usimbal, maledetto, vieni qui. – Urla e si affretta ad allontanarsi, imbarazzato come un giovanissimo gu'hijirr che ha scoperto di amare perdutamente la propria maestra.
Il secondo della Goren fa capolino dalla scala del ponte inferiore con una bella espressione a metà tra l'iracondo ed il perplesso e, appena visto Oakin grida a sua volta. – Allora, vecchio rospo? Cosa vuoi da me? Pensa alla nave che rischia di andare con la chiglia a guardar le stelle da un momento all'altro…
– Non ho certo bisogno che sia uno stupido Galle a ricordarmelo. Comincia ad accostare a sinistra, ci fermiamo all'ansa del Guaritore, trecento braccia davanti a noi.
La manovra di accostamento non è né facile né agevole con il vento che schiaffeggia la vela fradicia e la pioggia che investe la nave a raffiche. Un tuono attutito e lontano fa la sua comparsa e Usif-Lizhi, in piedi alla porta del castello di poppa, osserva senza provare ancora timore la ragnatela dei fulmini lontani accendersi sui Monti dell'Orlo.
– Una cosa è certa: con questo tempo i nostri amici Semurgh avranno altro da fare che inseguire noi. – Filosofeggia Kirzil. – Rientra signore, ti raffreddi e soprattutto raffreddi anche noi.
– Hai ragione. – Il Notturno fissa ancora una volta il cielo basso e scuro e chiude la porta, smorzando il crepitio battente della pioggia.
– Riuscirà il nostro amico Oakin?
Kirzil si stringe nelle spalle. – Se non riesce a lui, caro Wediliun, vuol dire che è impossibile.
– Bella consolazione. – Harvaiun incassa la testa nelle spalle e chiude gli occhi al rombo ormai vicino del tuono. – Scampare ai Semurgh per andare in bocca ai pesci.
– Puoi sempre cambiare, non credi? – Sbotta spazientito il gu'Hijirr. – E diventare anche tu un pesce.
Kudhe il Silvano si alza per raggiungere una delle piccole finestre protette da un rete di ferro che fanno da corona al castello di poppa. Lancia un'occhiata all'esterno e compie un leggero movimento con il capo, un'oscillazione verso l'alto, come per ascoltare meglio una voce molto fievole.
A nessuno sfugge l'azione del Silvano e per qualche attimo nella piccola ed affollata sala, decorata con le armi dei Berzel di Fonteluna, l'unico rumore è lo scroscio della pioggia e l'ululato del vento.
– Ti… parlano? – Si azzarda infine a chiedere Share Harvaiun.
– Noi sentiamo allo stesso modo, Thal-gy, non abbiamo bisogno di parlare.
Il syerdwin annuisce. – Cosa significa Thal-gy? – Chiede dopo una lunga pausa.
Non è Khude a rispondere, ma Wediliun. – Metà-Acqua, è il nome del nostro popolo per i Silvani.
– Cosa sentite? – Chiede il Duca Kwister.
– Non vi è più equilibrio. Perderete questa nave.
– Cosa dovremo fare?
– C'è una strada che passa alle spalle di Mont Bilgiam, appena oltre le chiuse. È una strada scavata dai Gu'Hijirr bruni per i Notturni e giunge diretta ai piedi del Gradino.
– Dovremo abbandonare la nave non appena riusciremo ad attraccare?
Il Silvano annuisce. – Questo è solo l'inizio della tempesta e questa non è l'ultima tempesta.