19.7.17

Un'Italia di vecchi e di sfruttati


E anche la legge per dare la cittadinanza ai giovani immigrati che hanno frequentato le scuole qui, vivono qui, fanno il tifo per la nazionale di calcio italiana e parlano correntemente italiano è saltata. Ultima coltellata è stata quella di mr. Alfano, inutile e nocivo ministro degli esteri di un governo teorico che cerca di sopravvivere fino alla prossima primavera. 
Secondo la sinistra si trattava di una legge di civiltà che ci avrebbe posto sullo stesso piano degli altri governi europei ma alla quale abbiamo, in definitiva, rinunciato per una serie di motivi che hanno poco o niente a che fare con la realtà e moltissimo a che vedere con le fantasie malate o volutamente distorte dalla destra italiota, ovvero FI, Lega e 5 Stelle. 
Ho conosciuto e conosco diversi ragazzini che mi sono stupito nel sentire correntemente parlare italiano, magari intervallandolo, in rapporto all'interlocutore, con la lingua familiare: arabo, cinese, bengalese o moldavo. Mia moglie ha insegnato in classi dove il 20% o più degli alunni sono di origine straniera e, a parte gli inevitabili problemi dovuti alla necessità di imparare in una lingua che non è la propria, non hanno mai mostrato simpatie verso la Jihad o verso le Triadi. 
Ma il problema non è questo, evidentemente. 

Per la destra, sia quella orgogliosamente suprematista come Casa Pound giù giù fino a Matteo Salvini e complici, sia quella più nebbiosa e disonesta come Grillo & Casaleggio, il problema principale erano poche centinaio di migliaia di voti che sarebbero – presumibilmente – andati a sinistra, dal momento che l'intolleranza per gli stranieri è una bandiera della dx italiana e, reciprocamente, era proprio questo uno degli elementi che premeva di più a Renzi, che ha fatto finta di non notare la stangata alle ultime elezioni amministrative.
Ma questo aspetto, puramente politico nel suo significato più ovvio, anche se non immediatamente evidente, non è comunque il motivo principale della discussione furiosa tenutasi in questo periodo. Il motivo principale è la serie accellerata di sbarchi avvenuti negli ultimi mesi e la crescita costante di immigrati, rifugiati, disperati, donne, bambini non accompagnati che si sono rovesciati sul nostro paese, largamente inadeguato a sopportare una simile invasione. Intendiamoci, nel 2015 sono sbarcati 153.000 immigrati, nel 2016 180.000 e nei primi sei mesi del 2017 83.000, con un incremento del 18% sui primi sei mesi del 2016, ma si parla sempre di numeri che, anche se sommati, costituiscono una percentuale minima della popolazione italiana (1 immigrato ogni 150-200 abitanti) ed è quindi quantomeno molto esagerato definirla un'invasione, a meno di non voler creare una sindrome da assedio che possa teoricamente spiegare tutto ciò che non funziona in questo paese, dalla disoccupazione, alla criminalità, al terrorismo. In realtà quanti di costoro abbiano intenzione di fermarsi in Italia non è dato sapere – anche se non mancano dati che suggeriscono la volontà di lasciare l'Italia per altri paesi europei dove si trovano parenti o amici. In questo senso l'Italia è ed è sempre stato un paese di transito che solo in questi ultimi mesi – grazie alle politiche miopi della UE – è diventato un luogo di sosta forzata. Teniamo ancora conto che non pochi immigrati arrivano in Italia con un passaporto con visto turistico e, una volta arrivati qui, «scompaiono» all'interno delle loro comunità, sforzandosi di trovare un lavoro. E gli esempi tra i miei conoscenti e tra quelli di ognuno non mancano. 


Ma il problema degli immigrati in arrivo, anche se grave, NON È il problema di chi si trova e lavora qui in Italia da anni e anni e i cui figli potrebbero – finalmente, dopo almeno cinque anni di scuola – diventare italiani. Presentare la Ius Soli come un facile, astuto sistema per far acquisire la cittadinanza a chi è appena sbarcato da un gommone è, come minimo, una menzogna e si avvale della sostanziale, profonda ignoranza di milioni di nostri connazionali. Perché gli italiani sono ignoranti – lo sappiamo, vero? – sei o sette su dieci di noi non riescono a leggere, interpretare e ripetere un brano scritto che superi le dieci righe e, soprattutto molti di noi vogliono credere che siano gli immigrati il vero problema di questo paese e non piuttosto una classe politica parassitaria, un ceto imprenditoriale che mira ad arricchire al più presto senza guardare in faccia nessuno, una criminalità organizzata capace, come in questi giorni, di bruciare ampie aree verdi per ottenerne spazi per le discariche abusive, una speculazione che mira a cementificare nuove aree e così via. Si preferisce dire che sono i neri che spacciano – e ne esistono, ne ho visti, non vivo sulla luna – piuttosto che protestare per il lavoro per i giovani divenuto un incubo senza uscita. 
Ma per alcuni la Ius Soli non è un vero problema, ben altri sono i problemi attuali. E il benaltrismo, versione pudica e ipocrita del semplice fascismo ruspante, è diventata la foglia di fico di chi è – confusamente, approssimativamente – di destra ma non ha il coraggio di dirlo ad alta voce. E qui non si possono non citare gli ormai dimenticati grillini, divenuti neri e poco gradevoli come le blatte. 


In fondo, comunque, negare la cittadinanza italiana a centinaia di migliaia di giovani ne permette lo sfruttamento, impedisce la possibilità di partecipare a concorsi pubblici – pur avendone la preparazione, e li obbliga a una vita perennemente sotto ricatto. In fondo molti italiani non sono soltanto ignoranti ma talvolta anche furbetti e sanno benissimo come approfittare di chi capita loro a tiro. 
Una linea invisibile continuerà a dividere Mohammed da Giulio, Xin da Alessandro, Alonso da Giovanni e, in fondo, a molti piace sentirsi anziani Italiani per una volta in vita loro, oltre alle occasioni nelle quali si è cantata la prima strofa dell'Inno di Mameli. Solo la prima, siamo anziani.
Io preferisco sentirmi un cittadino del mondo, anche se è sempre più difficile.

5.7.17

Il settimo Clone o un Problema di tempo


Ho perso un bel po' di tempo prima di scrivere questo (breve) post dedicato alla recensione scritta da Stefano Sacchini e pubblicata il 28 giugno su Cronache di un Sole lontano. Il problema essenziale, quello che mi ha dato più grattacapi, è il dato di fatto che si tratta della recensione al mio ultimo romanzo – in primo luogo – e una recensione molto positiva, aggiungo. 
Alla fine sono giunto alla conclusione che se al buon Sacchini il romanzo non fosse piaciuto e avesse scritto delle sue perplessità o delle sue riserve, mi sarei sentito in dovere di intervenire per chiarire, spiegare, discolparmi. Allo stesso modo debbo intervenire, anche per apprezzare il buon lavoro fatto dal recensore in questo caso e non lasciarlo cadere. 
Direi che per prima cosa fareste bene a leggerla, la recensione. Qui (ma anche qualche riga prima) la potrete trovare. 
Fatto? 
Bene, ottimo. 
Al di là delle considerazioni svolte da Sacchini sulle mie qualità di autore di fantascienza – ovviamente graditissime, anche se giustamente opinabili – ci sono alcuni elementi della recensione che merita sottolineare. 
La mia passione per Cordwainer Smith, in primo luogo, grande autore che ho avuto l'improntitudine di sfidare giocando con gli stessi elementi della sua narrativa, con gli underpeople divenuti ne Il settimo Clone, i tranx (o zoogeni o moreauviti). I tranx – e in questo romanzo penso si possa cogliere meglio che in altri – sono i veri protagonisti dell'avventura della Corrente. Nati per sostituire gli umani nelle missioni più rischiose hanno finito col diventare un'armata di silenziosi servitori che gli umani – i «Signori» o «le Guide» – utilizzano senza porsi domande sulla loro intelligenza, volontà, desideri o sogni. E i tranx, come tutti i servitori, spesso amano immaginare come dev'essere vivere una vita lunga come quella dei Signori, altrettanto ricca e altrettanto potente. Ma tuttavia essi non provano invidia, né desiderano spodestare gli umani dal dominio della Corrente. Il debito di vita, quella che ritengono di dovere agli umani, li trattiene e spegne qualsiasi aggressività. I più acuti tra loro hanno creato una forma particolare di filosofia del vivere, una sorta di rovesciamento dell'Io in una forma impersonale, ipotizzando – non si sa se avendolo immaginato o meno – una sostanziale uguaglianza tra tutti i tranx che divengono così un unico, enigmatico, popolo pronto a seguire un'umanità dispersa tra le stelle, un popolo ubbidiente ma nel contempo divenuto conscio di se stesso.


In questo senso il commento contenuto nella recensione: «depositari di una sensibilità e di una vitalità che il genere umano sta progressivamente perdendo» mi è sembrata decisamente indovinata, soprattutto perché io, che ne sono l'autore, non avrei potuto coglierla con altrettanta chiarezza. 
Un altro elemento che tengo a sottolineare è il worldbuilding, ovvero il tentativo di raccontare un mondo (o più mondi). Un elemento che mi è costato e mi costa non poco tempo durante la scrittura di un testo ma che ritengo assolutamente centrale nella fantascienza. Se non riuscite a descrivere credibilmente un altro mondo, diverso dalla nostra Terra, una buona quota del senso del meraviglioso (sense of wonder) del vostro libro sfumerà via, lasciandovi nella condizione di una attore al quale sia crollata la scena alle spalle, lasciandovi a recitare davanti a un fondale semibuio e ingombro di oggetti.
Ultimo elemento, il dato di fatto che nel romanzo i dialoghi in più occasioni «sostituiscono l'adrenalina», creando – in qualche caso – inevitabili lungaggini. Anche in questo caso l'autore può aver avuto il qualche occasione la sensazione di aver inseguito un po' troppo a lungo i personaggi e le loro interminabili chiacchiere, ma direi che è necessario un lettore
che l'autore non conosca personalmente a fargli notare questo genere di difetti. 



In parte, comunque, devo ammettere di essere un po' tirchio nell'utilizzare l'adrenalina e in generale armi, esplosioni o altre mirabolanti disgrazie. Ho preferito creare un intreccio complesso, anche a rischio di far sbadigliare qualcuno in qualche passaggio e, in ogni caso, sono anche famoso per aver scritto un romanzo di military science fiction – «Settembre» – che mi hanno detto appassionante ma molto avaro di scontri a fuoco e di massacri particolarmente appariscenti
In ogni caso la recensione a Il settimo Clone è stata un'inattesa e buona occasione di riflessione, della quale ringrazio di cuore Stefano Sacchini.
Ultima cosa: chi avesse intenzione di chiedermi una copia del romanzo per recensione può scrivere a massimo.citi[at] fastwebnet.it.