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17.8.19

Il Mare Obliquo 28

Non c'è pace per Re Artamiro. Un'armata di enormi dimensioni si avvicina al suo accampamento e il Re al comando di una piccola scorta corre a vedere di chi si tratta. Ma ancora una volta si tratta di un'orribile e sinistro incantesimo.
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– Presto, presto Volontà, venite a vedere!
Re Artamiro, impegnato in una udienza interminabile per una discordia nata tra un nobile dei Lupi-Drago ed un Liest dei Syerdwin, evidentemente decisi a rinverdire i fasti delle antiche guerre tra i loro popoli, alza la testa di scatto e con un cenno imperioso della mano riduce al silenzio l'Argomentatore del Barone Henia Uzen di Vewal.
– Cosa c'è da vedere, Duca Rossiter? – Domanda il Signore di Dancemarare. – L'esercito di Bartsodesh è qui, Vostra Volontà, ed infinite sono le sue schiere, tanto da giungere al limite dell'orizzonte.
– È impossibile, Duca. Le nostre spie ci avrebbero avvertiti. Bartsodesh è tuttora dall'altra parte di Canddermyn, in attesa dei rinforzi che devono giungergli da Ter-Heiness.
Il Duca Rossiter trattiene a stento un gesto di impazienza.
– Se non volete credere ai nostri occhi, venite a vedere se almeno potete fidarvi dei vostri. – Insiste il Liest Tamu Hiniun che accompagna il giovane signore di Telegin.
In quel momento entra il Generale Kataiud, accompagnato da Dubro, il Silvano capo delle sue guardie e dal Siniscalco Ant'Kisiel. – Il Nemico è qui, Volontà. – Dichiara l'anziano generale. – È consigliabile prepararci a dare battaglia.
Re Artamiro, nel quale lo stupore prevale ancora sull'agitazione, guarda in volto Dubro, l'unica creatura nel vasto arco del mondo della quale abbia davvero fiducia.
Il Silvano annuisce con un breve cenno del capo. – Un grande esercito sta avanzando alla nostra volta, Eit'Corok. Essi hanno stendardi come ragnatele e i loro colori sono spenti e incerti.
– Cosa significa, Dubro? Bartsodesh ha dunque cambiato i propri colori?
Il Silvano si stringe nelle spalle senza aggiungere altro.
– Qualcuno sa spiegarmi? – Chiede ancora il Re. – Ma perché perdo tempo a parlarvi? Duca Rossiter, Liest Hiniun, accompagnatemi fuori di qui.
– Perdoni, Sua Volontà… – Inizia a dire l'Argomentatore del Liest Syerdwin. – Ma… –
– Ma cosa? L'udienza è rinviata, non l'avete capito? Avete l'occasione di battervi per una degna causa, e se uno di voi sopravviverà egli sarà il vincitore di questa insulsa diatriba. Ho detto.
Fuori dalla tenda un attendente del Duca Rossiter lo sta aspettando tenendo per la cavezza un cavallo.
– Per di qua, Volontà, bisogna salire sul breve colle dove sorgeva la tenda di Tiatikenn. – Spiega il nobile.
Artamiro annuisce e sale a cavallo senza preoccuparsi di togliere il pesante abito di velluto da cerimonia.
– Dubro, vieni con noi! – Ordina.
Il piccolo gruppo di cavalieri attraversa il tratto di campo al galoppo, rischiando di travolgere un paio di ufficiali intenti a discorrere in mezzo al passaggio tra le tende, un ambulante che si aggira nel campo cercando di vendere collane da pochi soldi ed un paio di oche di ignota provenienza e proprietà.
Nel campo regna la consueta sonnolenta animazione, più degna della piazza di un villaggio che di un esercito pronto a battersi e Artamiro nota con scandalizzato stupore il fastidio con il quale i soldati dell'armata li guardano passare, come un gruppo di sconsiderati che corrano in mezzo ai banchi di un mercato rionale.
La cima del piccolo colle è presto raggiunta. Da essa nessuno si è ancora preso il disturbo di trasportare via i resti della splendida tenda di Tiatikenn, che in quelle notti ha ricevuto anche la visita di animali notturni e di predoni.
La meravigliosa stoffa che la copriva è stata strappata, gli oggetti di scarso valore che i servi del grande Mago non hanno portato via giacciono sparsi sul terreno, insieme a lembi di abiti, cocci di vetro, polveri colorate sparse come talco sull'erba e qualcuno ha perfino usato i pali di sostegno della tenda per farsene un piccolo falò, al calore del quale giacere con una delle innumerevoli Consolatrici che popolano il campo. 

 
– Che desolazione, che scandalo! – Commenta Ant'Kisiel, senza che nessuno gli risponda.
– Allora? – Chiede Re Artamiro, che la cavalcata ha reso di umore nero.
– Alla vostra sinistra, Volontà. – Indica il Duca Rossiter.
Poco oltre il fiume che delimita a Nord-Ovest il campo dell'armata di Dancemarare sta un grande esercito immobile, le bandiere mosse lentamente dal vento, simile da quella distanza ad un vasto, oscuro lago appena velato da una leggera foschia nel quale si accendano leggeri e lenti riflessi di luce.
– Quanti sono? – Chiede a bassa voce il Re.
– Innumerevoli, Volontà. Come stelle nel cielo o granelli di sabbia. – Risponde Tamu Hiniun.
– Ma come ha potuto una simile armata giungere così vicino senza che nessuno l'abbia vista? – Chiede il Siniscalco di Artamiro, con intonazione volutamente distratta.
Il Duca Rossiter di Telegin impallidisce violentemente e spiega con voce divenuta rauca: – Nessuno ha veduto nulla. Fino ad una manciata di minuti fa non vi era nessuno in quella piana.
– Bisogna quindi credere che il nemico sia dotato di sensazionali poteri magici, tanto da apparire e scomparire a sua volontà. – Commenta beffardo Ant'Kisiel.
– È possibile, purtroppo. – È la risposta del nobile di Telegin.
Il Siniscalco del Re si rimangia il commento sprezzante per tanta risibile incompetenza alla vista di Re Artamiro che annuisce alle parole del Duca e si affretta ad approvare a sua volta.
– Non può essere l'Armata di Bartsodesh. Non ne ha i colori. – Interviene il generale Kataiun.
– Sono troppi, troppi per essere l'esercito nemico. È evidente. I soldati di Barstodesh sono poco più di metà dei nostri – Aggiunge Ant'Kisiel.
– E allora chi sono? Ditemelo voi che sapete tutto. Sono forse i rinforzi promessi da Nyby Ornoll e da Horr Vamaiun? – Replica irritato Artamiro.
I due cortigiani osservano per un po' la sterminata armata e infine scuotono il capo.
– Chi sono Dubro, lo sai? – Chiede infine il Re. – Uth'Nesai Kadh. – Mormora il Silvano.
– Non usare la tua lingua, maledizione! Chi sono?
– Attenzione si stanno muovendo! – Grida il Duca Rossiter. – Presto andiamo.
– Dubro cosa hai detto? – Re Artamiro non si preoccupa neppure di controllare la notizia data da Rossiter e continua a fissare il capo delle sua guardia personale.
– Non c'è traduzione, Eit'Corok. Sarà meglio andare a vedere da vicino.
– Muoviamoci allora. – Urla Re Artamiro salendo a cavallo con uno slancio furioso che per un istante sembra restituirgli il vigore dei vent'anni.
– Ma Volontà… – Ant'Kisiel indica la grande armata che lentamente si muove verso la riva del fiume. – Volete andare ad affrontarli da solo?
– Di che ti preoccupi, vecchio imbecille? L'hai detto tu che non si tratta di Bartsodesh. Andiamo, ora.
Quando attraversano nuovamente il campo il clima è molto cambiato. La notizia dell'avanzata di un grande, sconosciuto esercito è giunta in ogni angolo del grande attendamento scatenando una fenomenale agitazione ed un ancora più grande confusione.
Urla ed ordini si intrecciano a ripetizione in mezzo a gruppi di soldati intenti a cingere goffamente armi, scudi ed armature, a spegnere fuochi, ad inseguire cavalli frastornati dal caos ed a indirizzare preghiere e scongiuri a mille diverse divinità.
– Per di qua! – Grida Tamu Hiniun, ottimo cavaliere al contrario della maggior parte degli altri Syerdwin, al piccolo corteo reale.
Verso il limite Nordoccidentale dell'accampamento, dove sono raccolte le truppe provenienti dalle Terre del Nord abitate dai Lupi-Drago, la confusione è molto minore, nonostante la vicinanza della sconosciuta armata nemica.
I Lupi-Drago sono per la maggior parte già schierati alle spalle del recinto di tronchi che cinge il campo e folti gruppi di essi, armati di arco e frecce, hanno già preso posto sulle torri di legno disposte a brevi intervalli lungo la barriera.
Passando Re Artamiro li saluta con ampi cenni del braccio, ad indicare considerazione, ai quali quella gente silenziosa e temibile risponde con un sommesso mormorio ed una sorta di breve sorriso che lascia intravedere i lunghi canini acuminati.
– Se la nostra armata fosse formata solo da questi terribili soldati, allora sì, potrei sentirmi di conquistare l'intero arco del mondo. – Commenta Re Artamiro, rincuorato alla vista di tanta minacciosa efficienza.


– Solo i Syerdwin hanno tenuto testa a tanta splendida ferocia, vostra Volontà. – Osserva a mezza voce Tamu Hiniun.
Artamiro sorride e fa un cenno di assenso.
– Aprite la porta. – Ordina Il Duca Rossiter al drappello di Lupi-Drago schierati a difendere l'ingresso del campo.
Le guardie esitano per qualche secondo, ma un secco ordine proveniente da un ufficiale li induce ad obbedire.
– Il nemico è a meno di due miglia, Vostra Volontà.– Spiega l'ufficiale, rivolgendosi direttamente al Re, gesto inaccettabile per chiunque non sia un Lupo-Drago. – Posso fornirvi una scorta?
Re Artamiro non ha neppure il tempo di rispondere che una cinquantina di cavalieri, con i caratteristici elmi molto strombati a coprire parte delle spalle, la celata dalle feritoie sottili ed orizzontali e l'ampio mantello del colore del cielo notturno del nord, si affiancano al piccolo gruppo reale.
– Con vero piacere, Marr. – Replica Re Artamiro, utilizzando una appellativo di cortesia particolarmente apprezzato presso i Lupi-Drago.
Una leggera nebbia o forse polvere precede l'armata in marcia verso l'esercito di Artamiro che ben presto ingoia il drappello di cavalieri. Dopo poche decine di metri al galoppo sono costretti a rallentare. L'orizzonte ed il sole sono scomparsi, ingoiati da una sorta di vapore tiepido che si sparge come schiuma sulla terra, ed ogni particolare del paesaggio si è fatto un'ombra indistinta e minacciosa.
– Dove siamo? – Chiede inutilmente il Re, che a stento riconosce la propria voce, resa stranamente risonante da quella nebbia.
– L'accampamento è alle nostre spalle. – Lo rassicura Tamu Hiniun che cavalca al suo fianco. – E davanti a noi, da qualche parte, marciano i nemici.
– Dubro! – Chiama Artamiro.
– Sì Eit'Corok? –
– Allora, cosa mai riusciremo a vedere in questa nebbia?
– Attento, Eit'Corok. Non si vede solamente con gli occhi. – Replica il Silvano, enigmatico come sempre.
Re Artamiro almanacca per qualche istante sulle parole di Dubro senza giungere a nessuna conclusione. I cavalieri Lupi-Drago avanzano silenziosi intorno a lui, reggendo alte le lance e le pesanti gries, le lunghe spade che impugnano con entrambe le mani. – Sono lì, proprio davanti a noi. – Annuncia il Duca Rossiter che cavalca subito davanti al re.
Dugg-Dak! – Ordina un ufficiale dei Lupi-Drago.
Artamiro traduce mentalmente "State pronti."
– Rientriamo, Volontà. – Chiede Ant'Kisiel. – Solo i Lupi-Drago possono essere tanto folli da affrontare in cinquanta un esercito di centomila uomini.
Il Re si volge verso Dubro che osserva calmo la lunga linea grigia di armati che si intravede nella densa nebbia.
– Guarda, Eit'Corok. Guarda.
– Fermi. Non caricate. – Ordina Artamiro rivolto alla lunga fila di Lupi-Drago che si preparano a correre incontro al nemico. Non può vedere lo sguardo perplesso dei cavalieri ma può facilmente immaginarlo: un gruppo di cavalieri non può affrontare un nemico da fermo come i fanti.
Dopo qualche istante un ordine secco dell'Ufficiale dei Lupi fa quasi sorridere il Re: il piccolo gruppo di soldati scende da cavallo per affrontare il nemico a piedi.
In un attimo i Lupi formano un cuneo a doppio rango, nel quale la seconda fila regge in mano le lance, mentre la prima è armata con le gries. All'interno del cuneo il Re ed i suoi cortigiani, tuttora a cavallo, osservano affascinati ed inorriditi la calma glaciale dei Lupi, silenziosi come se fossero ad un'esercitazione.
Dugg-Dak! – Ripete l'ufficiale, mentre già le prime file dell'armata nemica emergono dalla nebbia. Nei secondi eterni che precedono il contatto Artamiro riesce a fare almeno una dozzina di riflessioni, di cui la più bizzarra è che si trova lì, pronto ad essere massacrato in una battaglia tragicamente impari, per inseguire le frasi enigmatiche di un Erbano, una creatura della quale, come tutti gli uomini, ignora desideri, sogni e speranze.


Artamiro si alza sulle staffe cercando di scorgere qualche particolare del nemico, ma senza successo.
La grigia fila dei nemici sembra non avere volti e corpi definiti. Ad un primo sguardo gli sembra di riconoscere spade, lance, archi, scudi, elmi dagli alti pennacchi che ad un secondo sguardo scompaiono confondendosi nell'intrico dei corpi e delle forme. Un forte profumo di incenso e di alloro, paradossale in quella circostanza, proviene dalle file del nemico e in quell'attimo Artamiro si rende conto che da loro non proviene alcuna voce né alcun respiro, come da un'infinita adunata di ombre.
Artamiro guarda verso il vertice del cuneo: la lunga fila di guerrieri ha già superato i primi Lupi, come se fossero essi stessi fantasmi e avanza ancora verso di lui. "Attento Eit'Corok, non si vede solamente con gli occhi." Ricorda Artamiro e quasi senza accorgersene le sue palpebre si chiudono.
Il suo sguardo, liberato dal corpo, sembra navigare nell'aria sopra la grande piana, come quello di uno spirito o di un Dio. Sotto di lui la prateria che ha appena attraversato, illuminata da un sole freddo acceso di una luce rossa e sanguigna, si è trasformata in un'arida spianata, coperta da uno strato di una materia simile a vetro affumicato, dai bagliori sopiti e crudeli. Il fiume che la bagnava è un incavo secco e rossastro come una ferita non curata e nel suo letto fischiano rabbiosi aridi venti che non portano con sè sabbia ma cristalli sottili che velano a tratti la luce dolorosa del sole.
In quel paesaggio da incubo avanzano senza speranza poche creature, irriconoscibili. Un istante dopo, come avviene nei sogni, lo sguardo di Artamiro si posa su una di loro. Il volto della creatura è coperto da quei sottili cristalli ed al posto degli occhi, come nelle maschere, vi sono due buchi attraverso i quali il Re vede un frammento di cielo giallastro, attraversato da nubi scure e sottili.
La creatura avanza senza vederlo, barcollando ed i suoi abiti, poco più che stracci, si agitano sul suo corpo come fossero appesi ad un sottile sostegno di legno. Artamiro, incapace di sostenere ancora quella visione, riapre gli occhi di scatto. Davanti a lui un grigio cavaliere dell'armata di fantasmi alza lo sguardo verso di lui, mostrando le orbite vuote e gli occhi fatti di nebbia.
Lo strano esercito impiega quasi un'ora per superarli e quando anche l'ultima fila è passata la nebbia si alza all'improvviso.
La luce del sole di metà pomeriggio li abbaglia improvvisa ed i colori dell'erba, del cielo appaiono loro troppo forti, come dipinti da un cattivo pittore.
Eit'Corok avete veduto? – Il Silvano è il primo a riprendersi dalla visione. – Avete veduto il Grande Sogno?
Artamiro, rigido sulla sella del cavallo, non risponde. Per un tempo infinito i suoi occhi hanno veduto gli strani volti degli spettri: un volto solo ripetuto all'infinito come se tra le ombre non esistesse più alcuna differenza, alcun passato.
– Ho veduto. Un potente sortilegio. – Dice infine Artamiro.
Il silvano scuote il capo lentamente. – Non esistono maghi capaci di tali visioni. Tu, tutti noi abbiamo Veduto.
– Cosa abbiamo veduto, Dubro? Lo sai tu forse? – La voce del Duca Rossiter è stridula, rabbiosa.
– Non era magia dunque questa visione capace di confondere e terrorizzare le menti? Cos'era allora? Cos'erano allora quegli spettri che hanno marciato tra noi e sono evaporati come l'acqua di una teiera?
– Non lo so. Forse Kadh.
– Cos'è il Kadh? – Chiede con voce sommessa Artamiro.
A rispondere non è il Silvano, ma Liest Tamu Hiniun. – Il Kadh è per gli Erbani ciò che i nostri Maghi chiamano il Mondo-Tra-Molti-Istanti. Il mondo impossibile, il mondo non nato e non creato che cerca di divenire reale quanto il nostro. Il Luogo senza Memoria e senza Domani, dove nulla è possibile perché tutto è possibile. Il mondo che talvolta ci fa visita attraverso i Sogni, il cui vero nome è follia.
– E perché, perché mai questo Mondo ha scelto questi tempi per venire tra noi? – Chiede Re Artamiro.
– Non c'è un perché alla follia, Volontà. – Replica asciutto Tamu Hiniun.
– Saremo Io-Noi a combattere per primi, Eit'Corok, come è stato mille altre volte. E come tutte le altre volte rischiamo di non vincere. – Aggiunge Dubro, e la sua voce ha subito uno strano cambiamento, come se insieme a lui parlassero tutti i fratelli Mobili ed Immobili del vasto orlo del mondo. – Devi sapere, Eit'Corok, tu hai giurato.
Artamiro annuisce. Ricorda il giuramento fatto di proteggere i Fratelli-Immobili, il giuramento che gli permette di possedere una guardia formata interamente di Silvani.
– Ricordo, Dubro. Ma sono debole e solo.
– Lo so, Eit'Corok.
Dopo un secondo di silenzio il Re solleva il capo. – Torniamo indietro.