
Nonostante l'immagine non odio il Natale. Anche perché, essendo libraio, mi dà da mangiare e sputare nel piatto eccetera non solo non è di buon gusto ma non è nemmeno intelligente.
La mia amica Francesca diceva che il Natale ha di buono la famiglia e, negli incontri di famiglia, il tentativo che più o meno fanno tutti di comportarsi amabilmente. È abbastanza vero, anche se debbo dire che alcuni dei litigi familiari più epici che ricordo sono avvenuti in occasione delle festività. Già, perché a volte è proprio la lontananza a tenere sotto la cenere certi fuochi.
Natale è una delusione.
Leopardiamente parlando ha di bello ciò che lo procede: l'attesa e la preparazione. Il «viaggio» e non la destinazione. Di per sé il 25 dicembre è un giorno nel quale si finisce per mangiare comunque troppo - per noia o per albagìa - si è obnubilati fin dalle prime ore del pomeriggio e si tira sera con una vaga nausea - fisica ed esistenziale. Il giorno di Natale ha qualcosa di malinconicamente definitivo, è una metafora o, meglio, un'immagine della nostra condizione. È la delusione perfetta, socialmente accettata e tollerata.
E tutta la kermesse ultraconsumista che lo precede? Non sarà responsabile in qualche modo di questa condizione? Come qualsiasi cosa troppo desiderata che si rivela in definitiva una delusione?
Certo, certo. Come no.
Posso essere d'accordo per pigrizia mentale, ma in realtà non sono un francescano di ritorno né un teodem. Penso che un essere umano medio in condizioni standard faccia ciò che è in suo potere per vivere meglio possibile, divertendosi e viziandosi e cercando di garantire le stesse condizioni ai suoi eredi. Il guaio è che il pianeta non può offrire questa ricchezza a tutti, ai sei miliardi e passa di bipedi che lo abitano. L'abbiamo capito da poco e ho timore che i prossimi decenni avranno qualcosa di sinistramente simile all'ultima mezz'ora del film «Titanic» (quello di Negolescu, con Barbara Stanwyck e Robert Wagner, che avendo visto da bambino ricordo molto meglio) ossia un affannarsi a cercare di trovare un posto sulle scialuppe di salvataggio. Ovvero a cercare di salvare il proprio allegro angoletto in un mondo dove le risorse diminuiscono troppo rapidamente.
Nulla di più facile che le strippate natalizie - con rincorse a regali e soldi sprecati - tra un paio di decenni siano soltanto un ricordo disperato, di quelli che si raccontano a bimbi increduli.
Quindi godiamoci in santa pace la nostra malinconia da post-coitum, prendiamo nota da subito che quei tempi sono finiti e mettiamoci una pietra sopra. Se non altro saremo stati dignitosi senza diventare bigotti come certi fondamentalisti.
