14.5.19

Il Mare Obliquo 8

Mentre il viaggio di Usif-Lizhi continua, sia pure con qualche problema, nella Rocca di Wessiun Dama Lie Maldanea, una giovane syerdwin non esattamente comune, discute con Difiduanna per l'arrivo di qualcuno destinato a cambiare profondamente la sua vita.
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Un lontano brusio di voci e rumori metallici, appena distinguibili dall'eterno boato delle onde lo scuotono. Usif-Lizhi, la mente vuota e levigata come uno specchio scuro fissa lo sguardo verso il limite dell'orizzonte. Ora riesce ad udire il delicato, liquido fruscio prodotto dalla prua di un'altra nave che fende le acque, navigando verso di loro. Forse la curvatura dell'orizzonte o le lontane foschie gli impediscono di distinguere le luci o forse… I pirati: lui, in quanto notturno ne ha una conoscenza del tutto teorica, per averne letto nella biblioteca di Adwina, a Casa Oresme.
Suo malgrado sottilmente eccitato Usif-Lizhi aguzza maggiormente l'udito per riuscire a distinguere qualche frase o suono che diano sostanza al suo sospetto. Nulla da fare, la distanza è eccessiva persino per lui. Quanto saranno lontani? Il Notturno, poco abituato a calcolare le distanze su una superficie piana e liscia come quella marina si sforza di vedere con gli occhi della mente un sentiero che attraversa il grigio mare unendo la sua nave a quella dei pirati. «Almeno trenta miglia.» Conclude, poco convinto.
Appollaiato in punta all'albero di maestra la vedetta scruta il mare, ben lontano dall'udire quello che lui riesce ad udire. O forse dorme, pensa Usif-Lizhi, che la dimestichezza con gli uomini ha reso più comprensivo verso i loro difetti ed insieme più caustico.
Dopo un quarto d'ora il rumore si è fatto più netto ed i sospetti di Usif-Lizhi si sono fatti più netti e precisi. Non manca molto all'alba e probabilmente la nave pirata spera di piombare loro addosso, quando, appena svegli e disorganizzati, non sarebbero in grado di difendersi efficacemente.
Ora riesce a vederlo: un veliero non troppo grande dalla forma agile e veloce, senza luci a bordo, che naviga confuso nei sottili vapori che la vicina alba solleva dalle acque.
Un piccolo brivido di avvertimento gli ricorda che non è lontano il momento in cui fuggire dalla luce del sole, ma il Notturno decide di ignorare l'avvertimento del suo corpo e continua a scrutare la superficie marina.
Quasi insensibilmente il colore del cielo vira dal nero vellutato della notte al grigio dei minuti che precedono l'alba ed in quel grigiore indistinto scruta lo sguardo di Usif-Lizhi, combattuto tra gli avvertimenti del suo corpo e la lealtà che sente verso i suoi compagni di traversata.
– Ehi, di vedetta!
– Cooosa c'eeeè? – Risponde l'uomo.
– Là, a sinistra, una nave pirata.
La vedetta non replica, ma Usif-Lizhi lo vede afferrare il cannocchiale e scrutare il limite dell'orizzonte. Un attimo dopo un possente urlo sveglia la nave: – I PIRATI!!!!
Nel caos di uomini e gu'hijrr che si rovesciano sul ponte Usif-Lizhi si avvia barcollando verso la sua cabina, gli occhi doloranti ed il corpo attraversato da un cupo malessere.
Usif-lizhi arriva nella sua cabina con l'aiuto di Kirzil e di altri due marinai mentre il bordo dorato del sole oltrepassa la cortina di acque e la Tidal con tutte le vele spiegate si allontana dalla minaccia dei pirati.
– Come sta, mio signore? – Gli chiede Kirzil Pennarossa, una volta adagiato sul letto l'esausto Notturno.
– Sto benissimo. – Usif-lizhi, anche più pallido del solito, sorride a labbra strette e afferra la mano del Gu'Hijirr.
– Siete stato molto imprudente, signore, dovevate avvisare la vedetta e tornare nella vostra cabina.
Il Notturno fa segno di no con il capo. – Dovevo aspettare che anche voi li poteste vedere, altrimenti non mi avreste creduto e sarebbe stato tutto perduto.
Il comandante della nave, Eak Liddhen, entrato nella cabina proprio in quel momento annuisce – Dormite bene, Signore Usif-Lizhi. E grazie.– Il notturno fa un cenno vago del capo e chiude gli occhi.


Mentre salgono i gradini verso il ponte Kirzil Pennarossa osserva: – Senza i suoi occhi saremmo già in bocca ai pesci, lo sai Eak?
Il comandante annuisce gravemente. – Questo non basterà a togliermi la sensazione che sento tutte le volte che lo vedo, ma almeno, sacri dei, ho un buon motivo per nasconderla. Non è vero?
– Ben detto. Sarebbe ottimo avere uno di loro su tutte le navi, non è vero?
– Dev'esserci qualcosa di veramente grave a spingerlo. Io non ho mai sentito di uno di loro che sia salito su una nave, e tu?
– Nemmeno io. – Il Gu'hijirr esita un istante, scuote il capo e conclude. – Sono strani tempi, Eak, e ancor più strani ne verranno.




La pioggia cadeva da alcuni giorni: sottile, grigia, eterna, velando di umidità argentea il bosco appena oltre il viale e penetrando ovunque nelle stanze della rocca, fredde e scure, e lasciando la traccia del suo passaggio: odore di muschio e di vecchie stoffe bagnate.
Dama Maldanea di Wessiun aspira felice quegli aromi mentre attraversa i lunghissimi corridoi della rocca. Avvolta nei suoi lunghi veli verdi e argento, che esaltano il pallore del suo volto di Syerdwin, fa trasalire i membri umani della servitù, che appena la vedono scomparire alle loro spalle fanno scongiuri e rozzi incantesimi e proseguono borbottando ed imprecando a bassa voce verso le loro destinazioni.
Dama Maldanea ode le loro parole ed indovina i loro gesti, ma non si adira per quel buffo comportamento. La diverte, anzi, in una maniera riprovevolmente infantile, vederli sobbalzare quando li incontra ad una svolta e sentirli maledire a bassa voce la sua gente.
Gli uomini, coloro che non conoscono Cambiamento, che temono le acque e la solitudine, che non sanno tacere né ascoltare, che confondono le ombre con la realtà, la realtà con i desideri ed i desideri con le paure la affascinano, la incuriosiscono.
Il suo vecchio Aio, Corcodiun, Cambiato ad una età molto veneranda, dopo aver visto migliaia e migliaia di suoi coetanei Cambiare, fino al punto da pensare di essere un Moeld, un Sempre-Uguale, le aveva insegnato a diffidarne, ma anche a studiarli con attenzione. «Gli uomini erediteranno il grande cerchio del Mondo, Debah, e noi cesseremo di Cambiare. Così sta scritto.»
La chiamava con il suo nome di Allieva, il nome che al termine della sua istruzione nessuno avrebbe più usato con lei. Ora, da un paio d'anni divenuta
Maldanea, si sente ancora molto Debah, una Debah molto più libera di parlare e di intromettersi, di curiosare e dire ad alta voce le sue idee.
Nessuno della sua gente ha l'abitudine di uscire dai propri appartamenti se non la notte per la Cerimonia della Marea, tanto meno lì, molto lontani come sono dalle loro isole, nessuno tranne lei.
Al termine del corridoio che sta percorrendo c'è l'uscita per le scale della Torre del Simileun, dai gradini stretti e ripidi.
Non le è vietato raggiungerla e salirla: ormai per Dama Maldanea non esistono più divieti ma azioni più o meno sconvenienti. Nel novero di queste sono ovviamente comprese tutte le azioni che richiedono uno sforzo fisico non essenziale per uno scopo ben preciso, il tipo di cose, insomma, che Debah adora fare.
Una porta massiccia, di legno rosso non lucidato la separa dal terrazzo che conduce alla torre. Un ultimo scrupolo trattiene la mano appoggiata sulla maniglia di metallo nero.
«Dama Maldanea non sale le scale di corsa. Non guarda la pioggia dalle feritoie della torre tutta da sola. Non ascolta il rumore delle gocce sulle vecchie tegole della torre e non spia le civette. E tanto meno parla con loro.» Si dice a bassa voce. «Che creatura noiosa questa Dama Maldanea.» Commenta dopo un attimo aprendo la porta ed uscendo sotto la pioggia.
Prima di salire alla torre sosta per un attimo a guardare giù dai tetti resi lucidi dall'acqua. Si abbassa il cappuccio dal viso esponendolo alle gocce, delicate come piccole carezze. Oltre il bordo dei tetti il verde della radura, che sembra brillare di luce propria, contrasta con il buio umido della foresta. Guarda con una punta di inquietudine Il suo cupo intrico, la sua finta quiete, simile a quella del selvatico che raccoglie le forze per colpire. 


Non esistono quasi gli alberi sulle loro isole, solo l'erba bassa, l'erica e le rocce coperte di muschio e licheni. I boschi si trovano dall'altra parte del breve mare che li separa dagli Uomini. Il suo Aio Corcodiun era uno dei pochi Syerdwin che conoscesse la botanica e riuscisse ad sostare in un bosco senza farsi venire il batticuore ed un'irragionevole paura. La cosa gli era stata più volte di vantaggio, soprattutto quando voleva evitare qualche incontro poco gradito.
Quando era ancora Debah lei lo aveva seguito in qualcuna delle sue escursioni, sfidando la paura e la sensazione di soffocare che le dava l'intrico dei rami scuri sopra la sua testa, anche se non era mai arrivata a condividere l'entusiasmo del suo maestro quando si imbatteva in una forma di vita sconosciuta o in una traccia che non sapeva ricondurre a nessuna specie nota.
Un movimento al limite del bosco, colto con la coda dell'occhio, la allontana dai suoi ricordi. Si tratta di una carrozza scortata da una ventina di cavalieri ed altrettanti fanti, vestiti di un lungo mantello grigio dall'orlo nero che risale al centro della schiena a formare il disegno di una T rovesciata. «Questioni di guerra» Decide Dama Maldanea, che di quella guerra tra i due Grandi Re degli Uomini non si è mai curata, disapprovando, senza averlo mai dato a vedere, il coinvolgimento di loro Syerdwin in quel pasticcio.
«Chissà chi viaggia in quella carrozza?» Si chiede oziosamente, quasi a cercare una scusa per rimanere lì sotto la pioggia. La carrozza si avvicina velocemente al fossato scavato davanti al castello, fino a scomparire sotto il bordo dei tetti.
Nell'avvicinarsi Dama Maldanea riconosce la stessa T rovesciata, nera su fondo grigio, dipinta sugli sportelli della carrozza. Dalla sua posizione non riesce più a vedere nulla ma ode, attraverso il delicato scroscio della pioggia, il rumore del portone aperto ed il rotolare delle ruote fasciate di metallo sull'assito del ponte.
Dopo essersi sporta un paio di volte Maldanea, ormai definitivamente tornata Debah, fa le spallucce ed abbandona la sua postazione marciando verso la torre.
Mentre sale i gradini resi viscidi dall'umidità, nel buio solo a tratti illuminato dalla fioca luce di una feritoia profondamente scavata nel muro, la Dama Syerdwin sembra contrariata e procede veloce, senza nemmeno godersi fino in fondo la sua piccola trasgressione. Quando arriva in cima alla torre, nella piccola stanza circolare subito sotto il tetto, ha un po' di fiatone, gli abiti in disordine ed il viso ornato di segni scuri, lasciati dalla mani che ha passato sui muri per mantenersi in equilibrio.
– Ehi, ci siete? – Chiede appena spuntata sulla piattaforma.
Dal buio della stanza una voce acuta e molto composta risponde: – L'avete fatto ancora, Dama Maldanea.
L'interpellata ride a bassa voce. – Mi annoiano tanto le altre Dame, cara Diffy. E poi è così bello qui.
– Non è bello. È freddo ed umido. E poi il mio nome è Difaduanna, cara la mia Syerdwin.
– Hai ragione. Posso sedermi?


L'interlocutrice di Debah apre le ali e si posa su un vecchio mobile di legno scuro abbandonato nella stanza della torre. Ruota la testa per mettere a fuoco l'immagine e dopo un attento esame ruota la testa contro il muro.
– Non fare così, Diff…Difaduanna, lo sai che mi fai impressione.
La civetta non si volta e commenta. – Anche voi fate impressione, Dama, anche se non per gli stessi motivi.
– Se non mi chiami Debah io continuerò a chiamarti Diffy. –
La civetta si volta di colpo con gli occhi spalancati. – La tua educazione, Debah, mostra sempre più ampie lacune, devo constatare. Da cosa fuggivi questa volta?
La syerdwin si siede su un mucchio di paglia, dopo aver raccolto l'ampio abito intorno ai fianchi, gesto che provoca un altro moto di disapprovazione della civetta, e spiega.
– Non un motivo particolare. Ma adesso che ci sono ospiti ne ho a bizzeffe, penso. Le mie zie mi staranno sicuramente cercando, in questo momento, per andare a salutare il cortese ospite del castello: «T rovesciata».
– Come hai detto?
– Il nome non lo so. È arrivato poco fa e l'unica cosa che so è che sulle porte della carrozza ha un simbolo che sembra una T rovesciata. Ha quaranta uomini di scorta, un numero abbastanza impressionante, non credi?
La civetta alza la testa di scatto come se si fosse ricordata improvvisamente di una minaccia sospesa sulla sua testa.
– Cosa non ti piace, Diffy?
– Hai detto una «T», vero?
– Proprio così.
– Teardraet, non ti dice nulla questo nome?
– Non credo.
– Pronuncialo al contrario, dall'ultima lettera alla prima.
– Vediamo T…E…A…R…Ho capito, Diffy! Che nome curioso, si legge anche rovesciato.
La civetta apre le ali e scuote nervosamente la testa. – Crede di essere spiritoso, evidentemente.
– Ma chi è?
– Non ne te ha mai parlato il tuo Corcodiun? Per molto tempo è stato molto più di un problema per voi Syerdwin.
Debah fa un gesto vago con la mano. – La storia non è mai stata il mio forte, Diffy. Ad essere sincera mi interessavano solo le storie dove i protagonisti erano eroi solitari votati ad una causa nobilissima, mentre le storie di guerra e di complotti, le successioni, gli usurpatori, le congiure mi annoiavano molto e dimenticavo subito i nomi di gente così spregevole.
– Male, in questo caso ricorderesti Teardraet il Sempre-Uguale, Conte-Mago delle Isole Baran e di Verhida.
– Diffy temo che tu stia per insegnarmi un po' di storia. Non credo che resisterò a lungo. – La syerdwin estrae da una profonda tasca dell'abito uno specchio di metallo lucidato e se lo pone davanti al volto. – Dio d'Acqua, ma hai visto la mia faccia? – Esclama dopo un istante.
Difaduanna la guarda aggrondata e preferisce non fare commenti. Debah la spia, fa un grave cenno di assenso e estrae dalla stessa tasca un fazzoletto che comincia a passarsi sul volto. In Debah la linea sottile e lunga del viso, tipica dei Syerdwin è meno pronunciata ed il suo naso volto all'insù ha una curva meno netta, quasi graziosa. Le sue labbra hanno una tiepida tonalità di grigio rosato e non hanno l'aspetto scuro e coriaceo di molti altri della sua razza e così i suoi occhi, grandi e profondi, che non sembrano vuote pozze di oscurità come quelli di altri syerdwin.
– Sono pronta Difaduanna, annoiami pure.

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