Come forse qualcuno avrà intuito ho passato la scorsa settimana e buona parte di questa in montagna. Non per altro, essenzialmente per riuscire a sopravvivere all'infernale caldo urbano. E non mi ha migliorato l'umore aver appreso da Tecnobarocco di Mario Tozzi, che nell'ambiente cittadino, grazie al traffico di automobili e al condizionamento d'aria, la temperatura media è di 3-4° più alta anche semplicemente che in zone di scarsa urbanizzazione...
Resta il problema dei contatti a mezzo internet, ovviamente ridotti a un livello minimo in ambiente montanaro. Ma forse il tutto non è poi così negativo, anche perché ho trascorso il mio tempo a leggere e nella valutazione di alcuni manoscritti che mi sono portato dietro. L'uno è Il Fantasma del Mare Imbrium proveniente dall'instacabile Paolo S. Cavazza, l'altro è Iaxelin, un testo fantasy affidatomi da una gentile fanciulla [*].
Non azzardo alcuna valutazione, dal momento che il lavoro sui testi è tutt'altro che terminato, ma mi hanno colpito alcuni aspetti sul lavoro di editing sui quali forse merita riflettere.
Il lavoro di editing, innanzitutto, è uno strano genere di lavoro che teoricamente dovrebbe condurre da un testo grezzo a un testo pronto per la pubblicazione.
Dovrebbe segnalare all'autore i difetti formali – come la pura e semplice ortografia, la grammatica, i generi, i tempi, le persone, le ripetizioni, fino alle apparenti banalità come nomi e cognomi dei personaggi – ma anche le debolezze nella vicenda, le aporie caratteriali dei personaggi, le ambiguità della vicenda, la povertà o la sovrabbondanza delle ambientazioni, l'elàn eccessivo della vicenda o la sua insanabile/ intollerabile lentezza. Segnalare le lungaggini o la povertà formale del testo, valutare se l'intreccio funziona o meno, sottolineare le cadute e i punti forti, il tutto cercando di mettere il silenziatore al proprio personale gusto, evitando di trasformare le vicende in un modo che maggiormente mi aggradi – che aggradi me e non l'ipotetico lettore – modificare i personaggi in una maniera aderente allo stile e ai modi dell'autore e non procedendo in modo che sembri probabilmente solo a me più efficace. Cercare di calarmi nei panni dell'autore, dell'ambiente e della situazione creata, in definitiva.
Un lavoro defatigante se condotto con un minimo di onestà, tenendo anche conto che non si può – e soprattutto non si deve – risultare sbrigativi o brutali con gli autori, sottovalutare lo scopo ultimo del loro scritto o ridicolizzarne le intenzioni. Qualunque variazione non va imposta ma discussa, punto per punto. Cosa ancora più complessa se si tiene conto che praticamente tutto il lavoro va condotto via e-mail o a mezzo FB.
Già, ma a me che cosa ne viene, da tutto questo lavoro?
A parte le possibilità ricadute in termini di editoria, ovviamente.
Beh, non è facile tirare le somme di un lavoro così altamente dispersivo e di esito incerto, ma sono convinto che in definitiva possa essere utile all'editor come all'autore. E non parlo di idee rubate o simili fregnacce da novellino ma di lavoro ad alto ingrandimento su un testo.
Leggere un testo ad alta voce, ripetere un passaggio che non convince, cercare un sinonimo-che-non-è-un-sinonimo ma quasi, tagliare una larga parte – lavorare su PC lo permette – e vedere l'effetto che fa o magari spostarlo altrove o anticipare l'intervento di un personaggio o ritardarlo o eliminarlo. Tutti lavori che si fanno scrivendo e, nello stesso modo, li si fa lavorando su un testo altrui.
Ma a colpire davvero sono i grandi interrogativi: «Ma perché hai scritto questo testo? Qual è il suo significato? La sua funzione? Il suo scopo – sempre che abbia senso attribuire uno scopo a un testo? A chi si rivolge?
Tutte domande che, prima o poi, ci si è rivolti o che sarebbe bene porsi.
Comunque.
[*] Nel nome di una malconsigliata parità Silvia ha da leggere altri due-tre testi...
Un lavoro defatigante se condotto con un minimo di onestà, tenendo anche conto che non si può – e soprattutto non si deve – risultare sbrigativi o brutali con gli autori, sottovalutare lo scopo ultimo del loro scritto o ridicolizzarne le intenzioni. Qualunque variazione non va imposta ma discussa, punto per punto. Cosa ancora più complessa se si tiene conto che praticamente tutto il lavoro va condotto via e-mail o a mezzo FB.
Già, ma a me che cosa ne viene, da tutto questo lavoro?
A parte le possibilità ricadute in termini di editoria, ovviamente.
Beh, non è facile tirare le somme di un lavoro così altamente dispersivo e di esito incerto, ma sono convinto che in definitiva possa essere utile all'editor come all'autore. E non parlo di idee rubate o simili fregnacce da novellino ma di lavoro ad alto ingrandimento su un testo.
Leggere un testo ad alta voce, ripetere un passaggio che non convince, cercare un sinonimo-che-non-è-un-sinonimo ma quasi, tagliare una larga parte – lavorare su PC lo permette – e vedere l'effetto che fa o magari spostarlo altrove o anticipare l'intervento di un personaggio o ritardarlo o eliminarlo. Tutti lavori che si fanno scrivendo e, nello stesso modo, li si fa lavorando su un testo altrui.
Ma a colpire davvero sono i grandi interrogativi: «Ma perché hai scritto questo testo? Qual è il suo significato? La sua funzione? Il suo scopo – sempre che abbia senso attribuire uno scopo a un testo? A chi si rivolge?
Tutte domande che, prima o poi, ci si è rivolti o che sarebbe bene porsi.
Comunque.
[*] Nel nome di una malconsigliata parità Silvia ha da leggere altri due-tre testi...