30.12.12

I miei cattivi propositi per l'anno nuovo


Era un'idea di mia figlia, «Scrivere i propri buoni propositi per l'anno in arrivo e leggerceli ad alta voce». Un'idea non male, soprattutto tenendo conto che dichiarare apertamente le proprie intenzioni per l'anno nuovo ci avrebbe reso assolutamente ricattabili. «Ma come, fai questo? Dopo aver promesso che... » 
Mi ricordo che sul momento fui assolutamente d'accordo e in seguito mi sedetti davanti al pc, facendo appello alla mia semidimenticata anima innocente, cercando di allineare qualche pensiero positivo e costruttivo. 
Mi sedetti e...
Mi sedetti...
Meditai, presi qualche nota, abbozzai qualche promessa. 
No, niente da fare. Conosco abbastanza bene i miei difetti più evidenti da sapere per certo che dichiarare di potermene liberare definitivamente sarebbe stato mentire per la gola. Quanto ai difetti più inattesi e curiosi - ho una paura fottuta a salire su qualunque torre o campanile con scala a chiocciola e poi guardare giù - erano talmente improbabili da non meritare nemmeno una smentita. E i miei difetti ignoti anche a me stesso... beh, in fondo in famiglia è considerato particolamente sexy riconoscerli e presentarmeli con la soddisfazione del cacciatore paleolitico che porta a casa il bue muschiato per i bambini.
Quindi, dopo attenta riflessione decisi di presentare 7 difetti 7 particolarmente spregevoli, censurabili e disprezzabili, promettendo alla famiglia di non cadere mai in tali orripilanti perversioni.  
Di seguito le mie «7 pessime intenzioni 7» per l'anno nuovo:

1) Ubriacarsi a serate alterne con l'ausilio di liquori dolciastri e di dubbia origine. Una volta raggiunta la completa ebbrezza raccontare particolari perturbanti ma assolutamente inventati della mia vita di marito e padre. In seguito vomitare sul pavimento e dormire in canottiera. 

2) Fumare tabacco, peyote, marijuana e quant'altro si presti a inalazione fino al completo stordimento. Al momento del recupero dei sensi scuotersi e accusare con voce stentorea i presenti di avermi fregato il portafogli. 

3) Tradire la moglie con donne casualmente incontrate, anche poco gradevoli fisicamente, e tradire la figlia con altri ragazzi, bambini, giovani diseredati, barboni ed ex-tossicodipendenti, presentandoli come i propri veri figli miracolosamente ritrovati.        

4) Mangiare qualsiasi cosa di presti alla masticazione e deglutizione; in particolare carne cruda o semicruda, salumi assortiti anche scaduti da tempo, formaggi grassi e semigrassi, aglio, cipolla, cetrioli, peperoni crudi. Il tutto condito con maionese rigorosamente non dietetica, olio, burro, strutto, sugna e fondi d'arrosto. Per evitare un troppo rapido impinguimento fornirsi di un emetico efficiente. 

5) Ingoiare tutte le pastiglie e i preparati medici immediatamente disponibili, senza trascurare la pillola anticoncezionale se casualmente ritrovata. 

6) Fare telefonate alterando la voce e fingendo di essere un precario di Vodafone/Tim/Wind/Fastweb/Folletto /ENI/ Club del libro. Sostenere di aver chiamato in base alla possibilità di comunicare con Madre/Figlia sicuramente interessate alle offerte che verranno presto presentate. Ignorare il turpiloquio e cercare di piazzare la fenomenale offerta.

7) Sostenere personalmente e fare propaganda al Silvio Nazionale, imparando tutte le parole di «Meno male che Silvio c'è»




I miei cattivi propositi piacquero particolamente, tanto più quando dichiarai che a questi sette punti mi sarei costantemente ispirato per fare l'esatto contrario. 
...
Ma oggi è domenica!
Già.
Quindi vado con un gruppo particolarmente adatto alla vigilia dell'ultimo dell'anno, i Pogues.
Lo so, il pezzo non è particolarmente allegro, ma questo è giusto uno dei miei difetti. 
Buon anno a tutti, uno per uno e complessivamente.
O perlomeno migliore dell'anno prossimo alla fine. 

  

   
      

23.12.12

No, non ora, non qui


Seconda occasione per presentare un autore italiano, ma anche questa volta qualcuno di assai poco normalizzabile e ancor meno facilmente presentabile. 
La mia passione per Giovanni Lindo Ferretti e i CCCP, divenuti poi CSI, è un sentimento solitario, in parte oscuro anche e me stesso. La scelta delle parole che tagliano, incidono, maledicono la musica ha qualcosa di assolutamente unico e personale. Giovanni Lindo Ferretti conosce le parole per parlare a tu per tu con Dio e sentirlo dichiarare la sua stima per Benedetto XVI me lo rende più curiosamente vicino, quasi un fratello dimenticato, con il quale tutte le scelte sono stati differenti ma per il quale non si ha un solo motivo al mondo per dubitare della sua assoluta, rabbiosa rettitudine
Ed è della rettitudine che abbiamo disperatamente bisogno.
...
Depressione Caspica, dall'album dal vivo A Cuor Contento:



     

22.12.12

M.A.d.u.L.p. 9

Una puntata particolare. 
Rileggendola ho avuto la netta sensazione di parlare di un «adesso» interminato, di un luogo dell'anima e dei pensieri che non vuole ancora morire. Un post che, curiosamente, sembra parlare del natale in corso, in coda per diventare il fantasma del natale passato
Ma Uncle Scrooge era davvero poca cosa rispetto ai Papa Song dei nostri tempi. 



Questo capitolo delle Memorie Anticipate potrà sembrare un po’ diverso dai precedenti.
Forse un po’ più personale e meno legato alla mia professione e alla lunga storia del mio rapporto con essa e con i miei ardui tentativi di «vestirla» e interpretarla. Nasce da osservazioni e pensieri che mi accompagnano da tempo.

Non è né vuole essere una matura riflessione o un ponderato bilancio. Soltanto la descrizione di una sensazione, di una sfumatura d’umore, di uno spleen da attribuire, forse semplicemente, all’età.

Infatti con il passare degli anni è sempre più difficile e arduo trovare il «nuovo» nel reale. Eppure può succedere. Fortunatamente esiste la possibilità di dimenticare e ritrovare, riconoscere, emozionarsi nuovamente.

Ma l’emozione è diventata una merce rara, rarissima. Forse perché per ognuno è personale o perché, come gli scherzi migliori, per riuscire ha bisogno di una lunga preparazione, di un elemento sorprendente e di un briciolo di follia. C’è sempre meno tempo e meno follia. Circolano troppe formule per il successo garantito e i lettori, gli ascoltatori, gli spettatori sono divenuti, senza eccezioni, puri e semplici consumatori.

Un frammento di memorie più personali anche nel senso che, probabilmente, tento di trovare le ragioni meno prossime delle scelte fatte e delle illusioni che mi hanno condotto a errori costati tempo, fatica e denaro.




Ho cominciato a lavorare in un’altra epoca.

Me ne accorgo quando mi capita – raramente, visti gli orari della libreria – di girovagare alla ricerca di regali o altri impedimenta. Una volta c’erano (lo so, «una volta» fa subito vecchione impanchinato che agita il bastone imprecando contro i tempi ingrati, ma qualche volta si deve pur usare)… una volta c’erano, dicevo, varie tipologie di esercizi commerciali. Non c’erano i megastore né i grandi centri commerciali dove tutto ha lo stesso odore. Di patatina immutabile, immarcescibile, incorruttibile.

Se cercavi qualcosa avevi soltanto da camminare per le strade, non c’era altra possibilità. Magari finivi in una di quelle videoteche – ormai scomparse – dove, in qualche angolo, si potevano trovare capolavori della cinematografia o esilaranti B-movies a £ 9.900. Ma le videoteche selvagge e disordinate erano soltanto una delle possibilità. Sono sempre stato attratto dai negozi caotici e, a un primo sguardo, quasi dilettantistici. I luoghi dove potevi passare il tempo a spostare, guardare, confrontare e dove le scoperte non mancavano mai: vecchio libro, film semisconosciuto, LP o CD di autore poco noto o decisamente ignoto, complemento d’arredo poco convenzionale. Il complesso di Alì Babà, si potrebbe definire, in nome della famosa caverna piena di tesori. Forse è un tratto generazionale, visto che siamo stati in tanti a sognare una notte da soli in un negozio di giocattoli. Ho chiesto a mia figlia se le è mai capitato di fare un sogno di questo genere ma mi ha guardato strano e si è rimessa le cuffie del lettore MP3. Ho perso l’ennesima occasione per non denunciare la mia età.



Già nella vetrina della libreria hai individuato la copertina del titolo che cercavi. Seguendo questa traccia visiva ti sei fatto largo nel negozio attraverso il fitto sbarramento dei Libri Che Non Hai Letto che ti guardavano accigliati dai banchi e dagli scaffali cercando d’intimidirti. Ma tu sai che non devi lasciarti mettere in soggezione, che tra di loro si estendono per ettari ed ettari i Libri Che Non Puoi Fare A Meno Di Leggere, i Libri Fatti Per Altri Usi Che La Lettura, i Libri Già Letti Senza Nemmeno Bisogno D’Aprirli In Quanto Appartenenti Alla Categoria Del Già Letto Prima Ancora D’Essere Stato Scritto. E così superi la prima cinta dei baluardi e ti piomba addosso la fanteria dei Libri Che Se Tu Avessi Più Vite Da Vivere Certamente Anche Questi Li Leggeresti Volentieri Ma Purtroppo I Giorni Che Hai Da Vivere Sono Quelli Che Sono (I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore).





Ci saranno sicuramente anche altri brani di letteratura che rappresentino tanto bene il complesso di Alì Babà come questo frammento di Italo Calvino, ma io ricordo bene questo e lo trovo perfetto. Non escludo sia alla base della singolare decisione di tentare di diventare a mia volta libraio.

«Il luogo perfetto, il paradiso deve essere inesauribile», credo sia il senso giusto da dare all’esistenza del complesso di Alì Babà. Un’ansia di inatteso, di inaspettato, di sorprendente. Una montagna di ciarpame che arriva fino all’orizzonte costellata di piccoli gioielli di incalcolabile valore. Incalcolabile nel senso che non si può sapere quanto risulterà preziosa l’esperienza imprevista che ci offrono.

Certo, a correre dietro alle suggestioni della caverna di Alì Babà ci si ritrova la casa piena di delusioni, di doppioni, di oggetti che, una volta acquistati, si rivelano ingombranti e stonati. Ma anche di libri, dischi e film che spesso rientrano nella categoria calviniana dei «Libri Che Se Avessi Più Vite Da Vivere…» ma che altrove sono divenuti introvabili.

Già, introvabili.

Non soltanto per la fine naturale della loro vita commerciale ma anche per la scomparsa di quei punti vendita «caotici e quasi dilettantistici». Ne esistono ancora, per carità, ma pochi e in molti casi il raro e l’inatteso sono scomparsi, sostituiti dal semplice vecchiume mentre il ciarpame si è degradato a semplice paccotiglia.

Le videocassette o i DVD a 3 euro sono infinite copie dello stesso film insipido, del medesimo clone fantascientifico a basso costo o cartoon fallimentare. Avventure di cani pasticcioni o cronache di pruriti adolescenziali in immancabili college porcelloni, horror farciti di trippe sanguinolente e seghe elettriche. Una produzione malinconicamente puerile per ex bambini che non si rassegnano al passare degli anni. I CD musicali sono raccolte di motivi cool di due o tre anni prima. Come invecchia malamente ciò che è nato banale! A leggere certi titoli – non parliamo a risentire musiche e parole – si prova un sentimento che è quasi vergogna. Possibile che si sia anche solo tollerata questa roba…?




Com’è possibile, com’è accaduto?

È lecito, normale, ragionevole che la produzione culturale abbia finito per emulare i meccanismi di obsolescenza pianificata dell’industria della moda e della confezione? Che senso hanno canzoni da una sola estate o libri per un solo Natale?

Non è ancora del tutto così, fortunatamente, non siamo ancora al libro, al film, al CD musicale usa-e-getta.

O no?

Forse siamo già trionfalmente entrati nell’era della cultura da fast food. Molto oltre il masscult e midcult di Dwight Macdonald. C’è poco tempo per leggere, alla musica non si possono che dedicare frammenti di tempo o farne sottofondo costante (e spesso molesto) agli spostamenti in auto e anche il cinema finisce per essere incorniciato in una manciata di pollici e obbligato a regole ferree di visibilità per un pubblico il più possibile vasto e indifferenziato.

In un mondo che produce e fruisce cultura in modo spezzettato e convulso è ragionevole attendersi la lenta maturazione del capolavoro? O anche soltanto di un soggetto, di un tema. di un modo di procedere personali?

Non è impossibile, certo.

Infatti esistono ancora libri sorprendenti, musiche stimolanti, film non convenzionali, ma la loro durata nel tempo è minima, la possibilità di individuarli e riconoscerli molto più limitata, la reperibilità difficile.

«La merce non deve restare in magazzino» recita uno dei comandamenti più terribili e disumani della nostra epoca.

Le moderne caverne di Alì Babà sono basate sull’infinita, sinistra ripetizione di pochi modelli base. Il pubblico è postulato come statico, immobile, capace soltanto di pochi riflessi condizionati e facilmente inducibili. Il riso, il pianto, una blanda e innocua eccitazione sessuale, l’immedesimazione con il protagonista, un senso di giustizia elementare, il raccapriccio, la paura, la meraviglia, una tenerezza stucchevole e l’emozione amorosa in forme riproducibili all’infinito e sempre uguali a se stesse. In fondo dalle cavie non ci si attende molto di più.

Poche regole sovrintendono alla nascita dei personaggi. Inutile enumerarle: tutti le conosciamo.

Gli stessi generi letterari, musicali, filmici stanno scomparendo, sostituiti e subornati da una marmellata chiamata entertainment dove si sovrappongono e si confondono elementi del romanzo rosa, del poliziesco, del gotico e della fantascienza. Parole come contaminazione sono divenute regola cogente: il genere non può essere un ostacolo alla penetrazione commerciale. Se a qualcuno non piacciono la fantascienza o il noir «puri» sarà disposto ad accettarli in forma di contaminazione, ironica citazione, divertita parodia all’interno di un polpettone thriller-sentimentale. Il postmoderno scivola così nell’indistinto, nella fiction attentamente studiata e rigorosamente per tutti.

Nessuno si scandalizza per essere diventato una monade di un «tutti» che incarna il mercato, piuttosto che un essere senziente dotato di propri interessi, gusti, passioni e innocue manie.

Eppure è tempo di farlo, di reagire.

Di fiutare il bidone.

Sempre più spesso mi scopro a disertare i centri commerciali e i centri cittadini, a considerare con sospetto i negozi di catena e a storcere il naso davanti ai marchi. Rinunciare alla visita al negozio troppo attentamente arredato e razionalmente organizzato, al punto vendita che inalbera orgoglioso i segnali di un cool destinato a durare tra i sessanta e i centoventi giorni.

Il tempo della scadenza di una ricevuta bancaria. 


 



CS è (era, a questo punto, N.d.R.) una libreria disordinata. Anche troppo, temo. Il disordine nasce dal tentativo di rispettare contemporaneamente troppe norme. Autore, genere, tema, lingua originale, prezzo, editore, collana. Tutti elementi di un ordinamento possibile che si rivela impraticabile. Il continuo afflusso di nuovi titoli rende la definizione di un ordine ragionevole del tutto aleatoria. CS tende a divenire una grotta di Alì Babà anche al di là dei nostri sogni o desideri. O, e se si preferisce, tende naturalmente al caos, alla crescita di entropia. Le norme ferree di organizzazione di un punto vendita funzionale continuano a sfuggirci. Troppo forte la tentazione di accostare i libri suggerendo un possibile percorso di lettura, un contrasto interessante, una eco imprevedibile tra autori e temi.

Siamo ribelli perché ammalati di dilettantismo. Infatti continuiamo a credere che i libri non siano una merce come le altre.

Conseguentemente non credo sopravviveremo a lungo [1].

Ma non si può mai dire.






[1] Beh, questo articolo è stato scritto nel 2005 e la CS ha chiuso i battenti nel 2012, Sette anni non sono poi così pochi.




21.12.12

Presto, prima che il mondo finisca...


 Oggi avrei dovuto pubblicare M.A.d.u.L.p. 9. 
Avrei dovuto, se non mi avessere pinzato con il consueto, malefico meme (Goodbye cruel World), questa volta dedicato alla fine del mondo, reale o virtuale, decretata dai cattivi traduttori dei Maya. 
L'inventore di codesto meme catastrofista immagina che la fine del mondo sia a portata di voce e che sia opportuno cominciare a riflettere sui nostri ultimi momenti prima della FINE. 
Un sentito «ringraziamento» alla mia ottima amica Lady Simmons che mi ha tirato dentro questa sarabanda infernale, oltretutto a tempo, dal momento che le risposte debbono essere compilate entro il solstizio d'inverno - data si suppone prescelta dagli oscuri sacerdoti Maya -, quindi entro oggi o, immagino, domani, dal momento che il solstizio d'inverno avverrà proprio questa notte. 

 
Ma passiamo a domande e risposte: 

Con chi trascorrereste il «lieto evento»?

Beh, dal momento che si tratterebbe di un addio definitivo lo trascorrerei con mia moglie. Che è un po' ovvio, naturalmente, ma normale avendo passato una vita fianco a fianco.  Quanto a mia figlia so che avrebbe qualcun altro con il quale trascorrere i momenti finali.

Dove lo trascorrereste? 

 Sono un provinciale - nato nientepopodimeno che a Brescia -, quindi poco o per niente interessato  a luoghi stravaganti o inconsueti. La prossimità della fine mi renderebbe anche più austero e sobrio (aggettivo un po' troppo frequentato, ultimamente) di quanto già non sia. Diciamo in montagna, attendendo che la neve e il gelo facciano il loro dovere, più o meno come un orso o un puma

C'è qualcuno di cui vorresti vendicare per qualche torto subito?

No. Tutto ciò farebbe parte della mia vita prima. E comunque, anche nella mia vita di tutti i giorni, mi tengo lontano da odii inestinguibili e da rancori inesausti. Fanno più male a me che al destinatario delle mie maledizioni. E comunque, alla mia età, non ho tempo da perdere.  

C'è una persona che vorresti rivedere prima dei titoli di coda? 

Una? Sono migliaia, perduti lungo la vita. Siamo brevi e, immaginando che sia possibile in viaggio in senso inverso dal regno delle ombre, diciamo la mia gatta Dafne, in qualche modo rimasta nel mio cuore.
  
 Avendo per assurdo la possibilità di scegliere, vi piacerebbe sopravvivere in un mondo post-apocalittico? 

Certo. La prima cosa che mi viene in mente è «Noi non ci saremo» di Guccini. In secondo luogo mi viene in mente un certo libro di Matheson o un romanzo di McCarthy e sono colto da qualche dubbio, ma anche così probabilmente vorrei sopravvivere, anche per un solo giorno. Non se ne ha mai abbastanza di nuove albe

Una soddisfazione, l'ultima, da togliervi in queste ore. 

Guidare un aliante. Anche se è molto probabile che mi ammazzerei. Ma il volo silenzioso sarebbe un ottimo modo per salutare la Terra un'ultima volta. 

In previsione di un ipotetico aldilà, vi aspetta il calduccio dell'inferno o la quiete del paradiso? 

 Game over. Grazie a Dio non sono cattolico : )

Un oggetto, uno soltanto da mettere in una capsula del tempo, e che verrà ritrovato da coloro che un giorno, ma migliaia di anni, ricostruiranno la civiltà.

Qualcosa di elementare ma anche di innegabilmente umano. Uno specchio, un  nastro, un metro, un orologio meccanico, qualcosa che spinga gli eventuali posteri - magari nemmeno della nostra stessa specie - a farsi domande impreviste con esiti imprevedibili

Un'ultima dichiarazione prima di salutarci.

Non è stato male, finché è durata.




Passiamo ai destinatari del meme, tenendo conto che è piuttosto improbabile che possano rispondere in tempo: 

Silvia Treves di Esercizi di dubbio.  


Davide Mana di Strategie Evolutive 

e Nick di Nocturnia, che se ne sta per conto suo, ma non può decentemente far finta di nulla in caso di fine del mondo. 

«E perché non cinque?».
Perché se questi quattro riusciranno a rispondere sarà stato già fantastico. E comunque, dal momento che il Ragnarök Maya incombe, direi che non è più molto importante...