Che musica ascoltate mentre leggete o scrivete?
Una domanda futile, in apparenza, ma forse non poi così tanto. Personalmente ho sempre ascoltato musica in cuffia mentre scrivevo. Posso citare letteralmente un album o più album per ognuno dei pezzi a suo tempo scritti. In qualche caso il disco di sfondo era un vero tormentone, ricordo che una volta giunto al termine «Outside» di David Bowie lo rimettevo da capo, anche tre o quattro volte. Il che potrà sembrare delirante, me ne rendo conto, ma il sottofondo musicale non era ascoltato in quanto tale ma semplicemente per fornirmi un ritmo adeguato al testo che stavo scrivendo. Come è ovvio non darò giudizi sulla qualità di ciò che componevo, ma posso assicurare che alla chiusura del romanzo non ho gettato il disco dalla finestra.
Discorso quasi identico posso fare per Clutching at Straws dei Marillion, per Hounds of love e Aerial di Kate Bush (e per gli altri dischi dell'autrice inglese), per Friend's Friend's Friend e The house on the Hill degli Audience, per Starless and Bible Black e per altri dischi dei King Crimson, per 50th Windows dei Massive Attack, per Spiegel im Spiegel di Arvo Pärt, per Homogenic di Björk, per Music for Airport di Brian Eno (sei ore e passa di musica) e per altri artisti che, al momento, non ricordo. Piccola nota a margine: nonostante la mia insana passione per la Neue Deutsche Härte non ascolto praticamente mai gruppi mitteleuropei per non distrarmi nel tentativo più o meno riuscito di tradurre i testi delle canzoni, cosa che non tento di fare con i gruppi di lingua inglese.
In ogni caso un mix che mi sgomenta, anche perché fatico a trovare un filo rosso che unisca gli artisti elencati. Se infatti è relativamente facile creare un legame – gotico & romantico – tra The House on the Hill (tra l'altro un titolo che ricorda The Haunting of Hill House, grande romanzo di Shirley Jackson) e Wuthering Heights, i legami tra Björk e Brian Eno sono probabilmente molto più vaghi di quanto si possa ipotizzare.
Legami con ciò che si scrive?
Difficile dare una risposta univoca. In linea di massima inclinerei per il NO, anche perché i crescendo drammatici di alcuni pezzi non si accordano con quanto andavo scrivendo. Più efficace o presente può essere un ritmo realmente incalzante come quello di Hello Spaceboy da Outside, anche se il risultato può talvolta essere l'interrompere la scrittura per tenere il tempo col piede.
Più complessi o forse, in realtà, meglio comprensibili sono i rapporti con i brani «minimalisti» come l'interminabile Music for Airport, che si limitano a creare un tappeto musicale sul quale – mi illudo – le parole possano correre più agevolmente.
Diverso il discorso per quanto riguarda l'attività di editing o, banalmente, di correzione di testi propri e altrui, un'attività che non ammette distrazioni. Se sono solo in casa tutto bene – gatta e cana non disturbano – se non lo sono mi infilo le cuffie e ascolto musica classica del '900, in genere Terry Riley o Steve Reich. O ciò che mi propone You Tube con esiti non sempre perfettamente adeguati. Mentre leggo, viceversa, non ho bisogno di musiche di accompagnamento. Posso leggere, in realtà, anche in mezzo a una strada o con il resto della famiglia che discute, commenta o si scambia impressioni, talvolta intervenendo, anche se non sempre perfettamente a proposito, temo.
In quest'ultimo periodo ho incontrato Simeon ten Holt, compositore olandese nato nel 1923 e morto nel 2012, e in particolare con il suo Canto Ostinato per quattro pianoforti, composizione degli anni '70 che non mi stanco di riascoltare, sia nella versione per quattro pianoforti che in quella per due pianoforti e due marimbas.
A questo punto non posso che offrirvene un assaggio. O anche tutto, tenendo conto che supera l'ora di lunghezza.