28.9.19

Il Mare Obliquo 34

 
Il rapporto tra Teardraet e Lie Maldanea procede tra l'indifferenza e una curiosità reciproca inesauribile. L'incontro con un gruppo di musici è un'occasione per conoscersi un po' di più, anche se non si tratta di un'esperienza del tutto piacevole.

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Il gruppo di musici entra esitante ma con una modesta solennità nella piccola sala adornata delle armi più antiche della Casa di Teardraet, accolto dal silenzio che scende improvviso nel piccolo gruppo di cortigiani.

– Salute a Voi, Signore di Baran e Verhida, salute a Voi, Lie Maldanea di Casa Wessiun, salute e felicità a voi tutti dame e gentiluomini. – Il piccolo musico, un Boldhovin vestito con una sgargiante giubba gialla con grossi alamari, troppo luccicanti per essere d'argento, si inchina un paio di volte socchiudendo gli occhi, come se la luce delle lampade fosse troppo forte per i suoi occhi del colore del peltro.

– Grazie. Altrettanto sia per te e per i tuoi compagni.– Con serietà ironica Teardraet si inchina leggermente a sua volta. – Qual motivo vi ha spinto ad abbandonare le calde terre dell'Isola dell'Ermellino per venire a suonare sotto i cieli grigi del Nord?

– Quale ragione muove ogni creatura sotto ogni cielo? La fame, mio signore, il desiderio di tenere più a lungo possibile il corpo unito all'anima, cosa che potrà apparire volgare ai Sapienti di Dancemarare, dei quali per nostra buona ventura ignoriamo le opere.

Una risata si leva dal gruppo di cortigiani mentre il Boldhovin estrae dall'interno della giubba un piccolo flauto con il quale accenna un'aria veloce che accompagna con il movimento rapido dei piedi. Dopo un paio di battute a seguirlo è il direttore della piccola orchestra, Mastro Hàlua, un musico dalla pelle abbronzata dal sole, vestito della lunga tunica dalla rigatura sottile tipica degli Uhban. Questi impugna uno strano strumento che Lie Maldanea, che non ha mai perso di vista l'Uomo dal momento del suo ingresso nella sala, ha mentalmente definito "un'arpa a manovella con zucca". Il suono prodotto dallo strumento assomiglia al canto di un coro a bocca chiusa: a tratti nasale, esitante, in altri momenti aperto, potente, simile ad un profonda vibrazione che sorga dalla profondità della terra. Con poche, lunghe note il musico crea un potente sostegno alle scintillanti variazioni del boldhovin seguite poi dal contrappunto di un flauto ad ancia e dal ritmo cupo di un tamburo basso.

La fine dell'esecuzione è segnata da alcuni passaggi velocissimi condotti sulle scale diminuite della musica Uhba, poco nota a Nord del Drew, ed è accolta con applausi e mormorii di ammirazione da parte del piccolo gruppo di ascoltatori.

Senza nemmeno il tempo di riprendere il fiato i musici attaccano un secondo pezzo, un'interpretazione molto personale di una ballata tradizionale delle Isole del Golfo di Dwyn.

– Cosa ti sembra di questi musici? – Si china a chiedere Teardraet a Mastro Nerubavel, seduto di fianco a Maldanea, approfittando di un momento di riposo della piccola orchestra.

– Fembrano molto abili. Difgraziatamente ciò che odo io non è alla portata delle voftre orecchie e temo che renderebbe la mufica inattefa per gli fteffi mufici, fe poteffero udirla con le mie orecchie.

Teardraet sorride. – Spero che non si tratti di una sofferenza, ciò che ti infliggo. E Voi, Lie Maldanea, cosa mi dite?

La giovane Syerdwin annuisce. – Sono molto bravi, secondo il mio parere poco erudito. Molto vivaci senza essere volgari. Anche presso casa Wessiun vi era l'abitudine di tenere concerti. Più impegnativi o forse dovrei dire più inutilmente noiosi. Ma la mia opinione non è di quelle che finiscono sui libri, temo.

Le opinioni che terminano sui libri raramente sono le più interessanti, Lie Maldanea. – Commenta Aue Bediun, Ministro di Teardraet. – Per quanto mi riguarda direi che questi musici hanno abbondamente meritato alcuni buoni pasti ed una piccola scorta di denaro per i tempi difficili.

Teardraet non risponde alle frasi del suo ministro, improvvisamente serio, come se un ricordo molesto l'avesse allontanato da lì. 

 

Maldanea osserva per un attimo il volto del marito senza stupore per poi rispondere con un cortese cenno di assenso alla proposta di Bediun. Ormai ha imparato a non provare più ira o smarrimento per i bruschi salti d'umore del Conte-Mago al pari dei suoi pochi cortigiani: il maestro d'Armi Wensaaliun, il Messo della Casa Irqu Tanidiun, il Consigliere Personale Doghiun e gli altri tre consiglieri della Casa con le proprie dame.

I musicisti riprendono posto al centro della sala e dopo un ampio inchino si preparano a riprendere il concerto.

– Mastro Hàlua, conosci il Lamento di Quimby? – Li interrompe bruscamente Teardraet.

Il capo dei musici alza il capo dalla sua strana arpa e fissa gli occhi scurissimi in quelli del Conte-Mago. – Sì, signore.

– Sai anche eseguirlo?

– Certo. Tuttavia non desidero farlo.

– Nemmeno se fossi certo che questa è la mia volontà?

Mastro Hàlua si alza in piedi lentamente guardando fisso davanti a sé. Dopo una lunga esitazione replica: – Ne sarei dolente ma nemmeno in questo caso, signore.

Teardraet lo guarda fisso. – Lo sai che in questo modo mi sfidi, Mastro Hàlua?

L'uomo risponde con un breve cenno di assenso.

– Bene, allora. Procedi pure con i temi che avevi scelto. – Conclude Teardraet dopo un lungo attimo di silenzio. – Sarò lieto di ascoltare.

Con un'evidente espressione di stupore il musico torna a sedersi e afferra il suo strumento quasi con sollievo, come se non ci fosse che quello in grado di rassicurarlo sulla verità delle cose.

Ma la richiesta del Conte-Mago ed il successivo diverbio ha incrinato la magia della musica della piccola orchestra, che nella seconda parte del concerto suona senza estro né allegria, commettendo molti piccoli errori e limitando al massimo le parti virtuosistiche.

Al termine del concerto i musici si ritirano salutati da un applauso affrettato e deluso del piccolo pubblico.

– Bediun! – Chiama il Conte-Mago non appena la corte di Baran e Verhida è rimasta la sola occupante della sala.

– Sì Signore?

– Ti prego di raddoppiare qualsiasi beneficio o pagamento tu abbia deciso a favore dell'orchestra di Mastro Hàlua

Se Bediun prova stupore per quella decisione non lo mostra minimamente. – Mi sembra un provvedimento molto opportuno, Conte Teardret. – Si limita a commentare.

– Ti prego anche di esprimere loro la mia stima oltre che per la loro evidente maestria, anche per il rispetto che portano alla propria arte. Un bene raro di questi tempi.

– Sarà fatto, conte.

Teardraet si guarda intorno rasserenato, soffermandosi sui volti incerti o compiacenti dei membri della propria corte.

– Lie Maldanea, vi chiedo l'onore di accompagnarvi nei vostri appartamenti.

La dama Syerdwin sembra riprendersi da un sogno ad occhi aperti ed esita per un attimo prima di rispondere.

– Certo. Ma se la mia risposta fosse negativa potrei forse averne benefici maggiori, cosa dite Ministro Bediun?

Questi sorride educatamente. – Non saprei cosa consigliarvi, Lie Maldanea.

– Potete accompagnarmi Conte Teardret. Ubbidirò al mio cuore, non seguirò le bizzarre vie dettate dall'intelletto. – Maldanea si inchina leggermente. – Vi ringrazio Conte.

Teardraet annuisce rigido e la affianca mentre abbandona la sala. 
 





– Mi accorgo che la mia condotta non ha trovato la vostra approvazione, Lie Maldanea.

La giovane Wessiun accarezza Difiduanna, come di consueto appollaiata sulla sua spalla, lancia uno sguardo distratto sui ritratti appesi nel lungo corridoio che unisce le tre ali del palazzo.

– Non potete accettere di vivere senza inutili tormenti conte Teardraet?

Il Moeld scuote lentamente il capo. – Ogni cosa deve avere un termine, Lie Maldanea. Ogni divertimento, ogni passione. Perché accettare che sia la cieca mano di una morte idiota a porre termine ad ogni cosa? Perché non provocarla, precederla, ridicolizzarla? La musica vive per il tempo che qualcuno la esegue e viene udita, poi, come un ricordo, tace fino al prossimo risveglio. Ma cosa ne è delle ballate che più nessuno canta o ricorda? Dove finiscono? Non sono dunque morte e defunte come tutte le creature che nessuno ricorda più, il cui nome coperto di polvere cade senza risonanza?

– E voi credete che affrettare il termine, la fine, sia un modo ragionevole per scongiurarla? Non vedete a quali perversioni del pensiero conduce la vostra intelligenza?

– Queste perversioni sono una compagnia abituale per me, Lie Maldanea. Vivere a lungo significa rassegnarsi ad una lunga solitudine. Questi pensieri sono i fiori che nascono da un terreno così arido. Non vi chiedo di amarli né di comprenderli. Vi chiedo al massimo la stessa condotta ostentata da Aue Bediun: una condiscendenza ironica, temperata dal denaro che riceve dalla mie casse.

Lie Maldanea si blocca di colpo. – No. Sapete che non è possibile, e non mi avete condotto fin qui solo per chiedere la mia complicità. Potete mentire a voi stesso fino a questo punto?

– Posso, Maldanea. Posso essere molto infelice tentando di non esserlo. Vi prego di non continuare questa inutile discussione. Adesso terminerò di accompagnarvi ai vostri appartamenti, vi saluterò con la consueta cortesia che ben conoscete e potrò tentare di dimenticare le vostre parole.

– Cos'è il Lamento di Quimby? – Chiede all'improvviso Maldanea.

– Lo ignoro.

– Capisco. Credo che questo sia per voi uno scherzo.

– Una sfida, nulla di più. Mastro Hàlua poteva ammettere di non conoscerlo, poteva eseguire un cosa qualunque, oppure poteva tenere l'atteggiamento che ha tenuto, l'unico degno di stima e considerazione. Tutto qui.

– Se considerate il mondo come un teatro di pupazzi finirà per stancarvi, conte Teardraet.

– Può essere già accaduto. Buona giornata Lie Maldanea.



20.9.19

Il Mare Obliquo 33

Re Artamiro sente il tempo passare senza riuscire ad incontrare il suo nemico e il tempo che passa lo logora fino ai limiti della follia.
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– Cosa fa Bartsodesch, niente come il solito?

Il generale Kataiud si inchina profondamente e mormora: – Attende, Vostra Volontà.

Artamiro scaglia lontano la piccola tabacchiera d'ambra dono di Niby Ornoll, Signore dei Gu'Hijirr, ed impreca.

– Bartsodesch non ha motivo per muoversi. – Spiega il generale. – Inoltre il tempo è inclemente e la neve, cominciata a cadere questa notte, copre già per molti pollici le vie e ed i passi.

– Ed è destino che io debba svernare qui, ad attendere dei rinforzi che non verranno mai ed un nemico che non ha fretta. Già, non ha fretta, aspetta che questa armata sia divenuta un immenso gregge di ladruncoli, mercanti e sodomiti per allungare la mano, spazzarli via come si disperde una colonna di formiche, arrivare a Dancemarare in un giorno e passare la notte nel mio letto con le mie concubine.

L'anziano generale non rileva il tono amaro e sarcastico di Re Artamiro.

– Sono in corso molte esercitazioni per tenere la truppa pronta allo scontro, Vostra Volontà.

Artamiro sembra non udire e accarezza con espressione ispirata l'interno vellutato del suo mantello.

– Hai mai udito, Kataiud quella canzoncina infantile che recita:



Cerca il drago

per cento foreste

cerca il drago

senz'acqua né cibo

né vesti né fuoco

senz'armi e soldati

cerca il drago

alla porta di casa

sarà sempre lui

a trovare per primo te



– Dimmi, allora, l'hai già udita?

Il generale socchiude gli occhi ed aggrotta la fronte. – L'ho udita, Volontà, quando ero così piccino che una spinta di una delle mie sorelle poteva mandarmi a terra. – Kataiud sorride. – L'ho udita cantare da loro e non so perché, al termine del ritornello toccava sempre a me portare l'acqua o cercarle tra i cespugli e gli alberi.

Artamiro trae un profondo sospiro. – È proprio così, Kataiud. Essere Re è quando l'ultima sillaba del ritornello ti sceglie una volta per tutte. E nessuno lo vuole ricantare una seconda volta se non per ucciderti. Sono così stanco, così annoiato…Potrei chiamare qui tutto il teatro di Dancemarare per divertirmi, ma anche i loro guizzi e i loro sberleffi non potrebbero allontanare da me questa noia rabbiosa… Che accade Kataiud? Chi ha steso una magia su di noi? Chi conduce fin qui fantasmi, tornadi, mostriciattoli partoriti dal cuore stesso dell'Inferno? Chi ha chiamato l'Innominabile ad occupare le terre del giorno? … Quale greve stanchezza domina il nostro cielo? Non sarebbe forse meglio uscire in armi e cercare la giustizia tra le lance dei nemici, chiamare qui l'Ombra di Sangue e dimenticare ogni cosa nel furore, nell'ansimare cieco della battaglia?

Artamiro si alza e corre alla soglia della tenda aprendola di scatto.

– Neve, la bianca sorella dei cieli. Hai notato Kataiud come tutto abbia lo stesso colore quando nevica? Terra, cielo, alberi, acque… Solo noi creature di carne e sangue corriamo come lupi sulla pelle nuova del mondo. La neve porta a noi tutti nuova vita, ma noi la calpestiamo senza vedere, senza capire fino al carnevale della primavera. E primavera dopo primavera la nostra morte si avvicina, allegra e idiota come una contadina dal ventre scaldato dal vino. E noi ci rotoliamo con lei, con gioia e disprezzo, ne ridiamo nel nostro cuore pallido e malato… Camminerai su questo grande lenzuolo di innocenza che cancella tutti i nostri orrori? Lo calpesterai, generale? 
 

Kataiud fissa lo sguardo sull'orizzonte brumoso all'esterno della tenda senza che il suo volto coperto di rughe lasci trasparire nessuna emozione. – La mia vita non è in mio potere, Volontà, ma in vostro.

Artamiro ride. – Bravo, bellissima risposta. Come canta la canzoncina del drago. Sarà sempre lui/ a trovare per primo te. Un uomo che ubbidisce non può sbagliare… Sarà il suo Signore a sbagliare, a creare odio e rancore. Vai pure Kataiud, torna alle tue manovre. Sei un servitore prezioso, non c'è dubbio.

Il generale si inchina rigido ed esce dalla tenda, camminando il più leggermente possibile, quasi cercasse di non lasciare tracce sulla neve fresca.

Artamiro trascorre ancora qualche minuto a contemplare il moto incessante e silenzioso della nve, a tratti percorso da soldati o servitori che procedono sollevando leggeri scricchiolii, con la cautela ed insieme lo strano compiacimento che sembra prendere ogni creatura quando calpesta per prima la superficie soffice e rilucente.

"Come bimbi" Riflette il re. "A fingere una guerra che non c'è, un nemico appena oltre gli alberi o dietro un dosso." Una figura scura e sottile sta venendo nella sua direzione. Cammina esitante, trascinando il passo, il capo abbassato e coperto da un ampio cappuccio.

Quando si trova a tre passi da Artamiro questi lo riconosce: – Tiatikenn! – Grida, facendolo sussultare.

Il mago accenna un piccolo inchino. – Posso entrare, Volontà?

– Certo. Come stai?

Tiatikenn entra nella tenda e rovescia il cappuccio sulle spalle senza rispondere.

Artamiro trasale vedendo i segni lasciati sul volto del suo primo Mago dalla rabbia di Canddermyn. Egli sembra aver perduto trent'anni di vita, la pelle del suo viso sembra aver assunto la consistenza di quella di una piccola mela avvizzita, gli occhi si sono infossati ed hanno perso lucentezza ed i pochi capelli che ancora il mago ospitava sono scomparsi, lasciando posto ad un labirinto di cicatrici rosee che disegnano lettere di ignoti alfabeti sulla pelle chiarissima del cranio.

– Sono come un naufrago, Volontà. Come un bottegaio che abbia veduto il suo esercizio bruciare in una sola notte. Non posso neppure più ordinare ad una mosca di correggere il suo volo, né posso indurre in alcuna nessuna emozione se non disgusto per le mie misere condizioni.

Artamiro tace ed arretra fino a tornare al proprio scranno coperto di morbide pellicce. Anche la voce del mago ha perduto forza e si è fatta debole ed incerta come quella di un vecchio.

– Ma ho sentito, Artamiro, ho percepito il brivido che corre sulla pelle del mondo. Come un novizio che si stupisce nell'intuire la oscure forze che reggono il palcoscenico del mondo, ma che può solo sognare incubi angosciosi da raccontare ai compagni per spaventarli.

– Cosa hai sentito, Tiatikenn? – Chiede Artamiro con voce resa cavernosa dal lungo silenzio.

– Ho sentito i Mondi sconfitti, i Mondi dimenticati che cercano di ritornare. Ho udito le voci di coloro che non sono mai nati, il lamento dei dimenticati dalle molte creazioni dell'Orlo del Mondo, gli spettri del Mare Obliquo che agitano le nubi dei nostri cieli e i giganti di cristallo che scuotono le loro gabbie di pietra per tornare a posare i piedi sull'orlo del Mondo. Questo e molto altro ho visto e sentito.

Artamiro sorride. – L'abitudine di spaventare chi è più forte e ricco di te non l'hai perduta, Tiatikenn. E nemmeno la capacità di far credere che sai molte più cose di quante realmente tu ne conosca.

– Io ho visto, Artamiro e posso mostrarlo a chiunque desideri vedere il mondo che ci attende.

– Da Primo Mago e Primo Astrologo della mia corte. È questo il tuo desiderio?

Tiatikenn abbassa il capo e ripete. – Vieni con me, Artamiro, e vedrai.

– E va bene. – Il re si alza di scatto e marcia fino a porsi davanti alla figura sottile del mago. – Vengo, Tiatikenn. Ma se ciò che vuoi mostrarmi non mi soddisferà non avrò pietà della tua misera condizione.

Il mago ride, una risata breve e stridula. – Sarai soddisfatto, Volontà.





– Cos'è questa vecchia costruzione? –

– È la Torre di Dortrendiuna. – Spiega Drjol, il giovane mago Gu'Hijirr che dopo l'episodio dell'apparizione durante il banchetto è divenuto membro costante del seguito di Artamiro. – Ho udito che i fantasmi del Signore di questi luoghi e di suo fratello trucidati dall'antico Re di Odo si aggirino ancora per questi luoghi.

Artamiro fissa lo sguardo sulla neve che scivola leggera sulla terra e sorride. – I Re di Odo sono stati i predecessori della mia Casa Reale. I miei antenati li hanno massacrati durante un banchetto. Devo quindi ritenere che gli spettri che abitano questo luogo mi debbano della riconoscenza per aver fatto giustizia dei loro assassini. Giusto?

Tamu Hiniun, il Liest Syerdwin ride. – Giusto, Volontà.

– Bene. Allora, Tiatikenn mi hai portato qui per farmi incontrare due spettri ingrati?

– Ben di altro si tratta, Volontà.

– Cosa dobbiamo fare qui? – Chiede il Duca Rossiter, il volto arrossato dal freddo.

– Che dobbiamo fare, allora Primo Mago? Hai udito il Duca?

Tiatikenn non risponde e scende da cavallo con i movimenti lenti ed incerti di un malato.

– Avete visto Duca? Bisogna camminare. – Scherza Artamiro.

Intanto Tiatikenn percorre lo spazio che li separa dalla torre di pietra chiara, parzialmente diroccata, nella quale si aprono grandi finestre ovali senza più vetri né sbarre.

Gli altri membri del gruppo scendono da cavallo e lo seguono procedendo tra gli arbusti nudi cresciuti nell'antico giardino della rocca dei Dortrendiuna, che la neve rende eleganti e preziosi come raffinate sculture.

Giunto davanti alla grande porta aperta della torre il Mago esita e si volge verso il seguito di Artamiro.

– Siete certo di voler vedere, Volontà?

Tutti i presenti si volgono verso Artamiro che stringe le labbra e chiede. – È uno dei tuoi trucchi, Tiatikenn?

– No. Seguitemi. – Si limita a replicare il mago, scomparendo nell'ombra del portale.

All'interno una sala ampia e spoglia li attende, il pavimento coperto di foglie secche e fango.

Hiniun alza il capo verso il soffitto, dove gli stemmi dorati della famiglia, incastrati negli spazi disegnati dalle travature di legno scuro, sono semicoperti dalla muffa e dalle ragnatele. "Ecco il destino." Pensa il giovane Liest, sentendosi improvvisamente un intruso.

– Venite, di qua. – Li incita Tiatikenn. – Sulle scale.

Percorrono la scala avvitata sulla parete della torre, cercando di non scivolare sui gradini viscidi di fango gelato ed abbassando il capo per evitare le ombre scure che pendono dai soffitti bassi. Il mago li conduce ad una delle stanze del secondo piano, dove si affacciano due delle grandi finestre ovali visibili dall'esterno.

– Ecco, Volontà. Vi prego di affacciarvi a quella finestra. – Dice Tiatikenn con voce piana.

– Quale?

– Non ha importanza.

Artamiro procede con cautela sul pavimento di legno che lancia dolorosi scricchiolii ad ogni passo fino a giungere davanti alla finestra di sinistra.

– Allora? – Chiede irritato.

– Vi prego, Volontà, osservate con attenzione il paesaggio che si gode da lì.

Artamiro si stringe nelle spalle e lascia che il suo sguardo si posi sul vecchio giardino coperto di neve, sul bosco poco lontano: un'ombra scura avvolta dalla candida coperta della neve.

Poi un movimento leggero, quasi impercettibile attira il suo sguardo. Una figura si muove lentamente sulla neve, un'ombra che non lascia tracce dietro di sé.

– Cos'è quello? – Chiede Artamiro senza voltarsi.

La voce di Tiatikenn ripete: – Osservate con attenzione, Volontà.

Alle spalle della strana forma che procede un po' strisciando ed un po' correndo sulla neve ne è sorta improvvisamente un'altra, che procede eretta e rigida come camminerebbe un albero se potesse muoversi. Artamiro osserva la scena senza capire, contempla gli strani movimenti dei due esseri che procedono senza orme su una neve che somiglia a gesso o ad una liscia superficie di pietra. Il cielo ha mutato colore, si è fatto scuro e denso come una bassa cupola che partendo dall'Orlo del Mondo lo ricopra completamente. Improvvisamente il Re si accorge che l'aria che penetra dalla finestra non è più l'aria frizzante e gelida del mattino ma una brezza tiepida e snervante che odora di polvere, come l'aria di una stanza tenuta chiusa per troppi anni. 

 

Un leggero urto lo fa sobbalzare. Accanto a lui si è affacciato Drjol e Artamiro può udire il respiro accellerato del giovane Mago Gu'Hijirr. Poi il Re si accorge di riuscire a sentire anche il respiro delle creature che popolano il cortile della torre divenuto una superficie livida e opaca. Sono sospiri senza ritmo, quasi che le creature che li emettono non abbiano bisogno di respirare o siano costretti da un'orribile maledizione a farlo senza poter dimenticare una sola volta di farlo.

Accanto a lui Drjol recita a bassa voce alcune frasi, senza distogliere lo sguardo dagli esseri che corrono e si inseguono come bimbi ciechi. Artamiro chiude gli occhi per riaprirli un secondo dopo sullo stesso paesaggio: le montagne scabre e spezzate che scompaiono sullo sfondo nero del cielo ed i margini netti e chiari del cortile, come se egli si trovasse dentro la finestra di una torre nel gioco degli scacchi.

"Un Re ed un Torre" Pensa per un istante Artamiro."Un cielo chiuso ed un gioco che non posso comandare."

Torna a guardare le creature che hanno cessato di muoversi ed oscillano debolmente, come se una corrente marina li inclinasse dolcemente.

Artamiro vorrebbe distogliere lo sguardo da quei movimenti che gli sembrano sbagliati, incompleti ma sente alle sue spalle lo sguardo divertito di Tiatikenn e non cede, resistendo al suo corpo che vorrebbe strapparlo da lì.

Quando una delle creature alza il capo verso di lui, mostrando il volto privo di occhi e la grande bocca scura, priva di labbra, simile ad un taglio operato con il più tagliente dei rasoi, il Re sente il cuore nel petto fermarsi.

Una strana, incomprensibile tristezza spira da quei tratti incompleti, come abbozzati dalla mano di un bimbo.

– Mi ha guardato! – Urla gettandosi lontano dalla finestra.

Tiatikenn scuote leggermente il capo. – Vedono, ma non guardano. Noi possediamo il loro sguardo.

Artamiro si volta di scatto. – Drjol, via di lì! – Grida.

Il mago Gu'Hijirr non risponde, appoggiato al bordo della finestra.

Rossiter e Tamu Hiniun lo strappano dalla sua contemplazione e nel farlo il loro sguardo si posa per un attimo sull'incredibile paesaggio che si vede dalla torre.

Nessuno dei due parla, ma il volto divenuto livido parla per loro in modo eloquente.

– Via di qui, presto! – Grida Artamiro sconvolto.

Drjol lo sguardo fisso ed il corpo senza forza, simile a quello di un manichino viene portato via a braccia.

Una volta giunto al piano inferiore Artamiro esita.

La voce di Tiatikenn lo scuote come una frustata. – Fuori di qui è tutto come sempre, Volontà.

Il cortile della torre coperto di neve, il cielo chiaro e senza profondità li attendono apparentemente quieti ed immutabili.

Artamiro sale a cavallo. Esita nel lasciare che il suo sguardo abbracci il mondo, come se esso potesse scomparire alla sua vista da un attimo all'altro. Si stringe nella folta pelliccia. Improvvisamente il freddo si è fatto più forte.




Nuovamente solo nel proprio laboratorio Re Artamiro fissa il drappo di seta rossa che copre Idùn, lo Specchio d'Ombra. La luce alle sue spalle, guidata dai moti del suo animo, lampeggia di un colore verde freddo, il colore della paura. Esita, il sovrano di Dancemarare, ma intuisce che l'unica spiegazione di tutti gli strani eventi accadutigli non può che essere custodita nel buio solido di Idùn.

Non ha mai tentato di comunicare direttamente con le forze che sorreggono la sostanza dello specchio ed il respiro stesso del Re si fa leggero e quasi inaudibile per non risvegliare le strane entità che dormono appena oltre la stoffa. Per un attimo si chiede se anche Teardraet, attraverso il gemello di Idùn, Andòden, saprà delle sue paura, della sua confusione. Stringe i denti, Artamiro, raccoglie il sudore freddo che corre a inumidirgli le sopracciglia bianche, chiude gli occhi rivedendo nitido come in una visione il volto bruno del Conte-Mago dei Syerdwin. Lo vede muoversi lentamente, come se procedesse nell'acqua, lo vede immergere il volto nella liscia superficie scura di Andòden, provocando piccole onde che si spengono sulla cornice dorata dello specchio.

Un lamento, un debole rantolo nasce e si spegne sulle labbra di Artamiro. Il sovrano di Dancemarare strappa con un movimento rabbioso il drappo di seta gettandolo dietro di sé.

– Idùn! – Grida, come se stesse chiamando un servitore malaccorto.

Lo specchio immobile ed opaco non risponde.

– Idùn! – Grida nuovamente Artamiro, improvvisamente incerto.

Un filo di luce accende il bordo dello specchio, un filo di luce che guadagna man mano spazio sul buio fino ad occupare l'intera superficie. Il re si avvicina nuovamente a contemplare il riflesso argenteo di un luogo che non si trova in quella stanza: un lago forse o un mare illuminato da una luce grigia priva di sfumature, il cui limite si perde in lontananza senza confini tra acqua e cielo. Una calma assoluta domina quella visione, come se in quel mare nessuna creatura si muovesse, nessun alito di vento giungesse mai a perturbarne la superficie. "Il mare Obliquo" Pensa Artamiro, risvegliando un vecchio ricordo udito o letto chissà quando e dove.

– Idùn, voglio sapere cosa sta accadendo. – Stacca bene le sillabe e la parole il Re, come se parlasse con uno straniero o con un bimbo.

"Nulla che non sia già accaduto, Mirei."

Artamiro sobbalza: quella voce, formatasi nella sua mente, appartiene ad Harruet, la sua governante personale alle quale i suoi genitori lo affidavano bimbo piccolissimo. Ed a Harruet appartiene anche quel vezzeggiativo che il suo Maestro gli ha insegnato poi a disprezzare Lui ancor piccolo che annuncia ad Harruet: "Cessate di usare quel nomignolo altrimenti sarò costretto a farvi frustare."

Quel ricordo, seppellito sotto milioni di altri, torna in superficie all'improvviso e Artamiro sente il proprio viso farsi di fuoco, lo sguardo piegarsi davanti alla quieta sorpresa di lei, come allora.

– Cosa vuoi dirmi Idùn? Perchè mi tormenti?

"Nulla, nulla che tu non abbia già provato o saputo, Mirei. Nulla esiste che qualcuno non abbia già sperimentato, nulla che non sia conservato oltre il Mare Obliquo, dove tutti i ricordi attendono solo di essere risvegliati. I tuoi, Mirei, quelli di chiunque tu abbia conosciuto o che tu mai conoscerai. Un oceano di sogni e di ricordi che uniscono passato e futuro, ricordi che verranno e ricordi già vissuti, ricordi mai vissuti da nessuno e altri che nessuno oserà mai ricordare."

– Cosa vuoi dirmi, Idùn? La visione alla finestra… È solo un ricordo? Ma di chi, di cosa? 

 

La voce di Harruet si fa ancor più lenta e carezzevole, come quando si sforzava di spiegargli qualcosa che la sua mente bambina non riusciva ad afferrare. "Si può scomparire in questo mare, Mirei, perdere il senso del tuo tempo. Esistono ricordi che non hanno menti né corpi: essi sono come un'onda che sale dagli abissi più profondi per ricoprire l'Orlo del Mondo, sono i ricordi che nessuno desidera ricordare."

– Come questo, Harruet? Come quando…? – La voce di Artamiro si spezza, vinta da un'emozione che lo fa rabbrividire come se si trovasse all'esterno, nella neve che precipita lenta da ogni luogo. Il volto privo di lineamenti della creatura scorta dalla finestra di Dortendiuna impallidisce davanti ai suoi occhi chiusi dalle lacrime, ed ora Artamiro può riconoscerlo. Il burattino che aveva bruciato per allontanare da sé ogni traccia dell'infanzia, per darsi un dolore che l'avrebbe spinto a crescere come desideravano da lui.

Il volto colorato del burattino si era fatto nero al contatto della fiamma, il naso di stoffa era scomparso, volato nel camino, gli occhi di vetro si erano velati e spezzati e solo la bocca semiaperta, rigida e netta come un taglio era rimasta spalancata come a cercare aria per l'ultima volta.

Artamiro finalmente singhiozza disperato come non aveva fatto da bimbo, quando aveva guardato a labbra strette la dolorosa morte di Heini – ecco qual'era il nome – un milione di volte dimenticato, del suo compagno di giochi da bimbo solitario, perso nelle grandi stanze della Reggia di Dancemarare.

La superficie dello specchio è tornata al suo abituale buio opaco, ma il Re, il volto nascosto nelle braccia raccolte sotto di sè, non lo vede più. Ricorda con uno strano, doloroso compiacimento, cercando nella sua mente tutto ciò che il tempo e la sua volontà hanno cancellato, tutto ciò che non avrebbe mai creduto di poter vivere una seconda volta.

La luce che illumina il suo corpo contorto sulla nuda pietra è divenuta chiara e forte come un faro al limite di un mare ignoto.