
31 di agosto.
Un caldo instabile, aria immobile, clima da estate che si va gradualmente disperdendo.
Mi sono tolto i punti, anzi mi hanno tolto i punti. Il risultato è un insieme piuttosto pauroso, sinceramente. Una doppia serie di segni che corre dal sotto la mandibola fino all'inizio della clavicola. Onestamente pensavo a qualcosa di più moderno ed elegante.
Mi chiedo se, quando sarò pronto per il secondo intervento, questo doppio segno sarà stato ingoiato dalla pelle o sarà ancora visibile?
Che effetto farà girare con un doppio tracciato più o meno sanguinoso?
Ben poco, probabilmente.
La malattia è personale, non collettiva, scrive Sacks. La «mia» malattia che mi colpisce è in realtà del tutto normale. Potrei finire su un manuale di chirurgia vascolare e trovarmi a considerare con distaccato disgusto e personale orrore lo stessa lunga serie di segni. Esattamente come possono fare altre migliaia e migliaia di persone.
La malattia conserva in se stessa entrambe le sue nature. La sua natura «sociale» che la rappresenta pubblicamente e la rende riconoscibile e la sua natura «personale» che la rende un bene interamente vostro.
Ciò che vi permette di ripetere ad alta voce: «la mia carotide», come potrebbe essere per un cancro, un escrescenze, un bubbone. Quella sottile o profonda differenza che, mentre vi mette a confronto, vi permette di sentirvi diversi, un po' strani, un po' curiosi.
Anche la morte rimane un po' sullo sfondo, un po' secondaria. Si riunisce nella periferia del gruppo di esperti. Non parla per conoscenze né si esprime per necessità. Ma se qualcuno le chiede qualcosa non ha difficoltà a rispondere. Non ha difficoltà: siamo tutti suoi ancora prima di essere sofferenti e suoi saremo sino alla fine.
No, la realtà è che il «la mia carotide» (o, meglio, le «mie carotidi») vorrei non avessero nulla ma proprio nulla di mio. Vorrei fossero semplici frammenti e attimi. Casuali reperti. Angoli immaginiferi di sostanze assurde e imprevedibili.
Qualcosa che nel passare dal sonno alla realtà (o viceversa) potrebbe essere tagliato via. Sottratto, dimenticato con un sorriso.
Lo so che non è così, ovviamente.
Che ognuno di noi è una creatura senza speranza.
Conviene sorridere, in fondo.
E fare finta che ci siano ancora migliaia e migliaia di giorni.