Nell’Altroverso la forza di gravità è pari a un decimo di quella
che unisce le stelle e le galassie.
I soli sono pochi ed enormi e non esistono ammassi stellari. Non ci
sono vortici di materia che precipitano in un pozzo di gravità, né
buchi neri.
Là c’è silenzio eterno, solitudine, fissità.
60 giorni dopo l’Episodio X
Episodio X, come è stata chiamata la prima spedizione
nell’Altroverso, quando le tre creature a bordo, OGM ottenuti dalla
combinazione sperimentale di DNA umano e animale, non sono mai
tornate.
La nave è rientrata vuota, perfettamente in ordine, con la IA della
nave disattivata. I respiratori erano carichi e gli stivali allineati
nelle rastrelliere: in apparenza le tre creature erano uscite dalla
nave con la propria tuta e con l’ossigeno contenuto nelle bombole,
sufficienti per dieci-dodici ore al massimo.
La nave, la «Magellano», è tornata dopo diciotto giorni standard
terrestri, avendo percorso una distanza pari a una decina di anni
luce. Il coordinatore della missione, Hermann Masali, l’ha
giudicata «un indiscutibile successo», sottolineando la mancanza di
effetti relativistici, specificando però che il problema della
sopravvivenza nell’Altroverso non era stato ancora risolto e
postulando l’invio di un secondo equipaggio.
In seguito l’Episodio X è scomparso da tutti i registri
della Triade e dalla storia delle spedizioni spaziali.
Tre giorni prima dell’Episodio X
La luce della stella ha acceso una sezione della modanatura interna,
posta sopra una serie di interruttori e di spie accese in verde.
RavenZesar1
alza lo sguardo a cogliere quel riflesso. Fino a pochi istanti prima
la nave era immersa nella luce cinerina di Saturno, a pochi milioni
di chilometri da loro, poi il passaggio, brusco e senza sfumature,
alla luce candida di un altro sole.
– Rachel, Humber: siamo passati. Ve ne siete accorti?
La risposta di HundHumber2,
sdraiato alle sue spalle, è coperta da una potente scarica di
statica proveniente dal terminale del substrato.
GoatRachel3
spinge indietro le cinghie che la tengono sdraiata sulla poltrona
reclinabile e si alza. Il rumore prodotto dall’apparecchio è
assordante e la zoogena abbassa il volume prima di sollevare il
microfono: – Nave stellare «Magellano», stazione «Huygens», ci
ricevete?
La statica non cessa, anche se si fa più bassa. GoatRachel fa alcuni
tentativi, picchietta sulla tastiera, manovra il sensore verticale,
prova di nuovo a collegarsi, ma l’elenco dei nodi riceventi resta
vuoto. Un lungo sospiro è la sua unica reazione.
– Dove siamo? – chiede RavenZesar.
– Altrove. – La voce di HundHumber è bassa e profonda. – Ed è
impossibile collegarsi con una stazione. Era prevedibile.
Il corvo e la capra guardano il riflesso perlaceo di luce che
illumina la paratia. RavenZesar si avvicina al vetro dell’oblò. –
Dio mio, è enorme.
La stella occupa una buona metà della luce dell’oblò, bianca come
un fiocco di neve.
– Non è troppo grande?
La domanda del cane coglie il corvo di sorpresa. – È normale,
credo, in questo universo. Qual è la nostra velocità attuale?
Rachel richiama un altro quadro dal terminale. – … Più o meno il
decuplo della nostra velocità prima dell’ingresso nell’anello.
– Già. La stessa cosa che è accaduta alle sonde inviate in
precedenza.
– Ottimo, Humber. E come glielo facciamo sapere? Per il momento le
comunicazioni sono interrotte e non so se riusciremo a ripristinarle.
Credo che la stella – Behemoth? Va bene come nome? – emetta
radiazioni dure, impedendoci ogni comunicazione.
L’uomo-cane annuisce: – Potremmo riprendere la strada dalla quale
siamo venuti. Immagino che la nave abbia tenuto un tracciato per il
nostro arrivo: sarà sufficiente seguirlo e ritrovare il nostro punto
di arrivo.
– Il tracciato non esiste. – GoatRachel si è collegata alla IA
della nave mentre Humber parla e ha visualizzato il loro percorso. –
Fino all’ingresso dell’anello è perfettamente tracciato. Poi, il
nulla.
I tre si guardano in silenzio. A parlare è HundHumber: – A questo
punto dovremmo far almeno sapere ai… Signori che siamo vivi.
– Per il momento. – Commenta RavenZesar.
– Certo.
– Ma le sonde inviate qui come hanno fatto a rientrare?
– Non sono mai rientrate, Rachel. Tutto quello che hanno saputo è
stato grazie alle brevi comunicazioni partite subito dopo il
passaggio.
– E noi siamo gli eroi che sono venuti fin qui a dare un’occhiata…
– RavenZesar produce un faticoso sorriso, – Scusate, siamo stati
gli eroi.
Sette giorni prima dell’Episodio X.
– Tre OGM, tre zoogeni. Creature sperimentali. – Il professore Fitzjohn, è perplesso. In qualità di astrofisico non ha le competenze per decidere: roba da biologi. – Forse dovremmo ancora parlarne.
– Ne abbiamo già parlato, professore. – Hermann Masali, il lunare, come coordinatore del team di lavoro non ha in apparenza titoli, se non quello – si mormora – di delegato del potere centrale in forma anonima. Moshe Tatar, l’inviato della Triade, l’entità politica che aveva unito i governi della Terra, di Luna e di Marte, è finora intervenuto un paio di volte e sempre con commenti irrilevanti. «La Triade non appare, ma decide», è stata la conclusione di molti appartenenti al team, senza dichiararlo apertamente per evitare grane a non finire.
– Inviare astronauti umani è stato escluso. Robot e IA ne abbiamo già mandati, ma con esiti deludenti. Due IA sono riuscite a rientrare ma anche analizzandole non siamo riusciti a capire se sia possibile sopravvivere nell’Altroverso. Mandare tre OGM sembra la sola soluzione.
«OGM»
Alain Neiges detesta quel modo di definire gli ibridi zoogeni, creature silenziose e gentili prodotte di recente grazie all’ingegneria genetica: DNA animale e DNA umano combinati a formare una creatura intelligente, in grado di comprendere e parlare.
– Certo, dottor Masali – interviene, – Ma se i tre zoogeni non sopravvivessero, noi come lo sapremmo?
– Grazie al circuito di guida ausiliario che riporterà indietro la nave, al di là delle condizioni dell’equipaggio. Quello che abbiamo già fatto con altre unità inviate nel secondo universo. Tutto chiaro, ingegnere Neiges?
Il responsabile dei sistemi di sopravvivenza annuisce con un movimento del capo: ha fatto la domanda sbagliata. Lui ha conosciuto i tre zoogeni “scelti” per la missione e immaginarli su una nave destinata al sacrificio lo turba, anche più di quanto avrebbe ritenuto possibile. Manda lo sguardo fuori fuoco, nel grande schermo che domina la sala della riunione. Saturno, incoronato dai suoi anelli, è inquadrato in corrispondenza del polo meridionale e ne occupa buona parte. Dopo diciotto mesi di missione lo conosce meglio di Marte, la sua patria.
– Direi di rendere operativo il nostro progetto. – la decisione rapida è il modo di procedere preferito da Masali. Neiges non si prende il disturbo di interromperlo ancora. Più tardi parlerà con i tre zoogeni. O i tre animali, secondo l’emissario-ombra della Triade.
Tre giorni prima dell’Episodio X
GoatRachel ritiene di aver tentato il possibile, ma senza ottenere
altro che una variazione minima alle perturbazioni che occupano
stabilmente la trasmissione nodale. «Qui nave stellare “Magellano”…»
è divenuto un mantra, ripetuto fino a stordirsi.
Gli altri due la osservano senza parlare. Ogni tanto il loro sguardo
scivola nel nulla, per riprendersi dopo un attimo.
– …Forse è preferibile andare fuori e respirare il vuoto.
HundHumber lo guarda: – Ti stai chiedendo come accorciare la tua
sofferenza, Zesar? Avremo tempo per farlo, ma ora è meglio pensare a
qualcos’altro.
– A che cosa? Secondo la IA della nave
abbiamo ossigeno per 900 ore più o meno. Un po’ di più se
sigilliamo gli altri comparti. Ma intanto, che cosa possiamo fare?
Non possiamo comunicare con il nostro universo né tornare indietro.
– RavenZesar si interrompe, – …Ma potremmo tentare di rientrare
aprendo un passaggio per il nostro universo.
GoatRachel si stacca dal terminale strofinandosi le mani, come a
liberarsi di un peso insostenibile: – Questa nave può farlo,
certo. Ma nessuno ci ha spiegato sul serio come fare.
Ritenevano che saremmo rientrati da dove siamo usciti e che non
saremmo riusciti a fare una transizione.
– Possiamo sempre provare. In fondo che cosa abbiamo da perdere? –
Rachel e Humber lo fissano, – giusto la pelle, – sorride, – una
cosa che ci hanno regalato ma che per loro non vale molto. Cosa ne
dite?
Gli altri due non rispondono, ma il corvo sa già che cosa
decideranno.
Sei giorni prima dell’Episodio X
Hermann Masali esibisce il suo diastema come una medaglia, sempre
pronto a sorridere, ma con una riflesso oscuro in fondo allo sguardo,
qualcosa che Neiges fatica a comprendere. Immagina grandi macine che
girano nella sua testa, meccanismi ciechi ed efficienti che lo hanno
separato dagli altri, schedato e posto in un’area particolare:
quella degli individui noiosi e irresoluti.
– Mi dica.
– La disturbo per un motivo. I tre ibridi zoogeni…
– Ah, sì, gli OGM.
– Zoogeni, se non le dispiace, signor Masali. È più corretto.
Masali stringe le labbra, spazientito: – Va bene, ingegner
Neiges, ciò che preferisce.
– Grazie. Dicevo: i tre ibridi zoogeni hanno ricevuto
un’addestramento rapido e…
– Un anno solo invece che tre, oltre alla prima fase dedicata allo
sviluppo della capacità sociali, linguistiche e di relazione.
Effettivamente è un addestramento rapido, concordo, ma quei tre
hanno dimostrato di poterlo reggere. D’altro canto… – Non
termina la frase, lasciando all’interlocutore il compito di
completarla come preferisce.
Alain si sforza di non alzare la voce con l’emissario della Triade
e stringe i denti: – Non credo abbiano ricevuto sufficienti info
sul funzionamento della nave.
– Hanno ricevuto informazioni sufficienti per qualcuno che deve
soltanto sedersi a bordo. – La cortesia apparente di Masali sta
sottilmente trasformandosi in irritazione – Devono soltanto dare
un’occhiata di là e rientrare. Facile, pulito. Non hanno ricevuto
notizie sulla programmazione della nave per il rientro: volevamo
evitare interferenze, anche involontarie, da parte loro. Se
necessarie le riceveranno durante il viaggio.
– E se… – L’ingegnere non ha elementi in mano ma soltanto una
sensazione, vaga ma persistente: – E se non riuscissero a mettersi
in contatto con noi? In fondo non siamo certi delle comunicazioni dal
secondo universo.
Masali si stringe nelle spalle, come un maestro con un allievo
zuccone: – Nessun problema, dottor Neiges, i collegamenti con
l’Altroverso sono possibili, anche se – questo devo ammetterlo –
solo in via teorica. Le sonde inviate non hanno mai dovuto interagire
con noi anche per non sovraccaricarle con costosi circuiti di
trasmissione transdimensionali. La «Magellano» è comunque dotata
di impianti di trasmissione e i tre passeggeri rientreranno con la
nave senza problemi. Hanno sufficiente ossigeno e viveri. Nel caso
peggiore, quello che devono fare è avere pazienza.
– D’accordo. – Alain Neiges si rende conto che il proprio posto
a bordo della stazione spaziale non è mai stato in pericolo come in
quel momento, ma non riesce a smettere. – Ma se insorgesse qualche
problema… Se fossero presi dalla paura, dal timore di essere
abbandonati? Hanno ricevuto abbastanza informazioni su come funziona
tutto a bordo? E la IA è in grado di aiutarli?
Masali non lo minaccia apertamente, non è quel genere di persona: ha
troppo potere per esibirlo. – La IA risponde soltanto a una domanda
precisa, posta da un umano. Teoricamente sono in grado di governare
la nave, tenendo conto, però, delle loro facoltà. In fondo sono
soltanto tre animali, nulla di più. Faranno il loro viaggetto come
bestioline nel cestino.
«Tre animali…». Su quel punto Masali non sembra in grado
di fare passi indietro. È la sua debolezza, l’unica che dimostra,
ma che non dà a Neiges nessun vantaggio reale. Distoglie lo sguardo
verso le grandi vetrate puntate sul cielo di ossidiana. Milioni di
stelle immobili, a formare disegni eterni, nati dal caos. Sorride: –
È vero, sono tre animali, ma hanno qualcosa di noi, qualcosa di
profondo. – Fa un passo indietro: ha preso una decisione, – Va
bene: al termine della missione vorrei rientrare sulla Terra. –
Sceglie il vecchio nome del pianeta-patria ma Masali non rileva il
suo errore.
– Come preferisce, dottor Neiges. Vivere qui sulla stazione
spaziale non è facile, lo so. Ci si esaurisce e si attribuisce
importanza a problemi poco rilevanti.
Ha lo sguardo fisso, come un serpente che si appresta a colpire il
topo. Neiges deve resistere all’impulso di afferrarlo per il collo
e premere fino a vederlo soffocare. Annuisce, conscio di essere
l’ennesimo individuo che si piega davanti a un potere superiore,
ciò che è sempre stato. Ma che cosa potrebbe fare? Nulla, nulla.
– Torno nei miei alloggi. E preparo le valigie. Nei prossimi giorni
terminerò le mie relazioni. Con il primo trasporto rientro. Va bene?
Due giorni prima dell’Episodio X
L’immane Stella Behemoth, sottile come il fumo di una sigaretta ma
estesa per miliardi e miliardi di chilometri, è ancora accanto a
loro. A bordo nessuno parla più da ore e ore. Inutile guardare lo
schermo immobile sopra il quadro comandi: l’orologio indica un’ora
improbabile, come “43.55:00.00” e solo dopo un tempo soggetto a
regole imprevedibili scatta a “33:01” o a “79:12”, due delle
combinazioni numeriche a suo tempo apparse sul visore.
– Qualcuno ha fame?
La domanda, in apparenza assurda, di Zesar rimane senza risposta.
Humber e Rachel hanno lo sguardo fisso sull’oblò rivolto verso
Behemoth o sulle luci che si accendono e si spengono sull’interfaccia
del modulatore.
– Nessuno risponde. – Ripete GoatRachel, – Nessuno in linea.
HundHumber scuote il capo: – Lo sappiamo: è la stella a disturbare
le trasmissioni. E forse non soltanto le trasmissioni ma il
funzionamento stesso della nave.
– Avete intenzione di passare il tempo così? – RavenZesar non
riesce a impedirsi di alzare la voce, –L’astronave dovrebbe
essere programmata per rientrare. Possiamo chiederlo alla IA della
nave… Nave, mi senti? Ci sei?
La voce della nave è una voce da contralto, lenta, studiata, nata
per creare confidenza, fiducia. – Buongiorno RavenZesar. E
buongiorno GoatRachel e HundHumber. Sono a vostra disposizione.
– Bene. Vorremmo sapere per quanto tempo questa unità rimarrà nel
secondo universo e se esiste una programmazione per il rientro.
La IA esita prima di rispondere: – La nave è programmata per il
rientro. Dopo un tempo prefissato. In questo momento, tuttavia, vi
sono disturbi che interferiscono con il mantenimento della
programmazione predefinita, dovuti alle emissione del grande corpo
celeste denominato AX-252-b…
– Behemoth, per farla breve.
– Corretto, zoogeno RavenZesar. Secondo la denominazione da voi
scelta.
– E questa interferenza è destinata a durare per…
– Non esistono dati in proposito.
Dopo quasi un minuto di silenzio è HundHumber a intervenire: –
Nave? Ci sei ancora?
– Certo. Non sono in grado di fornire ulteriori informazioni. Nè
sono in grado di proporre soluzioni di un qualche genere..
– Cosa possiamo intervenire? – Chiede GoatRachel.
– Dati insufficienti. Possa spiegare come funziona la nave e la sua
propulsione in caso di malfunzionamenti ma nulla di più.
– E gli ibridi non possono sapere quanto potrebbe durare il
viaggio, né se ritorneranno vivi, vero? Né possono intervenire
sugli strumenti di bordo.
– Corretto, GoatRachel. Come da ordini ricevuti.
– Dobbiamo addormentarci e sperare di svegliarci? Dico bene?
– Sì, RavenZesar. Ma gli Homo pensano sia bene che procediate con
i compiti previsti per la missione, controllando che gli strumenti
automatici funzionino come da ordini ricevuti.
– Bene, nave. Basta così.
– Sono a disposizione.
RavenZesar chiude la comunicazione: – Certo, ovvio. Grazie.
La IA della nave tace, anche se i tre sanno che è comunque presente
e che registrerà tutto ciò che diranno e che faranno.
***
– Ne sappiamo tanto come prima. – osserva HundHumber. – Ma in
fondo non è una cattiva idea riposare e attendere. Sarà più facile
passare dal sonno alla morte.
– Già. Gli ibridi non hanno il diritto di interferire con una
missione. Siamo cavie. Ma possiamo sempre tornare alla nostra idea
iniziale.
– Quale, Zesar? Quella di rientrare? Ma la IA ci lascerà lavorare nella camera a confinamento inerziale? E sugli elettromagneti? Non
penso.
– Esiste un modo per staccare la IA della nave. Per quando la nave è in riparazione. – Zesar e Humber si voltano verso Rachel. –
Già. È una lezione che avrei dovuto ignorare, ma sono curiosa, come tutte le capre…
Un giorno prima dell’Episodio X
La plancia di comando della nave è deserta: non è previsto che
qualcuno la manovri durante il viaggio.
Perché non aspettare tranquilli che il viaggio termini, in qualunque
modo abbia fine?
No.
RavenZesar riflette senza smettere di avvitare, stringere, premere,
riflettere e guardare, osservare. La vita che vivono è un regalo
degli Homo, che li hanno creati e li hanno resi creature
intelligenti, in grado di comprendere e di reagire. Ma lui sa, come
lo sanno Humber e Rachel, che sono anche bambini che possono
disubbidire a chi non li considera e che possono dimostrare di valere
quanto gli Homo. Hanno fatto un passo dopo l’altro senza sapere di
preciso quale fosse il loro obiettivo, fino a quando Rachel non ha
trovato il comando per tacitare la IA della nave e in quel momento
hanno capito: perché si trovano lì e che cosa faranno. Hanno
provato un brivido mai sentito: l’orgoglio di essere se stessi e di
essere vivi.
Come nel corso del programma di addestramento riconoscono i sensori
periferici dei grandi magneti di confinamento, individuano senza
difficoltà lo Specchio di Transito, al momento ermeticamente chiuso,
come tutti gli effettori di passaggio, accesi caoticamente come un
albero di Natale fuori fase. Le porte delle nave sono governabili da
una serie di interruttori schierati in basso, pulsanti anonimi che
normalmente vengono azionati dalla IA.
– Tutto qui. Tutto a posto.
– Bene.
Sorridono. Giocano a inseguirsi nei corridoi della nave come cuccioli
e ridono. Non hanno più fretta: il loro tempo è passato e vivono
solo quell’istante.
Episodio X
Azionano lo Specchio di Transito: i due universi sono aperti.
Rientrano nel loro universo, come si prende al volo una carrozza su
una giostra lanciata in velocità. Il temporizzatore tra pochi
secondi li riporterà nell’Altroverso ma loro guardano le stelle
accese nel loro mondo. Aprono le porte e vanno fuori, nel silenzio
estremo, nel freddo eterno. Sono collegati con un cavo tra loro e
possono manovrare con gli automotori delle tute. Precipitano verso la
stella più vicina con il suo corteggio di pianeti, ben ordinati
nella simulazione del piccolo schermo della tuta. La loro nave
rientra nell’Altroverso mentre loro scivolano verso il sole
straniero.
Hanno compiuto ciò che gli uomini non avevano previsto, toccheranno
per primi un pianeta extrasolare. Un capra, un cane, un corvo, come
in un’antica fiaba.
Trentadue anni dopo l’Episodio X
– Solo io. Soltanto io. Non è buffo?
Cammina sul sentiero di terra pallida ricavato ai margini del bosco.
– Sapevamo che qui erano sbarcati degli umani, ma non abbiamo mai avuto il coraggio di presentarci, Per non creare imbarazzo, direi. Anche noi abbiamo affrontato l’Altroverso sapendone il poco che hanno
voluto dirci. Il tempo, il tempo era il problema, come sarebbe
trascorso il tempo nel nostro universo mentre viaggiavamo a velocità
ultraluce nell’altro spazio. La soluzione ci ha lasciato perplessi
e confusi: il tempo trascorso nell’Altroverso era puramente
soggettivo: all’interno della nave l’unico tempo esistente era il
nostro. Siamo arrivati qui e le prime faticose ricerche sulle
principali pulsar ci hanno confermato che non si era verificato alcun
fenomeno di dilatazione temporale o forse che il passaggio da un
universo all’altro ha annullato i fenomeni relativi al nostro moto
ultraluce. Per noi erano passati una quindicina di giorni come per il
resto del nostro universo. Non è fantastico?
Si interrompe e li guarda: due giovani umani, una femmina e un
maschio, età approssimativa tra i quindici e i vent’anni. Sorride
loro: – Forse non è troppo facile per voi, ma ci tenevo a
parlarne. In quanto a noi tre, Humber, il cane, è morto per primo,
una decina di anni fa, il corvo, Zesar, è vissuto un po’ di più,
ed era felice, non so dirvi quanto era felice. Noi ibridi zoogeni
viviamo di meno, non lo sapete? Forse cinquant’anni e poi togliamo
il disturbo.
I due ragazzi sorridono, senza capire. Quella strana creatura parla
una lingua che capiscono solo in parte, ma è gentile ed è
sorprendente averla incontrata. Non è originaria del pianeta ma ha
una tuta che ricorda loro quelle indossate al loro arrivo. La sua
presenza una novità rispetto all’interminabile serie di corvée
che li aspettano nella comunità. Sfuggiti al governo della Triade,
sono sbarcati sul pianeta soltanto sessanta albe prima, e il lavoro
non manca di certo.
Arrivano a una radura, al centro due rettangoli coperti da un’erba
violacea e da piccoli fiori. Il sole, Mauss, è rosso ed è grande la
metà del Sole della Terra, ma è più vicino, più grande e illumina
dolcemente la radura e il bosco dalle foglie grige, quasi nere.
– Ecco, sono qui. Noi tre siamo stati le prime creature arrivate su
un pianeta extrasolare. Dopo un lungo volo… Capite? Non credo che
nessuno ne abbia mai parlato, ma siamo stati i primi. I primi.
I due capiscono quella parola: “primi” e annuiscono. Ne
parleranno con la madre di uno di loro, la responsabile del loro
gruppo.
– È tanto tempo che non parlo con un umano. Tanto tempo che non
parlo più con nessuno. – Si siede su un ceppo e si passa la mano
sulla vecchissima tuta, rammendata infinite volte. Ha il viso sottile
e la pelle chiara, fragile e macchiata. – Vorrei offrirvi qualcosa:
un succo di frutta, un seme zuccherato, ma non vorrei distrarvi dai
vostri compiti. – Con un gesto lento indica la baracca che hanno
costruito insieme loro tre tanto tempo prima, fatta di tronchi
d’albero, corteccia e paglia. – Questa è stata la nostra casa
per tanti, tanti anni. – Guarda il sole socchiudendo gli occhi –
Ma credo sia valsa la pena di aspettare. In fondo siamo almeno in
parte umani e non siamo solo scherzi della tecnologia… Anche noi
siamo figli della stessa Terra.
Con calma si alza e sorride: – Andate pure, ora, se volete. Mi
ritroverete ancora qui domani e per qualche tempo. – Sorride, –
Mi chiamo Rachel, la Capra Rachel.ù
1Ingl., CorvoZesar
2Ted., CaneHumber
3Ingl, CapraRachel