Come ormai i lettori di questo blog avranno capito mi sono impelagato in un «round robin» particolarmente pericoloso, almeno per me.
Soprattutto perché mano a mano che il progetto procede e prende corpo mi rendo conto che il concetto di fantastico - e conseguentemente di orrore soprannaturale - che ho sempre avuto non ha molto a che vedere con quello di molti altri scrivani e scriventi.
Poco male, certo, c'è da imparare, come no.
Solo che dubito molto di poter essere all'altezza del compito che mi sono dato.
Personalmente ho sempre avuto un certo ritegno - non trovo un altro modo per definirlo - nel mettere sul piatto di gioco il corpo, inteso in senso letterale di corpo fisico, dei personaggi creati. Ho sempre preferito lavorare sulla mente, sulle sensazioni, sulle percezioni - più o meno distorte - lasciando intuire la sostanziale instabilità o inafferrabilità del reale, lasciando che tra realtà e percezione crescesse uno iato incolmabile. Ultimo esempio, a suo modo tipico, è il mio racconto pubblicato su ALIA Storie, la vicenda banale di un ex-arrivato, un arrogante self-made-man la cui percezione del reale si sfalda lentamente, tanto da spezzare definitivamente ogni speranza di poter ritornare a misurarsi con il mondo reale.
Storia di una malattia mentale, naturalmente, ma anche cronaca di un fallimento personale. Un modo un po' contorto - ma questo è del tutto normale per chi scrive - per esorcizzare un possibile mio fallimento.
Nel corso della vicenda, orrorifica ma pochissimo gore lo ammetto, non scorre una sola goccia di sangue e latitano le apparizioni oltretombali. Questo perché, personalmente, subisco molto di più il fascino di ciò che accade in un altrove indefinito, piuttosto della semplice materialità dell'apparizione o dell'evento presente.
Un po' come non riesco a credere in un dio assiso nei cieli mentre non posso negare la vaghissima e remota possibilità di una sconosciuta e inconoscibile volontà non umana.
Possibilissimo che il mio racconto e tutto il castello di conclusioni che riassume e presenta valgano meno di zero, ma tutti coloro che scrivono - e pensano, leggono ecc. - hanno una propria estetica alla quale si sforzano di rimanere fedeli.
Ecco, il mio (piccolo) problema è che il romanzo SBS ha - almeno per il momento - preso una piega nella quale fatico a orizzontarmi.
Ripeto: c'è da imparare, come no.
Ma non posso fare a meno di farmi alcune domande che non avrei il coraggio di fare altrove.
Anche perché costituiscono una buona base per una discussione più ampia, che esuli dall'andamento puro e semplice di SBS.
Prima domanda: è possibile, mantenendo un livello sufficiente di sospensione di incredulità, moltiplicare il numero di possibili vittime di una sconosciuta abominazione senza rischiare un possibile scivolone nel ridicolo?
Orrore e ridicolo sono, come tutti avranno ormai capito, sono due gemelli che è estremamente complicato tenere separati. Qualunque scena comica nasconde in sé una possibile tragedia e qualsiasi orrore si presta felicemente a un'interpretazione comica. Temo che moltiplicare senza un motivo ben definito il numero di vittime faccia scricchiolare qualsiasi script, lasciando che il ridicolo, come un trenino all'orizzonte, si faccia sciaguratemente vivo.
Ma il problema è forse semplicemente di formazione (mia).
D'abitudine resisto per un quarto d'ora / mezz'ora a Saw o a Non aprite quella porta o qualsiasi altro horror cinematografico 'mmericano prima di cominciare a sbadigliare o a ridacchiare come un idiota. Mi sono formato, anche vista la mia età, su Montague Rhodes James, Arthur Machen, Algernoon Blackwood, Walter De La Mare e altri simili soggetti e ho non poche difficoltà - o forse un robusto scetticismo - ad abbandonarmi facilmente ad un horror tutto fatto di urli, schizzi di sangue e parti del corpo che volano da ogni parte.
Troppo vicino al ridicolo, come dicevo.
Seconda domanda: è ragionevole intervenire moltiplicando il numero dei personaggi?
Va bene che poi buona parte di essi verrano brutalmente eliminati - con il rischio già visto di mettere in scena una versione sanguinossima di Arsenico e vecchi merletti - ma non si rischia di perdere di vista l'intera vicenda? Se un lettore comincia a chiedersi «Ma chi è questo qua?» o «Ma non era morto questo?» o ancora «Avrei giurato che questo qui fosse già stato ucciso» c'è qualcosa che rischia di scricchiolare sinistramente nell'impianto, e non parlo di quello della casa... Il lettore non deve riuscire a distrarsi, nell'horror anche più che in altri generi. Se oltre a Pippo, Gino e Amanda inserisco anche Zeppo, Dido, Chiurla, Mara, Cotta, Sbanda e altri N figuranti, moltiplico inutilmente gli enti, come ci insegna Occam, senza che la vicenda ne abbia una sostanziale miglioria. Non sarebbe il caso di tener desta l'attenzione del lettore su pochi personaggi, evitando feroci mattanze e massacri notturni?
Terza domanda: aggiungere nuovi orrori in altri ambienti e situazioni è utile per il prosieguo della vicenda? Moltiplicare fantasmi e apparizioni anche fuori dall'ambiente scelto è utile o si rischia di «buttare tutto in caciara», senza riuscire a tirare poi le redini di un grottesco crescente (e incontrollabile)?
Quarta domanda: è ragionevole e pensabile che un personaggio «scompaia» davanti agli altri lasciando sul posto parti di sé (del suo corpo), come spedito affrettatamente da una malfunzionante macchina per il teletrasporto?
Non è un po' «eccessivo»?
O, volendo essere sinceri, non è un po' ridicolo?
Nell'horror nipponico, che ho frequentato con un interesse decisamente superiore a quello tributato al suo fratello americano, la scomparsa di un personaggio avviene in pratica sempre fuori scena o quando il personaggio è solo. Dopo di ché sono gli altri personaggi a cercarlo e infine a ritrovarlo, in genere morto atrocemente dopo essere stato terrificato ben benino.
...
Soltanto quattro domande, lanciate a chi mi legge.
Che, a ben vedere, trasportano nel campo della letteratura fantastica interrogativi che appartengono a tutta la narrativa. La coerenza, la credibilità, l'intima concordanza e la solidità, l'inequivocità di luogo/luoghi, lo spessore e la credibilità dei personaggi si possono trovare in S. King come in L. Tolstoi.
Tengo a chiarire, comunque, che non sono mosso da motivi polemici e che continuo a seguire SBS con immutata e immutabile fedeltà. Quando sarà il mio turno farò la mia parte - per il momento impossibile anche solo immaginarla - sperando che i fili del romanzo siano ancora ragionevolmente distesi e afferrabili.
Sono del tutto pronto a sentirmi rimproverare di essere un vecchio barbogio e petulante, di avere un concetto di horror e di fantastico degno del principe di Metternich e che il mio concetto di terrore soprannaturale sia degno di Mélies o di Ridolini.
Possibilissimo che mi sbagli.
Non chiedo altro che di essere - con argomentazioni ragionevoli - smentito e sbugiardato.