29.4.12

Bruciando la casa


Non è stato tanto facile rispettare l'impegno domenicale della musica. Sono in montagna, dove ho una penna per il collegamento di incerto funzionamento e con tempi di risposta pressoché ottocenteschi. 
Ne potrete desumere che questo post sarà piuttosto breve, anche se, spero non indegno.
...
I Talking Heads sono stati attivi come gruppo tra il 1974 e il 1991. Guidati dall'improbabile texano David Byrne e fiancheggiati dal complicato genio di Brian Eno, hanno presentato in tutto otto album in studio e tre dal vivo.
Personalmente ho un curioso rapporto con i TH, che va dal freddo, cerebrale apprezzamento alla fissazione adolescenziale per taluni pezzi. Reazione che non stupisce, tenendo conto dell'assurdità letteralmente scritta nel DNA del gruppo. Questo pezzo, in particolare, lo ascolto sempre ad altissimo volume, anche per poter riconoscere e gustare il martellante basso di Tina Weymouth.   



27.4.12

un sogno e qualche riflessione di metodo

Missione compiuta. 
Sono arrivato in V. Verdi, 16, ho seguito da bravo pisquanello la conduttrice del programma nei sotterranei della RAI e ho registrato più o meno 20' di breve storia della CS. La trasmissione, tagliata fino a raggiungere i 7' e 30", andrà in onda in un giorno di maggio, non so ancora quale ma ne verrò informato con discreto anticipo in modo da poterlo sparare su tutti i siti possibili, per primo, ovviamente, questo. 
È stata un'esperienza curiosa, non solo e non tanto per il rapporto con la radiofonia - mi era successo di condurre su Radio Città Futura di Torino nel lontano 1976 o 1977 qualche breve programma musicale, quindi avevo una mezza idea di come funziona una trasmissione - ma per il mio ridicolo ruolo di unico, in quella sede, testimone di un frammento di vita in realtà comune a molte persone. Tutto assurdamente legato alla mia voce, ai miei poveri e parziali ricordi. Avrei voluto, probabilmente, poterne discutere con qualche altro testimone, ricordare insieme, riscoprire eventi dimenticati o rimossi. Ma il programma, intitolato «Chiodo fisso», narra di una passione assoluta e personale e innegabilmente tale è stata per me. 
«Così tu hai abbandonato medicina per fare il libraio», così ha commentato il mio discorsetto la conduttrice della trasmissione e, con una certa sorpresa, l'ho dovuto ammettere, anche con me stesso.
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Sono giorni un po' strani, questi. Vissuti nervosamente, in attesa di un qualche evento catastrofico - in fondo la libreria ha ancora qualche debituccio in giro, con l'INPS, con il commercialista, con l'ufficio paghe, con qualche fornitore - che poi particolarmente catastrofico non sarà. Ma mi è rimasta un'abitudine difficile da eliminare, quella degli ultimi mesi, quando, soppesando incassi e uscite, dovevo cominciare a preoccuparmi di chi avvisare per primo che non sarebbe stato pagato. Per ora, probabilmente. O forse mai, o quasi. 
In famiglia non mi vedono più girare con la faccia da «salto della Ricevuta Bancaria», ma i nostri rapporti sono un po' strani, lunatici, bizzarri. O forse bizzosi. Litighiamo con una certa frequenza, ma le riappacificazioni sono veloci quanto i litigi. Mia figlia mi parla con cautela, quasi fossi un malato miracolosamente salvo da un incidente mortale.
 ...
Non ho ancora deciso cosa fare di questi appunti o riflessioni o piccole memorie. Può anche darsi che le raccolga, alla fine, in un libercolo e-book o che le lasci in questo forma, di interventi a frequenza del tutto casuale sul blog. 
Ciò che mi terrorizza, nello sforzo di ricostruire il percorso compiuto, è, per esempio, la reale successione degli eventi. Tutti sappiamo quanto la memoria sia ingannevole e come nasconda certi eventi mentre ne esalti altri. Senza una testimonianza scritta è in realtà abbastanza ingannevole ricostruire una storia, anche una storia personale e ancora peggio è ricostruire il quando, il dove, il chi di incontri e fatti. 
Dovrò pensarci e giuro che ci penserò. In fondo un blog è anche una cassetta di verdura in mezzo a un parco dalla quale arringare la folla. E ciò che si ha da raccontare non merita immancabilmente un sorrisetto e una scrollata di spalle. Mi stupisce la convinzione, che anche qui qualcuno ha presentato, che «una libreria sia qualcosa di diverso da un supermercato». Se ADESSO le librerie possono ricordare i supermercati - anche se più brutti, più sforniti, meno interessanti - è probabilmente perchè è cambiato profondamente qualcosa, qualcosa che è alla base delle tante chiusure in corso. 
Un tempo non pensavo che fosse possibile vivere senza una libreria. Ora si vive senza librerie. Ora forse è possibile vivere anche senza libri. E non sto parlando di chi passa di qui, di chi tiene o frequenta blog: soggetti altamente scolarizzati, critici, attenti, curiosi. Parlo di questo popolo fatto di milioni di telefonatori solitari, perennemente immersi in discussioni inutili, in rammarichi, piccoli rancori, pettegolezzi e litigi. Dove non c'è posto per una frase tratta o ricordata da un libro. 
Non conosciamo più né la storia né le storie. E infatti siamo condannati a ripeterla e a ripeterle. 
Un popolo senza libri è senza memoria. 



24.4.12

RAI 3 e l'autopsia di un sogno


Oggi pomeriggio, più o meno intorno alle 15.30, sono stato invitato da RAI Radio 3 a registrare un breve racconto della mia personale storia e soprattutto di quella della mia ex-libreria, la CS. 
Oggi registrerò il mio intervento - racconto, narrazione o più verosimilmente, autopsia - della defunta CS, dalla sua origine, nel 1975, fino alla sua recente morte, che verrà in seguito tagliato fino a raggiungere i 7' e 30" di durata prevista. La trasmissione vera e propria avverrà nel corso del mese di maggio, nell'insieme di una serie di speciali dedicati alle librerie italiane, vive o defunte.
L'occasione di questo pubblica narrazione mi è stata offerta dall'ottimo Andrea Bajani, ex-cliente e socio della Cooperativa che anche di recente ha dedicato sulle pagine di Torino 7 un breve, malinconico intervento nel suo spazio «Vite a progetto», dedicato alla chiusura della libreria. 
E io ne approfitto, e parlerò, probabilmente anche per rendere omaggio e ringraziare anche in questo modo tutti gli innumerevoli soci e amici che in questi anni mi hanno accompagnato in un'impresa che ha i caratteri di una buffa e incredibile avventura. 
...
Buffa?
Beh, certo. 
La CS è nata nel 1975 dal collettivo di Lotta Continua della facoltà di medicina di Torino. È nata come centro studentesco - da cui il suo primo nome, «Cooperativa Studentesca» - e come strumento «delle masse» (chiedo scusa del linguaggio ma è quello che si utilizzava all'epoca) per democratizzare l'accesso all'istruzione universitaria. Una delle prime attività della CS, infatti, fu la creazione di una dispensa di Istologia-Citologia-Embriologia utile - anzi necessaria - per passare quell'esame, all'epoca piuttosto pesante. Quello fu soltanto il primo di una serie di «dispense», al quale fece seguito quella di Igiene, poi di Farmacologia Generale, di Chemioterapia, di Epidemiologia dei Tumori, di Farmacologia, di Anatomia 1... Tutti messi in vendita a prezzi che raramente superavano le 10.000 Lire, più o meno 5 euro attuali. Ma non bastava. Furono prodotti anche un libro di saggistica medica, «Giocare al dottore», di Giorgio Bert e una dispensa sul caso della diossina di Seveso, un evento che allora scosse, e non poco, l'Italia. 
Io, dal canto mio, non ero di Lotta Continua, ma di Avanguardia Operaia, quindi ero tenuto a un aristocratico distacco nei confronti dell'iniziativa di una forza estremista. ovvero «malata della malattia infantile del comunismo». Una distinzione questa, tra LC e AO, che risulta al momento perlomeno ridicola. O fantascientifica. O assurda. O buffa, per rimanere alla storia della CS. Fatto sta che non ero particolarmente convinto che fosse possibile una tale «Pratica dell'obiettivo», sempre per utilizzare il linguaggio dell'epoca, ma ero comunque affascinato dalla possibilità di occuparmi di libri. Libri di cultura varia che al momento la CS non trattava ancora ma che si potevano sentire nell'aria, anche in una immonda soffitta come quella dove la CS sorgeva.
Io facevo (male) pubblicità per un'altra libreria e quando la CS pensò di farsi pubblicità - pratica che all'epoca non pareva poi così diversa dalla vendita militante dei giornali o dal volantinaggio - fu normale che mi presentassi in CS e che ne diventassi il pubblicitario ufficiale. Nonostante non fossi di LC. In fondo avevo già fatto esperienza...
Dalla pubblicità a diventare uno dei volontari che tenevano aperta la libreria, sei o sette ore al giorno, più tre al sabato mattina, non ci volle molto. 
E man mano cominciarono ad arrivare i libri. Quelli veri, con tutto il rispetto per la manualistica universitaria che aveva cominciato ad arrivare già da un po'. E che vendevamo con «Lo sconto del 20%»!!!
Erano altri tempi. Le case editrici si sforzavano di essere presenti ovunque, persino in un'immonda soffitta al quarto piano dell'istituto di Fisiologia, V. Michelangelo 27.  
Cominciammo a ricevere i libri di Einaudi. Di Feltrinelli. Di Bompiani. E di una quantità di piccoli editori sul modello dell'indimenticabile Bertani, quello che comparve anni dopo su Frigidaire come macchietta, l'editore che: «Io non stampo nulla se non c'è la lotta di popolo».
...
Mi rendo conto che questo post sta già raggiungendo dimensioni pericolose. Quindi ritornerò sul tema. Non si tratterà di memorie, per carità, ma soltanto un modo particolare - obliquo, imprevedibile - di raccontare un pezzettino di questo paese. 
Concludo con un incontro che all'epoca mi colpì non poco.
Tra le altre cose che facevamo all'epoca c'erano anche le fotocopie. Al sabato poteva capitare che salissero quattro rampe di scale per fotocopiare qualche foglio anche individui che non avevano nulla a che fare con l'università. Il signore barbuto, gentile, con i capelli bianchi che fece una cinquantina di fotocopie non era diverso dagli altri. Tranne che... All'epoca non si mettevano le fotocopie degli autori in copertina, eppure quel signore gentile, canuto, che parlava a voce bassa avevo la netta sensazione di averlo già visto. 
Il nome mi venne in mente soltanto quando ebbe già pagato e infilato la scala. Diedi un'occhiata alle due o tre fotocopie scartate. Un testo dattiloscritto, probabilmente. Un testo che solo un paio d'anni dopo ritrovai in forma di libro stampato. Il titolo era «I sommersi e i salvati» di Primo Levi. 
Poco dopo seppi del suo suicidio. Un evento triste ma non poi così particolare. Ma che per me ebbe un peso non piccolo. 
Per poche fotocopie.


22.4.12

Cremisi come un Re

Copertina di Lark's Tongues in Aspic, album dal quale NON ho preso il pezzo presentato...

Ho passato in compagnia dei King Crimson e di tutte le loro infinite e interminabili formazioni l'adolescenza, la giovinezza e gran parte dell'età matura. Ma finora non ho mai inserito un loro brano proprio perché sono talmente diversi i KC di At the Court of the Crimson King da quelli di Starless and Bible Black o da quelli di Discipline o di Beat, senza citare i KC di The ConstruKction of Light - e trascurando l'attività di Robert Fripp solista e degli altri componenti della band - che scegliere un singolo brano avrebbe rischiato di non rappresentare un gruppo tanto importante. Per me e non solo per me. 
... 
La soluzione è relativamente recente, nel senso che, esistendo tuttora una band con il nome «King Crimson», ovvero «A King Crimson ProjeKct» come nella copertina del disco A Scarcity of Miracles, ho scelto un brano da quest'ultimo brano. 
Consigliabile tenere il volume sufficientemente alto, anche per poter cogliere la raffinata e potente tecnica di Mel Collins al sax soprano. 
Strumento che ho suonato e amato.
Anche se non abbastanza riamato.


19.4.12

Una vecchia giga



Questo racconto non è mai stato pubblicato. 
Semplicemente perché era un filino troppo lungo per LN e troppo breve o forse non abbastanza fantastico per ALIA. O anche, semplicemente, perché non mi ricordavo più nemmeno di averlo scritto. 
Può capitare.
È nato per esemplificare l'assunto che il vero fantastico nasce dall'equilibrio perfetto tra il reale e il meraviglioso - come sostiene Todorov - e che quindi un racconto fantastico non deve fornire una spiegazione aderente a ciò che vi avviene ma rimandare a un quadro più ampio dove sia possibile avanzare un'interpretazione che non possa però essere in alcun modo provata. 
Mi rendo conto che non si può scrivere un racconto per illustrare una convinzione o dichiarare un assioma, meno che mai in campo narrativo. Ed è probabilmente questo il motivo per il quale Una vecchia giga non ha mai trovato una pubblicazione.
Riletto a vent'anni e più di distanza mi pare ancora leggibile. 
Piccola nota, il mio personale comportamento nei confronti delle donne è sempre stato piuttosto diverso da quello del protagonista. 

Fuori dalla finestra il prato è umido di pioggia, scintillante fino al taglio netto dell'orizzonte.
Mentre suona lo guarda. Solleva il capo per sottolineare il movimento dell'archetto, stringe le labbra e socchiude gli occhi fino a trasformare il mondo in un disegno infantile di luci ed ombre.
Non c'è nessuno ad ascoltarlo. Suona sempre lo stesso motivo, una vecchia ballata udita chissà dove e appena ricordata, senza spartito, senza un ritmo che non sia quello dei piedi che battono sul pavimento di cemento. Porta grosse scarpe incrostate di fango secco e addosso ha un vecchio maglione troppo largo.
Non riesce a liberarsi di quella musica, anche quando smette di suonarla si scopre a fischiettarla o a canticchiarla.
Smette per stanchezza e richiude il violino nella custodia, accanto alla piccola arpa ed alla chitarra.
Voleva buttare giù alcune idee per una musica teatrale ma da una settimana riesce soltanto a ripetere continuamente quel frammento di musica sentito chissà dove.
Lo stereo è sempre acceso quando lavora: fa partire le sonate per violino di Bach a un volume insopportabile e mentre si prepara qualcosa da mangiare cerca di soffocare nella mente il ritmo saltellante e le note prolungate della piccola ballata.
Sembrerebbe una musica irlandese o comunque celtica, ma potrebbe anche essere asturiana, bretone o chissà cos'altro.
Non ne può più di musica etnica, per qualche mese non ha quasi ascoltato altro: dai canti Giavanesi alle rielaborazioni elettroniche di musica india. Ma qualcosa non funziona più in lui. Chissà cosa. Al piano, alla chitarra ha sempre e solo la sensazione di imitare, copiare, ripetere. Ogni tanto scribacchia qualcosa, incide e si riascolta e mentre sente quelle povere note dentro gli cresce una rabbia assurda, un desiderio cieco di distruggere ogni cosa, schiantare gli strumenti e andarsene in un posto qualunque.
Ride a bassa voce: dovrebbe andarsene in un posto dove non possa raggiungersi, un posto dove dimenticare ogni cosa. Sul tavolino basso dove tiene la carta da musica ci sono aperte e spiegate con cura un paio di mutandine da donna color verde acqua. È lei a mancargli? Le tiene lì come un trofeo o forse come l'unico resto di un naufragio, lì come per sfidarsi. Vuoi soffrire? Ecco, guarda cosa ti resta di lei, le avrà dimenticate chissà quando, una delle volte che l'hai portata fin quassù a scopare, a scopare e basta. Tanto con lei altro da fare e da dire non c'era.
Ingiusto, cattivo.
Ma per carità: Liliana è un'idiota. Idiota anche quando l'ha mollato - tutta seria - come se fosse stata una cosa seria quella tra loro due. Lei non distingueva un contrabbasso da un sassofono e diceva carino di qualunque cosa, di un barboncino come di Terry Riley, anzi “cariiiino” con una i che sembrava non dover mai finire.
L'ha conosciuta dopo un concerto: ovvia la scopata alla fine e sembrava finita lì. Ma lei a farsi viva anche dopo, a trovarsi per caso dove c'era anche lui. Non la cercava, lo imbarazzava persino portarsela dietro, incolta com'era, sempre un po' stupita ma mai davvero attenta, davvero capace di sentire qualcosa sul serio. Quando chiudeva gli occhi per ascoltare un bel motivo era capace di chiedergli se stava dormendo. Eppure era piacevole sentirla respirare vicino, guardarla dormire, con un braccio abbandonato fuori dalle coperte e la mano un po' aperta con le dita sottili, chiare.
Ma non è il tipo da vita a due: specchiarsi invecchiato in un altro viso, vivere a cerchi sempre più stretti come un aereo che sta precipitando.
E ora lei gli ha lasciato anche il dubbio di disprezzarla tanto per non sentire dolore. Ma gli ha tolto l'iniziativa, come può perdonarla? L'ha mollato lei quando tutti i motivi per farlo li aveva lui. E se li coltivava anche con una specie di accanimento sottilmente eccitante, un gusto rabbioso simile a quello di bruciare le ali di un insetto.
Pianta a metà il piatto ormai freddo e va a sedersi sul vecchio divano dalla fodera a righe bianche e rosse e dall'ossatura imponente.
Beve, con una lieve esitazione, ma beve. Se diventa un alcolizzato gli leggeranno la vita dietro come ridere. Beve perché l'ha mollato, chissà cosa ci trovava in quella lì. Il bel culo, certo. Preferisce parlare a se stesso di culo, come no, perché nella volgarità c'è più distacco, c'è una rabbia compiaciuta ma impotente.
La porta della stanza da letto cigolando sui cardini si chiude. Magari sono i fantasmi. Ridacchia senza gusto. Bach ha finito e non ha voglia di mettere altro. Si porta dietro solo Bach ultimamente, la passione fredda della sua musica è l'unica che sopporta.
Dal divano contempla il giorno che arretra e impallidisce.
Fa freddo, ha freddo. Preferisce rabbrividire piuttosto che alzarsi a prendere una coperta o spostare la manopola della caldaia. Grossi corvi si posano ogni tanto sul prato, saltellano goffi, gracchiano piano, apparentemente soddisfatti e fanno brevi voletti saltellanti come se volessero eseguire una parodia di veri uccelli.
Peccato non avere un fucile. Solleva l'indice, lo punta e fa bum con la bocca. A cinquanta metri di distanza l'uccello nero si solleva di scatto e ricade giù come un straccio bagnato.
Si alza sul busto, ancora imbambolato.


Gli altri corvi si sono sollevati e lenti, gravi fuggono in cielo.
Si sente cretino anche più del necessario ma deve andare a controllare. Infila gli stivali di gomma e attraversa il prato di corsa. L'uccello è indiscutibilmente morto, giace con le ali semichiuse, la testa abbandonata. Lo solleva. È molto più leggero di quanto avrebbe creduto. Chissà se gli uccelli possono essere colpiti da un infarto o da qualcosa di simile? Poggia il corpo a terra lentamente, quasi con cautela.
C'è un vento leggero ma gelido, strano non essersene accorto prima. Solleva gli occhi verso il cielo bianco. Lo guarda tanto a lungo da stordirsi. Sono anni che ha smesso di farlo: fissare un punto sopra di lui con la nuca che sfiora la terra mentre un po' alla volta lo prende un senso di vertigine. Era un ottovolante povero e solitario, da bambino.
Ovviamente non è colpa sua, un caso, una coincidenza, assurda finché si vuole ma sempre una coincidenza. Vaga ancora per un po' per il prato, l'aria fredda sul viso gli schiarisce la mente. Fa decisamente freddo quando si decide a rientrare. Spinge la porta abbassando la maniglia e non succede niente. Di nuovo. Ovviamente non ha con sè le chiavi, ma quella porta non la chiude mai a chiave, se non per tornarsene in città.
Fa ancora qualche tentativo sempre più rabbioso ma niente.
Eppure è una porta da poco, uno strato non troppo spesso di legno e una serratura da bambini.
Gli verrebbe da ridere se si vedesse prendere la rincorsa sul sentiero per buttarla giù. Pochi passi accellerando e piomba sulla porta.
Il dolore alla spalla è nitido e improvviso come una coltellata, gli attraversa il braccio e la schiena fulmineo e bruciante. Cade sul sentiero coperto di fango a bocca aperta, la mano sulla spalla. Anche il più piccolo movimento delle dita risveglia nel braccio un bruciore infernale. La luce è scivolata oltre la linea dell'orizzonte: si gira sulla schiena con gli occhi rivolti alle stelle gelide della notte d'inverno.
Adesso fa veramente freddo: non può rimanere lì disteso sul sentiero per troppo tempo. Si solleva a fatica, reggendo la spalla rotta con la mano.
Gli serve una pietra, possibilmente grossa. In casa c'è il suo telefono portatile, potrà chiamare aiuto. E pazienza se per un paio di mesi non potrà più suonare nulla. Cammina chinato, frugando nell'erba con la mano ancora buona, fischiando senza voce quel malefico motivetto che gli si è incollato al cervello come un chewing-gum usato.
Niente, nessuna pietra, la mano affonda nel gelo tagliente dell'erba umida senza afferrare altro che terra bagnata e fango. La scarsa luce gli gioca scherzi perfidi e si trova a stringere rabbiosamente una vecchia fatta di vacca.
Impreca e si pulisce la mano sull'erba. Finisce vicino all'ombra scura del corvo morto. Si allontana con uno scatto nervoso che gli fa stringere i denti per il dolore.
Alle sue spalle c'è la casa. A pochi metri il calore, il cibo, la salvezza. Si volta, deciso a centrare il vetro con un pugno. Sono vetri doppi, ma anche il rischio di tagliarsi di brutto la mano è diventato una sciocchezza.
Le luci sono spente. Il profilo della casa è appena afferrabile, oscurità cieca sull'abisso del cielo.
È sicuro di avere acceso le luci, prima, quando se ne stava su divano.
Sicuro, si fa presto a dire sicuro, non è più certo di nulla se non del dolore e del freddo infame. Ma è possibile una fine così ridicola, congelato davanti alla porta di casa?
Istintivamente appoggia la guancia sul vetro. Ansima fino a velare il riflesso buio del cielo sul cristallo. Dimentica persino il dolore: si concentra a respirare, si ascolta farlo con una meraviglia nuova, mai provata.
Prova a spingere sul vetro. È spesso, maledettamente spesso. Se non trova una pietra non... ma dove cristo cercarla in quel buio?
In città non lo aspettano, tra un paio di settimane il regista della commedia comincerà a tempestare di insulti la sua segreteria. “Per quel lavoro, cazzo fai? È pronto? Mi richiami o no? Stronzo, ti decidi?”
È più probabile che lo trovino verso maggio quelli che portano su le bestie agli alpeggi. Quattro ossa e due stracci, quello che gli lasceranno i corvi. “Frattura alla spalla” dirà il patologo legale.
Un movimento leggero, colto con la coda dell'occhio. Affonda lo sguardo nel buio. Un'ombra pallida attraversa la stanza.
- Ehi, ehi! Aiuto!!! - Urla con tutte le sue forze battendo con il braccio buono contro il vetro.
Nulla, chissà cos'ha visto. Solo un riflesso, un semplice riflesso del cielo.
È questione di resistere fino al mattino, tutto qui. Qualche ora. Ma non può sedersi né tantomeno dormire.
Canterà per tenersi sveglio. Comincia fischiettando e dalle labbra socchiuse, inaridite dal freddo e dalla paura ancora una volta nasce la giga ripetuta per tutti quei giorni.
Improvvisamente ricorda quando l'ha sentita: l'autoradio a tutto volume, il grande corso con gli alberi nudi e scuri di umidità.
“Non sei nessuno Liliana, una povera idiota ecco cosa sei, una poveretta senza speranze.” Urlava ma cercava di mantenersi freddo, sarcastico. “Ma vai, vai. Lo troverai un bravo giovane che ti mantiene, stai tranquilla, un assicuratore o uno che sta negli immobili. Come no.”
Lei non rispondeva, si fissava le ginocchia: una bambina umiliata dalla maestra davanti a tutti. Eppure non piangeva, cazzo a farla piangere non è riuscito. Avrebbe salvato tutto qualche lacrima, forse. Le avrebbe detto “Scusa, scusa. È che sono troppo innamorato di te” o qualche altra scemenza del genere.
Aveva continuato per un po' su quel tono, rendendosi conto di non avere più possibilità di fuga. Lei è scesa ad un semaforo senza aver aggiunto una parola. Crepa maledetta. Deve averglielo detto, se non urlato.
Dopo non l'ha più sentita né vista: è partito quasi subito.
Può esserle successa qualunque cosa, davvero qualunque cosa. Anche che abbia fatto qualche stupidaggine, in fondo sarebbe normale.
Mi piace il tuo mondo, diceva, mi piace proprio.
E perché non riesce a ricordare com'è la frase successiva di quella giga? Testardamente ma senza speranza riprende a fischiare.
Ha spento l'autoradio mentre lei scendeva. Non si è girato a guardarla. Come sempre lei avrà attraversato il minuscolo vialetto ed avrà aperto il portoncino di metallo verniciato di azzurro, un po' scrostato. Dopo aver estratto la chiave avrà tirato indietro con uno scatto i capelli scivolati sul viso. Ma non ce la vede a dargli dello stronzo, a stracciare le poche foto di loro due insieme. Lei si sarà data la colpa di tutto, anche di non riuscire più ad amarlo.
Sente freddo nella mente e la testa vuota, piena di stelle d'inverno. Non riesce più a ritrovare la sua rabbia, tutto dentro si confonde e oscilla come la fiamma di una candela: il cielo dell'infanzia, la nuca sottile di lei scoperta dai
capelli rovesciati, la curva delle spalle e un corvo morto, leggero come un aquilone.
Batte contro il vetro. Deve arrivare al mattino, contare e ricontare le stelle come un eremita sperando che non ne manchi nessuna. Fischietta, stona e sente le note impallidire e svanire a pochi metri da lui, chiuse in una bolla di tempo abitata solo da lui.
Nel cristallo si disegna una forma più chiara. Si schiaccia il naso per guardare.
Non fischia più, trattiene il respiro e accarezza la finestra con un dito. L'immagine si forma scivolando lenta, sinuosa, come fosse disegnata da uno strato di sabbia ed olio tra due vetri affacciati.
E lo sguardo di lei è calmo, assente, fisso alle stelle fredde dietro di lui.


17.4.12

Grazie


Sono ritornato dalla montagna pensando ad alcune persone che mi hanno sostenuto in questi ultimi mesi. 
Intendiamoci, le persone che sono passate in libreria a salutarmi e ringraziarmi sono state tante e a tutte loro vorrei indirizzare un enorme GRAZIE, ma alcune, – è soltanto umano – mi hanno colpito in modo particolare. 
Diciamo che si tratta di un «One upon a time» fuori tempo massimo, dedicato a tre clienti-soci decisamente particolari. 
Mi ha colpito - e non poco - quel gentile signore più o meno sessantenne che mi ha portato un piccolo regalo e una lettera autografa per ringraziarmi per aver conosciuto «grazie a voi testi letterari e pubblicazioni molto importanti per me.». Il libro che mi ha regalato è un manuale edito il 23 dicembre 1940 dal titolo «Trattato di architettura tipografica» di Carlo Frassinelli, libro acquistato da suo padre, profugo armeno. 
È passato a lasciare libro e lettera in un momento di mia assenza e mi sono trovato il pacchetto sulla scrivania, con un breve messaggio del mio collega. Ovviamente, vista la mia patologica timidezza, non sono stato capace di ringraziare come si doveva il donatore e sono stato, probabilmente, un po' freddo o forse apparentemente distratto. Ecco, questo breve post sul blog – che il mio ex-cliente so che frequenta – è per ringraziarlo di tutto cuore. 
… ma, nulla di più? 
No, nulla di più, in fondo non a caso siamo abitati a Torino per così tanto tempo : )
Un altro socio, che ha perduto una certa somma nella chiusura della libreria – un prestito da soci, si chiamava – mi ha cercato a lungo. Io supponevo, ovviamente, che il nostro socio pretendesse, giustamente, il rimborso almeno parziale del prestito. Dal canto mio non ero in fuga, ma, semplicemente, mi capitava di non essere in libreria quando lui passava. 
Poi un giorno è passato e mi ha trovato. 
Ci siamo spostati nel mio ufficio, io lambiccandomi il cervello su come recuperare almeno una parte del suo denaro. Ho iniziato con un «Senti…», ma lui mi ha bloccato.
«Non pensare a quei soldi. Sono contento di averteli dati e non li rivoglio. Più che altro... so che vuoi continuare con l'editoria. Ecco, se ti trovassi con la necessità di un finanziamento, non preoccuparti, fammelo sapere».
Anche qui temo di non conoscere le parole necessarie per un ringraziamento degno di nota. Al massimo, posso fare ciò che sto facendo, riportare qui la notizia senza commentarla.
È importante, comunque, utilizzare questo piccolo spazio per ringraziare tutti i soci che hanno contribuito in solido alla gestione della cooperativa senza recuperare altro che una manciata di libri. Spero almeno che i libri siano stati graditi...
Ultimo caso un burbero docente di fisica, lettore fissato e con un gusto per me professionalmente pericoloso. Il tipo di lettore che liquida con un «tsé» le letture sgradite e con «poteva andare» quelle migliori. Il particolare che il soggetto fosse un docente di fisica non è secondario come può sembrare. Noi eravamo dietro l'angolo per gli studenti e il corpo docente e amministrativo di fisica e la loro presenza, la loro curiosità, la loro passione per la lettura sono stati altrettanti pilastri per la nostra attività. Chiusa la parentesi. 
Il nostro burbero lettore ha continuato a passare in libreria anche quando i libri cominciavano a mancare, chiedendomi, con un certo gusto per il paradosso, di trovargli «un buon libro».
Fino a un certo punto sono riuscito a rispondere alla sfida, ma da metà marzo in poi la libreria cominciava a essere decisamente sguarnita, soprattutto di buoni libri. 
Ma rimanevano in classici, questo sì.
Al suo terz'ultimo passaggio gli ho venduto Giro di vite, di Henry James. 
«Molto buono, davvero», è stato il commento.
Al suo passaggio successivo, intorno al 20 di marzo, un libro di Theodor Sturgeon, Un po' del tuo sangue
Al suo ultimo passaggio non sapevo letteralmente più cosa vendergli. 
Ma lui non voleva libri. Voleva soltanto ringraziarmi. E se n'è andato di corsa, dopo una stretta di mano e un abbraccio, bofonchiando un: «Non voglio commuovermi».
...
Tre lettori molto particolari, lo so. Tre pezzi della mia vita. 
Che mi dispiace non poco di aver perduto, anche adesso che vago tra un ufficio e l'altro alla ricerca di un sussidio di disoccupazione e nei momenti liberi mi preoccupo degli ultimi debiti ancora aperti. 
Qualcosa che però è importante ricordare e che spero mi dia la forza per continuare.
...
Ne approfitto, visto che si parla di ringraziamenti, per ringraziare di tutto cuore gli amici di penna del blog che sono passati in libreria o mi hanno scritto per starmi vicino. Non posso più fornire – né a loro né a nessun altro – un parere aggiornato e puntuale sui libri che sono usciti o che usciranno. Il che mi fa sentire un evirato culturale. 
Il mio tempo sembra scivolarmi di dosso e non so ancora che cosa farò, oltre che lavorare a CS_libri. 
Ma da qualche punto bisogna pur ricominciare. 
Anche se mi rendo conto ogni giorno di più che quei giorni non ritorneranno. 
...
Basta, prometto di non piangere più. 
Il prossimo post sarà un racconto, nemmeno troppo breve. 
Per ora un abbraccio collettivo. 
A chi c'era e persino a chi non c'era.

15.4.12

Della difficoltà di incontrarsi


Moby non è esattamente uno dei miei musicisti preferiti. Non nel senso che abitualmente lo detesto e qualche rara volta no, ma nel senso che le sue canzoni mi piacciono quasi sempre. Lo ascolto, per farla breve, troppo spesso con il famoso emisfero sinistro, ovvero stando troppo attento ai rimandi, alle citazioni, ai passaggi e alle osservazioni sottostanti da storico della musica, americana e non. 
Moby è un musicista raffinato, colto, esperto ma forse talvolta il musicologo che vive con condominio con lui finisce per prevalere sul musicista. Con tutto ciò, chapeau
...
Il video che presento è In this world, canzone parte dell'album 18
Notevole la canzone e ancora più notevole il video. Debbo sinceramente riconoscere che ciò che mi attrasse per primo furono le curiose creature, all'apparenza perfetti alieni, che si rivelano ben presto imprevedibilmente inadatti al rapporto con la specie Homo sapiens sapiens
Fortunatamente i nostri alieni decidono che un solo tentativo non basta e si preparano a riprovarci. La sottile, divertente malinconia degli alieni sperduti in una metropoli americana colpisce comunque davvero a fondo. 
Da notare il piccolo, delizioso cammeo di Moby nei panni del Giovane Americano Distratto. 


9.4.12

It's a new day


Il 6 aprile abbiamo ufficialmente dichiarato chiusa la società, la C.S. Coop. Studi, nata nell'autunno del 1975, è definitivamente scomparsa. A curare quel che resta rimane un liquidatore, il sottoscritto, che dovrà tacitare i creditori, pretendere dai (pochi) debitori, curare gli aspetti legali e contributivi, raggranellare qualche denaro a favore dei due dipendenti, saldare le tasse che rimangono da pagare e chiudere le ultime pendenze entro la fine dell'anno. 
È un compito che mi sono assunto per semplice coerenza. Dopo aver tirato la carretta per tutti questi anni, era il minimo, anche se dio solo sa che ne avrei fatto volentieri a meno. 
Tutto ciò detto su ciò che si è chiuso, parlerò per un momento per quello che rimane.
La casa editrice, per esempio. 
CS_libri è un marchio librario che la società semidefunta mi fatturerà e che quindi diventerà a tutti gli effetti mio. La collane Fata Morgana, ALIA, Nobile & Disperata e tutti i titoli prodotti in questi anni resteranno a mio carico. Ecco, un buon punto di partenza, per esempio, potrebbe essere quello di trasformare in e-book tutti i titoli in via di esaurimento e offrirli a prezzi variabili da 1,99 euro a 4,99 euro a pezzo. O, nel caso del mio titolo - In controtempo - offrirlo gratuitamente ai lettori. In ogni caso non mi preoccuperò eccessivamente di evitare le copie fraudolente. In fondo sono ragionevolmente certo della qualità di ciò che offro e confido sulla sostanziale onestà di chi ha intenzione di leggere ciò che è uscito sotto nostra responsabilità. Non sono né Mondadori né Feltrinelli né Longanesi, non ho problemi di personale né di distribuzione e quel poco che riuscirò a raggranellare sarà, una volta pagate le tasse, mio e di chi collaborerà con me. 
La spedizione a domicilio ai lettori continuerà con i criteri sempre utilizzati dalla CS, ovvero senza spese a carico del lettore e con pagamento a mezzo bollettino di c/c postale. Interessante notare che in questi ultimi dieci anni abbiamo inviato più o uno un migliaio di libri in tutta Italia e abbiamo avuto in tutto due casi di lettori morosi, ovvero che non hanno versato il dovuto presso qualsiasi ufficio postale. Una percentuale che credo possa impensierire chi è convinto che siamo un popolo di individui furbetti e disonesti. Questa idea, quella della spedizione sperando nell'altrui onestà, è stata a suo tempo mia e, pur essendo stata accolta con non poche perplessità, ha funzionato. Non c'è quindi motivo di cambiare direzione. 
Continuerà anche la produzione di nuovi libri. Con un'ulteriore ALIA, per esempio, che potrebbe uscire per la metà-fine del 2013, e con qualche nuovo libro. Uno mio, ad esempio, dal momento che il libro precedente è stato - da un punto di vista strettamente economico-finanziario - un moderato successo. Nulla di eccessivo o di costoso - non ho le risorse - ma qualcosa di buono sarà possibile pubblicarlo. Il lavoro per la CS mi ha lasciato numerosi contatti con altri editori, traduttori, autori che sarebbe quantomeno sciocco non provare a utilizzare.
LN-LibriNuovi zero
Per comunicare con il mondo utilizzerò, tra gli altri, il blog fronte & retro, anche se è probabile che con l'autunno varerò un sito per CS_libri. Accanto a questi ci sarà, come sempre, il blog di librinuovi-out-of-print al quale sto lavorando con Silvia Treves e Franco Pezzini, dove continua il lavoro di recensione e cominciano a comparire i primi interventi, quelli di Fabrizio Foni e Claudio Gallo, storici della letteratura fantastica italiana, e quello di Vittorio Catani, tra i maggiori autori di sf italiana, con un intervento sufficientemente polemico sul panorama sf italiano. 
Nei prossimi giorni, diciamo fino alla prossima domenica non ci sarò. Me ne andrò in montagna a meditare e forse a progettare. 
Di sicuro posso dire che non ho intenzione di fermarmi con la fine della CS. In fondo la parte più divertente del nostro lavoro era proprio nella creazione di nuovi libri e sarebbe molto triste smettere proprio adesso. 
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Chiunque abbia intenzione di comunicare con CS_libri, proporre un libro o ordinarne uno, potrà farlo con l'indirizzo della casa editrice:  
cs_libri[et]fastwebnet.it 
o con il mio indirizzo personale 
massimo.citi[et]fastwebnet.it.
Chi intende collaborare con LN on line o intervenire sul blog può scrivere a 
coordinatori[et]librinuovi.info o a 
redazione[et]librinuovi.info 
Siamo vivi, insomma. 
Ed è un nuovo giorno. 


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8.4.12

Tu guida, disse lei


Non ricordo in quali circostanze mi è capitato di incontrare il musicista che presento questa settimana.
Mi è capitato di udirlo per radio, credo, e qualcosa nella sua musica mi ha colpito abbastanza da ricordarlo. Anche senza essere minimamente in grado di ripetere canterellando i suoi motivi. 
È stato un piccolo, misterioso, chiodo fisso, anche perché non riuscivo a sentire di chi diavolo si trattasse. Poi la vecchia e indimenticata Videomusic venne al soccorso, trasmettendo il video che presento qui. 
Il musicista si chiamava Stan Ridgway e la sua canzone era «Drive she said».
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Texano, ex-militare in Vietnam, Ridgway ha praticamente la mia stessa età ed è un appassionato di cinema, passione che non è difficile riconoscere nei suoi video, come in The big heat, in un bianco e nero che ha insieme il sapore degli hard-boiled come i climi sornioni e angosciosi dei film di sf degli anni '50. 
Difficile immaginare qualcosa di più profondamente americano di Ridgway, a cominciare dalla pronuncia più inverosimilmente yankee mi sia capitato di udire, seminata su un tappeto musicale complesso e sorprendente sia da un punto di vista armonico che ritmico.
Davvero un grande artista, buon ascolto a tutti.  


3.4.12

...e oltretutto mi hanno fregato la borsa


Già.
È un periodo di cattivo karma, direbbe qualcuno.
Venerdì pomeriggio ho lasciato la borsa in auto, in custodia di mia moglie, e sono andato in farmacia. 
Al mio ritorno ho visto Silvia parzialmente fuori dall'auto a redarguire qualcuno. Avvicinandomi ho notato che la portiera dalla parte del passeggero era soltanto accostata. 
Il resto avete abbastanza fantasia per immaginarlo da soli, credo. 
Qualcuno aveva distratto Silvia mentre il complice apriva la portiera e sottraeva la borsa. 
Pulito, silenzioso e per nulla violento.
Ho perso la calma sul momento, ma non troppo, tutto sommato. 
Nella borsa avevo il mio kindle nuovo di pacca, le chiavi di casa e quelle della libreria, tutte le chiavette per il pc, un libretto di assegni, un paio di assegni (intestati) a favore della libreria, cancelleria assortita e qualcos'altro che non ricordo ma che temo sia fondamentale per la contabilità. 
Per il kindle... beh, pazienza. Quando avrò tempo e voglia ne comprerò un altro. Magari non il kindle, che non mi ha convinto del tutto. 
Tipica consolazione del disperato. 
Le chiavi di casa. Beh, 180 euro ed eccole qui, nuovissime e splendenti. 
La chiavi della libreria... Beh, tanto il nuovo inquilino dovrò cambiarle. E per il momento c'è l'antifurto. 
Le chiavette del pc. 
In linea di massima tenevo doppia copia di tutto. Ma «e se non fosse così?». Confesso che per prima cosa mi sono chiesto se avevo copia del mio ultimo romanzo su un altro PC. Sì, l'avevo. Non che sarebbe stata una perdita così lancinante per la letteratura italiana, ma almeno per me è importante. 
Il libretto di assegni. 
Un paio d'ore tra la banca e la questura e ho fatto denuncia e annullato gli assegni. Poi con la denuncia sono ritornato dai miei debitori e mi sono fatto riemettere i due assegni.   
In apparenza tutto è ritornato come prima. 
In apparenza. 
La mia sensazione è quella di essere un uomo piccolo piccolo di Cerami, sia pure in sedicesimo. In fondo soltanto tre o quattro mesi fa mi hanno grattato il portafoglio. Mi sento almeno un po' un poverocristo perseguitato dalla piccola criminalità urbana.
Ma non è nelle mie abitudini accontentarmi di bestemmiare e accusare un insieme di Rom, immigrati, diseredati, mort'e'famme e altri pessimi soggetti da calendario padano. La sensazione che ho in questo momento, e che probabilmente avrò anche domani - e dopodomani - è che la situazione economica, sociale e politica sia bruscamente peggiorata. Che il lumpenproletariat contemporaneo non abbia più alternative al furto. Soprattutto a quello compiuto ai danni di pollastri come me e mia moglie. 
Illuso? Sciocco? Stolto? 
Può darsi. 
In fondo è meglio consolarsi della propria dabbenaggine così, che maledicendo i propri simili e chiedendo ad alta voce la pena di morte o il taglio della mano. 
Mi preoccupa di più il pensiero di una barbarie che risorge, che penetra più profondamente nei quartieri, nella vita d'ogni giorno, nelle abitudini quotidiane. 
Mi rendo conto che entrambe le letture -> astuzia personale vs. dramma sociale, sono possibili e verosimili. Ma personalmente preferisco credere al dramma sociale piuttosto che alle volgari astuzie di sfigati nullafacenti. 
Ho torto? Beh, almeno pago di persona. 


1.4.12

Il crollo delle nuove case


Einstürzende Neubauten, anche se apparentemente impronunciabile, vuol dire sostanzialmente questo.  Per chi volesse sapere come si pronuncia basterà comporre: ain-sturzende noibauten dove la «u» è stretta e gutturale e la «e» finale è semimuta.  
Si tratta di una band tedesca originaria di Berlino, di genere industrial pop, nata nel 1980 e tuttora in attività, fondata da Blixa Bargeld e da Frank Martin Strauss.
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Ho conosciuto gli Einstürzende Neubauten nel periodo in cui i Depeche Mode avevano inserito sonorità tipicamente industriali nei propri brani. Ecco, gli E-N avevano iniziato prima e lo facevano di più, meglio, e con maggiore convinzione. 
Con il passare del tempo e degli album tanta rabbiosa convinzione si è parzialmente stemperata, ma gli E-N restano un gruppo poderoso, ricco di idee e con una forte presenza scenica. 
Ho esitato a lungo per scegliere il brano e ho anche pensato di inserirne due. Ma ho finito per scegliere questo Total eclipse of the sun. 
Buon ascolto!