28.5.19

Il Mare Obliquo 12

Klog, Plinio e Matushka devono attraversare la foresta assalita da un potente mago, ma sanno che Canddermyn è molto più potente di qualsiasi incantesimo… A vedere il triste risultato della sua offesa sarà chiamato lo stesso re Artamiro.
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Un vento freddo, quasi una solida parete mobile si è levato tra loro e la loro destinazione. Klog cammina con la testa china e gli occhi rivolti al suolo coperto di foglie, ma questo non gli impedisce, quando alza lo sguardo, di vedere per un istante, dietro ai rami che si agitano disordinatamente, volti misteriosi ed orribili ritagliati nel verde più scuro e più chiaro delle foglie, ombre in chiaroscuro che se osservate con attenzione scompaiono, ritornando alla loro sostanza di foglie e rami.
– Dobbiamo aver pestato i piedi a qualcuno di MOLTO importante. – Osserva quasi tra sé Plinio.
– Tiatikenn, probabilmente. – Matushka si abbassa sulla fronte il cappuccio rovesciatogli dal vento e tossisce. – Speriamo che tra un po' si stanchi .
– Io non ci spererei troppo, Tiatikenn non è noto certo né per la sua generosità né per il suo umorismo. – Il gatto solleva il viso ad annusare l'aria. – Canddermyn resiste all'intruso, ma per raccogliere tutta la sua grande forza ha bisogno di tempo, di molto tempo.
Klog chiude gli occhi e cerca di respirare senza soffocare. – E nel frattempo cosa facciamo? Ci facciamo portare via come stracci vecchi? Aspettiamo che le Ombre ci facciano a pezzi? Plinio, Matushka mi sentite?
La piccola volpe oscilla per una raffica più forte, borbotta qualcosa tra i denti e si ferma. – Ha ragione, Plinio, non possiamo resistere ancora molto all'aperto, dobbiamo trovare un rifugio.
– E dove? Tu lo conosci un buon posto, qui? Io non so nemmeno dove ci abbia portato il vento. Temo che Tiatikenn voglia spingerci in un tratto aperto e lì spazzarci via come foglie secche.
– Rinforza ancora! – Urla Klog, con una nota di panico nella voce. Ormai è quasi impossibile tenere gli occhi aperti e quando vi riesce il Boldhovin riesce a vedere solo il grigio rabbioso delle raffiche che urlano come fantasmi inquieti e o spingono in tutte le direzioni. – Conoscete qualche in..cantesimo? – Urla Klog, accucciato a terra per resistere ad una folata più forte.
– NO! – Grida Matushka. – Niente di…adatto.
Il gatto, semisdraiato per terra, il viso nascosto da un braccio, non risponde. Poi, faticosamente infila il braccio nella piccola borsa che porta a tracolla e ne estrae un'oggettino argenteo di forma ricurva. – Ecco.
– Cos'è, Plinio?
– Uno Srithi. Suonalo…presto, Klog.
Il Boldhovin prende in mano l'oggetto resistendo ad una ventata più forte e maligna e se lo porta alle labbra. Dal piccolo strumento esce una nota liquida, stranamente forte che diviene più nitida e distinta ad ogni risonanza.
– Funziona, Klog, continua! – Esclama Matushka. – Il vento è cessato.
– È cessato solo qui.– Plinio si solleva a sedere. – E non ritornerà fino a quando qualcuno suonerà lo Srithi.
Klog, intento a suonare, vorrebbe fare mille domande ma ogni volta che si ferma per riprendere il fiato sente il vento che si avvicina nuovamente, cento volte più rabbioso e questo lo induce a riprendere con maggior forza.
– Bravo, suoni bene. – Osserva Matushka rivolta a Klog. – E tu Plinio, come fai a possedere un oggetto di tale valore, l'hai sgraffignato?
Il gatto scuote solennemente la testa. – Mi è stato donato dal Maestro Selestin. Era di Kerfilluan, ma credo che la sua magia sia molto, molto più antica. Alcune leggende dicono che i Primi Lontani potevano spostare le montagne cantando e probabilmente questo Srithi è stato prodotto proprio da loro. Altro non so, mi basta che funzioni.


Klog suona senza interruzioni, intimorito ed insieme affascinato dall'inconcepibile antichità di quell'oggetto. Quel piccolo corno è leggero in un modo sconcertante e la superficie metallica non sembra fredda, ma stranamente tiepida, come se vivesse e vibrasse del suo contatto. Dopo aver emesso note più o meno a casaccio, spinto solo dalla paura, comincia ad appassionarsi della morbida potenza dei suoni che emette: accenna una marcia, poi una giga, quindi una struggente, malinconica ballata, mentre Plinio e Matushka lo guardano prima sorpresi poi stupiti ed ammirati, dimenticando anch'essi la furia del turbine che si abbatte a pochi metri da loro.
– La sentite? Klog, non smettere, per carità… La sentite, vero? È Canddermyn che si prepara alla lotta. – Dice a un tratto la volpe avvertendo una cupa vibrazione che proviene dalla terra sulla quale sono seduti.
– Sì, ci siamo. Adesso sì che vedremo mirabilie mai nemmeno immaginate…Non vi muovete. – Aggiunge Plinio.
La vibrazione della terra cresce fino a farsi una nota profonda, un rintocco che sembra venire dall'orlo del Mondo. E la sua intensità cresce in maniera insopportabile, fino a quando nessuno può più udirlo, confuso com'è con la sostanza stessa della quale anche loro, gli unici ascoltatori, sono fatti. Ogni creatura vivente della foresta, gli alberi, gli animali, i fili d'erba, le foglie morte, l'acqua, la terra stessa formano un coro che sovrasta il fischio rauco e le urla scomposte del vento magico.
Senza smettere di soffiare nel piccolo corno, anche se non riesce ad udire più nulla di quanto la bocca e le dita eseguono, Klog si volta per guardare. Il vento, a pochi metri da loro, rantola furioso, ma gli alberi sono immobili ed il colore e la loro tessa sostanza è cambiato. Sembrano tagliati nel rame e nel ferro antico, ora, mentre il cielo lampeggia e vibra come una lastra di vetro prossima a spezzarsi.
Il vento solleva grandi colonne di terra e sabbia che si spezzano quasi subito, si avventa con rabbia contro i mucchi di foglie e rami che ha sollevato ma nulla sembra più sensibile al suo tocco e la foresta, divenuta roccia e minerale, guarda con disprezzo quell'affannarsi inutile e stizzoso, come un saggio può guardare l'agitarsi bisbetico di un mercante truffato.
Dopo qualche attimo di relativa pace il vento si alza un'ultima volta con un urlo agghiacciante e Klog ha la sensazione di vedere un volto disegnato dalle sue folate: un volto dagli occhi formati da polvere e sassi, dai lineamenti fatti di rami secchi e spezzati, la lunga barba ispida e la bocca aperta come per urlare.
Dopo un irreale attimo di silenzio ed immobilità un boato assordante, una vibrazione che scuote il mondo dei vivi e dei morti spezza per sempre l'urlo del vento e priva dei sensi il Boldhovin, Matushka e Plinio.
Quando i tre si risvegliano su Canddermyn è tornato a brillare il sole, le acque cantano, gli alberi muovono dolcemente i rami, accarezzati da una brezza amica.
Klog appena sveglio cerca subito lo Srithi, rotolato a pochi passi da lui e solo dopo averlo ritrovato si guarda intorno per controllare la situazione dei suoi amici.
– Che bello! – Urla una voce femminile provienente da sotto un cumulo di abiti. – Quanto mi è piaciuto, Canddermyn ti amo!.
– Stai bene Matushka? – Chiede il Boldhovin, abbastanza pleonasticamente.
– Mai stata meglio. L'unica cosa che mi dispiace è non vedere la faccia di Tiatikenn in questo momento. – La piccola volpe esce arruffata e felice dal mucchio dei suoi abiti e fa un paio di salti come una capretta.
– Sarà un po' spettinato, credo. – Commenta con tono divertito un'altra voce. Attraverso il collo aperto della camicia che indossava in vesti umane Klog riconosce gli occhi di Plinio, illuminati di una luce malignamente sorniona.
– Dai vieni fuori, stupido gatto. – Le dice Matuska.
– Sto benissimo qui, cara mia. Anzi penso che schiaccerò un pisolino. Hi hi! Credo che Tiatikenn, Maestro della magia dei Notturni e Signore dell'Oltre-Lo-Specchio se ne guarderà bene dal molestare ancora Canddermyn. Quindi possiamo anche riposare tranquilli, è stato un giorno MOLTO movimentato.
– Ma io ho fame. – Esclama Klog. – Sarà stata la paura, il sollievo, quello che volete, ma io ho un appetito che mangerei qualsiasi cosa.
– Come sei prosaico, Boldhovin.– Commenta Plinio. – Non ti basta il cibo leggero ma nutriente dato dalla soddisfazione? No, devi essere così volgare da pensare solo a nutrire il tuo banalissimo stomaco, dopo tanti e meravigliosi prodigi?
– Sì. – Replica Klog per nulla impressionato.
– Se non c'è nulla che possa farti recedere da tanta convinzione non vedo altra soluzione che andare a mangiare da Sibiell. Portami gli abiti, sono già stato fin troppo umano.
– Anche a me. Voglio sentire questa brezza nel pelo ed odorare il profumo di quest'aria così dolce. – Aggiunge Matushka, scattando verso il folto degli alberi.

 

Re Artamiro, di umore nero come la notte, si avvicina alla grande tenda-laboratorio di Tiatikenn, posta sulla cime di una piccola altura adornata del vessillo della luna nera in campo argento. Il potente sovrano, con la sua scorta formata da trenta Silvestri rivestiti di cuoio e metallo ed armati di grandi asce, seduto nella sua portantina mastica amaro e immagina punizioni sempre più sottilmente sanguinarie ai danni di Siah Teh, colpevole di essersi lasciato sfuggire Kwister di Lö.
– Non so come possa averlo saputo, sua Volontà. – Balbettava lo stupido Syerdwin reggendo in mano il collare ormai inutile. – Io mi sono allontanato solo per un istante, sua Volontà, ma sono stato tradito, tradito, tradito!
E quella sciocchezza del tradimento Siah Teh aveva continuato a ripeterla anche mentre due dei suoi Silvestri lo portavano via dalla sua regale ed arbitraria Vista, per gettarlo a meditare sulla propria inopportuna libidine nella fossa dei maiali.
– Mi credete un sacco di letame, eh, brutti rospi? Se non riuscite a portare meglio questa trappola non avrete più bisogno delle braccia. – Urla il Re ai quattro Gu'Hijirr che lo trasportano. E al Siniscalco che procede a piedi al suo fianco ulula: – Ant'Kisìel, grandissimo idiota, hai mandato qualcuno a cercare quell'accidenti di cane bastardo?
Il Siniscalco annuisce freneticamente. – Ho mandato un centinaio di cavalieri, ma nessuno l'ha veduto allontanarsi e così nessuno sa in quale direzione cercarlo. D'altro canto non ci si attendeva una simile condotta da parte del Duca e così…
– Cosa intendi dire, bestia, eh? – Re Artamiro si sporge fuori dalla portantina per prendere per il collo il suo Primo Ministro ed i Gu'Hijirr sono costretti a veri prodigi di equilibrio per non farlo cadere, anche se la cosa non peggiorerebbe troppo, probabilmente, il suo umore. – Vuoi dire che mi fidavo, eh, sudicio imbecille? Dillo, allora! – Tempesta sua Volontà mentre il Siniscalco cerca inutilmente di nascondere il capo tra le spalle.
– Non ho detto questo, maestà. Nulla di più lontano dalla mie intenzioni. So che Vostra Volontà non è un povero ingenuo sprovveduto. Sono stato io a consigliarvi di fidare nell'onore del Duca e quello stupido maghetto pesce a lasciarselo scappare. Questa è la semplice verità.– Annuncia Ant'Kisìel.
– Non è vero, brutto scimmione, e mi fa schifo la tua umiliante piaggeria. Io solo ho detto che potevamo fidarci dell'onore del Duca ed ancora lo credo, così come credo che egli tornerà da noi entro pochi giorni. Ah, voi vermi sapete giudicare il mondo solo con la vostra anima miserabile… Ma perché…
Uno strano spettacolo, colto con la coda dell'occhio, interrompe la sfuriata di Artamiro che per lo stupore lascia andare il collo del suo Siniscalco.
– Ohibò, che diavolo succede? – Esclama sua Volontà volgendosi completamente verso la tenda di Tiatikenn, che si inclina e geme come una vela troppo tesa.
Artamiro si guarda intorno corrucciato ma l'aria è calma, senza un'alito di vento. 


 
– Dubro! – Chiama.
Il capo dei Silvestri della sua guardia si avvicina, ritto come l'albero di una nave.
– Ti ascolto Eit'Corok.
Ant'Kisìel guarda con disgusto l'alta figura adorna di una lunga barba verde ed il viso del colore del legno stagionato, ma prudentemente arretra di un paio di passi. I Silvestri o Erbani non amano i modi raffinati e falsi dei cortigiani come non amano troppo i cortigiani stessi che chiamano con una parola: gurthe della quale nessuno ha mai chiesto la traduzione. Anche 'corok, vocabolo che viene correntemente tradotto come "fatto di carne", non ha probabilmente un significato troppo positivo presso gli Erbani.
"Ma." Riflette Ant'Kisìel. "Artamiro apprezza la volgarità e la rudezza in questa gente dalla testa di legno e il Re è lui – purtroppo – non io."
– Cosa sta accadendo? – Chiede Artamiro al Silvestro una volta giuntogli a portata d'orecchio.
La creatura del bosco chiude gli occhi con lentezza prima di rispondere. – Canddermyn è stata turbata, Eit'Corok. Io-noi possiamo udire la sua voce spaventata ed irata, le urla dei fratelli- immobili, il rumore della terra e dei sassi. Io-Noi attendiamo.
Artamiro annuisce serio. Non ha mai compreso il legame che unisce tra loro i Silvestri, un legame grazie al quale a volte provano tutti le stesse emozioni e pensano gli stessi incomprensibili pensieri. Il re si guarda intorno: tutti gli Erbani sono immobili, come congelati, il viso rivolto verso la tenda di Tiatikenn che oscilla paurosamente senza che un soffio di vento la sfiori.
Athi, GÜÜrr… dddDDrath! – Urlano in coro i Silvestri ad un'oscillazione più forte della tenda, producendo un suono forte e netto come uno schianto.
– Sta caden… – Fa in tempo a strillare Ant'Kisìel, prima che la superba tenda di Tiatikenn, tessuta di seta e d'argento, si afflosci come colpita da un titanico pugno e la vibrazione cupa, che avevano udito senza rendersene conto, cessi.
Artamiro si guarda intorno, stordito. Sul volto dei Silvestri si è formato un sorriso vago e beffardo mentre il suo Siniscalco guarda la scena atterrito.
– Andiamo. – Ordina il Re con cautela.
Quando la numerosa compagnia giunge sullo spiazzo dove sorgeva la splendida tenda un Tiatikenn irriconoscibile scivola da sotto il prezioso tessuto per correre loro incontro.
– Tiatikenn, ma come vi siete ridotto? – Esclama il Siniscalco guardandolo mentre un smorfia indefinibile si forma sul viso di re Artamiro. Il Grande Mago è scarmigliato, coperto di terra, polvere, foglie secche, ha gli abiti ridotti a penosi cenci ed il viso scuro ed infangato come un uomo appena estratto da una frana. Si agita scompostamente come un invasato emettendo suoni chioccianti come un povero muto.
Losse! – Commenta Dubro l'Erbano.
"Pupazzo" traduce tra sé Re Artamiro. Ed effettivamente il disgraziato mago sembra una marionetta impazzita che agiti gli arti a caso.
Dopo un ultimo lamento gorgogliante il mago crolla a terra all'improvviso, dando la sensazione che gli siano stati bruscamente tagliati i fili che lo tenevano in piedi.


24.5.19

Il Mare Obliquo 11

Sceso dalla nave il Notturno cerca un altro passaggio in compagnia di Kirzil e per raggiungere un altro scalo deve costeggiare una foresta particolarmente temuta: la Foresta di cera. Intanto il Duca Kwister si libera abilmente di un incantesimo posto sulla sua testa dal mago Tiatikenn e parte per la sua missione. 
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– Attenzione, Kirzil, lì c'è una grossa pietra!

Il Gu'Hijirr si china di scatto a guardare nel momento in cui il suo piede tocca la roccia e finisce a capofitto nella sabbia. Si rialza bestemmiando il nome dei suoi numerosi dei. – Grazie per l'avvertimento. – Commenta amaro.

Usif-Lizhi ride anche senza averne voglia.

– Scusami, ero soprappensiero. Ti sei fatto male?

– Direi di no. Ma voi, mio Signore, siete un po' troppo spesso soprappensiero, come dite voi. Può essere pericoloso, alle volte. Anche per gli altri.

– Suvvia, Kirzil Pennarossa, chi vuoi che assalga un Notturno e per giunta di notte?

Il Gu'Hijirr si volta a guardare l'oscuro intrico della foresta che stanno costeggiando e fa un cenno con il capo. – Là dentro, signore, nella Foresta di Cera, vivono creature che non temono nemmeno i Notturni. Avete mai udito parlare dei Vreden?

Usif-Lizhi si stringe nelle spalle. – No. Ma questa strada me l'hai indicata tu perché era la più breve per raggiungere Verdevima e lì trovare un altro imbarco.

– È vero. Ma io Signore non credevo che la sceglieste, né tantomeno che partissimo subito, in piena notte.

– Vedi…

– Altolà, lo so, sono stato io ad offrirmi di accompagnarvi, quindi non posso lamentarmi. Ma non mi stavo lamentando, era solo per chiacchierare un po' e dimenticarmi della paura.

– Non devi sentirti troppo vincolato dalla tua parola, Kirzil, la generosità è sempre un po' impulsiva. E io non credo di essere troppo saggio, né credo che sia saggia la mia condotta. Ma chi sono allora questi Vreden?

Il Gu'Hijirr si guarda intorno e comincia a parlare bisbigliando: – Essi non hanno occhi ma vedono, non hanno orecchie ma ascoltano, non hanno bocca ma mangiano. Essi sono come i pupazzi snodabili dei pittori, ma il loro corpo non è di legno, nossignore. Il loro corpo è fatto di una manciata di capelli ed unghie, cementati dal fango e dalla salsedine. Hanno un solo desiderio: la vita vera ed il sangue, che ne è la sostanza. Inseguono i vivi, silenziosi come nuvole e non appena questi dormono li assalgono per divorarli. So di persone che li hanno incontrati e si sono svegliate un secondo prima di essere assalite, scorgendo i loro volti vuoti ed orribili.

Usif-Lizhi stringe le labbra. – E vivono nella foresta di Cera?

– Così ho udito dire.

– Ci sono altre creature orribili di quel genere nella foresta?

– Certo. Si dice che in essa vivano le Bàtorj, enormi ragni dal volto di donna, che attirano il viaggiatore con il loro pianto struggente, al quale nessuna creatura con un po' di cuore riesce a resistere. E poi vi sono i Necklas, dai denti di metallo, i Vei, le cui risate provocano la pazzia, gli Scultori del Vetro…

– Ecco, parlami di quelli.

Kirzil si volta a fissare il Notturno. – Io sono qui a spaventarmi da solo e sapete che cosa penso?

– No.

– Penso che voi mi facciate raccontare queste cose tanto per passare il tempo. Voi non avete paura di nulla, vero?

– Non è esatto. Io ho paura di tantissime cose. Rimanere solo, per esempio, o non riuscire più ad immaginare nulla, se non ciò che mi è già accaduto. Perdere la memoria, non trarre nessun insegnamento da un'esperienza, divenire cieco a ciò che provano le altre creature, fare del male a qualcuno senza accorgermene, odiare senza tentare di capire. Queste sono solo alcune delle cose che mi fanno paura.

– Voi parlate bene, signore, ma le vostre sono le paure di un nobile. Le mie sono le paure di un poveretto, che crede a queste cose e le racconta per non domandarsi cosa ne sarà di lui da vecchio o come metterà insieme il pranzo con la cena.

– Molte cose ci rendono simili, Kirzil, molte di più di quelle che ci rendono differenti. Qual'è il motivo vero per il quale hai voluto venire con me, dimmelo sinceramente.

Il Gu'Hijirr scuota le testa come per scacciare una mosca e sbuffa. – Siete curioso eh? Io ve lo dico, ma non dovete offendervi. Il fatto è che mi sembrate una creatura così ingenua, così indifesa in questo mondo così poco nobile. E trovo singolare che a darmi questa sensazione sia una creatura che mi fa un po' paura e che le nostre femmine chiamano in causa per spaventare i bimbi quando fanno i capricci. E così volevo capire, seguendovi, quale delle mie sensazioni è quella giusta, sempre che ce ne sia una giusta.

– E finora cosa hai deciso?

– Nulla. Ovvero tutte e due le cose continuano a sembrarmi vere e forse sarà così fino a quando le nostre strade non si divideranno. Ma voi perché fate questo viaggio, così difficile per uno della vostra razza?

– Dovete sapere…

– Come "dovete"? Io sono uno solo. – Lo interrompe il Gu'Hijirr.

– Anch'io sono uno solo. – Ribatte Usif-Lizhi. – Ma voi continuate a parlarmi come se fossimo in tanti.

Kirzil lo guarda per un'istante senza capire, poi fa una smorfia. – Ho capito, sape…sai. Ma non mi sembra una cosa ben fatta. Non… sei mica uno di noi. Cioé… No non volevo dire… Insomma, lasciamo stare. E comunque non hai risposto alla mia domanda. 

 

Il Notturno guarda la luna appena sorta, fasciata di bruma, che risplende come argento vecchio sul tappeto vegetale della foresta di Cera. – Siamo rimasti in pochi, Kirzil, nella mia razza. Pochi e stanchi. Ormai viviamo tutti nei nostri castelli di pietra sui ghiacciai ed è come se quel freddo e quell'immobilità fossero entrati in noi. Non nascono più piccoli della nostra gente, io sono uno degli ultimi ad essere stato concepito da due Notturni, e dopo la mia nascita in tutta la vasta curva del mondo non ne sono nati altri.

– Ma non c'è un rimedio a questo?

Usif-Lizhi si stringe nelle spalle. – Il Mago Denfrya ha scritto che il nostro sangue è ormai divenuto freddo e arido come sabbia e che da nessuno della nostra razza potrà più nascere un figlio, né da un notturno e da una creatura d'una altra razza. Siamo destinati a scomparire tutti.

– È terribile.

– Certo lo è per noi, ma non so quanto ne saranno addolorati gli altri popoli. Noi figli della luce della luna non siamo molto amati, anche se alcuni, come te, sono almeno curiosi di noi.

– Ehm, ma questo viaggio?

La luce degli occhi di Usif-Lizhi impallidisce ed il notturno si volge verso il mare perché Kirzil non lo veda mentre parla. – Devo rivolgermi ad un… Mago più potente di Denfrya, allo spirito più potente di tutti.

– Sono stato inopportuno, vero Usif-Lizhi? Non ti disturbare a negarlo. Non ti chiederò altro, così non sarai costretto a…

– Ti prego, Kirzil. Forse una di queste notti chiederò il tuo consiglio, forse a tutte le creature dovrei chiedere consiglio… – Il volto del Notturno, illuminato dalla luce della luna sembra una maschera d'argento, fissata per sempre ad esprimere smarrimento e dubbio.

Il Gu'hijirr ne sopporta la visione per qualche istante prima di abbassare gli occhi e fare alcuni gesti nervosi con le mani.

– Sarò pronto ad udirti, in quel caso, Usif-Lizhi, come un amico. Ma ora ti prego, allunga il passo: anche se sono solo leggende vorrei superare velocemente la Foresta di Cera.

Il Notturno si scuote, lo guarda, esitante, e ride sommessamente. – Non ho le parole per elogiare le tue attenzioni, Kirzil Pennarossa. Non mi hai detto, comunque, chi sono gli Scultori del Vetro.

Il Gu'Hijirr fa un gesto di scongiuro tipico della sua razza toccandosi rapidamente la fronte e le spalle. – Sono i peggiori, peggiori dei Vreden, della Bàtorj, dei Vei e di tutti gli altri.

– Affascinante e quali sono le peculiarità di costoro? E cosa sono, uomini, gu'Hijirr, Syerdwin o che altro?

– Usif-lizhi, io sto parlando seriamente. – Puntualizza Kirzil.– Comunque essi danno la caccia a tutte le creature che entrano nella foresta, e magari anche a qualcuna fuori. – Il Gu'Hijirr lancia un'occhiata inquieta al tratto di spiaggia che li separa dal limitare della foresta e riprende. – Non so quale sia la loro natura, ma c'è chi dice che nascono spontaneamente dalla sabbia rovente ed il loro volto sia come vetro consumato dal vento. Comunque, una volta catturata una creatura viva essi la imprigionano in un guscio di vetro che poi scolpiscono a loro piacere, facendo in modo che la loro vittima non giunga mai a morirne. C'è chi dice che al centro della Foresta di Cera vi siano i loro capolavori e che altri siano custoditi dal Conte-Mago Teardraet dei Syerdwin o dal Mago Tiatikenn… Uomini e altre creature, ancor vive, scolpite in forma di albero o di uccello, condannate a rimanere eternamente in quella forma. Se qualcuno tenta di liberarle dal loro involucro di vetro esse muoiono, perchè non vi è più separazione tra la loro carne ed il cristallo che le imprigiona e gli scultori traggono piacere nel vedere i visi delle loro vittime, per sempre immobili nel terrore… 

 

– Madre Luna, e poi tu dici di avere paura dei Notturni, quando la tua mente riesce a convivere con tali incubi. Sei decisamente curioso, Kirzil Pennarossa, io credo che faticherò a trovare sonno dopo la tua narrazione, mentre tu dormirai come un bimbo, ne sono certo.

– Certe storie ci vivono dentro senza fare danno se non le ricordiamo. Ma d'altro canto c'è chi dice che questa storia è solo una diceria messa in giro ai Maghi come Tiatikenn, per stornare l'attenzione dai loro esperimenti sulla conservazione eterna della vita.

Usif-Lizhi lo guarda con ammirazione. – È solo un espediente, un trucco, il tuo, vero? Dico quello di fingerti un semplice marinaio ignorante, mentre mi sembri molto ben informato su ciò che avviene nel mondo.

Kirzil si stringe nelle spalle, modesto. – Giro molti porti ed ho buone orecchie per udire. Il mio segreto è solo questo, Usif-Lizhi. Ora che c'è la guerra molte bocche restano cucite, ma ben pochi sanno tacere in compagnia, dopo una buona bevuta, probabilmente nemmeno Artamiro o Bartsodesh ne sarebbero capaci, proprio come le loro spie. Non che io preferisca troppo l'uno all'altro. Il nostro re, Nyby Ornoll ha scelto la causa di Artamiro, perché lo teme, credo, come me e tutti noi, ma il Principe Tidli il Testardo di Grabelitz, si batte dalla parte di Re Bartsodesh, cosicché noi Gu'Hijirr saremo alla fine vincitori in ogni caso e saranno solo Nyby o Tidli a rimetterci la zucca.

– Io temo di essere molto meno informato di te di ciò che accade nel mondo diurno, Kirzil, ma tra i Notturni non è considerato di buon gusto occuparsi di ciò che avviene alla luce del sole. D'altro canto nessuno avanza pretese sulle nostre rocce, sui nostri ghiacci e sui nostri castelli, così non abbiamo motivo per preoccuparci per ciò che fanno la altre razze.

– Mi duole dirtelo, ma almeno TU dovrai preoccupartene, visto che non vi è angolo del mondo dove la guerra non sia giunta. La strada per Dancemarare, dove sei diretto, attraversa i campi di battaglia dove si scontrano gli eserciti di tutti le genti.

– Lo sapevo, Kirzil. Ragion per cui ti chiedo di continuare a raccontare ciò che sai senza timore di annoiarmi.

– Povero me, temo che sarò io stesso il primo ad annoiarmi. Ma comunque preferisco parlare delle scelleratezze certe piuttosto che di quelle possibili. Allora, devi sapere che la guerra è cominciata…

Usif-Lizhi cammina lentamente, scalzo sulla sabbia fredda, e l' attenzione con la quale ascolta il gu'Hijirr non gli impedisce di provare piacere da quel contatto che nessuno della sua razza provava più da tempo. Il mondo visto da quella spiaggia gli sembra un posto bellissimo, ricco come un sogno inesauribile ed altrettanto sorprendente. Per qualche momento il Notturno dimentica il motivo per il quale si trova lì, cosa lo attende al termine del suo viaggio e gli abbracci di Adwina. Come un cucciolo senza problemi per il futuro ascolta Kirzil Pennarossa, sorride per la sua irriverente e saggia ironia e danza leggermente sulla sabbia fredda ascoltando il rumore del mare, forte ma non minaccioso.







Il tuono rumoreggia ad nordest, sopra le schiene antiche dell'Annadille. Ancora più ad nordest, oltre lo Smüll e Thesiger dai mille Specchi, oltre il Grande Circo formato dai Monti Nuovi, oltre Muni Kathani ed il Primo Ghiaccio sorge Therrelise dell'Erica, l'ultima città dei Lupi-Drago.

La luna sui tetti della sua città disegna ombre pallide che scoloriscono piano fino alla lenta comparsa del sole, un astro lontano, freddo, che sembra solo un lontano parente di quello che illumina il sud del mondo. Ancora più a nord il sole scompare per interi mesi e passano giorni e giorni prima che la sua luce svanisca del tutto, lasciando un ricordo di un colore tiepido, appoggiato sull'orizzonte nero.

Ma a sostituirlo sorgono le aurore boreali, i Sogni degli Dei, come li chiama la sua gente, che si riunisce fuori dalle case per guardarle in silenzio, come si guarda un innocuo fantasma o i colori stesi sulla tela da un folle. Quel mondo del Sud è così povero e così ricco insieme, la gente non si rende neppure conto della sua fortuna e come un bimbo viziato vuole sempre qualcosa di più, un'emozione di un attimo alla quale segue inesorabile un altro desiderio. E così divorano ogni cosa senza nemmeno esserne coscienti e pur ricchissimi piangono sempre miseria.

– Buongiorno Duca Kwister! – Il saluto della sentinella al suo passaggio suona enfatico, come se l'uomo credesse davvero al significato augurale di quel saluto.

Chissà se quel soldato ama come lui quei minuti che precedono l'alba o, infreddolito, lo stramaledice borbottando tra sé contro i comandanti troppo mattinieri? La pioggia non tarderà e Kwister guarda il cielo con affetto: gli uomini, quelle stupide scimmie, non la amano e bestemmiano e si affannano per non bagnarsi, anche se solo gli dei sanno quanto farebbe loro bene un bel bagno.

Al nord l'aria sa di neve, di vento, di grandi distanze e grandi solitudini. Lì, in quel campo eretto da settimane ad aspettare di combattere un nemico accorto ed abile, tutto marcisce rapidamente e sa di sudore, di paura, di rabbia, sa di uomini stanchi, ubriachi, pieni di rancore e di malattie della pelle e solo quelle passeggiate in solitudine riescono, sia pure per poco, a liberargli la mente da quegli odori così sgradevoli.

Una pattuglia di Swyerdwin con i colori del loro re, Horr Vamaiun, attraversano la sua strada ed il loro ufficiale, un Syerdwin dalla carnagione particolarmente spettrale, lo saluta con un secco cenno della testa. Il Lupo-Drago ricambia il gesto e chiede: – Qualcosa da segnalare, Wys?

Il Syerdwin annuncia: – Wys Aila Mondhiun, Liest. Alcuni uomini si sono azzuffati nell'attendamento del Liest Prawen Farnjiun e ci sono feriti. Due disertori Gu'Hijirr hanno abbandonato i loro quartieri, alcune volpi sono penetrate…

– Grazie, basta così. Conosci Siah Teh, il vostro mago?

Il Syerdwin corruga la fronte prima di rispondere, probabilmente stupito. – Egli fa parte della mia famiglia, Liest Kwister di Lö. È un mio cugino.– Kwister annuisce. Presso i Syerdwin cugino è un grado di parentela molto diverso che presso gli uomini, i Lupi-Drago o i Gu'Hijirr, designa infatti tutti i piccoli lasciati nell'arco di un'anno sull'isola di una Famiglia, dagli Spettri delle Acque del Crepuscolo perché i suoi membri vi provvedano. Conseguentemente i doveri di lealtà e di fedeltà dei cugini Syerdwin sono meno solidi che in altri popoli, o almeno così si racconta.

– Io devo incontrare tuo cugino, Wys Mondhiun, dove lo posso trovare?

Il Syerdwin lo guarda con una punta di apprensione. – Hai una regola d'onore con lui, Liest?

Il Lupo-Drago annuisce senza parlare.

– In questo momento egli è in compagnia delle nostre femmine, Liest, e temo che non sia pronto ad una regola d'onore. – Riprende il Wys. – Se la tua cortesia volesse accettare una piccola dilazione…

Kwister ringhia sottovoce ma in modo udibile per il suo interlocutore. Probabilmente l'ufficiale ha detto la verità: il suo imbarazzo sembra essere genuino, come pure l'apprensione per la sorte del cugino.




– Wys, ti affido un pegno del mio onore, ti prego di recarlo a Siah Teh Mondhiun. Se egli non dovesse incontrarmi nel tempo stabilito sarà oltre che spergiuro, ladro.

– Certo Liest.

– Questo collare di Therrelise è un oggetto di grande valore per la mia gente e per me. Ti prego di recarlo con te con la massima attenzione. Entro domani sera al tramonto deve essermi ritornato, altrimenti…

– …Altrimenti non vi sarà più ragione d'onore tra te e Siah Teh Mondhiun ed egli potrà essere ucciso in qualunque momento da chiunque. – Recita il Wys. – Vado immediatamente.

– Aspetta ancora un po', Aila, termina il tuo turno. – Ride il Lupo-Drago. – E poi lascialo divertire un po', potrebbe essere l'ultima volta. Capito?

– Sì, Liest.

– Vai pure. Arrivederci.

– Arrivederci Liest Kwister di Lö.

Allontanandosi il Lupo-Drago deve resistere al desiderio di scoppiare in una risata omerica. Per un po' il Wys si sarebbe tenuto il collare e suo cugino, se pure fosse ritornato al suo laboratorio avrebbe ricevuto visioni di arresti di ubriachi o di zuffe indecorose, fino a quando, cessato il turno di guardia il povero Aila gli avrebbe portato il collare. Avrebbe voluto esserci per vedere la faccia di Siah Teh, di Re Artamiro e del suo siniscalco, Ant'Kisìel. Ma non c'è tempo per quei divertimenti anche se meritevoli e il Duca nuovamente libero dei suoi movimenti allunga il passo per tornare alla sua tenda.

– Share Harvaiun è pronto il mio cavallo? – Ulula il Lupo-Drago appena superata la soglia della sua tenda. Il servitore Syerdwin fa capolino da dietro una tenda annuendo freneticamente. – Sì Liest, prontiss…

– Ti ho detto un sacco di volte di non chiamarmi con quel titolo da nobile- pesce. E tu sei pronto? Ci attende un viaggio non breve.

– Certo, mio signore.

– Allora andiamo.

Con i bagagli ridotti al minimo per non dare nell'occhio, i due cavalieri attraversano gli attendamenti dei nobili umani, dei Lobha Gu'Hijirr, i focolari dei briganti, dei saccheggiatori, dei poveracci e degli attori e giocolieri che accompagnano tutti gli eserciti da quando il mondo esiste e giungono al primo bivio, ai piedi dell'Annadille.

– Erano tutti appena svegli, signore, e credo che ben pochi si ricorderanno di averci visto, una volta scolato un po' di vino per colazione.

Il duca, privo di insegne ed il viso seminascosto da un cappuccio commenta. – Non so se sia meglio il vino o il tuo pesce secco, Share Harvaiun. Comunque credo che tu abbia ragione.

– Ma il pesce è buono, Lies… Signore. E poi è molto più nutriente. Quale direzione dobbiamo prendere?

– Una strada porta verso Thesiger e Therrelise, l'altra verso il mare, quale credi che prenderemo?

– Quella verso Thesiger.

– Ottimo. Allora andremo verso il mare. – Ordina il Duca spronando il cavallo.






– Vero che non è troppo cattivo il mio pesce, Signore?

Seduto all'ombra di un grande castagno Kwister fa una smorfia e trangugia il boccone. – Quando non avrò altro… Adesso passami le gallette e il lardo affumicato. – Il duca mastica per qualche minuto in silenzio, beve un sorso d'acqua e si appoggia con la schiena al grande tronco dell'albero. – Non ti ho ringraziato, Harvaiun, per la notizia sul collare, e non ti ho nemmeno chiesto come hai fatto ad averla.

– Forse giudicherete poco onorevole il modo nel quale essa mi è giunta, signore.

Kwister fa un gesto con la mano. – Non ha importanza.

– Dovete sapere che Siah Teh ha la sciocca abitudine di cercare di impressionare le donne della mia razza con le quali si accompagna, anche quando la loro compagnia non si deve ad un sentimento d'amore. Egli ama spaventarle citando Teardraet il Non-Cambiato e dicendo di essere stato al suo servizio. Probabilmente egli teme l'abbandono dell'amore carnale e il breve mancamento che esso dà e pur subendo la volontà del corpo, cerca di impedire alle sue improvvisate compagne di sentirsi anche un poco padrone di lui. E così egli si vanta, si vanta, racconta di sé cose spaventose, orribili ed empie, racconta di essere lui il vero padrone dell'anima di Re Artamiro, di quella del nostro Re, Horr Vamaiun, e di Nyby Ornoll, re dei Gu'Hijirr. Ultimamente ha cominciato a raccontare anche di voi, Signore, dicendo che il vostro pendaglio, cioé collare, gli dava potere sulla vostra anima.

– Ben strane cose mi racconti, Harvaiun. Che singolare piacere si può trarre da un simile amore? L'amore tra i Lupi-Drago è forte e delicato come il volo di un albatro. Silenzioso, si nutre di sguardi e di silenzi, non delle ridicole capriole e del tronfio agitarsi come galli sulla gallina degli uomini. Devo quindi credere che voi Syerdwin siate più rozzi degli uomini stessi?

Share scuote furiosamente il capo. – No, signore. Certo voi sapete che i modi più nobili spesso, anche se non sempre, appartengono alle persone di miglior lignaggio sparse nel vasto arco del Mondo, e che quindi gli amori più raffinati non sono la regola per nessun popolo…

– Se con questo vuoi dire che anche tra i Lupi-Drago vi sono individui volgari, non posso negarlo. Ma non parlavo solo per i ricchi, i nobili e gli artisti.

Il Syerdwin approva con un gesto del capo. – Certo, mio Signore. Con ciò, comunque, il comportamento di Siah Teh non è usuale, se non forse tra gli individui più paurosi di noi, che devono essere accompagnati per tutta la vita dalle ombre fatte di parole da loro stessi create. Il fatto è che qualche giorno fa è giunta presso di noi una delle mie giovani cugine, Vye Harvaiun, ricevuta presso il Chiuso dei Sospiri. Ed è lì che ella ha incontrato Siah Teh, ansioso di conoscere l'ultima arrivata. L'ha spaventata molto ed un caso, solo un caso mi ha condotto ad incontrarla ed a udire le sue parole…

– Un caso, eh? – Ride il Lupo-Drago.

Il Syerdwin fa una specie di smorfia. – Ho pagato inutilmente la Madre del Chiuso, Signore. Anch'io ero curioso di incontrare l'ultima arrivata e quella era Vye! Ciò che mi ha detto ve l'ho subito riferito ed ecco tutto. Vi avevo avvertito che non c'era molto di onorevole in tutto ciò.

– Effettivamente. Ma non ti preoccupare, è stata un fortuna che il tuo desiderio si accordasse così bene con i miei interessi. Sarà meglio, ora, che ripartiamo, non voglio stare lontano dal campo più di una settimana.

– Io Signore vi ho detto tutto, ma vi seguo senza sapere nulla della nostra destinazione e del nostro destino.– Si lamenta Share alzandosi. – E non mi sembra una bella cosa.

Il Duca lo guarda aggrottando la fronte. – Sei sempre più sfacciato, Harvaiun. Ma forse è meglio che tu sappia dove vado e perché. Se mi capitasse qualcosa, almeno tu potresti terminare il mio compito.

Il Syerdwin inghiotte a vuoto. – Forse non è tanto importante che io sappia, in fondo. Vi seguirò con la stessa, immutata fedeltà.

– Silenzio. Sono diretto verso Verdevima, dalla Vecchia Fata Mahaderill, un tempo astrologa della Marrak di Ruthen e Lö. Ella è la sola persona che meriti la mia fiducia in questo mondo così barbaro ed a lei devo fare una domanda. La domanda è…

– Non esistono fate vecchie, Signore, esse non invecchiano mai. – Lo interrompe il Syerdwin.

– Qui non c'è la biblioteca, Harvaiun, ma qualcosa da tirarti lo posso trovare ugualmente. – Ringhia il Duca. – Le fate vivono moltissimi anni senza invecchiare e muoiono trasformandosi in nubi dell'aurora, lo so, ma se trascorrono molta della loro vita con creature della terra invecchiano. Il loro viso si fa rugoso, il loro naso si incurva ad incontrare il mento, gli occhi si fanno piccoli e maligni ed esse finiscono con odiare tutto quanto vi è di giovane e vivo nel mondo. Il loro corpo si incurva, vestono abiti scuri e troppo larghi per nascondere la loro decadenza ed usano la loro magia per punire chi si fa beffe di loro e per fatture di vita di morte.

– Che bello! – Esclama il Syerdwin. – E noi dobbiamo andare al cospetto di una simile creatura?

– Smettila stupido, Mahaderill non è mai stata una fata come le altre. La sua saggezza è tale da preservarla da questa orrenda metamorfosi. La domanda che dovrò o che dovrai porle è: «Da dove soffiano venti tanto forti da scuotere Ruthen e Therrelise?» Ripetila.

Il Syerdwin scuote la testa. – «Da dove soffiano i venti che scuotono Ruthen e Therrelise?» Ma non basterebbe un mago del cielo per dirlo?

– «Venti tanto forti da scuotere Ruthen e Therrelise», sciocco. Se non porrai la domanda in modo giusto la risposta non avrà senso. Andiamo, avrai tempo per impararla meglio. – Kwister sale a cavallo e fa segno a Share di sbrigarsi. – Abbiamo perso troppo tempo, Harvaiun, scenderemo al galoppo.

Il Syerdwin, mediocre cavaliere come tutti i suoi simili, ha solo il tempo di gemere e chiudere gli occhi, poi il suo cavallo con uno scarto si accoda a quello del duca, lanciato sulla strada che scende digradando lentamente.