28.1.16

Sogno o realtà?


Nel corso della mia non breve vita mi è capitato in diverse occasioni di leggere racconti, se non addirittura romanzi, basati sulla sovrapposizione di sogno e realtà. 
Il sogno è un elemento in qualche modo contiguo alla narrazione, in realtà è esso stesso un racconto — anche se frammentario, disturbato e disomogeneo — nel quale ci accade di essere insieme estensori della vicenda, protagonisti e spettatori, più o meno come quando si scrive. Solo che sognare è più "facile", nel senso che non si sono regole da seguire, anzi, la partecipazione diretta e semiconscia al sogno lo rende falso, vuoto o inutilmente insistito. 
Il problema, in narrativa, è che la resa sulla pagina scritta del sogno è una delle più difficili sfide in cui un autore possa impegnarsi. 
Dicevo all'inizio di questo post che mi è capitato di leggere testi dove viene narrato come il protagonista stia sognando e/o abbia sognato e le conseguenze, in genere negative, della confusione creata tra il reale e il possibile. A essere sincero, quando mi è capitato di leggere questo genere di storie non riuscivo — e non riesco – a evitare un moto di stizza o di intolleranza. Tanto è vero che molto difficilmente questo genere di racconti o di romanzi ottenevano una seconda lettura per concorsi o altre competizioni o – nel caso di romanzi – recensioni positive, anche scritte privatamente. 
E perché mai? 
Beh, il sogno nella tradizione occidentale è qualcosa di sacro, il terreno preferito dove il divino appare e suggerisce o minaccia il mortale. Nel XX secolo è diventato terreno preferito della psicoanalisi e successivamente materiale di significato neurologico, non tanto semantico quanto fenomenologico. Ed è bizzarro che un autore pensi di esprimere qualcosa di completo e significante attraverso il racconto di un sogno. 
Ma facciamo un passo indietro. 
Nella mia produzione narrativa, imponente non foss'altro per il tempo dedicatogli, il sogno appare in due (o forse tre) racconti. Ma non appare mai in quanto tale, come metodo per creare aspettative o suscitare inquietudine nel lettore. Ho inserito alcune suggestioni ricavate dalla mia abituale produzione onirica – uso volutamente modi da rivista di economia – essenzialmente perché un sogno ha messo a fuoco un paesaggio (il paesaggio nel sogno è spesso fortemente suggestivo) chc conteneva in sé elementi di sintesi del reale che non sarei riuscito a trovare altrimenti. 


Una sera particolarmente nebbiosa in campagna, le luci incerte di case lontane; un paesaggio urbano reso irriconoscibile dalla presenza di un paio di metri d'acqua e da un calore torrido; rumori lontani, inspiegabili, che annunciano arcane e umanissime presenze... cose così, inserite all'interno di una situazione per il resto reale
Diciamo che il sogno, ovvero io mio io onirico, mi ha dato una mano, in questi casi, ma la storia ho dovuto sudarmela personalmente, utilizzando il mio lobo frontale, qualche volta vivificato dalla presenza di onde theta. E il risultato finale non ha comunque raggiunto il grado di suggestione che il sogno ha creato in me. 
Oh, rabbia.
Ho molto rispetto per il sogno, ma lo considero un obiettivo, piuttosto che un mezzo, per il narratore. Riuscire a creare un grado di suggestione che risvegli i desideri e i sogni più profondi del lettore penso sia uno – anche se soltanto uno — degli effetti di un buon testo.
A questo punto è forse un po' più chiaro perché sopporto a fatica l'utilizzo senza risparmio del sogno in narrativa [*], il sogno che apparentemente risolve i problemi del protagonista, il sogno che permette di sfuggire a un'insidia, il sogno che fornisce elementi di comprensione della situazione data, il sogno che corona la storia d'amore [**]: nella maggior parte dei casi — abbiate pazienza — piccole astuzie per risolvere un intreccio che non tiene o una storia in definitiva banale. Le storie dove il protagonista vive una situazione da incubo – in genere modesta e borghese, sono pochissimi i narratori fuori dal coro – fino a quando, più o meno alla terz'ultima riga, si risveglia e scopre che si trattava di un sogno... Aaarrgghhh... 


In narrativa credo risulti più costruttiva e feconda una vicenda dai contorni onirici, una realtà incerta, discutibile, un mondo ulteriore che si nasconde dietro i fondali di questa realtà. Ma qui siamo nei territori di P.K.Dick, di E.T.A. Hoffmann, di James Ballard, di M. John Harrison, di Ray Bradbury, di Leonid Andreev, di Villier de L'Isle-Adam, di Joris-Karl Huysmans, di Alfred Kubin, di Bruno Schulz... Tutti giganti, come si vede, che chiunque scriva come secondo lavoro farebbe bene a evitare. 
Rimane aperta una possibilità, nell'utilizzo del sogno, una possibilità che, necessariamente, fa del sogno una metafora, un riferimento più o meno evidente al reale, un sogno che non ha nulla di onirico, ma è semplicemente uno strumento metaforico in una vicenda che ha uno scopo, talvolta politico, talvolta religioso, talvolta di satira sociale. Ovviamente questo non ha nulla a che vedere con i sogni reali, ma è uno strumento che è stato ben utilizzato da Shakespeare in avanti.
E, avendo citato Shakespeare, chiudo questa breve e personalissima riflessione sul sogno in letteratura con una citazione da La Tempesta, pronunciata da Prospero: 
 
«Noi siamo della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, e la nostra breve vita è circondata da un sonno.»

Che mi sembra un ottimo modo per tenere sotto controllo i nostri sogni di gloria.



 
[*] ma lo sopporto poco anche nel cinema, per la verità.  

[**] il rapporto tra sogno ed eros non è facile da cartografare. Dai sogni erotici puri e semplici si giunge a sogni di abbandono o di solitudine, molto meno banali di quanto potrebbe sembrare. Ma comunque da utilizzare con parsimonia nelle storie narrate.

21.1.16

Leggere? Spero non mi capiti mai.



Il 15 gennaio escono le statistiche dell'ISTAT sulla lettura in Italia relative all'anno precedente. Quindi del 2015.
Nell'anno appena terminato i lettori di almeno un libro - letto per motivi non scolastici o professionali - sono stati il 42% della popolazione italiana. O, reciprocamente, i non-lettori sono stati il 58% degli italiani. Più in particolare, il Sud italiano continua con un ritardo secolare, dal momento che i lettori sono il 28,8% della popolazione, ovvero meno di una persona su tre. I maggiori lettori, con i soli dati di lettura superiori o intorno al 50%, sono le categorie di età tra i 14 e i 19 anni. I forti lettori - ovvero i lettori di almeno un libro al mese - sono il 13,7% della popolazione (erano il 14,3% nel 2014) mentre i lettori deboli (non più di tre libri all'anno) sono stati il 45,5% della popolazione di lettori. In Italia nove famiglie su cento non hanno un solo libro in casa, ma la moda (intensa in senso statistico) è comunque che il 64% degli italiani non ha più di cento libri in casa.
Nel corso degli ultimi tre mesi di 2015 l'8,2 della popolazione complessiva (ovvero 4,5 mln di persone) ha scaricato o letto almeno un e-book, ovvero un libro elettronico, una percentuale pari al 14,5% della popolazione che fa un uso abituale di internet.


Di particolare interesse, da un punto di vista sociale, il dato che gli italiani di origine straniera - gli immigrati, in sostanza - sono stati lettori di un libro per il 38% circa, un dato non molto lontano da quello della popolazione autoctona e tutto sommato rilevante, soprattutto tenendo conto della diversa competenza nella conoscenza della lingua. Altro dato a suo modo interessante è il calo - inevitabile, da un certo punto di vista - della lettura in tarda età, a partire dai 60 anni in avanti. Altrettanto curioso, anche se indubbiamente agghiacciante, il dato che i lettori sono TUTTI e in TUTTE le classi di età inferiori di numero rispetto al 2010 e che nelle classi di età fino ai 44 anni, lo sono anche rispetto al 2005. 
Guardando con attenzione il grafico, si nota che esiste una frazione di popolazione - di età compresa tra i 45 e i 75 anni - transitata verso il lato sinistro del grafico, che continua, nonostante tutto, a leggere, leggere, leggere, almeno finché la vista e il corpo glielo permettono, presumibilmente la generazione degli anni '60 e '70, ovvero gli anni nei quali la lettura in Italia era in crescita. Preoccupante, viceversa, il netto calo dei lettori del futuro, ovvero le classi di età tra i 6 e i 10 anni e tra gli 11 e i 14 anni.
Ulteriore particolare, suscettibile di diverse interpretazioni, il dato che la spesa per i libri sia calata. tra il 2010 e il 2014, del 18% mentre la spesa per tutti gli altri generi, alimentari compresi, sia calata del 6%. Il che è anche il motivo, nemmeno troppo segreto, della profonda crisi del settore commerciale librario. 


«I libri non si mangiano mica», dirà qualcuno, ma a parte l'ovvietà della cosa, si possono avanzare altre ipotesi. La prima a venire in mente, un po' ridicola ma verificabile, è che un buon quarto degli acquisti di libri è condotto nel periodo natalizio e i natali, dal 2010 a oggi, sono stati nettamente più poveri rispetto agli anni precedenti. In secondo luogo la bassa inflazione riferita ai libri cartacei in commercio, in terzo luogo il prezzo decisamente inferiore degli e-book - da un terzo del libro cartaceo ai leggendari 0,99 € di tanti volumi in commercio - che ha favorito una diminuzione reale della spesa riferita al comparto librario. 
Ultimo dato, più volte segnalato, il fatto che i lettori siano anche frequentatori di musei, spettatori di teatro, assidui consumatori di cinema mentre i non-lettori il massimo che riescono a fare è passare ore e ore davanti alla televisione.  Il che, fatalmente, rimanda alla senescenza crescente della popolazione italiana...
Tutto ciò detto, il panorama, prima ancora che desolante, è comunque quello di una popolazione che invecchia davanti alla televisione mentre sempre più bambini e ragazzi sembrano non avere altro passatempo che i social network sul telefonino.  
Un punto di vista banale, sul modello di «non esistono più le mezze stagioni» o «il pianeta si scalderà anche, ma oggi fa proprio freddo»? Non lo nego. Ma la differenza non è nel non dire ovvietà, ma nel cercare di fare qualcosa in proposito. Esistono speranze per la lettura? Certo, la lettura è affascinante e ricompensa chi gli si dedica, ma il problema è quello di creare occasioni di incontro. Nulla di simile a pletoriche «giornate del libro» o a iniziative come #ioleggoperché, ma un lavoro sul territorio, a contatto con la popolazione. Proprio quello che il governo non fa, proponendo un assegno da 500 per il giorno di compleanno dei diciottenni, augurandosi (a parole) che venga utilizzato per fini culturali e di formazione, quando è ovvio che ad acquistare libri saranno coloro che normalmente leggono, mentre chi non lo fa se ne guarderà bene
Con soli 500 euro sarebbe possibile organizzare almeno un'iniziativa di lettura in un quartiere o in una piazza o altre migliaia di iniziative a basso costo e grande risultato, avendo in mente la crescita culturale della popolazione. 
Se invece ciò la proposta è una mancia ai giovani perché votino il PD di Renzi... 
Ma questo è davvero tutt'altro discorso.