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Usif-Lizhi,
in piedi sul castello di poppa delle nave, lascia che i suoi pensieri
lo raggiungano, senza più cercare di trattenerli o di nasconderli a
se stesso.
Il
viso, le mani, il sorriso di Adwina sono disperatamente vivi nella
sua mente, come se l'avesse abbandonata solo da pochi minuti. Nei
suoi primi giorni il ricordo non era così intenso, riflette quasi
senza dolore il Notturno, lo è divenuto da poco tempo, come se la
sua mente cercasse di restituirgli la presenza di lei. Nel sonno, un
sonno agitato e quasi vergognoso, un cadere nell'incoscienza mentre
gli uomini sulla nave lavorano, ridono, mangiano, si è svegliato
molte volte sentendo nettamente il Suo profumo, l'odore unico della
sua pelle, del suo sospiro.
“…Adwina?”
L'ha chiamata ad alta voce almeno una volta, sorridendo felice, ma
ancora più amara è stata la delusione nel riconoscere le pareti
curve della cabina e la luce brutale del sole che penetrava
attraverso le fessure degli scuri.
Ogni
tanto Usif-Lizhi si sforza di tollerare quella luce: la sua tenace,
caparbia ostinazione lo ha spinto a camminare sul ponte della nave
all'alba ed al crepuscolo, cercando di parlare con gli uomini, di
trovare nelle loro parole, così concrete, decise, reali, un antidoto
alla sua malinconia. Ma gli uomini lo temono, certo, lo rispettano,
ma non riescono ad essere se stessi in sua presenza: sorridono
stupidamente, lo guardano con un'antipatia fatta per metà di
ammirazione e per metà di terrore, sentono che “Non siete fatti
della stessa carne”, come gli aveva detto Tiatikenn.
Come
sempre solo la notte è la sua unica amica sincera, l'unico rifugio,
la madre pietosa di tutta la sua razza.
Usif-Lizhi
fissa lo sguardo nel riflesso della luna nelle specchio mobile delle
acque e si stringe nel mantello per proteggersi dall'umidità.
Nessuno delle sua gente ha mai sfidato l'inquieta solitudine dei
mari, ha abbandonato il silenzio delle loro montagne, dei loro
castelli semivuoti, per sfidare una materia così infida, mai serena
ed immobile. Usif-Lizhi ride tra sé: i Notturni non sono creature
irrequiete come gli umani, e la sua impresa, che se fosse stato umano
gli avrebbe dato eterna fama, presso la sua razza al massimo gli
sarebbe valsa un'alzata di spalle e qualche commento annoiato o
scandalizzato.
Da
quanto tempo non incontra più un altro notturno? Forse l'aver
trascorso gli ultimi anni sempre e solo con gli umani lo sta
trasformando, senza che neppure lui se ne renda conto. Ma quanti di
loro sono rimasti a vivere in quel mondo? E quanti hanno scelto di
tornare roccia e ghiaccio, la materia dalla quale tutti loro sono
nati? Forse in quel mondo non c'è più posto per loro,
semplicemente, e il suo tentativo è solo l'inutile ultimo guizzo di
un corpo ormai vicino alla morte.
Sotto
di lui le acque divise silenziosamente dalla prua della nave corrono
a riunirsi ed il suo sguardo si perde in quello spettacolo sempre
uguale e sempre differente. Un pensiero lo sorprende: mai nessuno dei
Notturni è morto ucciso dalle acque e se si gettasse sarebbe il
primo anche a scegliere quella morte, l'ultima delle sue bizzarrie.
Khujrr-Itz,
il suo vecchio maestro, apprendendo quella strana notizia avrebbe
scosso la testa lentamente guardando verso l'alto, come a chiamare a
testimonianza della gravità dello scandalo a cui doveva assistere
tutte le divinità dell'Antica Terra Oscura.
Un
passo lento, quasi timoroso interrompe la corrente dei suoi pensieri.
Usif-Lizhi si volta e riconosce nella fioca luce lunare un gu'hijirr,
Kirzil Pennarossa, terzo ufficiale della Tidal.
Il
gu'hijrr ha uno strano modo obliquo di camminare, come se cercasse
contemporaneamente di guardare davanti a sé ed alle sue spalle.
Sono
strane creature, i Gu'hijirr, dalla pelle scura e coriacea come
vecchio cuoio, i grandi occhi dalle pupille orizzontali come quelle
dei serpenti, timorosi e codardi ma capaci di ire violente ed
improvvise, senza capelli né peli e con buffi piedi larghi e piatti
che li rendono meravigliosamente adatti a vivere sulle navi.
La
loro principale città, Farsoll la Luminosa, sorge sul delta del
fiume Drew, che attraversa tutte le pianure occidentali di
Dancemarare ed è circondata da miglia e miglia di canneti e canali,
dove è impossibile dividere nettamente la terra dalle acque.
–
Kirzil!– dice a mezza voce il Notturno ed il Gu'hijirr, la cui
vista nell'oscurità è persino peggiore di quella degli uomini ha un
sobbalzo, immobilizzandosi al centro del ponte.
–
Chi è là?– risponde con voce malferma la creatura.
–
Sono Usif-Lizhi, Kirzil, non temere.– Anche da lì il notturno
riesce a sentire il sospiro di sollievo del Gu'hijirr che commenta
tra sé, certo di non essere udito: “E chi poteva essere se non il
nottambulo, stupido Kirzil? Non può mica dormire sempre, eh!”
–
Hai proprio ragione, Kirzil Pennarossa. Anche se le mie veglie non
sono molto allegre.
Con
pochi passi il gu'hijirr lo raggiunge. – Mi hai sentito, vero? Come
fai, signore Usif-Lizhi a vedere e sentire con questa oscurità? Io
mi sento sempre così a disagio al buio: ogni piccolo rumore mi
sembra una minaccia inconcepibile ed ogni ombra mi sembra nascondere
una minaccia.
Il
Notturno ride ed indica i suoi grandi occhi accesi di una debole
luminosità verde chiaro e le grandi orecchie a forma di foglia.
–
Siamo fatti così, Kirzil, tutti. Non c'è merito né capacità in
questo. Ma in compenso per noi la luce del giorno è insopportabile,
ci asciuga la pelle e gli occhi rendendoci ciechi e uccidendoci dopo
poche ore. Noi non possiamo perdere acqua come voi o gli uomini per
mantenerci freschi. Secchiamo come involucri di insetti e diventiamo
polvere.
–
E come farai, signore Usif-Lizhi ad attraversare Dancemarare per
giungere da Re Artamiro senza lasciarci la pelle per la strada?
Il
Notturno esita prima di rispondere. Non ricorda di aver mai parlato
con Kirzil Pennarossa del suo viaggio e della sua destinazione. –
Ho l'abitudine di parlare nel sonno? – Chiede con aria casuale
Usif-Lizhi osservando l'espressione prima confusa poi imbarazzata del
gu'hijirr.
–
Effettivamente, signore…
–
Devo parlare molto forte allora, se sei riuscito a sentirmi anche
attraverso la parete che divide le nostre cabine.
–
Eh sì, signore.
Usif-Lizhi
sospira. Subito sopra il suo letto una griglia metallica permette il
passaggio dell'aria tra le due cabine ed è probabilmente così che
il Gu'hijirr ha potuto sentirlo. L'immagine di Kirzil appolaiato su
uno sgabello e con un orecchio appoggiato alla griglia si forma per
un attimo nella sua mente, risvegliando il suo umorismo che sembrava
partito per il viaggio molto prima di lui senza lasciare nessuna
traccia di sé.
–
Chissà che brutta caduta, quando quell'onda più forte ha fatto
oscillare la nave. – osserva il Notturno con aria casuale.
–
Hai proprio ragione, signore, sento ancora il dolore qui nel… –
Kirzil si interrompe di scatto con un sorriso imbarazzato e comincia
a guardarsi intorno con nervosismo.
–
E cos'altro ho detto, durante i miei sonni, Kirzil? Ho ben il diritto
di saperlo, credo, visto che essi hanno avuto un così attento
spettatore.
–
Oh, signore, non so se…
–
Non ti preoccupare, caro amico e cronista. In fondo non posso aver
detto nulla di troppo insultante verso me stesso, non credi?
Il
gu'hijirr fa un grande cenno di diniego che, confuso, interrompe a
metà. – Hai fatto un nome, Edwina o Adwina, credo, un nome che hai
ripetuto più volte e poi…
–
Allora?
–
Hai parlato… – Kirzil inghiotte un paio di volte a vuoto. – Hai
parlato dell'Ombra di Sangue ed ho sentito tanta paura nella tua
voce, tanto che ho cessato di ascoltare, ché i tuoi sogni devono
essere ben spaventosi, signore.
Usif-Lizhi
immobile non si preoccupa di rispondere né di spiegare. Il termine
del suo viaggio è in quel nome aborrito che ha tentato di seppellire
nel mondo dei suoi sogni. Può venire dal male assoluto il bene del
suo popolo? E liberare l'Ombra dall'incantesimo posto dagli Antichi
Primi non sarà un crimine immane, anzi Il Peccato definitivo che
sprofonderà tutte le razze del Mondo negli abissi che lo circondano?
Kirzil
lo guarda interdetto, senza più avere il coraggio di parlargli ma
neppure di fuggire e l'incertezza lo porta a saltare prima su una
gamba poi sull'altra, in una specie di ridicola giga muta.
–
Smettila di ballare, Kirzil. – Gli dice aspro Usif-Lizhi.
Il
gu'hijirr si immobilizza come fulminato, con un movimento così
improvviso e netto che il Notturno non riesce a mantenersi serio e
comincia a ridere nel suo modo caratteristico, simile al canto
notturno della civetta.
–
Scusami, Kirzil, per i miei modi che ti devono apparire piuttosto
bizzarri. Non voglio saziare la tua curiosità, perché in questo
modo potrò continuare a godere della tua compagnia, che mi offrirai
se non per simpatia, almeno per interesse dei miei strani sogni. Ma
non voglio trattenerti ancora. Per voi gente diurna vegliare in
queste ore oltre il crepuscolo non è un esercizio sano. Vai e dormi,
Kirzil Pennarossa e domani sera vienimi a riferire cos'altro ho detto
in sogno.
–
Sarà fatto, signore. Col vostro permesso… – Il Gu'hijirr dopo
una profonda riverenza si allontana senza distogliere del tutto lo
sguardo da lui. Mentre si avvia verso il boccaporto che conduce alle
cabine lo ode borbottare: – Oh, Winogard, come avevi ragione. Mai
impicciarsi negli affari dei Notturni, sono tutti matti senza
rimedio. Eh sì, proprio matti e magari anche pericolosi… Pieni di
strani misteri e di ancor più strani pensieri… Gran Dio Ohnton
della Paludi ricordati dei tutte le mie offerte… E così sia.
Usif-Lizhi
resiste alla tentazione di rispondere con un “Così sia” alla
singolare preghiera del Gu'hijirr e muove qualche passo sul ponte,
risvegliando i cupi cigolii del vecchio legno.
Dopo
qualche altro minuto il Notturno lancia un ultimo sguardo
indecifrabile alla luna seminascosta da una nube e si dirige verso la
sua cabina, silenzioso come un fantasma.
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