27.10.19

Il Mare Obliquo 38

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… Dove Maldanea racconta a Teardraet di un'antichissima leggenda che ricorda ciò che sta avvenendo nel loro mondo.
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– Maldanea, Maldanea! – La voce consueta ed affannata di Pascalina la raggiunge da uno spiazzo scavato nella viva roccia una dozzina di braccia sotto di lei. La giovane Wessiun attende un attimo prima di rispondere, come faceva nella Residenza dello Zio e per un attimo una profonda malinconia la attraversa, cancellando la visione delle onde grigie che fanno tremare la terrazza di roccia dove si è arrampicata.
– Sono qui Pascalina. – Grida prima di scendere a rotta di collo la stretta scaletta tagliata nella roccia, dai gradini alti quanto metà del suo polpaccio.
– Attenta, Maldanea, vai piano! Ma cosa fai, stupidina, lasciami andare!
– Da quando in qua è vietato abbracciare la propria governante? – Chiede ridendo la giovane Swyerdwin. – Cosa vuoi ancora da me? Il Conte-Zio mi sta cercando? E come hai fatto a trovarmi?
L'anziana dama scuote il capo: – Una guardia mi ha detto di averti visto. È Liest Teardraet che ti cerca.
La giovane Syerdwin cessa di sorridere di colpo e si volta a guardare il luogo dal quale è scesa.
– Ne sei certa, Pascalina? Il mio gentile id'iun non ha dato segno di ricordarsi della mia presenza negli ultimi giorni, neppure per consumare i pasti insieme.
Se l'anziana dama ha un'opinione in proposito non lo dà a vedere. Si stringe leggermente nelle spalle secondo l'uso degli Umani, un uso che le è sempre parso insieme dignitoso e delicato.
– Vorrà scusarsi della sua indelicatezza.
Dichiara dopo qualche istante, quando il silenzio della sua pupilla comincia a metterla a disagio.
Maldanea vorrebbe ridere ma non vuole ferire la povera Pascalina. – È probabile. Andiamo ora, alla Residenza.


– Liest Teardraet l'attende nella Sala dell'Arcobaleno. – Le comunica Ghiza, il capo servitore addetto ai suoi appartamenti.
– Grazie. Non disturbarti ad accompagnarmi, conosco la strada.
Maldanea attraversa il lungo corridoio che conduce alla Sala delle Acque, poi il corridoio basso e arcuato, dalle pareti di vetro smerigliato ed entra nella Sala dell'Arcobaleno senza rallentare.
– Buongiorno Id'Iun – Dice ad alta voce, scandendo bene le sillabe.
Teardraet è seduto in'un'ampia poltrona, con in braccio un grande volume aperto indossando un paio di lenti da vista, cosa che Maldanea non gli mai visto fare.
– Buongiorno mia Id'iun, anche se temo che scegliendo questa parola tu voglia dirmi molto di più di quanto le sue semplici lettere esprimono.
– "Coloro che dividono le acque", questo è il significato antico della parola. Non significa nulla di più di questo. – Spiega Maldanea con voce piana, come se si trovasse di fronte ad un adolescente particolarmente ottuso.
– Certo, coloro che dividono le acque. – Ripete Teardraet quasi distrattamente. – Scusami mia Id'Iun.
– Non sono una povera ragazzina delusa, Conte-Mago, nella mia vita sono sempre bastata a me stessa. – Maldanea fa uno strano sorriso. – Come nel bosco davanti alla Residenza Wessiun, ricordi?
Teardraet la guarda a lungo senza parlare, toglie i vetri da vista e li pulisce con un piccolo straccio di stoffa morbida.
– Ho cercato di essere me stesso, il me stesso di sempre, Lie Wessiun, ma riesco solo ad essere rozzo, sgarbato, cervellotico o ridicolo, non è forse vero? Ti ho fatto chiamare per questo.
– Non mi mai sono fatta illusioni sulla nostra unione: lega Casa Wessiun con la Casa di Baran e Verhida, e tutti i Syerdwin con il Moeld, ora che una guerra inutile ed eterna scuote il mondo. Re Horr Vamaiun ha bisogno di appoggi per mantenere il proprio trono intatto ed ha sposato la causa di Artamiro per inerzia o vigliaccheria. Ma molti sono i Syerdwin ed i Gu'Hijirr che vorrebbero la fine di questa assurda alleanza ed i principi ribelli delle due nazioni combattono già con la Casa D'Oriente. Ho esposto bene la lezione?
– Non si sarebbe potuto chiedere di meglio ad un Messo di Artamiro. E la tua opinione se posso chiedertela?
Maldanea riflette per qualche secondo prima di parlare. – Interrompere la guerra, subito ed eleggere un nuovo Re per i Syerdwin.
– E credi che Horr Vamaiun sarebbe d'accordo? E Nyby Ornoll? Per non parlare di Artamiro e dei Lupi-Drago. La guerra serve a mantenere ogni cosa al suo posto, questa è la verità.
– Vero. E la tua opinione, Id'Iun, quale sarebbe?
La giovane Wessiun comincia a provare gusto per quel dialogo che sarebbe stato inconcepibile nella Casa.
– Il centro del problema sono i Marr dei Lupi-Drago, fedeli per giuramento familiare a Re Artamiro ed alla sua casa ed il primo tra loro, Kwister di Lö. Una volta scomparso lui la guerra si trascinerebbe ancora per un po' senza vinti né vincitori, permettendo alle cose di cambiare, cambiare anche molto.
– Tutto questo discorso significa alcune cose certe, Conte Teardraet: hai già ucciso o tentato di uccidere il Duca Kwister, stai spingendo alla follia Artamiro perché qualcun altro, forse il Duca Rossiter delle Terre Brune prenda infine il suo posto e stai lavorando per unire i Syerdwin sotto una nuova corona. – Maldanea si interrompe. – La tua, senza dubbio, purché la guerra duri abbastanza a lungo. In tutto ciò, comunque non capisco la parte di quella bizzarra creatura giunta alla fine dell'inverno con quella stranissima nave. 
 
– Sei una persona molto attenta, Maldanea, ma di questo non ho mai dubitato. Tranne per il particolare che non ho mai inteso uccidere il Duca Kwister. Ho avuto contatti con lui, comunque, ed egli si è già allontanato dal campo del Re. Ma probabilmente altri lo sostituiranno e lo stesso problema si presenterà in altre forme. In quanto ad Artamiro non è del tutto esatto dire che lo sto spingendo alla follia: egli è ad una svolta della propria esistenza ed io non faccio che sollevare altri dubbi, altri rimpianti, ricordi dolorosi e fatti dimenticati. È materia viva e crea sofferenza in lui ma anche in chi muove quei fili. La bizzarra creatura della quale mi hai detto è capace di risvegliare quegli stati d'animo, di quelli si nutre con inesauribile voracità. Queidhen l'Unico è forse l'essere più singolare nato sotto questo cielo, se pure mai è nato. Il tempo è per lui uno spazio simile ad un mare nal quale può muoversi a suo piacimento, attraccare al porto che desidera, allontanersene, ritornarvi. È lui a muovere le Marionette, gli Oom, facendo uso della magia dei Lontani Primi e io stesso ignoro i limiti del suo potere e della sua conoscenza.
Maldanea ascolta le parole di Teardraet affascinata, mentre una voce leggera, quasi impercettibile ripete domande alle quali non dà ascolto. Quando la voce del Conte-Mago tace la giovane Swyerdwin finalmente può udire quella voce e comprendere. – È avvenuto qualcosa, Id'Iun, per questo mi hai fatto chiamare.
Teardraet parla senza sollevare il capo, che sorregge con le mani aperte. – È folle pensare che tu, una giovane nata e cresciuta in una Rocca tra i Boschi possa davvero aiutarmi a capire cosa sta avvenendo, ma qualcosa si è spezzato senza rimedio. È una sensazione, nulla di più, come quando avverti una leggera corrente d'aria in una stanza ben riscaldata. Apparentemente nulla è diverso da un attimo prima eppure qualcosa è avvenuto, lo sento ogni volta che penetro nel Mondo-tra-un-istante: un'ombra, una vibrazione, un alito di aria gelida che accarezza per un attimo la pelle.
– Esistono sovramondi e sottomondi, non è vero, Id'Iun?
– Il mondo che vediamo è come una linea sottile che trattiene l''infinito Oceano dei Mondi che avrebbero potuto essere, una linea tanto sottile da essere talvolta quasi impercettibile e su essa corriamo come cattivi attori saltano ed urlano sulle fragili assi di un palcoscenico.
– E sotto? Cosa c'è Id'Iun?
– Ciò che non ha potuto essere, fantasmi diresti tu, senza volontà né sentimenti ma con un unico desiderio: salire fino alla superficie, al Reale.
– Ma…
– No, ignoro cosa abbia reso più instabile il nostro mondo… I Silvani hanno un mito nel quale tutto ciò ha un nome: Nerthurok, ma conosco troppo poco la lingua ed il pensiero dei Silvani per potermi spiegare ciò che avviene.
– Hai mai pensato che … – La giovane Wessiun comincia a parlare esitando, come se il pensiero si formasse nella sua mente mentre dispone le parole una dietro l'altra. – …I Silvani, le creature fatte della stessa materia della quale sono fatti i boschi, immutabili e quasi eterni sono in un certo senso il contrario di noi Syerdwin, mutevoli e mortali, che temiamo e soffriamo sotto un cielo fatto di rami e foglie? Non dovrebbe esistere un mito simile anche per la nostra gente, per contrasto, così come la luce si contrappone all'ombra pur avendo entrambe la stessa origine?
– Bella osservazione. Hai studiato presso un mago, Id'Iun? – Teardraet la osserva con un interesse nuovo, come se un'altra persona avesse improvvisamente sostituito la giovane Wessiun.


– Avevo l'abitudine di curiosare ovunque, anche nelle Stanze Nascoste di Rocca Wessiun, riservate ai Maghi della Casa. Un paio di volte mi hanno sorpreso addormentata con un libro in mano: erano volumi enormi, scritti in una lingua che faticavo a comprendere.
– Era Ghain'iun, la lingua di coloro che abitavano Dancemarare prima della nascita della stirpe degli uomini. I libri che hai veduto sono stati trascritti centinaia di volte per poter arrivare nelle nostre mani. – Il Conte-Mago la osserva con curiosità. – Hai letto qualcos'altro di interessante in quelle pagine?
Maldanea ride. – Moltissime cose, ma ben poche ne ricordo. Qualche incantesimo, qualche semplice magia e pagine e pagine di dotte e noiosissime considerazioni e avvertimenti. No, credo di non ricordare nulla che possa servirci in un caso così singolare. Ma dimmi, cos'è mai "Il-Mondo-tra-un-istante" del quale ho letto più volte, anche chiamato con altri nomi?
– L'Indeterminato, l'Inabitato, la Terra Senza Ombre, Murr-Hub, le Lande Cieche, erano questi i nomi, vero? È il luogo che permette l'invisibilità ai nostri occhi, il luogo nel quale spesso mi nascondo per visitare il mio palazzo…
– Id'Iun, usi questo incantesimo anche per visitare non visto i miei appartamenti? – Il tono di voce di Maldanea è leggero, quasi casuale.
– Cosa desideri che ti risponda, mia Id'Iun? – Teardraet sorride lievemente, divertito. – Che conosco la consistenza di velluto della tua pelle al risveglio? Che conosco i tuoi pensieri o quanto di essi emerge nei tuoi discorsi con te stessa? Che conosco il tuo volto ed i tuoi gesti anche quando sei sola?
– Sì.
– No, non ho mai visitato i tuoi appartamenti, anche se la tentazione in me è stata forte come il vento che spazza le isole e preannuncia la primavera.
Maldanea tace per qualche istante, assorta. – Puoi venire da me se lo desideri, Id'Iun. – Dice infine la giovane Wessiun. – Ma senza abbandonare il nostro fragile, sottile mondo.
Teardraet annuisce lentamente, quasi temesse di spezzare la concentrazione di quell'istante. – Verrò da te, mia Id'Iun, per conoscere la tua morbida e riservata conversazione notturna. – Il Conte-Mago assomiglia in quel momento alla creatura confusa ed infelice che attraversava il bosco dei Wessiun in una notte di qualche mese prima, ma i suoi modi restano distaccati e attenti. – Ritenevo che mi trovassi ripugnante, Lie Maldanea. Sono felice di scoprire che la mia sensazione si rivela sbagliata.
– Non sei abituato a raccontare le tue emozioni, vero Liest Teardraet? – Maldanea sorride come una bambina che abbia congegnato uno scherzo particolarmente ben riuscito. – Temo tuttavia dalle tue parole che la nostra conoscenza così nuova potrà durare ben poco. Non vi è modo di chiedere aiuto allo stregone che hai affermato di conoscere, colui che attraversa il tempo come altri attraversano un piccolo lago?
– Queidhen non sa o non vuole parlare di questa alterazione nella materia del mondo e comunque risponde alle chiamate di chi lo cerca solo quando e se questi ha un qualche valore per i suoi progetti.
– E Mastro Nerubavel? Non sa nulla egli di ciò che avviene, non conosce arti o magie dello strano luogo dal quale certamente proviene?
– No, cara Id'Iun, egli è inerme e fragile come noi di fronte a ciò che sta avvenendo. Sinceramente l'unica cosa nuova in proposito l'ho udita da te pochi minuti fa. Ma io non ricordo nessuna leggenda della nostra gente che sembri attagliarsi agli strani eventi che avvengono ora. 

 
– Conosci la storia dei Cjnn'Iun, Liest Teardraet?– Chiede Maldanea dopo qualche attimo. – Sì certo, la sai, ovvio, la raccontano a tutti i piccoli Syerdwin ritrovati sulle spiagge, ma conosci la versione che si racconta nelle Isole della Corona?
– Non credo, prova a raccontarmela.
– Dama Pascalina viene proprio da là, da Punta Arcenia. La versione del mito dei Cjnn'Iun della quale ti dirò mi è stata raccontata molti anni dopo il mio arrivo sulla spiaggia della Porta di Mare di Casa Wessiun. Si racconta che molti, moltissimi anni fa Dagla Cjnn'Iun, signore delle Isole della Corona, delle Isole interne e delle pianure che si stendono fino al Mahan Dwur insieme agli altri della sua Casa avesse armato una grande flotta per giungere a valicare i muri di ghiaccio che cingono all'estremo Nord l'Orlo del mondo. Egli ed i suoi parenti erano infatti convinti che il mondo non avesse limiti e che altre terre ed altri popoli vivessero oltre quel confine posto dagli dei. Nella versione più comune della leggenda Re Dagla Cjnn'Iun giunse fino al limite dei ghiacci, qui vi incontrò i fantasmi di coloro che avevano perso la ragione e poi la vita sulle gelide pianure della Barriera, ma continuò ugualmente facendo trasportare le navi su grandi slitte. Giunse così dopo infinite perdite ed a prezzo di grandi sofferenze fino ad una barriera di cristallo alta fino al cielo e con le ultime energie, ormai vinto dalla stessa follia che aveva perduto coloro che l'avevano preceduto, ordinò ai pochi superstiti di abbatterla con l'aiuto del fuoco. Bruciarono le ultime navi giunte fino a lì ed il fumo annerì il cristallo del cielo, rendendolo opaco e grigio come lo vediamo noi nelle terre del Nord. Gli dei, offesi per l'orgoglio dei Cjnn'Iun non uccisero gli ultimi superstiti, lasciandoli vivi a vagare per tutta l'eternità sulla barriera, a provare per sempre il dolore insopportabile del freddo e della solitudine. Nelle Isole della Corona si racconta invece che Dagla Cjnn'Iun vide le proprie navi ed i propri marinai farsi di una materia simile a ghiaccio, non morti e neppure vivi e che giunse infine solo al limitare di un mondo immoto, illuminato da una debole luce simile a quella dell'alba, nel quale vivevano solo enormi creature fatte della stessa materia, lente come il passaggio di una grande nube. Si racconta che davanti a quella visione Re Dagla perdesse completamente la ragione, tanto da estrarre la spada per combatterle ed impedire loro di penetrare nel nostro mondo. Secondo gli anziani delle Isole egli è ancora là, pronto a difendere il proprio mondo, sfidando un sonno ormai secolare ed il freddo. – Maldanea ride. – Dama Pascalina ancora adesso quando nevica ha l'abitudine di dire «Svegliati Dagla!» –
– No, non avevo mai udito questa versione della leggenda. – Teardraet si alza dirigendosi verso la grande libreria. – Fermati qui ti prego mia Id'Iun, aiutami, se lo desideri.
La giovane Wessiun annuisce. – Conosco solo storie, vecchie storie che non interessano più a nessuno, Liest Teardraet, non so quanto riuscirò ad aiutarti.
– Forse solo le vecchie storie ci permetteranno di salvarci, Maldanea.


23.10.19

Il Mare Obliquo 37

Il viaggio della Goren, la nave che trasporta Usif-Lizhi e gli altri, procede in acque note ma l'assurdo e l'improbabile non hanno intenzione di abbandonarli.
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Kwister si alza abitualmente con cautela, quando la prima luce ha fatto la sua comparsa superando l'orlo del mondo. Svegliarsi di buon mattino è un'abitudine presa nella sua Marrak, un luogo rumoroso e affollato, dove i servitori cominciavano a chiacchierare sottovoce ed a fare rumore con le stoviglie quando ancora i Marran riposavano. Aveva l'abitudine di nascondersi in un angolo della grande cucina di famiglia ad ascoltare i pettegolezzi dei servi, coperto solo da una lunga tunica di lana grezza decorata nel centro del petto dal Gughen, un albero di acciaio brunito simbolo del primo Lupo-Drago. Non appena era stato in grado di parlare il fratello di sua madre gli aveva affidato quell'abito ruvido che indicava la discendenza della Marrak e molto prima di capire l'importanza di quel gesto aveva passato il tempo a grattarsi furtivamente come tutti i Duchi di Ruthen e Lö che l'avevano preceduto.
Kwister annusa l'aria mentre si veste silenziosamente nella minuscola cabina che divide con Share Harvaiun, il barone Enklu e Jai Wediliun, il mercante Syerdwin. I loro odori recenti non sono riusciti a coprire il fortissimo sentore di fiume che impregna il legno della nave, un aroma non spiacevole una volta che ci si sia fatta l'abitudine, forse troppo intenso per un lupo-drago nato e cresciuto in mezzo alla neve ma che ha il potere di ricordargli sempre, anche in sogno, di essere molto lontano dalle pietre scure della sua Marrak, che sanno di muschio e di neve sciolta.
I Gu'Hijirr hanno addosso lo stesso odore, anche Kirzil Pennarossa che pure non naviga più su un fiume da anni ed anni: questo particolare lo rende più tollerante verso quelle bizzarre creature, ciarliere, rissose e pettegole, ma anche salde, acute e determinate quando è il momento.
Una volta abbigliato il Duca Kwister scivola fuori sul ponte della nave, certo di incontrare come ogni mattina Usif-Lizhi, intento a contemplare il limite della riva reso incerto dalla luce dell'alba.
Il profilo familiare del Notturno si staglia sul colore lavanda del cielo. Kwister sa che Usif-Lizhi l'ha già udito mentre si vestiva nel silenzio della sua cabina e per un attimo si chiede che tipo di vita sia quella dei Notturni, che come piccole barche sfidano ogni giorno l'oceano dei rumori quotidiani.
– Buongiorno Duca Kwister. – Pronuncia a bassa voce Usif-Lizhi.
– Buongiorno.– Replica Kwister cercando di spegnere la propria voce da baritono in un rauco sussurro.
– Che luce singolare, non trovate? – Gli chiede affabilmente il Notturno, tanto per avviare la conversazione.
Il Lupo-drago fissa la cupola del cielo dove la luna, già pallida, sembra velarsi di nubi sottili.
– Ho già visto questa luce: fa seguito agli uragani estivi nelle terre più calde. Siamo dunque scesi tanto in basso lungo i gradini dell'Orlo del mondo?
– No. – Il Notturno ha voltato il capo per un attimo mostrando gli occhi grandi, accesi di una debole luce verde. – L'aria è frizzante ed il sole non giunge ad arrampicarsi troppo in alto nel cielo. Tra poche ore dovremmo essere in vista di Sdea. Chissà, forse gli strani fenomeni che stanno verificandosi nell'arco del mondo si riflettono nella luce dell'alba.
Kwister brontola un debole assenso, improvvisamente incupito nel ricordare il flagello cristallino che ha colpito quelle piante lungo la strada per la Rocca di Vandel.
– Voi che siete membro di una razza tanto antica, sapete trovare una spiegazione a quanto sta accadendo? – Si decide infine a chiedere il Duca.
– No. – Risponde semplicemente il Notturno. – Ho udito la spiegazione di Khude, che mi ha ricordato le leggende sui giganti di cristallo che abitavano il mondo dell'alba, ma nulla più di questo. Khude ha parlato di acqua che diventa cristallo, di ciò che è mobile che diventa immobile, di carne e sangue che divengono roccia. Questo descrive probabilmente bene ciò che sta avvenendo ma non ne dà una spiegazione.
– È come se noi tutti esseri viventi fossimo solo sogni della terra che ora si sta risvegliando…– Kwister esita per un istante mentre il ricordo si ravviva in lui. – C'era un leggenda che ho udito molto giovane sui sogni della Madre Terra. La raccontava un lupo-drago cieco insieme ad altre storie di guerre ormai dimenticate e di antichi cataclismi. La storia che raccontava non era molto diversa da ciò a cui stiamo assistendo.
– Chissà, forse non ha senso la nostra ricerca, forse il mondo si rinnova così e questo non è altro che il suo respiro, che nessuna forza al mondo può impedire.


– È possibile, certo.– Ammette il Lupo-Drago il cui sguardo è tornato a fissarsi sul colore cristallino del cielo.
– Ma forse è ugualmente giusto opporsi al destino. Khude ha detto che tanti della mia gente sono già aridi e solitari come altrettante pietre ed io ho visto i loro cuori disseccarsi e le loro labbra farsi di gesso e cartapesta, ripetendo continuamente le frasi dei nostri antenati, come se avessero fretta di divenire a loro volta polvere. Perdonatemi, Duca Kwister, ben noiosi ricordi ha risvegliato in me la nostra conversazione.
Il Lupo- Drago scuote il capo a contraddire Usif-Lizhi mentre il suo pensiero, instabile e inquieto, lo trasporta molto lontano da lì. La riva del fiume brilla leggermente come se volesse anticipare la luce solare, suscitando l'illusione di un lento volo di lucciole o di un esercito notturno dalle armi lucenti come fatte di raggi di luna. – Questa luce non sembra cambiare. – Osserva dopo un certo numero di minuti di silenzio il Notturno.
– Non vi sembra una stranezza eccessiva? – Kwister si risveglia dalle sue emozioni con un improvviso senso di allarme. Da una piccola tasca della giubba estrae un piccolo capolavoro di fabbricazione Gu'Hijirr: un piccolo cronografo meccanico che solo pochissimi tra i signori dell'Arco del Mondo possiedono.
– È già trascorsa l'alba. – Annuncia a voce bassa e tesa il Lupo-Drago. Solleva il braccio ad indicare un punto dell'orizzonte di fronte a lui.– Il sole dovrebbe essere all'incirca in quella posizione ora.
Usfi-Lizhi accogli la frase senza parlare. Fissa ancora la riva del fiume, immobile come dipinta su un fondale smisurato. – Il Cambiamento ha già visitato questi luoghi, Duca Kwister. – Dichiara infine. – Gli alberi che si specchiano nel fiume non sono già più fatti della stessa sostanza che condividono tutte le creature viventi.
Con un brivido di orrore, che non gli impedisce di cogliere la sovrumana bellezza di quella natura trasfigurata, Kwister ripone il suo cronografo e torna a guardare il gioco di luci cristalline che trascorre davanti alla nave, incerto e confuso. – Non avete la sensazione che la nostra velocità sia diminuita? – Chiede Usif-Lizhi. – Osservate l'acqua, essa sembra essersi fatta più densa, come se vi fossero sospesi innumerevoli piccoli grumi pronti ad unirsi, come avviene quando il gelo serra i fiumi.
Il Duca Kwister si sporge oltre la murata: le piccole onde create dal passaggio della nave sembrano impercettibilmente più lente e dense e più che rispecchiare la luce diafana del cielo sembrano produrne di propria, un riflesso ancora incerto, un baluginare che può essere colto solo distogliendo lo sguardo.
– Tra poco dovremmo essere in vista di Sdea. – Dice a se stesso il Duca, che non riesce a staccare gli occhi dall'acqua ed insieme prova orrore per quella visione.
Dopo un gomito nel corso del fiume la piccola città fluviale si offre ai loro sguardi. Nel frattempo il ponte si è andato affollando di passeggeri e membri dell'equipaggio: le loro voci sono basse e concentrate come se si trovassero all'interno di un tempio.
Il piccolo molo di legno al quale la Goren abitualmente attracca si avvicina lentamente, scuro e silenzioso come il resto della cittadina.
Il timoniere della nave manovra per allontanarsi: nessun rumore proviene dalle case silenziose che hanno assunto la forma definitiva e statica della roccia, dalle finestre divenute regolari aperture cieche in una parete dell'apparenza del granito, dagli alberi, simili a sculture ingioiellate per una bizzarra festa.
– Quale magia ha colpito i poveri abitanti di Sdea?– Chiede con un sussurro Oakin.
– E quale magia sovrumana allora ha spento la luce del sole? – Chiede Kirzil Pennarossa. – Chi sa rispondere a questa domanda?
– Nerthurok. – Dice Khude semplicemente, come se il semplice suono di quella parola potesse spiegare ogni cosa.
Il vecchio Oakin guarda con timore l'Uomo-Pianta. – Colpirà anche noi?
– È possibile. – A rispondere non è il Silvano ma la fata Mahaderill che guarda il bizzarro paesaggio senza mostrare né paura né sorpresa.
– Nella mia vita che certo non è troppo breve e neppure è stata vissuta seduto in un cortile non ho mai veduto una cosa simile. Chi è il mago tanto potente da spezzare in questo modo la vita di un'intera provincia?
Non vi è nessuna magia, povero Oakin. – Kirzil Pennarossa ha voltato la schiena al corso del fiume e lo fissa bene in volto, come se volesse sfidarlo. – Ho veduto altri luoghi colpiti da questa maledizione. Non senti come è diversa l'aria qui? Non senti come il suono stesso, le parole, siano più sottili, più lente ad essere udite e comprese? Fai mettere mano ai remi, presto o diverremo anche noi parte di questo suggestivo paesaggio. 

 
Il vecchio marinaio annuisce di scatto dopo un attimo di paralisi e si allontana verso il centro della nave. Il rumore dei suoi passi vibra delicatamente a lungo nell'aria. Il sole ricompare lentamente, un'ombra chiara ed indistinta che balugina lenta come velata da un vetro spesso e segnato dagli anni.
A bordo della Goren la luce del giorno viene accolta con stordimento, quasi che l'altra luce fosse divenuta per loro più naturale.
Insieme al sole ritorna un vento leggero che riporta loro l'odore del fiume, scomparso per tutte quelle ore nella sostanza vuota ed immobile del Nerthurok. Tutto il mondo e loro stessi riprendono soltanto ora a respirare, l'aria riacquista la sua sostanza lieve ed ineffabile e così le piante, l'acqua, ogni creatura vivente.
– Che saporaccio ho in bocca! Ho la sensazione che qualcuno mi abbia infine tolto dal petto una lastra di pietra. Credete forse, signora Mahaderill, che quel fenomeno stesse per afferrarci? – Chiede Share Harvaiun dopo aver sputato fuori bordo.
La fata alza lo sguardo di scatto facendo trasalire il Syerdwin. – Tiommhén ghlidi lìan audùin! – Pronuncia ad alta voce fissando gli occhi di un colore grigio acciaio in quelli del servitore.
Harvaiun si affretta ad assentire con il capo ma la fata non aspetta risposta da lui. Con un gesto rapido si copre il capo con un sottile velo di seta e si allontana verso il castello di poppa.
– Si è offesa? Cosa mi ha detto? – Chiede smarrito il Syerdwin.
– Se si sia offesa lo ignoro. Ciò che ha detto si potrebbe tradurre come: «Troppo ha lavorato il ragno» o più letteralmente «Lunghi e secchi i fili di rugiada.»
– Pregevole traduzione, messer Usif-Lizhi. Posso chiedervi dove avete imparato una lingua tanto bizzarra come quella delle fate?
– La noia, Duca Kwister, null'altro che un'immane, insostenibile noia sopportata nei miei anni di gioventù presso il Castello della mia Casa.
– Che strano, ad alcuni la noia sembra rafforzare solo se stessa, altri li rende ansiosi, quasi febbrili nel dedicarsi a mille attività diverse. Devo dire tuttavia che la prima eventualità mi è sempre parsa la più frequente.
Usif-Lizhi scuote il capo e sembra voler sorridere per l'apprezzamento cortese del Duca. Si appoggia con una mano al mancorrente lucido e consumato del ponte ed indica un punto davanti a loro.
– Gabbiani.
– Già. – Kirzil li osserva con soddisfazione. – Gabbiani vogliono dire pesce e gente che lo pesca. Ehi, della nave, qual'è la prossima città avanti a noi? –
– Chiusa Diodhann, Pennarossa. – Replica secco il marinaio, un Gu'hijirr insolitamente alto e dai gesti rapidi e nervosi. – Sempre che la troviamo ancora.
– Bisognerà avvisarli di quello che è accaduto ai loro concorrenti di Sdea, non è così Nato Berzel?
Il Gu'hijirr fa uno strano gesto con braccio, un arco lento che si conclude aprendo la mano sul torace. – Ghed'haan, Iuduk'Mappin.
Nel gruppo dei viaggiatori è il solo Jai Wediliun a ridere, mentre Kirzil fa una smorfia a metà tra il fastidio ed il divertimento.
– Non è così, Nato Berzel. Quello che sta avvenendo non arricchisce nessuno, anche a Chiusa Diodhann lo capiranno.
– Nave a dritta! – La voce della vedetta, arrampicata su una piccola piattaforma sull'albero centrale della nave interrompe la replica dell'interlocutore di Kirzil.
– Che grande nave. – L'osservazione del Barone Enklu giunge per prima a spezzare il silenzio. – Guardate l'altezza dell'albero centrale e considerate la distanza. Come può una nave siffatta navigare in questo tratto di fiume?
– È curioso. – Oakin dei Berzel di Fonteluna ha affidato il timone ad un cugino ed è salito di persona sul ponte a sincerarsi di ciò che avviene. – Conosco praticamente tutte le nave che percorrono questo tratto di fiume ma una forma come quella… Passami il cannocchiale Riaseffin.
L'anziano Gu'Hijirr fa scorrere le sezioni dello strumento e lo solleva ad altezza d'occhio. – Non ho mai visto uno della vostra razza impallidire, Mastro Oakin. Cosa avete visto in quell'arnese?
Il patriarca dei Berzel si strofina gli occhi con una smorfia come un neonato insonnolito e borbotta qualcosa tra sé. Urla alcuni ordini a raffica ai parenti ed infine volge lo sguardo verso il Lupo-Drago.
– Non lo so cosa ho visto, barone. Non posso descrivervi quella nave… Dovevo arrivare a questa età per incontrare così tante bizzarrie su questo pezzo di fiume che credevo di conoscere come le pulci del mio letto. Ma guardate, guardate voi stesso!
Enklu appoggia l'occhio sulla bocca del cannocchiale aperto. – È una nave. – Dice senza staccare gli occhi dallo strumento. – Ma ha la murata così alta da sembrare un castello galleggiante. E gli alberi sfiorano le nubi più basse. Ha un colore bianco perlaceo simile a quello delle pareti interne di un'ostrica…
– Vi è qualcuno sul ponte? – Chiede il Duca Kwister.
– Nulla e nessuno si muove. Ma se anche qualcuno cammminasse su quella nave parrebbe piccolo come una formica…
Il Lupo-Drago abbassa il cannocchiale. – Ma come può navigare un simile mostro su queste acque?
– Tornate a guardare meglio, Barone. – La voce di Oakin risuona stanca, come se le stranezze del suo fiume avessero ormai superato ogni limite di decenza. – Essa NON naviga sulle acque. 

 


15.10.19

Il Mare Obliquo 36

 
Klog, Plinio e Matushka e Basso Okme continuano il loro viaggio con il Neek, in territori inesplorati e con leggende che raccontano di olocausti avvenuti in tempi ormai lontani. Avanti, fino all'ingresso alle Foreste Sotterrate.
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Sistemati sulla grande schiena degli Ippogrifi che procedono volando per lunghi tratti, fermandosi ogni tanto per camminare, come se non sapessero ben scegliere tra le proprie due nature di uccelli e di cavalli, Klog, Plinio, Matushka e Basso Okme scendono rapidamente il crinale dei monti fino a giungere in vista della pianura.
Il cielo, spazzato da un vento frizzante, si è fatto chiaro e profondo e lontano, alla loro destra, è divenuta visibile la forma massiccia e imponente del Mahan Dwur, incappucciata di nubi come un Dio canuto, circondato da una corona di monti più bassi come guardie del corpo della Signora delle Montagne.
– Qualcuno ha mai visto la cima del Mahan Dwur? – Chiede Klog durante una breve sosta ai piedi della discesa.
Fahgön, che li appena raggiunti insieme agli altri cervi, solleva il capo dall'erba umida che cresce in folte macchie tra le alte betulle dell'altopiano e lo scuote come per scacciare una mosca particolarmente noiosa.
– No. Nessuno ha mai visto la cima del Monte-Grandirami. Non esiste aria, lassù, ho udito dire, solo il colore azzurro del cielo, sottile e leggero come seta impalpabile.
– E tu cosa sai in proposito, Gudre-Yinnu? – Insiste Klog, poco persuaso della risposta del grande cervo.
– Ben poco, Boldhovin. La mia gente lo chiama Tjuthìrin e molti sono sicuri che sulla sua invisibile cima vivano i Giudici del Mondo, coloro che un giorno pronunceranno la sentenza finale per la Grande Prova che abbiamo affrontato vivendo.
– E tu credi a questa leggenda, Neek? – Chiede con la sua espressione più seria Basso Okme.
– Purtroppo no. Credo che in cima al Tjuthìrin vi sia un'aria molto più leggera che in pianura, questo sì, perché molti grandi viaggiatori raccontano che attraversando alti passi si respira con molta difficoltà e che praticamente nulla, forse nemmeno i più piccoli tra i Fratelli Immobili, riescono a vivere a quell'altezza.
– Molto ragionevole. – Commenta Plinio. – Ma assai poco divertente. Dove sta il piacere di raccontare e di ascoltare se tutto è così chiaro e lineare?
– Credi, messer Micio? Io invece penso che ciò che possiamo vedere con i nostri occhi sia sempre molto più affascinante e sorprendente di quanto le nostre povere menti possono arrivare ad immaginare. Il mondo non è stato costruito da una mente cosciente, a parer mio, quindi anche se coerente è imprevedibile.
– Considerazione empia, ma degna di riflessione, messer Neek. Ora, per tornare alla nostra situazione, può ragguagliarci sul nostro percorso fino ai Monti dell'Orlo?
– È presto detto, mio gentile amico. Davanti a noi c'è il limite dell'altopiano, quindi la pianura, un luogo, come potrete vedere, assai poco ospitale, le Foreste Sotterrate, il grande Deserto dei Cristalli ed infine le Porte dell'Orlo.
Klog aggrotta la fronte udendo pronunciare quei nomi, forieri di un genere di avventura assai scomodo, e inghiotte un biscotto ed un sorso di latte per rassicurare il suo povero stomaco. – Naturalmente potremo attraversare luoghi tanto terribili sulla groppa dei nostri buoni Ippogrifi, nevvero?
Il Neek scuote la testa con un sorriso rammaricato.
– Mi duole deluderti, quasi-Silvano, ma Mieri ed i suoi amici non possono volare tanto a lungo da superare in volo spazi così ampi. D'altro canto l'unico luogo dove potremo trovare acqua in abbondanza, tanta da poter superare i Cristalli, è proprio nelle Foreste Sotterrate. Non hai un po' di interesse per luoghi tanto bizzarri?
Klog inghiotte a vuoto incrociando il suo sguardo con quello pacifico di Plinio. – Mi accontenterei di un racconto anche mediocre di tali bellezze. Puoi anticiparci qualcosa di quegli strani luoghi, prima di raggiungerli?
– Non vi è nulla di peggio che raffigurarsi un pericolo prima di averlo incontrato. Si diviene inquieti, rabbiosi, imprudenti e poi, dopo aver incontrato ciò che tanto si teme, il nervosismo porta a sopravvalutare o a sottovalutare i rischi. Quindi credo che dovrai attendere fino a quando non saremo proprio in faccia alle Foreste ed allora potrai decidere se spaventarti o meno.
Klog apre la bocca per protestare ma un istante prima di farlo è Fahgön a parlare. – Giusto, giustissimo, meno si sa, meno si immagina, meno si ha voglia di scappare.
Il Boldhovin si guarda intorno, cercando dal gatto o dalla volpe un sostegno alle energiche rimostranze che sta per presentare a Gudre-Yinnu, ma inutilmente: Plinio e Matushka se ne stanno silenziosi ed apparentemente addirittura distratti.
– Non mi stupisce che tu, Grandirami, faccia un simile elogio dell'ignoranza, ma da un saggio come te, Duhit-Uinn, non mi sarei mai aspettato tanto cinismo. 


– Ti sbagli, Klog, non di cinismo si tratta. Semplicemente credo che esista un limite a ciò che è sano sapere prima di vedere. Una mente non addestrata ma ricca di fantasia può costruire intere lande di terrore da poche parole.
Il Boldhovin attende qualche attimo prima di replicare, cosa che non è nelle sue abitudini ed infine si inchina leggermente. – Ti ringrazio per l'apprezzamento che hai fatto delle mie modeste capacità, Gudre-Yinnu, anche se questo non mi convince affatto. Devi avere pazienza con ma, ma io non sono un cervo e non amo che si decida anche per me. Comprendi?
– Molto, molto giusto, caro Klog. In fondo ciò che affermi discende direttamente dalle mie parole. Se non vi sono infatti né dei né giudici, nessuno ha più la tutela di nulla ed il popolo deve arrangiarsi come meglio crede, senza alcun saggio padre ad indicargli la via. Ho ben interpretato le tue parole?
Il Boldhovin guarda con una punta di sospetto il Notturno, quindi approva incerto.
– Ecco. Anch'io credo che il mondo sarebbe migliore se condotto in questo modo. Eccomi quindi pronto a raccontarti tutti gli infiniti orrori e gli spaventosi abissi che ci attendono: sei pronto ad udirmi?
Klog esita per un tratto prima di accettare. – Infiniti orrori? – Chiede poi con una sfumatura di dubbio nella voce.
– Infiniti. – Ripete il Neek.
– Beh, in fondo non ho troppa fretta di essere informato. – Dichiara dopo qualche altro secondo. – Mi basta sapere che posso contare sulla tua sincerità. Non è forse meglio levare le tende?
– Certo, certo.

Dove ci porta il Vento
Senza più chieder nulla
Del Domani e di Ieri
Senza Ricordi e Speranze
Come pallidi uccelli in volo
verso l'alba ed il mare.

Canticchia Matushka.
– Non ho mai udito quella canzone. – Commenta Klog.
– Nemmeno io. – Gli risponde la giovane Volpe.
Dopo un paio d'ore la corona di monti è ormai alle spalle e l'erba sotto di loro è scomparsa, sostituita da una vegetazione bassa e chiara, simile a muschio secco.
Dalla terra sale un debole odore speziato, simile a quello dello zenzero ed anche il cielo ha assunto una sfumatura arancio, come mai hanno veduto nelle terre amiche che stanno ormai dietro di loro.
Ogni ventina di passi un albero, scuro, sottile e dal tronco levigato, come se un esercito di falegnami fosse transitato per quello strano luogo, interrompe la monotonia del paesaggio, proiettando un'ombra allungata davanti ai loro passi.
– Sembra di camminare su un tappeto. – Osserva Plinio a metà tra divertito e perplesso. – Neppure io riesco ad udire i miei passi, come fossi divenuto un'anima incorporea.
– Ehi, Notturno, dove ci hai portato, al paradiso o all'inferno? – Sbotta Klog in capo a mezz'ora. – E poi perché obblighi tutti a camminare mentre sarebbe tanto comodo volare?
– Comodo ma pericoloso. – Ribatte paziente Gudre-Yinnu. – Qui l'aria è infida come le acque di un lago, che nascondono mulinelli e gorghi. Camminando, se si evitano le Testuggini- Drago, i Tappeti di Sangue, le Ventose, gli Scavoni, i Millegrinfie ed i Cataudici si dovrebbe arrivare alle foreste sotterrate entro stasera.
– L'aria? L'aria è più pericolosa del bestiario infernale che ci hai appena descritto? – Il Boldhovin scrolla la testa incredulo. – Non sono più tanto certo della tua saggezza, Duhit-Uinn.
Il Neek ride. – Avanti, ed attento a dove metti i piedi.
– Questo odore mi mette il mal di testa. – Osserva dopo un po' Fahgön. – Rimpiango già l'aria pulita e leggera dei miei boschi. Qualunque cosa sarà meglio di questa erba silenziosa e di questo cielo fasullo.

– Ecco. – Gudre-Yinnu, sulla sella di Mieri, si ferma di colpo ed indica alla loro sinistra un forma scura e molto lontana che si muove lentamente. – Vedete quella cosa? Si tratta di una Testuggine- Drago. Fortunatamente siamo sottovento rispetto a lei, quindi non può avvertire la nostra presenza.
Il piccolo gruppo di viaggiatori si immobilizza, lo sguardo fisso all'orizzonte, dove la possente forma dell'animale trascorre lenta come una grande macchina da guerra di re Artamiro.
– Di cosa si nutre quel formidabile animale? – Chiede con educata curiosità Basso-Okme.
– Non credo che quella belva si ponga questo genere di domande. – Ribatte tranquillo Gudre-Yinnu.
– Vale a dire?
– Tutto quello che si muove può essere un pasto gradito per una testuggine-drago.
– Capisco. – Commenta a mezza voce l'Uccello di Legno, la cui espressione diviene improvvisamente più ansiosa.
– Ma così lenta… – Inizia a dire Plinio.
– È lenta ma instancabile ed in questa piana così regolare potresti fuggire per ore ma lei finirebbe sempre per ritrovarti, una volta sulle tue tracce ed attaccarti. L'unico modo per sfuggire ad una testuggine- drago che ti abbia scorto è ucciderla.
– Uno scherzo, immagino.
Gudre-Yinnu si passa una mano guantata sulla tempia e volge lo sguardo verso l'orizzonte del colore dello zafferano: – I miei antenati correvano un tempo per queste terre, la notte, cacciando la fauna solitaria e feroce di questa pianura. E molti sono morti combattendo contro le testuggini- drago.
– Ma perché darsi tanta pena per uccidere quegli stolidi e feroci animali? – Chiede Klog, parlando a voce molto bassa, senza perdere di vista la forma che scorre lenta all'orizzonte.
– Se devo dirti tutta la verità non lo so, caro Boldhovin. Molte sono le cose che si fanno per consuetudine, molte le cose che un tempo avevano significato ed ora non l'hanno più. Il tempo non passa nello stesso modo per ogni cosa. Questo forse è il motivo per cui esistono ancora i Notturni, gli Ippogrifi, i Neek, io stesso. Siamo come foglie secche dimenticate in un angolo della corrente: la prossima piena ci trascinerà via tutti, probabilmente… No, no, così non va. Cosa sono quelle facce lunghe? Perché non mi lanciate addosso contumelie e verdure marce? Che pessima recita la mia, pomposa e patetica, presuntuosa e ridicola. Non aspettiamo ancora, amici miei, dobbiamo arrivare all'ingresso delle foreste sotterrate prima che scenda il buio.
Klog e Plinio approvano con un cenno pensoso, storditi dallo strano modo di conversare del Neek, evidentemente abituato, come tutti gli individui solitari, a dire e negare insieme, ad affermare e contraddirsi, come se l'esercizio della solitudine avesse abituato la sua mente a divenire due persone distinte, l'una melanconica e contemplativa, l'altra ironica e curiosa.
Ripartono di buon passo, adesso che che i pericoli futuri della foresta impallidiscono al confronto di quelli che li attendono nella pianura. Per un paio d'ore marciano silenziosi, occhi ed orecchie attenti ad ogni movimento o strano rumore.
Quando il sole in cielo ha da poco superato la metà del suo percorso è la volta di Fahgön di fermarsi di scatto, subito imitato dagli altri cervi.
– Abbiamo fame, ora. – Dice semplicemente il Grandirami. – E sete.
– Giusto. – Approva Gudre-Yinnu. – Ghiu trasporta una certa quantità di fieno e di acqua proprio per queste necessità di viaggio. – Il Neek si guarda intorno perplesso. – Temo tuttavia che non sia facile trovare un luogo dove riposare all'ombra.
– Il riposo non è importante. – Dichiara reciso il cervo. – E nemmeno l'ombra. La Pietragemella di Sibiell non è più custodita dagli Erbani ed il tempo per lei corre veloce. Non dobbiamo perdere troppo tempo per la nostra comodità.
Klog fa un grande cenno di assenso, congratulandosi con se stesso per non essersi lamentato. Con un moto quasi inconscio affonda la mano nella borsa a sfiorare l'incerta forma della pietragemella. Come in tutte le altre occasioni il contatto lo lascia perplesso, a chiedersi un attimo dopo se davvero ha toccato il bizzarro oggetto o no. Crolla il capo e guarda torvo verso un punto qualunque davanti a sé: non si può toccare davvero una Pietragemella, ormai dovrebbe averlo imparato.
Mangiano e bevono velocemente senza parlare e dopo una sosta molto breve ripartono.
– Questo posto è un inferno. – Commenta Matushka, un'oretta dopo. – Non esistono punti di riferimento: si potrebbe girare in tondo per giorni e giorni senza neppure accorgersene. 

 
"Chissà a quanti è già toccata una simile sorte." Si chiede Klog, fissando con attenzione le increspature del terreno, quasi dovessero nascondere cadaveri spolpati dal caldo e dalla sete, spettri gelidi e mummie dalle occhiaie vuote, desiderose di impadronirsi della loro vita, custodita come una debole fiamma nel petto.
– Ma si può sapere cos'hai detto? Ehi, mezzo-erbano, parlo con te! Il boldhovin volta il capo all'improvviso, come se l'avesse punto una vespa ed annuisce frenaticamente.
– Sì, sì certo!
– Certo cosa? – Chiede Matushka ironica.
– Gli spettri, certo, come no… Sarà pieno qui.
La piccola volpe scrolla il capo. – Io non ho parlato di spettri, né di fantasmi, né di altre ombre. Caro Klog, temo che la tua testa sia troppo piena di fantasie perché ci entri qualcos'altro.
– Non hai parlato di…
– No.
– Ma non ti sembra … Lascia perdere. Ehi, Duith-Uinn, dove siamo? –
Il Neek, che procede a piedi pochi passi davanti a Klog, affiancato da Mieri che ogni tanto sbatte nervoso le ali, non si volta neppure prima di rispondere. – Non ci siamo perduti, Boldhovin, né stiamo girando in tondo. Le foreste sotterrate sono davanti a noi: le vedremo nella luce del tramonto.
– Ehi, ma nessuno conosce una leggenda, una canzone, una storia buffa, qualsiasi cosa, insomma, per far passare il tempo mentre attraversiamo queste plaghe così noiose? – Chiede Matushka ad alta voce, passato qualche minuto. – A non parlare né ascoltare si secca il cervello.
– Hai ragione. – A risponderle è inaspettatamente Basso Okme che fino a quel momento aveva marciato silenzioso. – Io conosco una leggenda su questi luoghi.
– Bene, e allora racconta. – Lo incita Plinio.
L'uccello-di-legno esita per un attimo, guarda l'orizzonte, come a cercare un cenno di assenso e si schiarisce la voce.
– Un tempo questi luoghi non erano così caldi e secchi. Una volta, molto tempo fa, secondo una carta custodita da Kerfilluan, questo era un luogo di laghi e fiumi che portava il nome di Livi-an. L'estate era fresca e ventilata e l'inverno trasformava i fiumi ed i laghi in grandi superfici ghiacciate, dove, spinte dalle ali del vento, correvano le grandi navi-slitta a vela: le Sibias. Molte erano le città che sorgevano lungo i fiumi e sulle rive dei laghi, dove vivevano insieme in armonia Syerdwin, Lupi-Drago, Notturni, Uomini ed Erbani.
– Anch'io avevo udito una leggenda simile… – Gudre-Yinnu ha parlato d'impulso, spinto forse da un ricordo. – Scusa se ti ho interrotto Basso Okme. In uno dei tanti libri che ho letto in gioventù si raccontava di Tirihia dalle Torri di Vetro che sorgeva sui ghiacci eterni, il luogo dal quale provenivano tutte le razze del vasto Orlo del Mondo.
– Dev'esserci qualcosa di vero in queste leggende.– Osserva serio Plinio. – Non sentite? Ti-ri-hia, Li-vi-an, quasi lo stesso numero di lettere e quasi le stesse lettere.
– Già. Ma continua, Basso Okme: cos'è accaduto dopo?
– Si racconta che nacque la discordia tra le razze delle città, che si giunse alla guerra nelle città e tra le città. Le Sibias, navi sottili e veloci vennero armate e corazzate di ferro per combattere ed ovunque vi era sangue sui ghiacci. Anni ed anni durarono quelle guerre, sempre più crudeli e sanguinarie e il tempo ha coperto di polvere fino all'oblio i Signori di questi luoghi, perché più nessuno tentasse di imitarli…
– E poi? – Chiede Klog, completamente dimentico del caldo e della paura.
– E poi avvenne ciò ogni saggio temeva constatando quanto i tempi si fossero fatti barbari e crudeli. In una sola notte le città, i boschi verdi, i campi, i fiumi ed i laghi scomparvero sotto terra, come se un'immane sipario fosse stata tirato dagli dei per nascondere tanto orrore. Questo luogo prese le sembianze che adesso vedete e tutte quelle genti così empie e malvage scomparvero alla luce del sole.
– E così le foreste sotterrate…
– Proprio così Klog. Ma non so dirti quanto ci sia di vero in questa leggenda. Il libro stesso dove era scritta era tanto antico che le sue pagine avevano perduto colore e sostanza e solo Kerfilluan lo apriva di tanto in tanto, proteggendolo con un incantesimo.
– Avevo letto una versione simile di questa leggenda… – Gudre-Yinnu chiude gli occhi per concentrarsi o forse per proteggerli dalla luce del sole basso davanti a loro. – Secondo il libro dei Giorni Dimenticati dagli Dei, Tirihia era scomparsa divorata da un fuoco venuto dal cielo per bruciare la bizzarra crudeltà dei suoi abitanti.


Mentre Basso Okme aggiunge altri particolari alla sua descrizione, Klog considera con sgomento crescente che se le foreste sotterrate sono quelle che videro la luce del sole al tempo di Livi-An o Tirihia, nulla vieta che esse siano tuttora abitate da qualche discendente di quei popoli così empi, rimasto nel buio ad attendere di sfogare la sua ira millenaria contro il primo folle che fosse penetrato nel suo mondo ctonio.
– Basso Okme? – La voce del Boldhovin suona flebile e incerta quando infine si decide a dare fiato ai suoi terrori.
– Sì?
– Vi saranno ancora degli abitanti nelle foreste sotterrate?
L'Uccello-di-Legno interdetto socchiude gli occhi per riflettere, come se non avesse minimamente considerato quella possibilità.– Sinceramente lo ignoro, Klog. Non ricordo che Kerfilluan ci avesse mai detto nulla in proposito.
Ma è probabile, vero? – Si sforza di aggiungere il Boldhovin.
– Sinceramente…
– Non ti preoccupare di rispondergli, Basso Okme. – Lo interrompe il Neek. – L'ingresso alle Foreste è qui davanti a noi.
Un ampio portale di pietra adagiato obliquamente sulla terra tiepida, come se qualcuno l'avesse costruito per poi spingerlo giù come fa un bimbo stanco di un gioco, circoscrive un frammento di oscurità insondabile dal quale proviene un soffio di aria fredda e secca.
Klog annusa l'aria e fa una smorfia. – Sa di polvere e di chiuso.
Gudre-Yinnu ride. – Certo. Il ricambio d'aria è quello che è. Adesso è sufficiente entrare per sapere se vi sono superstiti di Livi-An.
– Non mi piace. Non si potrebbe aspettare il mattino per entrare, per avere l'intero giorn…
Klog si interrompe di colpo e scuote la testa.
– Già, Boldhovin. Cosa ce ne facciamo della luce del giorno laggiù? – Ride Plinio.
– Senza contare che i tappeti di sangue e gli scavoni non aspettano altro che ci addormentiamo su questa terra per saziarsi finalmente. – Aggiunge il Neek. – Allora?
– Andiamo.