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– Ha
funzionato. – Commenta Fahgön. – Un oggetto veramente utile.
Dall'altra
parte del ponte un vasto atrio illuminato dalla fioca luce delle
candele li attende e non appena l'ultimo di loro ha superato il
limite del crepaccio, la porta di pietra torna a chiudersi
lentamente.
–
Eccoci in trappola come topi. – Dice a bassa voce Matushka
guardandosi intorno.
Sul
fondo della vasta sala un'ampia scala di pietra scura sale verso
altri appartamenti. Un corrimano di metallo bruno fiancheggia i
gradini che procedono con un ritmo di sette, interrotti da un gradino
più ampio dove complicati sostegni decorati con motivi a mezzaluna
sorreggono grandi lampade ad olio.
–
Belli, belli ma un po' tetri. – Commenta Plinio, volgendo poi gli
occhi verso l'alto ad ammirare l'alto soffitto a cassettoni, dove si
ripete con piccoli cerchi e semicerchi d'argento e d'oro brunito lo
stesso motivo dei cicli lunari.
–
Indubbiamente si tratta di Notturni. – Commenta Basso Okme. –
Probabilmente una delle famiglie più antiche di quel popolo.
Un
leggero movimento al vertice della grande scala, dove essa scompare
nell'oscurità richiama l'attenzione di tutti.
–
Eccoli…– Sussurra Matushka.
Le
creature che vengono ad accoglierli sono due, procedono con molta
lentezza e dignità, scivolando nascoste da grandi e leggeri
mantelli. Una volta giunti quasi al termine dei gradini si fermano ad
osservare i visitatori, illuminati dalla luce delle lampade ad olio.
Si
tratta di due Notturni molto anziani, dal corpo esile e dalla
carnagione tanto chiara da essere quasi trasparente.
–
Siete voi dunque maghi, musicisti o entrambe le cose? – Li
apostrofa uno dei due, immobile come una statua.
–
Rechiamo con noi un oggetto magico capace di suonare per tutti coloro
che lo ascoltano, cortesi Duhit-Uin. Che la Luna guardi i vostri
passi e che la brezza sia tiepida e risvegli i vostri ricordi più
belli.
Klog
guarda con ammirazione Matushka, chiedendosi dove mai la piccola
volpe abbia imparato quelle formule di cortesia, evidentemente
gradite ai Notturni, creature notoriamente formaliste.
Il
Notturno che sembra più anziano approva con un breve movimento della
mano, fine come una delicata scultura. – I motivi di svago sono
così rari in questi tempi, gentili tiiunnh che siamo ben
felici di invitarvi a trascorrere la notte che sta per sorgere nella
nostra residenza.
Con
un cenno i due notturni indicano la scala e si volgono per
precederli. Con un cenno molto meno raffinato Matushka invita la
compagnia a salire i gradini seguendo i due Duhit-Uin che procedono
quasi danzando, dando la sensazione di non sfiorare neppure la pietra
di cui è fatta.
Al
termine della scala procedono lungo un ampio corridoio illuminato da
piccole lucerne che sprigionano una luce azzurra simile ad un
riflesso di luce sul fondo di un lago. Sulle pareti sono appesi
ritratti di altri notturni, alcuni in abiti dotati di alti collari
rigidi che rendono i loro visi ancora più sottili e delicati, pochi
altri dipinti con indosso splendide armature decorate con il motivo
della luna crescente, altri ancora con grandi cappelli dalle strane
forme geometriche. Klog guarda con uno stupore moltiplicato da una
leggera sensazione di allarme gli splendidi quadri e la fredda,
geometrica bellezza delle decorazioni delle lampade. Lo stile, la
forma sembra essere ormai l'unica sostanza di quello strano popolo,
divenuto ormai la spoglia vuota di se stesso.
Nel
corridoio, dal pavimento a grandi rombi di pietra nera incorniciata
da sottili filamenti d'argento, l'aria sembra ancor più sottile che
all'esterno ed i rumori risuonano ovattati, come se provenissero da
una grande distanza.
– Allora,
miei gentili Tiiunnh, quale raggio di Luna vi ha condotto in questi
luoghi così appartati? – Domanda il secondo Notturno, una gentile
Duith-Uinn dalla voce profonda e carezzevole, ricca di originali
risonanze che ricordano le note più basse di un'arpa.
Comodamente
seduto su un ampio divano, più simile ad un grande cuscino per metà
adagiato alla parete, Klog tossicchia e riporta gli occhi sugli
squisiti ospiti dopo essersi concesso un lungo esame delle stanza e
dei suoi arredi, giungendo ad una conclusione lusinghiera in merito
all'antica civiltà dei Notturni.
–
Mi perdonerete Duith-Uinn se prima di rispondervi impiegherò un po'
di tempo per lodare la bellezza della vostra rocca. Ho veduto molte
auguste dimore nella mia vita, soprattutto quando giravo per le
Rocche del Palediun con la Compagnia di Mastro Primo Corak, mi sia
concesso dirlo un volgare sfruttatore ed imbroglione, ma raramente o
forse mai ho veduto tanta bellezza insieme austera e suggestiva.
I
due Notturni accettano il complimento con un cenno del capo molto
misurato e dopo un conveniente istante di attesa è lei, Tianin, a
percuotere delicatamente un piccolo campanello di cristallo creando
una nota leggera e persistente, come se fosse l'aria stessa a
cantare.
Da
una porta posta sul fondo dell'ampia stanza una terza creatura fa il
suo ingresso. I suoi occhi non brillano come quelli dei notturni ed i
suoi movimenti non sono altrettanto eleganti e sorvegliati, in
compenso la sua figura, altrettanto sottile e magra, lascia
trasparire vigore ed impazienza, mitigate da una sorta di incertezza
trasognata, come se la mente di quel terzo personaggio fosse assorta
in tutt'altri pensieri.
– Gentili Tiiunnh, vi presento nostro nipote, Gudre-Yinnu. –
Annuncia Huighian, compagno della bella Tianin.
Klog
e gli altri lo osservano con attenzione e ricambiano il profondo
inchino del nuovo arrivato.
–
Un Neek. – Esclama a voce bassissima Matushka guadagnandosi
un'occhiataccia di Plinio.
–
Esatto, proprio di un Neek, un mezzosangue si tratta. – Interviene
Tianin, distante alcuni metri dalla piccola volpe. – Gudre-Yinnu è
ben conscio di questo e certo non se ne sente sminuito.
–
Perdonatemi, ve ne prego. – Matushka volge lo sguardo per un attimo
verso Tianin e Huighian, per poi tornare a fissarlo sul Neek. – E
perdonatemi anche voi, Duith-Uinn Gudre-Yinnu, ma nella mia vita non
ho mai incontrato un vero Neek, cioé volevo dire…Ecco, pensavo si
trattasse solo di leggende…
È
lo stesso Neek ad interrompere il confuso ed imbarazzato discorso di
Matushka. – È vero, simpatica Fuij-Ku, io stesso mi sento spesso
reale e vivo quanto il personaggio di una fiaba.
Matushka
sorride udendo il nome dato dai notturni ai membri della sua razza ed
accoglie con una piccola riverenza la frase spiritosa della creatura.
–
Puoi provvedere a qualche piccolo conforto, Gudre-Yinnu? – Chiede
Huighian al Neek che dopo un rapido cenno di assenso scompare
nuovamente.
–
Il motivo per il quale ci troviamo qui, gentili Duith-Uinn, non è
facile né breve da raccontare. – Inizia a dire Basso Okme. –
Proveniamo dalla Foresta di Canddermyn ed andiamo verso le Montagne
dell'Orlo Ultimo alla ricerca di Fieduin la Pietra. Non è un viaggio
di piacere, il nostro, ma di una missione affidataci dagli Erbani che
vivono nella selva e dalla Fata Sibiell. Il fatto è che… –
L'Uccello di legno si interrompe perché in quel momento è rientrato
nella stanza Gudre-Yinnu, recando un ampio vassoio carico di piccoli
piatti, svasati e profondi come ampie scodelle, in ciascuno dei quali
è ospitato in piccola quantità un diverso cibo. Con un secondo
viaggio il Neek trasporta alcune caraffe molto alte e sottili,
contenenti liquidi limpidi e colorati.
–
Prego, Tiunnh, dedicate un po' di tempo a voi stessi. – Dice
Huighian con una punta di solennità nella voce, come se stesse
ripetendo una formula prestabilita.
–
Grazie, ma voi… – Inizia a dire Plinio prima di essere interrotto
da un calcio nella caviglia da Matushka che ha l'occasione per
rendergli l'occhiataccia di poco prima.
–
Vi ringraziamo, Duith-Uinn, e vi preghiamo di assistere al nostro
pasto. – Matushka pronuncia la frase con una punta di enfasi,
cercando di distogliere l'attenzione dei Notturni dall' espressione
offesa e perplessa del gatto.
–
Accogliamo la vostra richiesta. – Approva Tianin.
Quello
scambio di battute richiama alla mente di Klog una notizia letta o
udita molti anni prima e molto presto dimenticata. In essa un ignoto
viaggiatore spiegava che presso i Notturni era considerato
sconveniente nutrirsi in pubblico e che essi erano soliti consumare i
propri pasti in perfetta solitudine, tranne in rari casi, determinati
da un rigido rituale o se obbligati dalle circostanze.
Il
Boldhovin lancia un'occhiata al promettente vassoio posato su un
basso tavolo di cristallo smerigliato, decorato con leggeri disegni
di uccelli o altri volatili scavati nella superficie opaca, che
brillano delicatamente alla luce delle lampade, e quindi al Neek, in
piedi a pochi metri da loro, chiedendosi oziosamente se quelle
bizzarre regole valgano anche per i mezzosangue.
Dopo
qualche attimo di attesa è lo stesso Gudre-Yinnu a rompere gli
indugi, porgendo a Plinio un piatto pieno a metà di piccoli chicchi
verdi e semitrasparenti, leggermente screziati di chiaro.Il Gatto ne
afferra uno, incerto, e se lo porta alla bocca. Un attimo dopo
un'espressione di contenuta soddisfazione ha sostituito la
perplessità sul volto di Plinio, che si affretta ad ingoiare
un'altro chicco.
Per
qualche minuto l'unico rumore ad udirsi nella stanza è quello
prodotto dall'educato moto delle mascelle degli ospiti dei Notturni,
la cui attenzione sembra, in quel frangente, attirata solo dai
sottili disegni color seppia del grande arazzo che domina la sala.
Quando
l'appetito degli ospiti sembra dare segni di stanchezza è Tianin a
parlare nuovamente. – Gentile Tiiunnh Basso-Okme, non desiderate
riprendere il vostro racconto, tantopiù che vi vedo assai poco
interessato al cibo?
L'Uccello
di Legno, perso in qualche riflessione o forse intento a continuare
la composizione abbozzata nel pomeriggio, sobbalza nel sentirsi
chiamare. – È la mia natura molto peculiare, Duith-Uinn Tianin, a
impedirmi di apprezzare la squisitezza di tale pratica. Certamente
avrete udito degli uccelli- di- Legno del grande Kerfilluan.
–
Egli dormì alcune notti in questa rocca, durante il suo viaggio
verso le terre del Tramonto, in un tempo nel quale io non ero ancora
neppure disceso dal Terzo strato di Nubi. – Interviene Gudre-Yinnu.
–
Ma si dice che egli non fosse più che l'ombra di se stesso in quei
giorni.
Basso
Okme annuisce lentamente. – Egli aveva perduto l'anima facendone
dono a noi Uccelli- Di-Legno. Ma si tratta di ricordi dolorosi, sui
quali spero non vi dispiacerà se non mi tratterrò.
Un
cenno del capo di Huighian lo invita a continuare.
–
Strani fenomeni sono avvenuti nella Selva di Canddermyn negli ultimi
giorni, Duith-Uinn: prodigi malefici, strane visioni ed ancor più
strane sensazioni. Molti alberi della selva sono colti da una specie
di malattia che non sembra ledere la sostanza delle piante quanto
piuttosto mutarla, come se esse dovessero adattarsi ad un'altro mondo
ed ad un'altra luce che non sia quella del sole o della luna. Esse
sembrano acquisire la sostanza del più solido e buio cristallo,
mentre le loro foglie sembrano trasformarsi in piccole lamine di un
metallo leggero e scuro ed è impossibile separarle dai rami o
spezzarle e piegarle, sempre che si desideri avvicinarsi alle piante
colpite da tale morbo, perché l'aria nelle loro vicinanze è strana
ed insana ed il respiro stesso diviene difficile e penoso.
–
Ben tristi notizie portate dal mondo diurno, Tiiunnh, anche se non
completamente inaspettate. – Gudre-Yinnu abbandona la sua posizione
defilata per prendere posto su uno scranno dalla fragile intelaiatura
di legno scuro e coperto da una stoffa leggera color ametista. –
Noi qui conduciamo vita appartata, ma non tanto da non udire sentore,
a tratti, di eventi di grande importanza.– Spiega il Neek. – I
Gu'Hijirr che salgono fino a questa rocca per offrirci oggetti e
stoffe preziose raccontano nel modo confuso e pettegolo tipico della
loro razza, di ciò che odono da altri mercanti e viaggiatori. E gli
ultimi saliti fin qui mi hanno narrato di tratti di mare dove l'acqua
è divenuta come ghiaccio scuro e di navi trasformate, con tutto il
loro equipaggio, in scogli di pietra sorgenti su quel mare immobile.
Klog,
che ha appena terminato di portarsi alla bocca l'ultimo boccone,
fissa con astio il Neek, come se volesse rimproverarlo di attentare
alla sua ben meritata digestione.
–
Si tratterà, gentile Duith-Uinn, come tu stesso dicevi di confusi
pettegolezzi e di leggende. – Azzarda speranzoso il Boldhovin.
–
No. – Il tono di voce di Gudre-Yinnu ha perso la leggerezza tipica
della conversazione per farsi netto e preciso. – Essi mi hanno
portato a vedere un frammento di quel materiale pescato a largo di
Capo degli Aironi ed io tuttora lo custodisco in una teca del mio
laboratorio, senza aver potuto constatare alcun cambiamento in esso,
pur avendo utilizzato diverse sostanza per ridare ad esso la sua
sostanza liquida.
–
Othu-Diu, il più anziano dei nostri maghi ha esaminato quella
sostanza. – È ora Tianin a parlare. – Ma non vi ha riconosciuto
in essa alcunché di familiare. Essa è inerte come pietra di rena ed
altrettanto indistinta, eppure non pare possibile spezzarla né
ridurla a componenti più semplici.
–
Essa è già semplice. – La interrompe Gudre-Yinnu, sconvenienza
cha non provoca in Tianin null'altro che un'occhiata di blanda
curiosità. – Essa è l'assoluta semplicità della materia, il
primo gradino di essa, il recinto oltre il quale si agita il puro
Nulla.
–
Si tratta di una semplice teoria, Gudre-Yinnu. Othu-Diu e gli altri
maghi non l'approvano né la condividono. – Interviene Hiughian.
–
Othu-Diu e gli altri non potranno mai riconoscere che un Neek possa
avere ragione e loro torto. – Replica Gudre-Yinnu senza
preoccuparsi di nascondere l'ira e l'amarezza. – Hanno proposto
forse altre interpretazioni credibili?
–
Hanno attribuito la cosa ad una perturbazione della luce, nata sulla
stella diurna e destinata a presto cessare. – Spiega Tianin.
–
Già, hanno passato un ciclo di sonno a guardare con il cristallo
affumicato la Stella Diurna e poi tra grandi sbadigli hanno deposto
l'uovo della loro grande spiegazione, senza preoccuparsi neppure di
sapere com'era prima la superficie della Stella Diurna.
–
Non avevano bisogno di farlo. È bastato loro leggerlo nei nostri
libri. – Replica con una punta di imbarazzo Huighian. – Se
dovessimo ripetere sempre le stesse osservazioni che costrutto vi
sarebbe nel possedere i libri?
–
I libri, i libri, sempre e solo i libri! – Gudre-Yinnu quasi urla
mentre Klog approva con grandi cenni del capo quella che gli sembra
una giusta indignazione che accomuna libri, saggi e noiosi di ogni
genere e risma. – Nessuno ha neppure più il coraggio di scriverne
per paura di non essere all'altezza dei grandi Maestri del passato e
per paura di essere mangiato vivo da gente come Othu-Diu. Su questa
via c'è solo la morte, per noia e conformismo.
–
Non devi essere ingiusto, Gudre-Yinnu. La Ruota sta percorrendo la
parte bassa del suo giro, presto tornerà a salire e noi con lei. –
Tianin ha pronunciato la frase a voce bassa, quasi lei stessa ne
dubitasse.
–
E se il mondo non si trovasse su una ruota come ha detto il grande
Thyu-Denn? Se invece esso potesse degradarsi senza limiti? Potremmo
perdonarci allora di avere atteso inutilmente senza nulla tentare?
–
Il mondo può sopravvivere senza i Notturni. – Dice sommesso
Huighian.
–
Certo, ma il mondo può sopravvivere senza nessuno? Senza Gu'Hijrr,
Syerdwin, Erbani, Uomini? Senza fate, senza alberi, senza erba né
acque limpide? Senza speranze può vivere un mondo, Huighian?
–
Ti intendo, Gudre-Yinnu. Hai avuto il permesso di operare esperimenti
e sortilegi in questa rocca e di tentare ciò che puoi. Non puoi
chiedermi di essere diverso da me stesso, tuttavia.
–
Lo so, Huighian e lo so anche di te, Tianin. Ed è questo il peso più
gravoso da portare. – Spiega il Neek ed il suo sguardo per un
attimo dà la sensazione di brillare debolmente, come quello degli
altri Notturni. – Chiedo il permesso di ritirarmi. – Aggiunge
bruscamente.
–
Accordato.
Dopo
un rapido saluto ai loro ospiti il Neek scompare attraverso la porta
che lo ha condotto nella stanza lasciando i presenti confusi ed
imbarazzati.
I
due Notturni tacciono a lungo senza guardarsi, quasi non ricordassero
la presenza al loro cospetto dei Tiiunnh. Infine è Tianin a parlare:
– Sappiamo che voi gente diurna avete l'abitudine di riposare sotto
la luce della Luna. Le vostre camere sono già state approntate, se
desiderate servirvene… altrimenti saremo ben lieti di apprezzare
ancora la vostra compagnia.
–
Purtroppo le abitudini dei miei compagni sono quelle che avete testé
denunciato. – Dice Basso Okme osservando Plinio che fa sforzi
sovrumani per non abbandonarsi ad un fenomenale sbadiglio. – Per
quanto mi riguarda, tuttavia, data la mia natura non mi è difficile
ignorare la luce del sole e della luna. – L'Uccello-di-Legno estrae
da una tasca il libro magico affidatogli da Mastro Selestin. – Se
lo desiderate…
–
Ben volentieri. Udire buona musica è così raro qui. Vi preghiamo di
trattenervi, mastro Basso Okme.– Risponde Tianin per entrambi i
Notturni.
Dalla
sua stanza, una mansarda debolmente illuminata dalla luce della luna,
Klog ode lontana e debole come un sogno la musica emessa dal libro
magico e la cosa, piuttosto che favorire il sonno suscita in lui
molti più pensieri di quanto sarebbe preferibile in quelle
circostanze.
Di
fianco al suo letto una mano misericordiosa ha deposto un'ampolla
piena di un liquido dotato di un delicato profumo già assaggiato
poco prima a tavola e presentato dal Neek come un liquore dotato
della proprietà di favorire dapprima un'allegria né volgare né
fracassona seguita da un sonno calmo e dolce. Il Boldhovin se ne
serve generosamente e torna a posare il capo sul cuscino chiudendo
gli occhi.
Di
nuovo, come in un sogno tormentoso, si ritrova nella piana dove ha
incontrato i Silvani che gli hanno affidato la Pietragemella e rivede
il volto antico e stanco di Quedhe.
Voglio
riposare, Klog. Voglio affidarmi alla terra tiepida e profumata alla
quale appartengo. Dice senza muovere le labbra il Silvano.
Aiutami,
Klog, non fermarti.
Non
mi fermerò. Risponde senza parlare il Boldhovin.
Ricorda
la tua vera natura, Klog. Tutti noi attendiamo e vediamo. Se lo vuoi
anche tu potrai.
Cosa
devo vedere Quedhe?
Non
chiedere, Boldhovin.
Cosa
volete da me, padri?
Ci
odi, Klog?
Io
credo di sì, Quedhe. Siete milioni e milioni, ma la vostra voce è
delicata come lo stormire di una fronda ed è altrettanto facile
udirla che non udirla.
Tutti
possono udirla, Klog, se solo lo desiderano, e tutti possono vedere
ciò che noi vediamo. Non chiedere Klog e guarda!
Come
se un vulcano si fosse aperto sotto i piedi dei Silvani raccolti
davanti a lui nella piana, un vapore spesso e bianco invade
completamente la terra ed il cielo nascondendo ogni oggetto ed ogni
presenza ai suoi occhi. In quella Nebbia Klog si vede muoversi come
un cieco, le mani protese davanti a sè a cercare di riconoscere
qualcosa di familiare. Finalmente il profilo di Quedhe appare sfumato
tra i vapori e Klog corre verso di lui, felice come un bimbo che
abbia perduto i genitori in una grande calca. Ora Quedhe è davanti a
lui, immobile e il Boldhovin allunga una mano per toccarlo. Al suo
leggero tocco il Silvano oscilla come un enorme birillo e Klog lo
guarda spaventato. Gli occhi di Quedhe sono chiusi, sigillati e
abbassando lo sguardo il Boldhovin vede che il corpo di Quedhe
termina di netto in basso, come quello di un albero reciso.
Non
ha più le radici! Grida disperato il Boldhovin, ma neppure il
suo urlo risveglia l'anziano Erbano che infine crolla a terra come
una colonna spezzata dalla base.
–
Klog, Klog, ma che diavolo hai?
La
voce di Matushka ed il suo tocco non troppo gentile risvegliano Klog
dal suo sonno tormentoso.
–
Che ti è preso, hai bevuto troppo?
–
No, ho sognato.
–
Non doveva essere un bel sogno, caro Klog. Le tue urla devono essere
giunte fino a Canddermyn.
–
No, non era un bel sogno, Matushka.
–
Mamma mia, che brutta faccia hai. Immagino che adesso ci chiederai di
dormire con te, vero?
–
Sì. Non osavo farlo ma se sei tu a dirlo…
–
Io parlo troppo, Klog. Vieni con me, andiamo da Plinio. Ah, senti, di
quali radici parlavi?
–
Delle radici del mondo, Matushka.
–
Beato che ti capisce, Boldhovin, vieni ora, te lo chiederò ancora
domani.
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