Una puntata particolare.
Rileggendola ho avuto la netta sensazione di parlare di un «adesso» interminato, di un luogo dell'anima e dei pensieri che non vuole ancora morire. Un post che, curiosamente, sembra parlare del natale in corso, in coda per diventare il fantasma del natale passato.
Ma Uncle Scrooge era davvero poca cosa rispetto ai Papa Song dei nostri tempi.
Questo capitolo delle Memorie Anticipate potrà sembrare un po’ diverso dai precedenti.
Forse
un po’ più personale e meno legato alla mia professione e alla
lunga storia del mio rapporto con essa e con i miei ardui tentativi
di «vestirla» e interpretarla. Nasce da osservazioni e pensieri che
mi accompagnano da tempo.
Non
è né vuole essere una matura riflessione o un ponderato bilancio.
Soltanto la descrizione di una sensazione, di una sfumatura d’umore,
di uno spleen da attribuire, forse semplicemente, all’età.
Infatti
con il passare degli anni è sempre più difficile e arduo trovare il
«nuovo» nel reale. Eppure può succedere. Fortunatamente esiste la
possibilità di dimenticare e ritrovare, riconoscere, emozionarsi
nuovamente.
Ma
l’emozione è diventata una merce rara, rarissima. Forse perché
per ognuno è personale o perché, come gli scherzi migliori, per
riuscire ha bisogno di una lunga preparazione, di un elemento
sorprendente e di un briciolo di follia. C’è sempre meno tempo e
meno follia. Circolano troppe formule per il successo garantito e i
lettori, gli ascoltatori, gli spettatori sono divenuti, senza
eccezioni, puri e semplici consumatori.
Un
frammento di memorie più personali anche nel senso che,
probabilmente, tento di trovare le ragioni meno prossime delle scelte
fatte e delle illusioni che mi hanno condotto a errori costati tempo,
fatica e denaro.
Ho
cominciato a lavorare in un’altra epoca.
Me
ne accorgo quando mi capita – raramente, visti gli orari della
libreria – di girovagare alla ricerca di regali o altri
impedimenta. Una volta c’erano (lo so, «una volta» fa
subito vecchione impanchinato che agita il bastone imprecando contro
i tempi ingrati, ma qualche volta si deve pur usare)… una volta
c’erano, dicevo, varie tipologie di esercizi commerciali. Non
c’erano i megastore né i grandi centri commerciali dove tutto ha
lo stesso odore. Di patatina immutabile, immarcescibile,
incorruttibile.
Se
cercavi qualcosa avevi soltanto da camminare per le strade, non c’era
altra possibilità. Magari finivi in una di quelle videoteche –
ormai scomparse – dove, in qualche angolo, si potevano trovare
capolavori della cinematografia o esilaranti B-movies a £
9.900. Ma le videoteche selvagge e disordinate erano soltanto una
delle possibilità. Sono sempre stato attratto dai negozi caotici e,
a un primo sguardo, quasi dilettantistici. I luoghi dove potevi
passare il tempo a spostare, guardare, confrontare e dove le scoperte
non mancavano mai: vecchio libro, film semisconosciuto, LP o CD di
autore poco noto o decisamente ignoto, complemento d’arredo poco
convenzionale. Il complesso di Alì Babà, si potrebbe definire, in
nome della famosa caverna piena di tesori. Forse è un tratto
generazionale, visto che siamo stati in tanti a sognare una notte da
soli in un negozio di giocattoli. Ho chiesto a mia figlia se le è
mai capitato di fare un sogno di questo genere ma mi ha guardato
strano e si è rimessa le cuffie del lettore MP3. Ho perso l’ennesima
occasione per non denunciare la mia età.
Già
nella vetrina della libreria hai individuato la copertina del titolo
che cercavi. Seguendo questa traccia visiva ti sei fatto largo nel
negozio attraverso il fitto sbarramento dei Libri Che Non Hai Letto
che ti guardavano accigliati dai banchi e dagli scaffali cercando
d’intimidirti. Ma tu sai che non devi lasciarti mettere in
soggezione, che tra di loro si estendono per ettari ed ettari i Libri
Che Non Puoi Fare A Meno Di Leggere, i Libri Fatti Per Altri Usi Che
La Lettura, i Libri Già Letti Senza Nemmeno Bisogno D’Aprirli In
Quanto Appartenenti Alla Categoria Del Già Letto Prima Ancora
D’Essere Stato Scritto. E così superi la prima cinta dei baluardi
e ti piomba addosso la fanteria dei Libri Che Se Tu Avessi Più Vite
Da Vivere Certamente Anche Questi Li Leggeresti Volentieri Ma
Purtroppo I Giorni Che Hai Da Vivere Sono Quelli Che Sono (I.
Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore).
Ci
saranno sicuramente anche altri brani di letteratura che
rappresentino tanto bene il complesso di Alì Babà come questo
frammento di Italo Calvino, ma io ricordo bene questo e lo trovo
perfetto. Non escludo sia alla base della singolare decisione di
tentare di diventare a mia volta libraio.
«Il
luogo perfetto, il paradiso deve essere inesauribile», credo sia il
senso giusto da dare all’esistenza del complesso di Alì Babà.
Un’ansia di inatteso, di inaspettato, di sorprendente. Una montagna
di ciarpame che arriva fino all’orizzonte costellata di piccoli
gioielli di incalcolabile valore. Incalcolabile nel senso che non si
può sapere quanto risulterà preziosa l’esperienza imprevista che
ci offrono.
Certo,
a correre dietro alle suggestioni della caverna di Alì Babà ci si
ritrova la casa piena di delusioni, di doppioni, di oggetti che, una
volta acquistati, si rivelano ingombranti e stonati. Ma anche di
libri, dischi e film che spesso rientrano nella categoria calviniana
dei «Libri Che Se Avessi Più Vite Da Vivere…» ma che altrove
sono divenuti introvabili.
Già,
introvabili.
Non
soltanto per la fine naturale della loro vita commerciale ma anche
per la scomparsa di quei punti vendita «caotici e quasi
dilettantistici». Ne esistono ancora, per carità, ma pochi e in
molti casi il raro e l’inatteso sono scomparsi, sostituiti dal
semplice vecchiume mentre il ciarpame si è degradato a semplice
paccotiglia.
Le
videocassette o i DVD a 3 euro sono infinite copie dello stesso film
insipido, del medesimo clone fantascientifico a basso costo o cartoon
fallimentare. Avventure di cani pasticcioni o cronache di pruriti
adolescenziali in immancabili college porcelloni, horror farciti di
trippe sanguinolente e seghe elettriche. Una produzione
malinconicamente puerile per ex bambini che non si rassegnano al
passare degli anni. I CD musicali sono raccolte di motivi cool
di due o tre anni prima. Come invecchia malamente ciò che è nato
banale! A leggere certi titoli – non parliamo a risentire musiche e
parole – si prova un sentimento che è quasi vergogna. Possibile
che si sia anche solo tollerata questa roba…?
Com’è
possibile, com’è accaduto?
È
lecito, normale, ragionevole che la produzione culturale abbia finito
per emulare i meccanismi di obsolescenza pianificata dell’industria
della moda e della confezione? Che senso hanno canzoni da una sola
estate o libri per un solo Natale?
Non
è ancora del tutto così, fortunatamente, non siamo ancora al libro,
al film, al CD musicale usa-e-getta.
O
no?
Forse
siamo già trionfalmente entrati nell’era della cultura da fast
food. Molto oltre il masscult e midcult di Dwight
Macdonald. C’è poco tempo per leggere, alla musica non si possono
che dedicare frammenti di tempo o farne sottofondo costante (e spesso
molesto) agli spostamenti in auto e anche il cinema finisce per
essere incorniciato in una manciata di pollici e obbligato a regole
ferree di visibilità per un pubblico il più possibile vasto e
indifferenziato.
In
un mondo che produce e fruisce cultura in modo spezzettato e convulso
è ragionevole attendersi la lenta maturazione del capolavoro? O
anche soltanto di un soggetto, di un tema. di un modo di procedere
personali?
Non
è impossibile, certo.
Infatti
esistono ancora libri sorprendenti, musiche stimolanti, film non
convenzionali, ma la loro durata nel tempo è minima, la possibilità
di individuarli e riconoscerli molto più limitata, la reperibilità
difficile.
«La
merce non deve restare in magazzino» recita uno dei comandamenti più
terribili e disumani della nostra epoca.
Le
moderne caverne di Alì Babà sono basate sull’infinita, sinistra
ripetizione di pochi modelli base. Il pubblico è postulato come
statico, immobile, capace soltanto di pochi riflessi condizionati e
facilmente inducibili. Il riso, il pianto, una blanda e innocua
eccitazione sessuale, l’immedesimazione con il protagonista, un
senso di giustizia elementare, il raccapriccio, la paura, la
meraviglia, una tenerezza stucchevole e l’emozione amorosa in forme
riproducibili all’infinito e sempre uguali a se stesse. In fondo
dalle cavie non ci si attende molto di più.
Poche
regole sovrintendono alla nascita dei personaggi. Inutile enumerarle:
tutti le conosciamo.
Gli
stessi generi letterari, musicali, filmici stanno scomparendo,
sostituiti e subornati da una marmellata chiamata entertainment
dove si sovrappongono e si confondono elementi del romanzo rosa, del
poliziesco, del gotico e della fantascienza. Parole come
contaminazione sono divenute regola cogente: il genere non può
essere un ostacolo alla penetrazione commerciale. Se a qualcuno non
piacciono la fantascienza o il noir «puri» sarà disposto ad
accettarli in forma di contaminazione, ironica citazione, divertita
parodia all’interno di un polpettone thriller-sentimentale. Il
postmoderno scivola così nell’indistinto, nella fiction
attentamente studiata e rigorosamente per tutti.
Nessuno
si scandalizza per essere diventato una monade di un «tutti» che
incarna il mercato, piuttosto che un essere senziente dotato di
propri interessi, gusti, passioni e innocue manie.
Eppure
è tempo di farlo, di reagire.
Di
fiutare il bidone.
Sempre
più spesso mi scopro a disertare i centri commerciali e i centri
cittadini, a considerare con sospetto i negozi di catena e a storcere
il naso davanti ai marchi. Rinunciare alla visita al negozio troppo
attentamente arredato e razionalmente organizzato, al punto vendita
che inalbera orgoglioso i segnali di un cool destinato a
durare tra i sessanta e i centoventi giorni.
Il
tempo della scadenza di una ricevuta bancaria.
CS
è (era, a questo punto, N.d.R.) una libreria disordinata. Anche
troppo, temo. Il disordine nasce dal tentativo di rispettare
contemporaneamente troppe norme. Autore, genere, tema, lingua
originale, prezzo, editore, collana. Tutti elementi di un ordinamento
possibile che si rivela impraticabile. Il continuo afflusso di nuovi
titoli rende la definizione di un ordine ragionevole del tutto
aleatoria. CS tende a divenire una grotta di Alì Babà anche al di
là dei nostri sogni o desideri. O, e se si preferisce, tende
naturalmente al caos, alla crescita di entropia. Le norme ferree di
organizzazione di un punto vendita funzionale continuano a sfuggirci.
Troppo forte la tentazione di accostare i libri suggerendo un
possibile percorso di lettura, un contrasto interessante, una eco
imprevedibile tra autori e temi.
Siamo
ribelli perché ammalati di dilettantismo. Infatti continuiamo a
credere che i libri non siano una merce come le altre.
Conseguentemente
non credo sopravviveremo a lungo [1].
Ma
non si può mai dire.
[1]
Beh, questo articolo è stato scritto nel 2005 e la CS ha chiuso i
battenti nel 2012, Sette anni non sono poi così pochi.
10 commenti:
Detesto anche io la cultura del fast food, e rifuggo i centri commerciali come la peste. Troppa gente, troppo luccichio, troppe commesse col sorriso robotico che ti placcano all'entrata "posso aiutarla"?, troppa musica da discoteca, un orgasmo di luci suoni e eccessiva merce di cui non abbiamo bisogno.
Mi mancano i negozietti di cui parli tu, anche di musica, non solo di dvd, dove potevi trovare roba a prezzi stracciati, come il primo album dei Kiss prima edizione venduto a poche lire perchè il precedente proprietario non ne capiva una mazza del suo valore.
Passare la mattinata del sabato a cercare, spulciare, in silenzio, senza commesse sovraeccitate e moleste, e sognare di poter comprare tutto.
Adoro camminare, cercare cose particolari, negozietti un po' abbadondonati dove trovare tesori dimenticati.
I centri commerciali non possono sostituire questo piacere, gorghi infernali per le carte di credito.
La tua libreria non era disordinata. Era creativa. A me piaceva tanto.
La caverna di Alì Babà è un po' come casa mia, ci sono libri che ho scovato, tipo un nuvolario, un libro sulla storia dello specchio, mai più pubblicati (erano un'edizione a tiratura limitata: per me!). Li portavo a casa come fossero refurtiva (li pagavo sia chiaro); oggi, è vero, manca il gusto di poter scoprire da soli qualcosa.
@Lady Simmons: il tuo commento mi ha (fatalmente) commosso. Se non altro c'è qualcuno che pensava bene del mio lavoro. Personalmente non posso dire di odiare i centri commerciali, ovvero, li detesto ma ne ho uno a 5 minuti da casa mia - 8Gallery - che conosco come le mie tasche e dove porto a spasso il cane quando fa troppo freddo, nevica o piove. Lo frequento molto poco per acquisti ma ormai conosco alcune delle persone che vi lavorano e ho un curioso atteggiamento duplice nei confronti del centro commerciale, un luogo di perdizione e insieme una collezione di posticini che ho scovato di persona. Credo che la differenza stia nel fatto che 8Gallery è nato da un edificio preesistente e i negozi sono stati ricavati nel corpo dell'edificio e non è nato a quello scopo. Infatti non posso dire di apprezzare in nessun modo le Gru, un'alveare di negozi che a notte svanisce come un incubo meridiano.
Ultima cosa: verrai una volta o l'altra agli incontri su Dracula? Meritano, sul serio.
@Marcella: anche casa mia, tanto è vero che pulirla è un compito praticamente disperato... Siamo in tre a seguire percorsi propri di lettura, visione, immagine, collezione e persino la mia scrivania è un caos nel quale nemmeno io sono in grado di comprendere i vari strati geomorfologici accumumulati alla mia sinistra. Da un certo punto di vista - ma solo da quello - è un bene che certi negozietti stiano scomparendo...
Forse anch'io cerco di ricrearmi una caverna di Alì Babà in camera, in piccolo. Certo, sono un po' figlio del fast food e dei centri commerciali. Se ne parlava quando andavo alle elementari, dei negozietti di frutta e verdura che avrebbero chiuso i battenti all'apertura del supermercato appena fuori città... cosa che poi è successa, almeno di un negozietto che ho presente. Ma potrebbe anche essere stato per la sopraggiunta pensione di chi lo gestiva. Ora c'è una ditta di spedizioni internazionali.
@SX: probabile che tu abbia ragione, i limiti di età hanno contribuito a chiudere qualche migliaia di piccoli esercizi, ma ciò che intendevo io erano i negozi di dischi o le librerie - ma anche i negozi di articoli per la casa o di impedimenta varie - che hanno man mano chiuso per l'impossibilità di reggere ai prezzi della GD (grande distribuzione). I prezzi della GD sono, da un certo punto di vista, una benedizione per il consumatore, se non fosse che la qualità e la varietà delle merci vendute tende inevitabilmente a calare, spinta da un corsa al ribasso dei prezzi inscritta nel meccanismo della GD. McDonald riesce a vendere patatine+hot-dog per un euro, ma la qualità di una dieta di quel genere viene giustamente definita «junk-food». E il 90% dei libri da supermercato sono un eccellente traslazione immateriale di quello stesso junk-food.
I libri/cd/dvd da supermercato (o da autogrill, dove tra l'altro costano anche di più) sono l'appiattimento totale!
@SX: sacrosantamente vero. La sensazione di vuoto pneumatico che riescono a trasmettere è degno di una puntata del(fu) Bagaglino.
Io dovevo nascere in un'altra epoca... mi sarei trovata così bene qualche anno fa, nei piccoli negozi alla ricerca di qualcosa. Per fortuna vivo in un paesino e quindi il tempo è un po' rallentato e i negozietti da me ci sono ancora.
Mi sono persa a volte in librerie gigantesche, ma io adoro invece il clima rassicurante della biblioteca del mio paesino, dove posso vagare come tra i muri di casa, sapendo dove cercare e potendo chiacchierare con la bibliotecaria di libri perdendo la cognizione del tempo...
@Romina: io ho la netta sensazione che il mio tempo non sia mai quello «giusto», per me. E ogni tanto ho persino qualche dubbio che i miei anni di gioventù fossero più vivaci e più belli perchè IO ero più vivace, anche se non più bello.
Ma sono riflessioni a vuoto in un momento di relax.
È capitato anche a me di perdermi in una grande libreria, ma solo per motivi di arredamento e non per i libri offerti: ho fatto troppo a lungo il libraio. Ho fatto per qualche mese anche il bibliotecario in un piccolo paese, durante il mio servizio civile. Un bel ricordo.
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