22.12.07

A che cosa serve un editore? Capitolo 1

Colgo l'occasione offerta da un intervento di Antonella Cilento ripreso dal blog di Massimo Maugeri (letteratitudine) per iniziare una riflessione che, come mio costume, risulterà tutt'altro che sistematica e puntuale. Chi fosse interessato sia paziente, spero che alla fine le mie riflessioni si rivelino di una qualche utilità per qualcuno.
Comincio dall'inizio: chi è Antonella Cilento? Italiana, scrittrice, piuttosto raffinata e non «facile». Ma – attenzione! – il contrario di «facile», almeno nell'italiano di questi anni non è «difficile» e nemmeno «impegnativo». Il vero contrario è «serio», ovvero «personale».
Del suo interessante intervento riporto qui le prime righe, tanto per darne un assaggio:

«Ormai per essere pubblicati bisogna passare un casting. Sei interessante? Sai parlare in pubblico? Sei un attore/attrice? Sei strano/a? Trasgredisci, porti le giarrettiere, sei sexy? Hai la faccia giusta, incuriosisci, puoi andare in tv, hai i denti a posto? Manca poco al Grande Fratello degli scrittori, in questo spaventoso vuoto pneumatico della progettualità editoriale. Da tempo non si leggono i libri ma si guardano le facce degli scrittori, li si chiama, nelle riunioni editoriali o nelle cene fra addetti, per cognome: ce l’ho, ce l’ho, mi manca. Siamo figurine dei calciatori. E poiché non tutti vendiamo le cifre che agli editori fanno comodo, siamo spesso calciatori di serie B. Quello non lo voglio perché c’ha troppa storia (cioè ha segnato poco, un’intera stagione in panchina), quella la tengo come fiore all’occhiello anche se mi va sempre in fuori gioco. Ovviamente nell’editoria (italiana) non ci sono in gioco le cifre del calcio, ma hai voglia a star lì a scrivere davvero, a lavorare tutti i giorni, a non fare la velina della letteratura: hai perso. C’è una schiera di bellocci, furbastri e manovratori che ti passa avanti.»

«Vuoto pneumatico di progettualità editoriale» è la frase chiave del discorso della Cilento, per lo meno ai fini di questo scritto.
Ma adesso cambio blog e autore.
Andiamo dalle parti di Elvezio Sciallis e del suo blog (il cui indirizzo trovate nella colonna a dx di questo post).
Tempo fa (3 dicembre) Elvezio ha postato un intervento «Editori a pagamento», nel quale, tra l'altro, scriveva:

«Piccolo post per comunicarvi che da questo momento in poi non intendo più parlare, scrivere news o recensire prodotti in qualche modo collegati con gli editori a pagamento, print on demand, autoproduzioni e satelliti vari di questa protogalassia.[…] I motivi che mi hanno portato a questa decisione sono molteplici e hanno lavorato a lungo.
Non hanno a che vedere direttamente con la qualità del prodotto, alcuni esordienti pubblicati da editori a pagamento hanno stoffa e idee, manca loro un sarto supervisore e se non si sbrigheranno a capirlo finiranno con il cucire per una vita i saldi al grande magazzino.»

Mi piace giustapporre i due interventi anche se, in apparenza, vanno in direzione opposta. Se per Antonella la professionalità dell'editoria maggiore si è ormai profondamente snaturata, tanto da renderla irriconoscibile, Elvezio, invece, è proprio alla professionalità fa appello quando invoca la necessità di un «sarto supervisore».
Ma esiste, tale sarto?
«Ti trovi a discutere con uno sbarbatello che ne capisce meno di te ma fa lo stesso le pulci al tuo testo senza nemmeno arrivare a capirlo».
Relata refero. Questa frase è stata pronunciata da un mio amico - scrittore di lunga data, vincitore del Premio Calvino e autore di romanzi e testi teatrali - nel corso di una conversazione con la sua agente editoriale.
Il sarto, ovvero l'editor, è evidentemente una figura sempre meno presente e soprattutto sempre meno qualificata nell'ambito dell'editoria maggiore.
Mi viene in mente André Schiffrin che nel suo primo libro, Editoria senza editori denunciò il crescente peso, all'interno delle case editrici, del settore commerciale su quello editoriale.
Una prevalenza che probabilmente può, da sola, spiegare parecchie cose dell'intervento di Antonella Cilento. Ma essendo in circolazione da un bel po' di tempo ho imparato a fidarmi poco delle spiegazioni troppo facili. Resta il fatto che «formare» un buon editor non è cosa di pochi mesi né attività da corso di formazione regionale...
E gli editori hanno interesse a formare figure altamente professionali (e conseguentemente abituate a ragionare di testa propria) come un «editor»?
Ho più di qualche dubbio, anche se le eccezioni non mancano.

Un momento.
Da come sta procedendo il discorso parrebbe proprio che Elvezio abbia tragicamente torto, pur avendo, a mio parere, in gran parte ragione.
Sul ragionamento di Elvezio mi riprometto di ritornare al Capitolo 2, provando anche ad ampliarlo un po'. Per il momento mi fermo qui, al problema della crisi qualitativa (evidente per chiunque abbia occhi)della letteratura italiana.

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