Sto leggendo 2666 di Roberto Bolaño, un romanzone, in tutti i sensi. Sono a pagina 670 su 860, più o meno ne ho letto tre quarti e ancora non si riesce a intuire come andrà a finire. Non sono, non si intuisce nemmeno come potrà andare a finire. Dopo le prime duecento pagine dedicate alle fatiche di un gruppo di studiosi che hanno dedicato vita e carriera a un ignoto autore tedesco che, peraltro, non sono mai riusciti a incontrare e che inseguono fino a una cittadina del Messico, dove un altro personaggio fungerà da legame - per altre quattrocento pagine - con il ginocidio che avviene al confine con gli USA, fino al racconto di un soldato tedesco durante l'ultima guerra, presumibilmente qualcuno di molto vicino - o forse l'autore in persona - quell'«Arcimboldi» al quale gli studiosi hanno dedicato l'esistenza. Un grande romanzo, detto per inciso, dove l'apparente frammentazione dell'intreccio è al servizio di una instacabile ansia di narrare. Grande autore, Bolaño...
Ma, parrà strano, non sono qui a presentare 2666 - che comunque recensirò per LN - ma a parlare di altri due libri che, quasi casualmente, sono finiti insieme sulla mia scrivania. Il primo è un semplice reportage, Ignoranti, L'Italia che non sa, l'Italia che non va, di Roberto Ippolito [Chiarelettere] e il secondo La civiltà dello spettacolo di Mario Vargas Llosa, [Einaudi]. Roberto Ippolito è stato a lungo il columnist per le pagine economiche de «La Stampa» e docente di «Impresa e Concorrenza» alla scuola superiore di Giornalismo della LUISS, Mario Vargas Llosa è scrittore e commediografo, premio Nobel alla letteratura 2010 ed ex-candidato per la destra neoliberale alla presidenza peruviana, a suo tempo sconfitto da Fujimori [1].
Il pamphlet di Ippolito è un bric-à-brac ricco di dati, anche se disgraziatamente spesso disomogenei e raccolti seguendo il criterio del giornalista di costume piuttosto che dello studioso. È quindi ricco di (consuete) spassose asinate del politico, del sindacalista, del candidato o dell'insegnante di turno ma senza un tentativo reale di investigare il motivo del fallimento reale nel rendere la popolazione italiana mediamente più colta, più attenta, più vivace, più curiosa. Un fallimento che dagli anni '80 in poi ha finito col monopolizzare il panorama socioculturale del Belpaese.
Ippolito compie un sondaggio nel grado di sensibilità agli stimoli culturali della popolazione italiana, ottenendone un insieme che è gentile definire deficitario. Una scuola non sufficientemente sostenuta - anzi punita, un'editoria sorda agli stimoli innovativi, una ricerca povera e penalizzata, una popolazione adulta incapace di aggiornarsi e progredire e impotente di fronte alla rivoluzione telematica in atto, una classe dirigente - sia politica che imprenditoriale - profondamente ignorante, incapace di progettare e interagire con il mondo. La conseguenza immediata del quadro disegnato è un paese vecchio, incapace, rissoso, meschino, destinato a essere tagliato fuori dai processi economici in atto. Nelle ultime pagine Ippolito prova a immaginare che cosa si potrebbe fare per tentare di uscire da una situazione del genere, ma, onestamente, senza una deciso e cospicuo impegno corale non è possibile immaginare nessuna uscita da un crisi che si presenta come crisi di un modello più che semplice crisi economica.
Due citazioni, d'obbligo:
La migliore politica industriale è la conoscenza. (Alberto Orioli, vicedirettore de Il Sole-24 ore)
L'Italia ignorante non è l'Italia che può prendere slancio. Non contrasta le disuguaglianze, non favorisce l'avanzamento sociale.
Il libro di Mario Vargas Llosa affronta il tema della distruzione della cultura in atto. Parla di «Una cultura sacrificata in nome della ricerca del piacere e dell'intrattenimento. Il ritratto di un tempo destinato alla decadenza»
Il pamphlet di Ippolito è un bric-à-brac ricco di dati, anche se disgraziatamente spesso disomogenei e raccolti seguendo il criterio del giornalista di costume piuttosto che dello studioso. È quindi ricco di (consuete) spassose asinate del politico, del sindacalista, del candidato o dell'insegnante di turno ma senza un tentativo reale di investigare il motivo del fallimento reale nel rendere la popolazione italiana mediamente più colta, più attenta, più vivace, più curiosa. Un fallimento che dagli anni '80 in poi ha finito col monopolizzare il panorama socioculturale del Belpaese.
Ippolito compie un sondaggio nel grado di sensibilità agli stimoli culturali della popolazione italiana, ottenendone un insieme che è gentile definire deficitario. Una scuola non sufficientemente sostenuta - anzi punita, un'editoria sorda agli stimoli innovativi, una ricerca povera e penalizzata, una popolazione adulta incapace di aggiornarsi e progredire e impotente di fronte alla rivoluzione telematica in atto, una classe dirigente - sia politica che imprenditoriale - profondamente ignorante, incapace di progettare e interagire con il mondo. La conseguenza immediata del quadro disegnato è un paese vecchio, incapace, rissoso, meschino, destinato a essere tagliato fuori dai processi economici in atto. Nelle ultime pagine Ippolito prova a immaginare che cosa si potrebbe fare per tentare di uscire da una situazione del genere, ma, onestamente, senza una deciso e cospicuo impegno corale non è possibile immaginare nessuna uscita da un crisi che si presenta come crisi di un modello più che semplice crisi economica.
Due citazioni, d'obbligo:
La migliore politica industriale è la conoscenza. (Alberto Orioli, vicedirettore de Il Sole-24 ore)
L'Italia ignorante non è l'Italia che può prendere slancio. Non contrasta le disuguaglianze, non favorisce l'avanzamento sociale.
Il libro di Mario Vargas Llosa affronta il tema della distruzione della cultura in atto. Parla di «Una cultura sacrificata in nome della ricerca del piacere e dell'intrattenimento. Il ritratto di un tempo destinato alla decadenza»
Tittytainment, si diceva, a indicare certa stampa porno-scandalistica del genere del «Sun» inglese, proprietà (non casualmente) della holding di Rupert Murdoch. Il prefisso "porno", in questo caso, non indica strettamente la pubblicazione di immagini di natura erotica ma piuttosto il genere di accostamento alla notizia, la selezione a monte di ciò che si ritiene possa interessare un pubblico medio dai gusti elementari. Quindi l'esibizione di tette, certo, ma anche la ricerca e l'esaltazione di notizie o degli aspetti pruriginosi, scandalosi, brutali e catastrofici delle news, a definire un approccio ben definito alla realtà, basato su poche, elementari emozioni. Secondo Vargas Llosa è questo genere di ricerca di facile popolarità a determinare la produzione culturale contemporanea, tanto da eliminare gradualmente qualsiasi voce più ricca e legata a una visione complessa e culturale della propria funzione. «Il valore è stato sostituito dal prezzo. E lo sbadiglio gigante è sempre in agguato».
Lo «sbadiglio gigante», un'immagine retorica creata da Octavio Paz, è l'esemplificazione iperbolica della sorte alla quale è destinata la cultura nel mondo, divenuta indigeribile per un pubblico sprovvisto di strumenti culturali per poterla afferrare, gustare e comprendere.
Inevitabile notare l'atteggiamento surcilioso e amarognolo con il quale Vargas Llosa affronta il tema, anche se risulta onestamente difficile dargli torto, soprattutto nella parte centrale della sua tesi: la morte della cultura per esaurimento.
Ed è ancora più difficile sfuggire alla tenaglia mentale creata dalla lettura contemporanea di due libri come questi. La cui lettura comunque consiglio.
...
L'impoverimento della cultura trasmessa a mezzo internet - e a mezzo blog - è una delle mille e mille cose che inevitabilmente balzano in mente nel corso della lettura. Le difficoltà degli operatori in campo culturale e più in generale di chi si impegna a produrre cultura non sono le semplici difficoltà determinate dallo strumento utilizzato - libro, foto, pezzo musicale, e-book, blog ecc. - quanto la misura anche se approssimativa, vaga (e non raramente opinabile), di una crisi profonda: la convinzione che sia possibile vivere senza cultura. E se una convinzione del genere giungesse ad affermarsi - sia pure volendo considerare incolpevoli gli involontari sostenitori di una simile aberrante visione - saremmo condannati alla più totale irrilevanza. A creare, come ha detto all'ultimo incontro Franco Pezzini, «isole di resistenza» in un universo divenuto sordo e cieco al tentativo di analizzare e comprendere il mondo. Sicuri della nostra cultura in un mondo che non la ritiene importante...
Sinceramente, non è una bella prospettiva.
[1] Un piccolo commento, di un liberale come Vargas Llosa a uno pseudoliberale come Berlusconi. E alla sinistra italiana: «personaggio superficiale, poco colto, che offre poche credenziali sul piano etico», riconoscendogli tuttavia «un talento politico eccezionale» con «governi che hanno garantito all'Italia ordine, stabilità, continuità»; affermando però che «non sarebbe lì senza le sue televisioni; la sua è la vittoria della cultura dello spettacolo;», «un segno dell'involuzione etica della democrazia, evidente in tutto il mondo: l'Italia ha anticipato una questione che ci riguarda tutti». Sull'opposizione, si è espresso affermando che «la sinistra italiana è un anacronismo», non consapevole «di vivere in un mondo completamente mutato», «vecchia», con «gli stessi uomini» e «idee pensate in tempi remoti» [da Wikipedia]
Lo «sbadiglio gigante», un'immagine retorica creata da Octavio Paz, è l'esemplificazione iperbolica della sorte alla quale è destinata la cultura nel mondo, divenuta indigeribile per un pubblico sprovvisto di strumenti culturali per poterla afferrare, gustare e comprendere.
Inevitabile notare l'atteggiamento surcilioso e amarognolo con il quale Vargas Llosa affronta il tema, anche se risulta onestamente difficile dargli torto, soprattutto nella parte centrale della sua tesi: la morte della cultura per esaurimento.
Ed è ancora più difficile sfuggire alla tenaglia mentale creata dalla lettura contemporanea di due libri come questi. La cui lettura comunque consiglio.
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L'impoverimento della cultura trasmessa a mezzo internet - e a mezzo blog - è una delle mille e mille cose che inevitabilmente balzano in mente nel corso della lettura. Le difficoltà degli operatori in campo culturale e più in generale di chi si impegna a produrre cultura non sono le semplici difficoltà determinate dallo strumento utilizzato - libro, foto, pezzo musicale, e-book, blog ecc. - quanto la misura anche se approssimativa, vaga (e non raramente opinabile), di una crisi profonda: la convinzione che sia possibile vivere senza cultura. E se una convinzione del genere giungesse ad affermarsi - sia pure volendo considerare incolpevoli gli involontari sostenitori di una simile aberrante visione - saremmo condannati alla più totale irrilevanza. A creare, come ha detto all'ultimo incontro Franco Pezzini, «isole di resistenza» in un universo divenuto sordo e cieco al tentativo di analizzare e comprendere il mondo. Sicuri della nostra cultura in un mondo che non la ritiene importante...
Sinceramente, non è una bella prospettiva.
[1] Un piccolo commento, di un liberale come Vargas Llosa a uno pseudoliberale come Berlusconi. E alla sinistra italiana: «personaggio superficiale, poco colto, che offre poche credenziali sul piano etico», riconoscendogli tuttavia «un talento politico eccezionale» con «governi che hanno garantito all'Italia ordine, stabilità, continuità»; affermando però che «non sarebbe lì senza le sue televisioni; la sua è la vittoria della cultura dello spettacolo;», «un segno dell'involuzione etica della democrazia, evidente in tutto il mondo: l'Italia ha anticipato una questione che ci riguarda tutti». Sull'opposizione, si è espresso affermando che «la sinistra italiana è un anacronismo», non consapevole «di vivere in un mondo completamente mutato», «vecchia», con «gli stessi uomini» e «idee pensate in tempi remoti» [da Wikipedia]
2 commenti:
Non è per niente una bella prospettiva. Cosa fre per impedirlo, invertire la tendenza o perlomeno resistere a questo prcesso in atto?
Onestamente non lo so, la sensazione è che nel nostro paese a tutti i livelli si sia perso tanto di quel tempo per poter affrontare la situazione.
E che si continui a perlderlo.
Allegria!
@Nick: grazie per il commento, innanzi tutto. È buffo, ma quando parlo di libri o di politica - o di tutti e due, come in questo caso - gli interventi scompaiono e non c'è un cane che abbia voglia di intervenire, anche solo per darmi (educatamente) torto. Quanto alla situazione indicata è almeno in parte un problema non soltanto italiano, anche se qui da noi ha caratteristiche rese più funeste dall'assoluta assenza di un intervento, pubblico o privato. La sensazione - stando qui, in fondo alla discesa - è che la situazione difficilmente possa essere peggiore. Ma è ancora tutto possibile, sia in un senso che nell'altro. In ogni caso credo che nostro compito - in quanto blogger, ovvero figure pubbliche - sia quello di continuare a rompere le tasche con interventi di una qualche pretesa culturale.
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