13.11.12

Aspettando i tartari


Ho parlato di recente del rapporto tra giornalismo e blogger, un rapporto complesso e non facile da sintetizzare in poche parole. Difficilmente, comunque, non con le mie. 
Non ammaestrato dalla mia scarsezza, passo ora a un altro tema limitrofo, il rapporto tra blogger e editoria libraria.   
Un rapporto ricchissimo, non c'è dubbio, tanto più perché non esiste un «ordine degli scrittori» che possa intervenire sfruttando o disprezzando e aprendo o meno le chiuse alle ondate di «nuovi scrittori». 
Non pochi sono gli scrittori (soprattutto stranieri) che tengono propri blog - uno degli ultimi che ho avuto occasione di visitare è stato quello di China Mieville - dove presentano il proprio lavoro, il proprio impegno sociale o politico, le proprie passioni ecc.ecc. Blog particolarmente utili se dovete scrivere una recensione dell'opera di quell'autore o se state cercando info sulla vita e le opere dell'autore in oggetto. O anche se volete entrare in contatto con lei/lui.
Ma, una volta esclusi gli autori «professionisti», il blog-mondo  rimane comunque largamente popolato dal piccolo popolo degli autori sconosciuti ai più, tra i quali, ovviamente, mi iscrivo anch'io. Autori che pubblicano racconti e raccontini (come me), che presentano la loro attività - magari lamentandosi dell'indifferenza dei lettori (di nuovo, come me), che progettano e animano seminari e cenacoli di scrittura creativa (ancora...) che lamentano il comportamento degli editori che richiedono un contributo per la pubblicazione e per il silenzio di quelli che (ufficialmente) non lo richiedono (no, non è il mio caso), che pubblicano baedecker all'autoediting, breviari di corretta composizione, lunari per la costruzione di un testo (non è ancora il mio caso), che presentano proprie opere in forma di e-book pdf ed epub (ahi...) e che comunque si agitano e non poco in attesa dei tartari, ovvero centinaia, migliaia, decine di migliaia di lettori. 
«Tutto 'sto casino è intollerabile, perbacco. Ma si mettano il cuore in pace!»
Già. 
Ma scrivere è una passione relativamente comune e nessuno  - ma proprio nessuno - rimane indifferente di fronte a un'affermazione del tipo: «non era poi male, il tuo testo».
Il web ha compiuto il non piccolo miracolo di regalare a tutti, bravi o bestie che si sia, un microscopico pubblico. Ha donato a tutti la possibilità di «imparare a scrivere decentemente», ha reso noti alcuni fondamenti dell'editing - avendoli in questo modo resi un po' meno arcani e misteriosi, ha obbligato non pochi blogger a imparare a scrivere decentemente, ha creato innumerevoli microcircuiti autore-lettore-autore, dove (se tutto va bene) l'autore può misurarsi con un lettore non più ignoto ma afferrabile sia pure in forma di nickname e avatar. Il web, in sostanza, ha creato un humus che il mondo dell'editoria non può più ignorare. Gli anni dell'autore irraggiungibile, della casa editrice esotericamente inattingibile, del mondo editoriale librario ascoso e separato del nostro mondo quotidiano stanno volgendo al termine. E il mondo che ci aspetta è per molti versi più interessante, anche se...
L'autoeditoria è la parola d'ordine più diffusa e i conseguenti  auto-libri nascono numerosi come fiori. O come cavallette, dipende dal punto di vista. 
Ciò che di primo acchito appare tuttora spesso insufficiente nei testi pubblicati è la qualità del prodotto finito. E si tratta di un problema abbastanza comune nel sistema editoriale librario. Ogni libro pubblicato è il frutto di un contrasto e di un accordo più o meno felicemente raggiunto tra autore e editor. Le anime belle pensano probabilmente a una semplificazione o un'addomesticazione del testo originale per renderlo più commerciabile, ma si tratta di un modo semplificato e primitivo per valutare l'intervento di un editor. Rendere un testo meglio leggibile e maggiormente fruibile può essere un'ottima idea anche per l'autore e in qualche caso incontrare un buon editor può risolversi in un'ottima idea. 
Ciò che non sempre appare chiaro è che un buon editore - e sono davvero pochi a potersi fregiare di questo appellativo in Italia - seleziona i testi cercando di conciliare un grado essenziale di qualità con il tentativo di sopravvivere in un universo che vede il crescente potere di 4-5 holding editoriali [1] all'interno di un mercato, quello dei libri cartacei, forzatamente sempre più ristretto e asfittico. 
La situazione attuale vede una crescente produzione di e-book e di p-book autoprodotti - e quindi con evidenti difetti di produzione - a fronte di una caduta verticale delle vendite nelle librerie. Piccoli e medi editori in sofferenza e grandi editori costretti a ridurre titoli e scelta.
In una situazione così delicata, pensare seriamente di essere pubblicati perché capaci di scrivere un buon testo, magari anche interessante e stimolante, assomiglia molto al tentativo di arrivare sulla luna in bicicletta, magari spingendo un po' di più sui pedali. Non penso che non serva a nulla spedire i propri libri agli editori, per carità, ma il minimo che può capitare è di attendere 6-8 mesi (vita vissuta) ricevendo soltanto, se l'editore è cortese, una gentile lettera di rifiuto. 
...
Non ho proposte da fare in questa sede, se non continuare a picchiare sul tasto della qualità, ovvero sul livello della propria autoproduzione. Un livello da far crescere associandosi in gruppi di lavoro, seminari di scrittura, gruppi di auto-aiuto. 
In sostanza rimanderei la possibilità di trovare un «editore» una volta raggiunto un livello accettabile di professionalità. In fondo è questo ciò che ci permette il web...  


  

[1] Un ottimo esempio di questa crescente intolleranza dei grandi gruppi editoriali verso i piccoli e medi editori è stato la recente Milan Book Fair di Milano, sostanzialmente fallita - con un biglietto «inventato» all'ultimo istante per non andare sotto di brutto - grazie al boicottaggio attuato dai grandi editori nei confronti di una manifestazione avviata e sostenuta grazie all'impegno di un gruppo di piccoli editori. Piccoli editori accusati, tra l'altro, di fare «editoria di vanità», in un mondo dove anche i grandi editori non disprezzano un contributo dell'autore alle spese di stampa, distribuzione e marketing. 


6 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

Io credo che alla fine i tartari bisognerà andarseli a cercare uno per uno.
Non è facile, me ne rendo conto, ma bisogna insistere. ;)

Massimo Citi ha detto...

@Nick: molto probabile che tu abbia ragione. Ma basandosi sulla Serie di Fibonacci (1,2,3,5,8,13,21,34...)abbiamo qualche motivo per essere ottimisti :-)

Massimo Citi ha detto...

@SX: non so bene dove sia finito il tuo intervento, che mi è arrivato per posta ma che non trovo qui. In ogni caso direi che è abbastanza probabile ciò che affermi, ovvero che tutto il lavoro di preparazione possa anche essere un allenamento all'editoria in senso professionale. Ma ciò che mi domando io è: «Se l'editoria professionale in campo narrativo rende poco o pochissimo, perché mai cercare di pubblicare a ogni costo?». In fondo un autore - io, ad esempio - desidera soprattutto essere letto e una volta messi insieme cento o duecento lettori che ti apprezzano perché diavolo andare a cercare un editore a tutti i costi? Probabilmente perché esiste qualcos'altro che spinge gli autori a farlo. Quel po' di narcisismo allo stato grezzo che spinge noi tutti, penso. Qualcosa del quale faremmo bene a liberarci.

Argonauta Xeno ha detto...

@Max: Sono esterrefatto, anch'io mi chiedo dove sia finito il commento. Posso solo suggerire - mi è capitato già su un altro blog - che sia stato bollato come "spam" e messo in moderazione, o qualcosa di simile.
Quanto al merito, sì, è narcisismo. Perché avere dei lettori che apprezzano fa piacere, ma avere il libro sugli scaffali è un risultato. Un po' come chi considera "Ing" un titolo onorifico, mentre in realtà denota solo una professione, o forse solo l'appartenenza a un ordine professionale. O la ragione per cui solo in Italia un laureato triennale può fregiarsi del titolo di "Dott"?

Romina Tamerici ha detto...

"Non penso che non serva a nulla spedire i propri libri agli editori, per carità, ma il minimo che può capitare è di attendere 6-8 mesi (vita vissuta) ricevendo soltanto, se l'editore è cortese, una gentile lettera di rifiuto".

...
E io che sto aspettando come devo reagire a questa (purtroppo vera, ma non lo ammetterò mai) frase?

Massimo Citi ha detto...

@Romina: non so, puoi mandarmi a quel paese e dedicarti a un sortilegio a mio danno :)
In ogni caso direi che non è il caso di prendermi troppo sul serio. In fondo è possibilissimo che i miei testi non fossero stati all'altezza delle intenzioni degli editori, mentre i tuoi potrebbero esserlo. Le intenzioni degli editori sono imperscrutabili per noi poveri scrivani, proprio come la volontà degli dei per gli antichi greci.
Ciò detto, io ho deciso di risparmiare i soldi di francobolli e raccomandata. In fondo posso farmi insultare gratis del primo che incontro per la strada. Continuo a scrivere - un tic, ormai, più che una passione - per raccogliere dilettantisticamente l'apprezzamento di pochi lettori che non mi pagheranno mai. A me può bastare.
Una montagna di auguri a te, comunque.