31.8.19

Il Mare Obliquo 30

Il rapporto tra Lie Maldanea e il Liest Teardraet procede, sornione e apparentemente senza scosse. Ma tra i due brucia un fuoco freddo, capace di esaltarli e di ferirli entrambi.
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 – Buongiorno, Dama Maldanea.
La giovane Syerdwin esita per un attimo prima di volgersi a salutare il marito, lasciando lo sguardo indugiare sul freddo riflesso del sole nelle acque dell'oceano.
– Buongiorno Conte Teardraet.
Il Signore di Baran e Verhida sorride sempre, alla maniera degli uomini, durante i loro incontri mattutini, ma quella mattina il suo viso non sembra ubbidire alla sua volontà, immobile com'è ad esprimere un'ira raffreddatasi ma non scomparsa.
– Perdonatemi, ve ne prego… In questi due giorni non ho avuto un solo attimo da dedicarvi… – Inizia a dire frettolosamente il Conte-Mago.
– Non ve ne preoccupate, Liest Teardraet. Non appartengo a quella razza di femmine che in assenza del coniuge si spengono come candele. So ardere sia sola che in vostra compagnia. – Ribatte Maldanea dedicando al suo compagno un caldo sorriso di sfida.
  Per un attimo questi abbassa il volto senza replicare e quando lo rialza ride. – Dimenticavo che voi non siete una creatura come le altre, Lie Maldanea. Perdonate la doppia ingiuria e permettetemi di chiedervi di dividere con me il pasto del risveglio.
Maldanea annuisce con un leggero cenno del capo e senza attenderlo rientra dalla grande porta finestra socchiusa sul vasto terrazzo.
– Per di qui. – La Wessiun segue la direzione indicata dal braccio teso di Teardraet fino a raggiungere un minuscola saletta dalla pareti di pietra chiara, illuminata da un grande lucernario che occupa quasi la metà del soffitto.
– Non ho chiamato servitù, provvederò io stesso a servirvi. – Le annuncia il Conte-Mago con una punta di frettoloso imbarazzo, spostando la sedia dall'alto schienale ed invitandola a sedere.
Maldanea ringrazia portando la mano aperta al petto e siede. Nella stanza la luce è chiara come quella di un mattino d'inverno e gli oggetti disposti sul tavolo, di candida ceramica o di cristallo, brillano quietamente della stessa luce, stemperandola.
– È questo forse uno dei vostri giochi di specchi, Liest Teardraet?
– È possibile, mia cara.
– La luce sul terrazzo non aveva questo colore. Avete posto un filtro nel vetro di quel lucernario?
– Non siete troppo lontana dal vero. Vi piace?
– È una luogo molto silenzioso e molto calmo. Adatto alla riflessione. Su cosa sono chiamata a riflettere dunque?
Teardraet la fissa per un attimo, sconcertato come un bimbo che veda il proprio indovinello risolto in un batter d'occhio.
– Voi frequentate troppo Mastro Nerubavel, cara Maldanea. Adesso servitevi di questi composta e di questo pane fresco preparato all'alba dai miei fornai. 

 
– Mmh, grazie. Mi chiedo quale dovrebbe essere il mio rango per poter essere servita da un Liest, voi che ne dite?
– Il Liest è un servitore del suo popolo, dice il Libro delle Rocce, perchè solo chi serve può guidare e solo chi si umilia può dominare.
– Ho letto il Libro delle Rocce. Molte volte, ma temo che comincerò ad apprezzarlo quando avrò dimenticato coloro che me l'hanno insegnato.
– Non avete né pietà né rispetto? Anch'io ho avuto istitutori e maestri e tuttora ne ho. – Il volto del Moeld si rabbuia per un istante pronunciando quella frase. – Conosco molto bene il Libro ma fatico ad accettarlo fino in fondo. Sono molto orgoglioso, Maldanea e troppo spesso superbo.
– I miei istitutori usavano molto spesso queste parole per riferire al Padre-Adulto le mie mancanze e soprattutto le mie risposte. Ma non ho mai amato gli ordini senza un perché né l'arroganza di chi chiede di ubbidire ad una semplice abitudine.
– L'abitudine è la corazza del debole, la sicurezza dell'insicuro. Il Mondo è spesso tanto crudele e bizzarro che difendersene è molto più che una cattiva abitudine.
Maldanea annuisce lentamente: raramente ha visto il suo sposo di quell'umore, insieme riflessivo e quasi timoroso, come se un pensiero fisso e sgradevole lo obbligasse a dare un nuovo giudizio su di sé e sulle sue decisioni passate e future.
– Quale sorte incombe su di voi o forse su noi tutti, Teardraet? Ditemelo dunque e cessate di giocare a fare il monaco. – Chiede infine la giovane Syerdwin dopo qualche minuto di silenzio. – Se lo desiderate, naturalmente. – Aggiunge poi, quasi intimorita dalla sua sfacciataggine.
– Come un freccia dritta al bersaglio, Maldanea. Sono dunque così trasparente?
– No, non lo siete e ben poco so di voi. Io occupo un piccola parte del vostro tempo come dei vostri pensieri, ne sono ben conscia. Buoni motivi politici e forse una punta di capriccio vi hanno indotto a condurmi qui. Per il momento tutto ciò ha ancora per me il fascino della novità e la vostra residenza, o forse dovrei dire la nostra, mi appare ricca di sorprese come certi giocattoli che ricevevo quando il mio nome era diverso. Ma prima o poi tutto ciò diverrà logoro e consueto, le passeggiate da sola sugli spalti e la vista dell'Oceano mi verranno a noia. E allora, quando la mia vita sarà divenuta sottile e grigia come una vecchia stoffa io avrò perduto la giovinezza per sempre e voi avrete perso un'amica. O forse i Moeld non hanno amici?
Teardraet stringe le mascelle e alza il capo a fissare la luce chiara e fredda che scende dal grande lucernario.
– Tu sei per me come questa luce, Maldanea. Come un animale troppo spesso dimentico di rallegrarmi di vederla e mi accontento di sapere che esiste. Sono vivo da molto tempo, eppure non ho ancora udito le parole che vorrei dirti, che non conosco pur sapendo che esistono, da qualche parte sopra o sotto le acque. Ti ho visto molte volte passeggiare in faccia al vento freddo dell'oceano, forte eppure delicata come poche sanno essere, ma mi è mancato il coraggio di parlarti. Ricordi il nostro incontro nel bosco dei Wessiun? Sei stata tu la prima a parlarmi e dopo aver udito poche tue parole ho capito che se mai le acque avevano mai bagnato qualcuno degno di condividere con me il suo Arco quella eri tu. Ti ho avuto facilmente, è bastato un incontro con il tuo Padre-Adulto, ma conoscerti davvero mi è sembrato difficile e doloroso. Forse è paura, forse è orgoglio, perché la mia mente non è come quella degli altri Syerdwin e la mia anima non conosce più passioni, se non i freddi moti della ragione. Tienimi come corteggiatore timido o come amico incostante, Maldanea, non posso più donare nulla di me perchè come Kerfilluan poco possiedo ancora.
– Anche questa deliziosa colazione… – Maldanea indica le candide stoviglie, i calici di cristallo. – È una specie di sogno, di divertimento, vero? Vuoi giocare a fingere un'amicizia, a provarne tutti i brividi e l'emozione? Quanto hai vissuto? Quanto bisogna vivere per riuscire a dimenticare, per snocciolare la propria vita come una parte ben studiata? – La giovane Syerdwin si alza. – Hai mentito. Tu sai perfettamente quali sono le parole che si devono indirizzare ad una moglie per conquistarne i pensieri. Tu ami giocare: con me, con Artamiro, forse anche con Queidhen o con chissà chi. Tu giochi ma non sei felice per questo e quel che è peggio è che hai smesso di saperlo. Semplicemente sei divenuto incapace di sentire e vedere.
– Non lasciarmi, Maldanea. – Per un istante la voce del Conte-Mago diviene opaca, incerta. – Se di una finzione si tratta lasciami viverla fino in fondo. Prestati a questo gioco che mi rende penoso come un vecchio narratore che abbia dimenticato la fine della storia che racconta. Torna a sedere, ti prego.
Maldanea non risponde e scivola nuovamente sulla sedia, rigida e silenziosa.
– Quale destino ci attende, vuoi sapere? So che hai veduto Queidhen. Hai qualche nozione di lui? –
– So ciò che si dice. Che egli è una creatura di un inconcepibile antichità, che è un guardiano posto dagli Dei antichi a vigilare il nostro Mondo, l'unico rimasto a vegliare del suo popolo dormiente di Lontani Primi e Draghi-Bambini, chiamato a giudicare quanto siamo degni di abitare il mondo che essi ci hanno generosamente lasciato. Non per sempre.
– E credi che questa leggenda racconti la verità?
– Fino a qualche mattina fa la ritenevo esattamente ciò che sembrava: una leggenda, ma ora non sono più tanto propensa a crederlo.
– Ma di una leggenda si tratta. Queidhen è forse davvero uno dei Lontani Primi ma è soprattutto un mago potentissimo, che ha più volte visitato il Mondo–Tra-Molti–Istanti e le molte Ombre del Mondo che vivono accanto a noi, tornandone ogni volta più potente e saggio. 

 
Maldanea annuisce e quasi senza accorgersene sorride: quello è il solo modo per Teardraet di mostrare il proprio amore: metterla a parte delle sue conoscenze e dei suoi timori. O quasi sicuramente solo di una parte di essi, si corregge mentalmente.
– …Egli è venuto a mettermi in guardia. Qualcosa ha turbato l'equilibrio che lega tra loro i Mondi, una perturbazione che già altre volte ha scosso le fragile architettura della realtà ma che mai, sono parole sue, ha avuto tale forza cieca e tale grandezza. «È come un'onda dell'Oceano che nasce dalle convulsioni della terra: crea nuove terre e altre ne nasconde per sempre, come una nuova Creazione.» Questo ha detto. «E come tutte le altre volte le creature nate per prime in questa Catena di Realtà, i Giganti di Cristallo e quelli che voi chiamate i Silvani, combatteranno per difendere la nostra isola dal caos creatore, ma strani e inconsueti sono i loro pensieri e come è già accaduto la loro diga può cedere, sottraendo ad ogni creatura il ricordo di ciò che è venuto prima del Prima.».
– Non crede alla dottrina della creazione voluta da un Dio o dagli Dei, Queidhen? – Chiede Maldanea, pentendosi un istante dopo della sua frase da scolaretta.
Ma Teardraet non ride. – No. Egli sa, non ha bisogno di credere come tutte le deboli creature che popolano l'Orlo del Mondo ad una o a molte divinità. Se anche una siffatta creatura esiste il suo interesse per il nostro destino dev'essere pari a quello che noi abbiamo per il pulviscolo che rotea nella luce di un raggio di sole. Invece l'Onda che sta per avvolgere la Catena dei Mondi è reale, anche se sicuramente, come una bufera, non ha coscienza di sè né tantomeno di noi.
– E non vi è modo di fermarla? – La giovane Syerwin sconsolata scuote la testa chiudendo gli occhi: perché di fronte a argomenti di quell'importanza riesce solo a dire banalità da sciocca dama ad un ballo?
– Vieni con me.
– Dove andiamo?
– Nella Sala dell'Arcobaleno. 

 

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