Il rapporto tra Lie Maldanea e il Liest Teardraet procede, sornione e apparentemente senza scosse. Ma tra i due brucia un fuoco freddo, capace di esaltarli e di ferirli entrambi. |
– Buongiorno,
Dama Maldanea.
La
giovane Syerdwin esita per un attimo prima di volgersi a salutare il
marito, lasciando lo sguardo indugiare sul freddo riflesso del sole
nelle acque dell'oceano.
–
Buongiorno Conte Teardraet.
Il
Signore di Baran e Verhida sorride sempre, alla maniera degli uomini,
durante i loro incontri mattutini, ma quella mattina il suo viso non
sembra ubbidire alla sua volontà, immobile com'è ad esprimere
un'ira raffreddatasi ma non scomparsa.
–
Perdonatemi, ve ne prego… In questi due giorni non ho avuto un solo
attimo da dedicarvi… – Inizia a dire frettolosamente il
Conte-Mago.
–
Non ve ne preoccupate, Liest Teardraet. Non appartengo a quella razza
di femmine che in assenza del coniuge si spengono come candele. So
ardere sia sola che in vostra compagnia. – Ribatte Maldanea
dedicando al suo compagno un caldo sorriso di sfida.
Per
un attimo questi abbassa il volto senza replicare e quando lo rialza
ride. – Dimenticavo che voi non siete una creatura come le altre,
Lie Maldanea. Perdonate la doppia ingiuria e permettetemi di
chiedervi di dividere con me il pasto
del risveglio.
Maldanea
annuisce con un leggero cenno del capo e senza attenderlo rientra
dalla grande porta finestra socchiusa sul vasto terrazzo.
–
Per di qui. – La Wessiun segue la direzione indicata dal braccio
teso di Teardraet fino a raggiungere un minuscola saletta dalla
pareti di pietra chiara, illuminata da un grande lucernario che
occupa quasi la metà del soffitto.
–
Non ho chiamato servitù, provvederò io stesso a servirvi. – Le
annuncia il Conte-Mago con una punta di frettoloso imbarazzo,
spostando la sedia dall'alto schienale ed invitandola a sedere.
Maldanea
ringrazia portando la mano aperta al petto e siede. Nella stanza la
luce è chiara come quella di un mattino d'inverno e gli oggetti
disposti sul tavolo, di candida ceramica o di cristallo, brillano
quietamente della stessa luce, stemperandola.
–
È questo forse uno dei vostri giochi di specchi, Liest Teardraet?
–
È possibile, mia cara.
–
La luce sul terrazzo non aveva questo colore. Avete posto un filtro
nel vetro di quel lucernario?
–
Non siete troppo lontana dal vero. Vi piace?
–
È una luogo molto silenzioso e molto calmo. Adatto alla riflessione.
Su cosa sono chiamata a riflettere dunque?
Teardraet
la fissa per un attimo, sconcertato come un bimbo che veda il proprio
indovinello risolto in un batter d'occhio.
–
Voi frequentate troppo Mastro Nerubavel, cara Maldanea. Adesso
servitevi di questi composta e di questo pane fresco preparato
all'alba dai miei fornai.
–
Mmh, grazie. Mi chiedo quale dovrebbe essere il mio rango per poter
essere servita da un Liest, voi che ne dite?
–
Il Liest è un servitore del suo popolo, dice il Libro delle Rocce,
perchè solo chi serve può guidare e solo chi si umilia può
dominare.
–
Ho letto il Libro delle Rocce. Molte volte, ma temo che comincerò ad
apprezzarlo quando avrò dimenticato coloro che me l'hanno insegnato.
–
Non avete né pietà né rispetto? Anch'io ho avuto istitutori e
maestri e tuttora ne ho. – Il volto del Moeld si rabbuia per un
istante pronunciando quella frase. – Conosco molto bene il Libro ma
fatico ad accettarlo fino in fondo. Sono molto orgoglioso, Maldanea e
troppo spesso superbo.
–
I miei istitutori usavano molto spesso queste parole per riferire al
Padre-Adulto le mie mancanze e soprattutto le mie risposte. Ma non ho
mai amato gli ordini senza un perché né l'arroganza di chi chiede
di ubbidire ad una semplice abitudine.
–
L'abitudine è la corazza del debole, la sicurezza dell'insicuro. Il
Mondo è spesso tanto crudele e bizzarro che difendersene è molto
più che una cattiva abitudine.
Maldanea
annuisce lentamente: raramente ha visto il suo sposo di quell'umore,
insieme riflessivo e quasi timoroso, come se un pensiero fisso e
sgradevole lo obbligasse a dare un nuovo giudizio su di sé e sulle
sue decisioni passate e future.
–
Quale sorte incombe su di voi o forse su noi tutti, Teardraet?
Ditemelo dunque e cessate di giocare a fare il monaco. – Chiede
infine la giovane Syerdwin dopo qualche minuto di silenzio. – Se lo
desiderate, naturalmente. – Aggiunge poi, quasi intimorita dalla
sua sfacciataggine.
–
Come un freccia dritta al bersaglio, Maldanea. Sono dunque così
trasparente?
–
No, non lo siete e ben poco so di voi. Io occupo un piccola parte del
vostro tempo come dei vostri pensieri, ne sono ben conscia. Buoni
motivi politici e forse una punta di capriccio vi hanno indotto a
condurmi qui. Per il momento tutto ciò ha ancora per me il fascino
della novità e la vostra residenza, o forse dovrei dire la nostra,
mi appare ricca di sorprese come certi giocattoli che ricevevo quando
il mio nome era diverso. Ma prima o poi tutto ciò diverrà logoro e
consueto, le passeggiate da sola sugli spalti e la vista dell'Oceano
mi verranno a noia. E allora, quando la mia vita sarà divenuta
sottile e grigia come una vecchia stoffa io avrò perduto la
giovinezza per sempre e voi avrete perso un'amica. O forse i Moeld
non hanno amici?
Teardraet
stringe le mascelle e alza il capo a fissare la luce chiara e fredda
che scende dal grande lucernario.
–
Tu sei per me come questa luce, Maldanea. Come un animale troppo
spesso dimentico di rallegrarmi di vederla e mi accontento di sapere
che esiste. Sono vivo da molto tempo, eppure non ho ancora udito le
parole che vorrei dirti, che non conosco pur sapendo che esistono, da
qualche parte sopra o sotto le acque. Ti ho visto molte volte
passeggiare in faccia al vento freddo dell'oceano, forte eppure
delicata come poche sanno essere, ma mi è mancato il coraggio di
parlarti. Ricordi il nostro incontro nel bosco dei Wessiun? Sei stata
tu la prima a parlarmi e dopo aver udito poche tue parole ho capito
che se mai le acque avevano mai bagnato qualcuno degno di condividere
con me il suo Arco quella eri tu. Ti ho avuto facilmente, è bastato
un incontro con il tuo Padre-Adulto, ma conoscerti davvero mi è
sembrato difficile e doloroso. Forse è paura, forse è orgoglio,
perché la mia mente non è come quella degli altri Syerdwin e la mia
anima non conosce più passioni, se non i freddi moti della ragione.
Tienimi come corteggiatore timido o come amico incostante, Maldanea,
non posso più donare nulla di me perchè come Kerfilluan poco
possiedo ancora.
–
Anche questa deliziosa colazione… – Maldanea indica le candide
stoviglie, i calici di cristallo. – È una specie di sogno, di
divertimento, vero? Vuoi giocare a fingere un'amicizia, a provarne
tutti i brividi e l'emozione? Quanto hai vissuto? Quanto bisogna
vivere per riuscire a dimenticare, per snocciolare la propria vita
come una parte ben studiata? – La giovane Syerdwin si alza. – Hai
mentito. Tu sai perfettamente quali sono le parole che si devono
indirizzare ad una moglie per conquistarne i pensieri. Tu ami
giocare: con me, con Artamiro, forse anche con Queidhen o con chissà
chi. Tu giochi ma non sei felice per questo e quel che è peggio è
che hai smesso di saperlo. Semplicemente sei divenuto incapace di
sentire e vedere.
–
Non lasciarmi, Maldanea. – Per un istante la voce del Conte-Mago
diviene opaca, incerta. – Se di una finzione si tratta lasciami
viverla fino in fondo. Prestati a questo gioco che mi rende penoso
come un vecchio narratore che abbia dimenticato la fine della storia
che racconta. Torna a sedere, ti prego.
Maldanea
non risponde e scivola nuovamente sulla sedia, rigida e silenziosa.
–
Quale destino ci attende, vuoi sapere? So che hai veduto Queidhen.
Hai qualche nozione di lui? –
–
So ciò che si dice. Che egli è una creatura di un inconcepibile
antichità, che è un guardiano posto dagli Dei antichi a vigilare il
nostro Mondo, l'unico rimasto a vegliare del suo popolo dormiente di
Lontani Primi e Draghi-Bambini, chiamato a giudicare quanto siamo
degni di abitare il mondo che essi ci hanno generosamente lasciato.
Non per sempre.
–
E credi che questa leggenda racconti la verità?
–
Fino a qualche mattina fa la ritenevo esattamente ciò che sembrava:
una leggenda, ma ora non sono più tanto propensa a crederlo.
–
Ma di una leggenda si tratta. Queidhen è forse davvero uno dei
Lontani Primi ma è soprattutto un mago potentissimo, che ha più
volte visitato il Mondo–Tra-Molti–Istanti e le molte Ombre del
Mondo che vivono accanto a noi, tornandone ogni volta più potente e
saggio.
Maldanea
annuisce e quasi senza accorgersene sorride: quello è il solo modo
per Teardraet di mostrare il proprio amore: metterla a parte delle
sue conoscenze e dei suoi timori. O quasi sicuramente solo di una
parte di essi, si corregge mentalmente.
–
…Egli è venuto a mettermi in guardia. Qualcosa ha turbato
l'equilibrio che lega tra loro i Mondi, una perturbazione che già
altre volte ha scosso le fragile architettura della realtà ma che
mai, sono parole sue, ha avuto tale forza cieca e tale grandezza. «È
come un'onda dell'Oceano che nasce dalle convulsioni della terra:
crea nuove terre e altre ne nasconde per sempre, come una nuova
Creazione.» Questo ha detto. «E come tutte le altre volte
le creature nate per prime in questa Catena di Realtà, i Giganti di
Cristallo e quelli che voi chiamate i Silvani, combatteranno per
difendere la nostra isola dal caos creatore, ma strani e inconsueti
sono i loro pensieri e come è già accaduto la loro diga può
cedere, sottraendo ad ogni creatura il ricordo di ciò che è venuto
prima del Prima.».
–
Non crede alla dottrina della creazione voluta da un Dio o dagli Dei,
Queidhen? – Chiede Maldanea, pentendosi un istante dopo della sua
frase da scolaretta.
Ma
Teardraet non ride. – No. Egli sa, non ha bisogno di credere come
tutte le deboli creature che popolano l'Orlo del Mondo ad una o a
molte divinità. Se anche una siffatta creatura esiste il suo
interesse per il nostro destino dev'essere pari a quello che noi
abbiamo per il pulviscolo che rotea nella luce di un raggio di sole.
Invece l'Onda che sta per avvolgere la Catena dei Mondi è reale,
anche se sicuramente, come una bufera, non ha coscienza di sè né
tantomeno di noi.
–
E non vi è modo di fermarla? – La giovane Syerwin sconsolata
scuote la testa chiudendo gli occhi: perché di fronte a argomenti di
quell'importanza riesce solo a dire banalità da sciocca dama ad un
ballo?
– Vieni
con me.
–
Dove andiamo?
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