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– Presto,
presto Volontà, venite a vedere!
Re
Artamiro, impegnato in una udienza interminabile per una discordia
nata tra un nobile dei Lupi-Drago ed un Liest dei Syerdwin,
evidentemente decisi a rinverdire i fasti delle antiche guerre tra i
loro popoli, alza la testa di scatto e con un cenno imperioso della
mano riduce al silenzio l'Argomentatore del Barone Henia Uzen di
Vewal.
–
Cosa c'è da vedere, Duca Rossiter? – Domanda il Signore di
Dancemarare. – L'esercito di Bartsodesh è qui, Vostra Volontà, ed
infinite sono le sue schiere, tanto da giungere al limite
dell'orizzonte.
–
È impossibile, Duca. Le nostre spie ci avrebbero avvertiti.
Bartsodesh è tuttora dall'altra parte di Canddermyn, in attesa dei
rinforzi che devono giungergli da Ter-Heiness.
Il
Duca Rossiter trattiene a stento un gesto di impazienza.
–
Se non volete credere ai nostri occhi, venite a vedere se almeno
potete fidarvi dei vostri. – Insiste il Liest Tamu Hiniun che
accompagna il giovane signore di Telegin.
In
quel momento entra il Generale Kataiud, accompagnato da Dubro, il
Silvano capo delle sue guardie e dal Siniscalco Ant'Kisiel. – Il
Nemico è qui, Volontà. – Dichiara l'anziano generale. – È
consigliabile prepararci a dare battaglia.
Re
Artamiro, nel quale lo stupore prevale ancora sull'agitazione, guarda
in volto Dubro, l'unica creatura nel vasto arco del mondo della quale
abbia davvero fiducia.
Il
Silvano annuisce con un breve cenno del capo. – Un grande esercito
sta avanzando alla nostra volta, Eit'Corok. Essi hanno
stendardi come ragnatele e i loro colori sono spenti e incerti.
–
Cosa significa, Dubro? Bartsodesh ha dunque cambiato i propri colori?
Il
Silvano si stringe nelle spalle senza aggiungere altro.
–
Qualcuno sa spiegarmi? – Chiede ancora il Re. – Ma perché perdo
tempo a parlarvi? Duca Rossiter, Liest Hiniun, accompagnatemi fuori
di qui.
–
Perdoni, Sua Volontà… – Inizia a dire l'Argomentatore del Liest
Syerdwin. – Ma… –
–
Ma cosa? L'udienza è rinviata, non l'avete capito? Avete l'occasione
di battervi per una degna causa, e se uno di voi sopravviverà egli
sarà il vincitore di questa insulsa diatriba. Ho detto.
Fuori
dalla tenda un attendente del Duca Rossiter lo sta aspettando tenendo
per la cavezza un cavallo.
–
Per di qua, Volontà, bisogna salire sul breve colle dove sorgeva la
tenda di Tiatikenn. – Spiega il nobile.
Artamiro
annuisce e sale a cavallo senza preoccuparsi di togliere il pesante
abito di velluto da cerimonia.
–
Dubro, vieni con noi! – Ordina.
Il
piccolo gruppo di cavalieri attraversa il tratto di campo al galoppo,
rischiando di travolgere un paio di ufficiali intenti a discorrere in
mezzo al passaggio tra le tende, un ambulante che si aggira nel campo
cercando di vendere collane da pochi soldi ed un paio di oche di
ignota provenienza e proprietà.
Nel
campo regna la consueta sonnolenta animazione, più degna della
piazza di un villaggio che di un esercito pronto a battersi e
Artamiro nota con scandalizzato stupore il fastidio con il quale i
soldati dell'armata li guardano passare, come un gruppo di
sconsiderati che corrano in mezzo ai banchi di un mercato rionale.
La
cima del piccolo colle è presto raggiunta. Da essa nessuno si è
ancora preso il disturbo di trasportare via i resti della splendida
tenda di Tiatikenn, che in quelle notti ha ricevuto anche la visita
di animali notturni e di predoni.
La
meravigliosa stoffa che la copriva è stata strappata, gli oggetti di
scarso valore che i servi del grande Mago non hanno portato via
giacciono sparsi sul terreno, insieme a lembi di abiti, cocci di
vetro, polveri colorate sparse come talco sull'erba e qualcuno ha
perfino usato i pali di sostegno della tenda per farsene un piccolo
falò, al calore del quale giacere con una delle innumerevoli
Consolatrici che popolano il campo.
–
Che desolazione, che scandalo! – Commenta Ant'Kisiel, senza che
nessuno gli risponda.
– Allora? – Chiede Re Artamiro, che la cavalcata ha reso di umore
nero.
–
Alla vostra sinistra, Volontà. – Indica il Duca Rossiter.
Poco
oltre il fiume che delimita a Nord-Ovest il campo dell'armata di
Dancemarare sta un grande esercito immobile, le bandiere mosse
lentamente dal vento, simile da quella distanza ad un vasto, oscuro
lago appena velato da una leggera foschia nel quale si accendano
leggeri e lenti riflessi di luce.
–
Quanti sono? – Chiede a bassa voce il Re.
–
Innumerevoli, Volontà. Come stelle nel cielo o granelli di sabbia. –
Risponde Tamu Hiniun.
–
Ma come ha potuto una simile armata giungere così vicino senza che
nessuno l'abbia vista? – Chiede il Siniscalco di Artamiro, con
intonazione volutamente distratta.
Il
Duca Rossiter di Telegin impallidisce violentemente e spiega con voce
divenuta rauca: – Nessuno ha veduto nulla. Fino ad una manciata di
minuti fa non vi era nessuno in quella piana.
–
Bisogna quindi credere che il nemico sia dotato di sensazionali
poteri magici, tanto da apparire e scomparire a sua volontà. –
Commenta beffardo Ant'Kisiel.
–
È possibile, purtroppo. – È la risposta del nobile di Telegin.
Il
Siniscalco del Re si rimangia il commento sprezzante per tanta
risibile incompetenza alla vista di Re Artamiro che annuisce alle
parole del Duca e si affretta ad approvare a sua volta.
–
Non può essere l'Armata di Bartsodesh. Non ne ha i colori. –
Interviene il generale Kataiun.
–
Sono troppi, troppi per essere l'esercito nemico. È evidente. I
soldati di Barstodesh sono poco più di metà dei nostri – Aggiunge
Ant'Kisiel.
–
E allora chi sono? Ditemelo voi che sapete tutto. Sono forse i
rinforzi promessi da Nyby Ornoll e da Horr Vamaiun? – Replica
irritato Artamiro.
I
due cortigiani osservano per un po' la sterminata armata e infine
scuotono il capo.
–
Chi sono Dubro, lo sai? – Chiede infine il Re. – Uth'Nesai
Kadh. – Mormora il Silvano.
–
Non usare la tua lingua, maledizione! Chi sono?
–
Attenzione si stanno muovendo! – Grida il Duca Rossiter. – Presto
andiamo.
–
Dubro cosa hai detto? – Re Artamiro non si preoccupa neppure di
controllare la notizia data da Rossiter e continua a fissare il capo
delle sua guardia personale.
–
Non c'è traduzione, Eit'Corok. Sarà meglio andare a vedere
da vicino.
–
Muoviamoci allora. – Urla Re Artamiro salendo a cavallo con uno
slancio furioso che per un istante sembra restituirgli il vigore dei
vent'anni.
–
Ma Volontà… – Ant'Kisiel indica la grande armata che lentamente
si muove verso la riva del fiume. – Volete andare ad affrontarli da
solo?
–
Di che ti preoccupi, vecchio imbecille? L'hai detto tu che non si
tratta di Bartsodesh. Andiamo, ora.
Quando
attraversano nuovamente il campo il clima è molto cambiato. La
notizia dell'avanzata di un grande, sconosciuto esercito è giunta in
ogni angolo del grande attendamento scatenando una fenomenale
agitazione ed un ancora più grande confusione.
Urla
ed ordini si intrecciano a ripetizione in mezzo a gruppi di soldati
intenti a cingere goffamente armi, scudi ed armature, a spegnere
fuochi, ad inseguire cavalli frastornati dal caos ed a indirizzare
preghiere e scongiuri a mille diverse divinità.
– Per di qua! – Grida Tamu Hiniun, ottimo cavaliere al contrario
della maggior parte degli altri Syerdwin, al piccolo corteo reale.
Verso
il limite Nordoccidentale dell'accampamento, dove sono raccolte le
truppe provenienti dalle Terre del Nord abitate dai Lupi-Drago, la
confusione è molto minore, nonostante la vicinanza della sconosciuta
armata nemica.
I
Lupi-Drago sono per la maggior parte già schierati alle spalle del
recinto di tronchi che cinge il campo e folti gruppi di essi, armati
di arco e frecce, hanno già preso posto sulle torri di legno
disposte a brevi intervalli lungo la barriera.
Passando
Re Artamiro li saluta con ampi cenni del braccio, ad indicare
considerazione, ai quali quella gente silenziosa e temibile risponde
con un sommesso mormorio ed una sorta di breve sorriso che lascia
intravedere i lunghi canini acuminati.
–
Se la nostra armata fosse formata solo da questi terribili soldati,
allora sì, potrei sentirmi di conquistare l'intero arco del mondo. –
Commenta Re Artamiro, rincuorato alla vista di tanta minacciosa
efficienza.
–
Solo i Syerdwin hanno tenuto testa a tanta splendida ferocia, vostra
Volontà. – Osserva a mezza voce Tamu Hiniun.
Artamiro
sorride e fa un cenno di assenso.
–
Aprite la porta. – Ordina Il Duca Rossiter al drappello di
Lupi-Drago schierati a difendere l'ingresso del campo.
Le
guardie esitano per qualche secondo, ma un secco ordine proveniente
da un ufficiale li induce ad obbedire.
–
Il nemico è a meno di due miglia, Vostra Volontà.– Spiega
l'ufficiale, rivolgendosi direttamente al Re, gesto inaccettabile per
chiunque non sia un Lupo-Drago. – Posso fornirvi una scorta?
Re
Artamiro non ha neppure il tempo di rispondere che una cinquantina di
cavalieri, con i caratteristici elmi molto strombati a coprire parte
delle spalle, la celata dalle feritoie sottili ed orizzontali e
l'ampio mantello del colore del cielo notturno del nord, si
affiancano al piccolo gruppo reale.
–
Con vero piacere, Marr. – Replica Re Artamiro, utilizzando una
appellativo di cortesia particolarmente apprezzato presso i
Lupi-Drago.
Una
leggera nebbia o forse polvere precede l'armata in marcia verso
l'esercito di Artamiro che ben presto ingoia il drappello di
cavalieri. Dopo poche decine di metri al galoppo sono costretti a
rallentare. L'orizzonte ed il sole sono scomparsi, ingoiati da una
sorta di vapore tiepido che si sparge come schiuma sulla terra, ed
ogni particolare del paesaggio si è fatto un'ombra indistinta e
minacciosa.
–
Dove siamo? – Chiede inutilmente il Re, che a stento riconosce la
propria voce, resa stranamente risonante da quella nebbia.
–
L'accampamento è alle nostre spalle. – Lo rassicura Tamu Hiniun
che cavalca al suo fianco. – E davanti a noi, da qualche parte,
marciano i nemici.
–
Dubro! – Chiama Artamiro.
–
Sì Eit'Corok? –
–
Allora, cosa mai riusciremo a vedere in questa nebbia?
–
Attento, Eit'Corok. Non si vede solamente con gli occhi. –
Replica il Silvano, enigmatico come sempre.
Re
Artamiro almanacca per qualche istante sulle parole di Dubro senza
giungere a nessuna conclusione. I cavalieri Lupi-Drago avanzano
silenziosi intorno a lui, reggendo alte le lance e le pesanti gries,
le lunghe spade che impugnano con entrambe le mani. – Sono lì,
proprio davanti a noi. – Annuncia il Duca Rossiter che cavalca
subito davanti al re.
–
Dugg-Dak! – Ordina un ufficiale dei Lupi-Drago.
Artamiro
traduce mentalmente "State pronti."
–
Rientriamo, Volontà. – Chiede Ant'Kisiel. – Solo i Lupi-Drago
possono essere tanto folli da affrontare in cinquanta un esercito di
centomila uomini.
Il
Re si volge verso Dubro che osserva calmo la lunga linea grigia di
armati che si intravede nella densa nebbia.
–
Guarda, Eit'Corok. Guarda.
–
Fermi. Non caricate. – Ordina Artamiro rivolto alla lunga fila di
Lupi-Drago che si preparano a correre incontro al nemico. Non può
vedere lo sguardo perplesso dei cavalieri ma può facilmente
immaginarlo: un gruppo di cavalieri non può affrontare un nemico da
fermo come i fanti.
Dopo
qualche istante un ordine secco dell'Ufficiale dei Lupi fa quasi
sorridere il Re: il piccolo gruppo di soldati scende da cavallo per
affrontare il nemico a piedi.
In
un attimo i Lupi formano un cuneo a doppio rango, nel quale la
seconda fila regge in mano le lance, mentre la prima è armata con le
gries. All'interno del cuneo il Re ed i suoi cortigiani, tuttora a
cavallo, osservano affascinati ed inorriditi la calma glaciale dei
Lupi, silenziosi come se fossero ad un'esercitazione.
–
Dugg-Dak! – Ripete l'ufficiale, mentre già le prime file
dell'armata nemica emergono dalla nebbia. Nei secondi eterni che
precedono il contatto Artamiro riesce a fare almeno una dozzina di
riflessioni, di cui la più bizzarra è che si trova lì, pronto ad
essere massacrato in una battaglia tragicamente impari, per inseguire
le frasi enigmatiche di un Erbano, una creatura della quale, come
tutti gli uomini, ignora desideri, sogni e speranze.
Artamiro
si alza sulle staffe cercando di scorgere qualche particolare del
nemico, ma senza successo.
La
grigia fila dei nemici sembra non avere volti e corpi definiti. Ad un
primo sguardo gli sembra di riconoscere spade, lance, archi, scudi,
elmi dagli alti pennacchi che ad un secondo sguardo scompaiono
confondendosi nell'intrico dei corpi e delle forme. Un forte profumo
di incenso e di alloro, paradossale in quella circostanza, proviene
dalle file del nemico e in quell'attimo Artamiro si rende conto che
da loro non proviene alcuna voce né alcun respiro, come da
un'infinita adunata di ombre.
Artamiro
guarda verso il vertice del cuneo: la lunga fila di guerrieri ha già
superato i primi Lupi, come se fossero essi stessi fantasmi e avanza
ancora verso di lui. "Attento Eit'Corok, non si vede
solamente con gli occhi." Ricorda Artamiro e quasi senza
accorgersene le sue palpebre si chiudono.
Il
suo sguardo, liberato dal corpo, sembra navigare nell'aria sopra la
grande piana, come quello di uno spirito o di un Dio. Sotto di lui la
prateria che ha appena attraversato, illuminata da un sole freddo
acceso di una luce rossa e sanguigna, si è trasformata in un'arida
spianata, coperta da uno strato di una materia simile a vetro
affumicato, dai bagliori sopiti e crudeli. Il fiume che la bagnava è
un incavo secco e rossastro come una ferita non curata e nel suo
letto fischiano rabbiosi aridi venti che non portano con sè sabbia
ma cristalli sottili che velano a tratti la luce dolorosa del sole.
In
quel paesaggio da incubo avanzano senza speranza poche creature,
irriconoscibili. Un istante dopo, come avviene nei sogni, lo sguardo
di Artamiro si posa su una di loro. Il volto della creatura è
coperto da quei sottili cristalli ed al posto degli occhi, come nelle
maschere, vi sono due buchi attraverso i quali il Re vede un
frammento di cielo giallastro, attraversato da nubi scure e sottili.
La
creatura avanza senza vederlo, barcollando ed i suoi abiti, poco più
che stracci, si agitano sul suo corpo come fossero appesi ad un
sottile sostegno di legno. Artamiro, incapace di sostenere ancora
quella visione, riapre gli occhi di scatto. Davanti a lui un grigio
cavaliere dell'armata di fantasmi alza lo sguardo verso di lui,
mostrando le orbite vuote e gli occhi fatti di nebbia.
Lo
strano esercito impiega quasi un'ora per superarli e quando anche
l'ultima fila è passata la nebbia si alza all'improvviso.
La
luce del sole di metà pomeriggio li abbaglia improvvisa ed i colori
dell'erba, del cielo appaiono loro troppo forti, come dipinti da un
cattivo pittore.
–
Eit'Corok avete veduto? – Il Silvano è il primo a
riprendersi dalla visione. – Avete veduto il Grande Sogno?
Artamiro,
rigido sulla sella del cavallo, non risponde. Per un tempo infinito i
suoi occhi hanno veduto gli strani volti degli spettri: un volto solo
ripetuto all'infinito come se tra le ombre non esistesse più alcuna
differenza, alcun passato.
–
Ho veduto. Un potente sortilegio. – Dice infine Artamiro.
Il
silvano scuote il capo lentamente. – Non esistono maghi capaci di
tali visioni. Tu, tutti noi abbiamo Veduto.
–
Cosa abbiamo veduto, Dubro? Lo sai tu forse? – La voce del Duca
Rossiter è stridula, rabbiosa.
–
Non era magia dunque questa visione capace di confondere e
terrorizzare le menti? Cos'era allora? Cos'erano allora quegli
spettri che hanno marciato tra noi e sono evaporati come l'acqua di
una teiera?
–
Non lo so. Forse Kadh.
–
Cos'è il Kadh? – Chiede con voce sommessa Artamiro.
A
rispondere non è il Silvano, ma Liest Tamu Hiniun. – Il Kadh è
per gli Erbani ciò che i nostri Maghi chiamano il
Mondo-Tra-Molti-Istanti. Il mondo impossibile, il mondo non nato e
non creato che cerca di divenire reale quanto il nostro. Il Luogo
senza Memoria e senza Domani, dove nulla è possibile perché tutto è
possibile. Il mondo che talvolta ci fa visita attraverso i Sogni, il
cui vero nome è follia.
–
E perché, perché mai questo Mondo ha scelto questi tempi per venire
tra noi? – Chiede Re Artamiro.
–
Non c'è un perché alla follia, Volontà. – Replica asciutto Tamu
Hiniun.
–
Saremo Io-Noi a combattere per primi, Eit'Corok, come è stato
mille altre volte. E come tutte le altre volte rischiamo di non
vincere. – Aggiunge Dubro, e la sua voce ha subito uno strano
cambiamento, come se insieme a lui parlassero tutti i fratelli Mobili
ed Immobili del vasto orlo del mondo. – Devi sapere, Eit'Corok,
tu hai giurato.
Artamiro
annuisce. Ricorda il giuramento fatto di proteggere i
Fratelli-Immobili, il giuramento che gli permette di possedere una
guardia formata interamente di Silvani.
–
Ricordo, Dubro. Ma sono debole e solo.
–
Lo so, Eit'Corok.
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