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Attraverso
i vetri dalla grande sala, lavorati per assumere un aspetto simile a
quello della superficie di un limpido ruscello, la luce chiarissima
dei fulmini si sovrappone a quella tiepida delle candele e del
camino, trasformando per un istante i volti dei convitati in marmo
sbozzato da uno scultore frettoloso.
–
Brutta notte, mio Signore. – Commenta il Cavaliere di Vandel
rivolto al Duca Kwister, intento a terminare la propria porzione di
cinghiale, generosamente annaffiata del buon vino verde del Lodhlen.
–
Non oso pensare alla nostra miserevole sorte senza la vostra
magnifica ospitalità, cavaliere. Un'ospitalità ben protetta, noto.
Il
Cavaliere distoglie lo sguardo di scatto per tornare un attimo dopo a
fissare il lupo-drago cercando di celare l'imbarazzo.
–
Strani fatti, Duca, mi obbligano a difendere così me stesso ed i
miei ospiti.
–
È curioso e singolare che i vostri armigeri si trovino nella cinta
più interna delle mura, cavaliere. Così è bizzarro e mai citato in
alcun trattato di arte militare che essi sembrino voler impedire a
qualcuno di uscire piuttosto che ad un invasore di entrare. Non siete
d'accordo?
La
voce del Barone Enklu non lascia trasparire né tensione né timore
enunciando quel semplice dato di fatto. Terminato di pronunziarla il
Lupo-Drago compie un cenno leggero indirizzato ad uno dei coppieri
schierati alle sue spalle che accorre per riempire il suo bicchiere.
Il
Cavaliere per qualche attimo non risponde, limitandosi a guardare
davanti a sé con la fissità del malato. – Signori, voi domani
potrete riprendere il vostro viaggio. Perché interessarvi di ciò
che avviene nelle mie povere terre?
La
voce del nobile è appena udibile e quasi solo Usif-Lizhi è riuscito
ad udirla nel gruppo di ospiti e dignitari.
–
Cos'è accaduto al vostro villaggio, Cavaliere, che molti di noi
ricordano felice e protetto da divinità benigne? – Domanda il
Notturno.
–
Siete proprio sicuro di volerlo sapere, mio gentile ospite?
–
Ho veduto tali cose venendo fino qui, che altre non credo potranno
ancor più colpirmi. – Replica tranquillo Usif-Lizhi.
–
Ebbene… Ebbene. Sapete voi quanti abitanti conta Audiebarr?
–
Circa duemila, Monsignore. Vi sono stato altre volte per commercio. –
Dichiara Noro Eban.
–
Vero. E sapete quanti di loro vivono ancora nel Villaggio? Dodici,
non più di dodici. Parte degli altri è fuggita verso le piane del
Quym e parte vive ora qui, nella rocca.
–
Quali strani eventi sono accaduti per spiegare un tale esodo? –
Chiede il Duca Kwister.
–
Strani eventi… Molto strani. – Il cavaliere è interrotto da un
fulmine più forte mentre il suo sguardo vaga sui volti rigidi e
silenziosi dei dignitari di Audiebarr. – Molto più che strani! Ma
tra poco saprete, oh se saprete!
Il
gruppo di ospiti, ubbidendo ad un impulso comune risvegliato dalle
parole del Cavaliere, si volge a guardare verso le finestre sulle cui
superfici brilla debolmente il riflesso delle candele, come se appena
oltre esse sostasse una processione di spettri.
–
Volete essere così cortese da spiegarvi meglio, cavaliere? –
Interviene il Duca Kwister, lasciando trasparire l'impazienza e
l'esaperazione.
–
Non è ancora ora, Duca. Ma sapete voi cos'hanno in comune gli ultimi
che ancora popolano le case vuote di Audiebarr?
–
Non lo so, ovviamente.
–
Una debolezza, una mancanza forse? O forse una bizzarria? –
Ipotizza Usif-Lizhi. – Qualcosa che può colpire o rendere diverso
un uomo su venti. La cecità forse o qualcosa del genere?
Il
cavaliere di Vandel annuisce di scatto. – Mio Signore certo voi
siete degno della fama di cui gode il vostro popolo. Si tratta della
sordità. Gli unici a vivere ancora nel villaggio sono i sordi ai
quali quanto avviene ogni notte alla medesima ora non può recare
alcun danno.
–
E immagino che i soldati stiano sui bastioni per impedire agli altri
abitanti o a voi stessi di uscire dalla rocca, sebbene qualcosa vi
spinga disperatamente a farlo. – Continua il Notturno, mentre
Kirzil Pennarossa lancia un'occhiata di profondo compiacimento a
Share Harvaiun seduto di fronte a lui.
–
Qualcosa? Ma voi non potete immaginare Cosa, mio signore. La più
orribile sinfonia di pianti e di richieste di aiuto, nata dalla dalla
gola stessa dei Demoni del Mondo-Oltre-L' Orlo… Urla di bimbi,
lamenti di donne, di vecchi e di giovani, voci che chiamano ognuno di
noi per nome, che implorano il nostro aiuto con le voci più care di
coloro che non vivono più sotto questo sole… È quanto di più
orribile voi possiate immaginare. E la sorte di coloro che escono
dalla rocca non è certo migliore. Richiamato da quelle parole,
dall'illusione di rivedere i cari volti perduti ognuno insegue ombre
senza forma e senza colore fino a cadere nel torrente o a trovare la
morte nei modi più strani e incomprensibili, incitato dagli accenti
struggenti e pieni di speranza di quelle voci…
Il
cavaliere fissa senza vedere, uno dopo l'altro, i presenti, scuotendo
a tratti il capo convulsamente, come se uno sciame di zanzare lo
perseguitasse. – Non esiste tortura più intollerabile e sottile,
nulla di più inumano. Più volte sono stato tentato di abbandonare
la rocca e queste terre pur di non udire più o di divenire io stesso
sordo e poter riprendere una vita normale in un mondo che sembra non
avere più equilibrio.
–
Ed i vostri soldati? – Chiede la Fata Mahaderill. – Sono forse
sordi?
–
Essi hanno le orecchie sigillate dalla cera e solo così possono
resistere all'esterno. In questa sala le voci giungono attutite, ma
altrove nella rocca sono forti come venti di tempesta ed altrettanto
terribili.
–
Questo ci rincuora un poco, cavaliere. Ma potete dirci quale sarebbe
stata la nostra sorte se fossimo rimasti all'esterno, questa notte?
La
risata del cavaliere giunge tanto inaspettata quanto assurda nel
clima teso e silenzioso della sala, facendo sussultare i presenti. –
La vostra sorte…Vagare fino a morirne, inseguendo un'illusione,
ognuno la propria, così come si dice sia caduto l'esercito di Re
Harmiden nelle Selve del Nord, vinto dai miraggi del gelo.
–
E quale ritenete sia l'origine di quanto avviene, cavaliere? –
Chiede Usif-Lizhi.
–
L'Origine? E quale può essere la ragione di un simile abominio? Il
mio mago personale, Symenn, prima di affogare nel pozzo di una
fattoria del villaggio, cercando di trovare tale ragione, ha parlato
di una grande Ombra proiettata sul Mondo da un'altro Mondo. Chi si
trova sotto quell'ombra non può più discernere ciò che è vero da
ciò che non lo è e deve perire schiavo alle proprie fantasie. Ma
tale sua teoria non ha potuto avere nessuna conferma… O forse l'ha
avuta. – Il cavaliere di Vandel ride ancora mentre un'altra saetta
si abbatte su uno dei tetti metallici della rocca, donando alla sua
risata acute risonanze metalliche.
–
Ho udito anch'io parlare di quell'Ombra. – Dice la Fata Mahaderill,
subito dopo che si è spento l'eco della voce del Cavaliere. – E
noi fate possiamo sentire che in qualche modo l'equilibrio del mondo
si è spezzato e che esso ora somiglia ad un carro al quale il mozzo
di una ruota si sia spezzato e i cui giri sempre di più lo conducono
verso la rovina. Ma nessuna di noi riesce ad immaginare quale sia il
rimedio. I Silvani parlano di una minaccia che ciclicamente si
abbatte sull'Orlo del mondo, della quale solo loro conoscono natura e
significato, ma più di questo non so dirvi.
Richiamata
dal riferimento ai Silvani l'attenzione di tutti e per prima quella
del cavaliere si appunta su Khude il Silvano che ha finora udito
senza parlare le conversazioni a tavola.
–
Quale sarebbe tale teoria, mastro Erbano? – Gli chiede.
–
Io-Noi non abbiamo teorie, signore. Semplicemente vediamo e sappiamo
e non è facile raccontare con le vostre parole ciò che Io-Noi
vediamo tanto bene quanto voi potete vedere la vostra mano o l'orlo
ricamato della vostra veste.
–
Suvvia, fai almeno uno sforzo. – Lo incita il cavaliere, preso da
una strana animazione.
Khude
lo osserva per un attimo con un'espressione che si sarebbe detta di
pena o di paura. – Due mondi si disputano la nostra sostanza. –
Inizia a dire. – La sostanza di tutto ciò che vive che è, con i
suoi ritmi, tutto quanto vedete intorno a voi, animali, piante e
rocce…
–
Allora, vai avanti su! – Lo incita il suo interlocutore.
–
Ora il Kadh è qui. – Risponde il Silvano.
–
Cosa dici, cosa dici allora? – Continua il cavaliere che si alza
per scuoterlo. Ma il suo gesto non termina, interrotto da un rumore
simile ad un lungo sospiro che attraversa la sala come un'onda
increspa l'orlo delle acque.
–
Le voci, sono le voci! – Urla. – Ascoltate, miei signori e
resistete loro se potete.
Khude
il Silvano sbatte con le lentezza le palpebre ed annuisce
impercettibilmente. Il Kadh è confusione, illusione: egli ben lo
conosce e pur temendolo non prova paura. La fata Mahaderill stringe i
pugni e punta lo sguardo verso le finestre i cui vetri tremano
delicatamente nelle intelaiature metalliche, come scossi dal vento.
La sua magia, leggera ed insieme solida come seta la protegge da
quell'assalto restituendo le voci alla loro vera sostanza di rumori
disordinati e metallici, come pentole e paioli sbattuti con violenza
a molta distanza da lì.
Gli
altri convitati, rigidi sulle sedie, si voltano di scatto, sicuri che
una voce familiare li abbia chiamati, si guardano intorno con
espressione rabbiosamente sorpresa, sapendo di vivere un'illusione,
ma senza riuscire a resistervi. Già qualcuno si alza, con movimenti
incerti e sognanti, come un sonnambulo o un uomo colpito da un
attacco di malaria.
I
soldati del Cavaliere di Vandel si affrettano a chiudere le porte del
salone e alcuni corrono a porsi davanti alle finestre. Solo seguendo
meccanicamente quel gesto Usif-Lizhi, alle cui orechie, nitida e
distinta come se ella giacesse tra le sue braccia giunge la voce di
Adwina, si rende conto che i vetri delle finestre non rispecchiano
più le luci della sala, come se il vetro avesse cambiato sostanza e
natura, tornando opaca roccia. Aggrappandosi a quell'esile filo il
Notturno si alza barcollando, senza che nessuno dei convitati,
ciascuno preda del suo personale ricordo, dia segno di vederlo. Si
avvicina ad una delle finestre, dove un paio di soldati fanno buona
guardia per impedire a chiunque di scendere in cortile passando per
quella via.
Giunto
ad un paio di metri da essa il Notturno si irrigidisce e cerca di
mettere a fuoco lo sguardo. Nella sua mente il dolce richiamo di
Adwina si è trasformato in una disperata richiesta di aiuto. Con
sgomento il Notturno di accorge di aver semiestratto la spada dal
fodero, evidentemente animato dall'intenzione di uccidere chiunque si
frapponga tra sé ed il suo desiderio.
Con
un gesto lento e penoso Usif-Lizhi spinge nuovamente la spada nel
fodero e rivolge un cenno ai due soldati che avevano già posto mano
alle proprie.
–
Voglio solo guardare… – Spiega il Notturno. – Da …qui. –
Le
luci delle candele non sono scomparse, si rende conto il Notturno
dopo pochi attimi di osservazione, ma esse non cadono più
direttamente sulla superficie lucida del vetro, come se la luce non
procedesse più come una freccia lanciata diritta davanti a sé, ma
seguendo una strana, impossibile curva. Il Notturno respira
profondamente e affonda lo sguardo nella superficie buia del vetro.
Infinite linee sottili e scure, dall'andamento caotico come l'acqua
in un gorgo, sembrano formare quel buio, come se una vita
incomprensibile ed oscura lo animasse.
Usif-Lizhi
chiude gli occhi di scatto per resistere a quel moto ipnotico ed ha
la spiacevole sensazione che il buio creato dalla sue palpebre chiuse
abbia acquistato la stessa sostanza. La voce di Adwina nelle sue
orecchie si è fatta un unico, infinito urlo di angoscia disperata e
per un attimo il Notturno sente l'invincibile impulso di scagliarsi
contro i soldati e correre, correre a perdifiato per salvarla.
Una
saetta caduta appena oltre la torre che domina la Rocca, illumina per
un istante la sala e la sua luce abbagliante si frange su muri e
corpi secondo angoli e disegni bizzarri, come se provenisse dai muri
o dai corpi dei convitati. Il fragore del fulmine si è sovrapposto
per un istante alla voce di Adwina e in quell'attimo la sua mente
sovraeccitata è riuscita a separarla dalla vera sostanza di quel
suono, più simile all'insopportabile cigolio di un meccanismo
arrugginito che ad una voce umana.
Ed
ora Usif-Lizhi si rende conto di non riuscire più a udire la voce di
Adwina, ma solo quell' insopportabile frastuono. Incredulo il
Notturno si accorge che, come in certi dipinti molto apprezzati dal
suo antico maestro, le due forme di suono coesistono come in
un'illusione nella quale è impossibile vedere contemporanemente due
forme disegnate dallo stesso insieme di linee.
Rincuorato
Usif-Lizhi torna a fissare il paesaggio inquadrato dalla finestra:
oltre l'intrico caotico di linee scure vede gli alberi che circondano
la rocca. Essi si muovono furiosi come antichi guerrieri, circondati
da un'oscurità solida e minacciosa che momento dopo momento rischia
di sopraffarli. Spontaneamente con lo sguardo cerca il volto di
Khude, che se ne sta in un angolo della sala, immobile.
Il
silvano tiene gli occhi serrati e qualcosa nella sua espressione
suggerisce una fortissima concentrazione, come se anch'egli si
trovasse fuori di lì, a combattere a fianco dei fratelli immobili.
Un
gesto improvviso e violento del Silvano lo fa sussultare. La Cosa,
qualunque sia stata la sua natura è finita. Il notturno si guarda
intorno stordito: il primo di cui incontra lo sguardo è il Duca
Kwister che si scuote come un cane bagnato e mormora: – È finita.
Usif-Lizhi
annuisce.
–
Ho udito la voce dei miei Marr che chiedevano il mio aiuto. – Il
Lupo-Drago si porta una mano all'orecchio, incredulo. – Come se
fossero in questa sala.
Il
Notturno chiude gli occhi e fa un cenno di assenso. – È stato
terribile. –
–
Allora, gentili ospiti, cosa ne dite dell'ospitalità della mia
rocca?
Kwister
e Usif-Lizhi si voltano di scatto, colpiti dalla strana intonazione
del cavaliere di Vandel. Un largo sorriso accende il suo volto,
pallido come quello di una statua. – La voce questa volta non mi ha
abbandonato, miei signori. – Annuncia il cavaliere. – Egli ora è
con me. Con me per sempre. Bevete, bevete con me per festeggiare.
Siamo ancora uniti, uniti per sempre.
Negli
occhi dei dignitari di Audiebarr vi è una strana luce, una
consapevolezza terrorizzata, come se tutti loro avessero temuto quel
momento ed insieme avessero saputo che sarebbe infine giunto.
–
Edeil è di nuovo con me, signori miei, e stavolta nessuna malattia
me lo toglierà… Bevete, bevete con me, presto. – Grida il
cavaliere, senza smettere di ridere. – Khude, la tua minaccia mi ha
riportato colui che più amavo ed ora per me il mondo che era
divenuto un crudele circo ha nuovamente un senso. Bevete, bevete,
beve…
Ripete
per l'ultima volta il cavaliere di Vandel, prima che il suo sguardo
fisso si incrini ed egli cada a terra di schianto.
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