5.9.19

Il Mare Obliquo 31

Gudre Yinnu, il mezzosangue Notturno si offre di seguire il Boldhovin e i suoi amici. Mentre i cervi sono molto contenti dell'offerta, Klog sembra per lo meno un po' perplesso ma la decisione del Neek è definitiva e ottime le sue ragioni.
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– Piove.
L'espressione ancora incerta ed insonnolita di Klog si fa sempre più definita fino a rappresentare il disgusto. Il Boldhovin si affaccia a sua volta alla piccola finestra illuminata di un'incerta luce opalina
– Ma è vero! – Protesta.
– Già, io non racconto storie. – Replica piccato il Gatto.
– Potremmo… – Comincia a dire il Boldohovin.
– Nemmeno per idea. – Lo interrompe secca Matushka. – Non siamo in viaggio di piacere, pelosetto e avremo tempo dopo di riposare al calduccio. Pensa come staremmo senza la gentile ospitalità dei Notturni, dopo una notte al freddo ed alla pioggia.
– Il che è come dire che dovrei ringraziare quella testa di ferro di Fahgön per averci imposto di dormire qui. E sia, appena lo avrò incontrato mi profonderò in ringraziamenti, ma questo non siginifica che sia un delitto attendere che spiova un pochino prima di muoverci, giusto il tempo di consumare una buona frittata e un po' di composta di mirtilli.
– Mi sovviene un curioso problema: se il nostro Boldhovin ha lo stomaco al posto del cervello cos'avrà mai al posto dello stomaco?
Le risate di Matushka alla frase di Plinio, pronunciata con la seriosità compunta del pedante, riescono a risvegliare il sorriso anche sul volto iroso e stizzito di Klog.
– Va bene, va bene. Ma potete darmi così completamente torto voialtri?
– No, no, anzi. Procediamo pure in ranghi serrati verso le cucine a sgominar salami e menar strage di uova, ricordando, tuttavia, che i notturni sono soliti riposare nelle ore diurne e quindi dubito che incontreremo qualcuno disposto a soddisfare i nostri desideri.
– Ne sei certo, Plinio?
– Di nulla si può essere certi. – Replica serio il gatto.
Un leggero bussare interrompe la conversazione che aveva assunto sfumature sconfortanti per il Boldhovin.
– Chi è là? – Chiede Matushka.
– Sono Gudre-Yinnu, gentile Fuji-Ku. La vostra colazione vi attende.
– Grazie. Non la faremo attendere. – Risponde gentilmente la piccola volpe.
Un attimo dopo Matushka assume nuovamente le fattezze umane, rabbrividisce leggermente, scuote la lunga chioma di capelli fulvi ed afferra gli abiti adagiati su uno scranno.
Si veste rapidamente, con il disappunto rassegnato di chi sa che non si abituerà mai a usi tanto ridicoli e ritiene che bottoni lacci ed alamari siano frutto della malizia di un dimenticato stregone.
– Hai un'asola vuota ed un bottone di troppo, vedo. – Osserva con aria casuale Plinio.
La piccola volpe abbassa gli occhi con un lungo sospiro, osserva con tenue esasperazione la sua tenuta da caccia, afferra il cappello verde adornato da una penna di fagiano e se lo pone sul capo leggermente inclinato.
– Cattivi sarti. – Commenta decisa.
– Ah. – Replica Plinio senza scomporsi. – Allora direi che possiamo andare. Klog che fai, non hai più appetito?
Il Boldhovin non distoglie lo sguardo dall'arazzo intessuto di fili neri grigi ed argento che domina la parete di fondo della stanza, che la sera precedente, nella luce incerta delle lampade non ha notato e annuisce soprappensiero facendo due passi indietro.
– Sì, sì certo.
Un paesaggio notturno visto a volo d'uccello, tenuamente illuminato dall'argento lunare, questo è il soggetto dell'arazzo, ma qualcosa in esso deve aver attirato l'attenzione del Boldhovin, solitamente poco interessato all'arte.

– Allora, Klog? – Sbuffa impaziente Matushka.
– Andiamo, andiamo.
Un attimo dopo, mentre percorrono il lungo corridoio che li porta verso i locali di soggiorno della residenza dei notturni il Boldhovin osserva a mezza voce: – Secondo voi come ha fatto l'artista, sicuramente uno di loro, a rendere così precisamente un paesaggio simile, come lo può vedere una civetta o un pipistrello?
– Non hai rinunciato alla tua idea del volo, eh? – Domanda ironico Plinio.
– Non scherzare. Io voglio sapere come ha fatto.
– Ha guardato il paesaggio in una valle dalla cima di una montagna. – Replica sbrigativa Matushka.
– Già. Ci ho pensato anch'io. Ha lavorato di fantasia inventando anche la terra alle spalle dei suoi ipotetici piedi e tessendo l'intero orlo circolare del mondo. Ma perché dovrebbe aver fatto una cosa simile?
– Per stupire i gonzi. – Ribatte secca Matushka. – Ed indurli a pensare che i Notturni abbiano poteri e capacità che gli altri popoli non posseggono. Sei contento così?
Il Boldhovin non insiste, limitandosi a stringersi nelle spalle.
– Buongiorno. – Il viso pallido e sottile di Gudre-Yinnu appare anche più cereo e delicato nella luce fredda del giorno, cancellando in lui la parte di sangue umano per mostrare solo il lato notturno. – Spero che abbiate ben riposato, gentili Tiiunnh.
– Meravigliosamente, cortese Duhit-Uinn e ti ringraziamo di rinunciare al tuo meritato sonno per dedicarci la tua compagnia.
– Ho strani ritmi, io. – Spiega il Neek. – Veglio e riposo come meglio mi aggrada, senza che il mio corpo si preoccupi troppo di indicarmi il giusto momento per ogni cosa. Si tratta forse della mia mente sempre troppo indaffarata o dell'insegnamento del mio maestro che mi ha educato ad accettare o respingere il sonno come il cibo. Certe abitudini divengono parti della propria persona come le braccia o il cuore. Ma venite, ora: i vostri amici vi attendono.
In un'ampia sala, posta in'ala della residenza che la sera precedente non avevano visitato, ben illuminata dalla luce del giorno, si trovano riuniti intorno ad un tavolo i quattro cervi e Basso Okme.
– Eccovi qui finalmente! – Commenta burbero Fahgön alla loro vista. – Alla buon'ora.
– Senti un po', Grandirami… – Comincia a dire Klog, ben deciso ad insegnare al grande cervo che il resto del mondo non procede con i suoi usi da vecchio soldato, ma una gomitata nelle costole da parte di Plinio lo interrompe bruscamente togliendogli il fiato.
– Hai ragione Fahgön, ma non ci è sembrato molto utile affrontare il viaggio sotto la pioggia battente che ci avrebbe presto inzuppato e gelato ed abbiamo indugiato un poco di più per permettere al cielo di terminare il suo ciclo.
Il cervo scuote la testa. – È ragionevole. Cosa voleva dire il Quasi-Silvano?
– Nulla d'importante. – Brontola il Boldhovin, ancor più seccato per la qualifica di quasi- qualcosa.
– Come sempre. – Termina il Cervo. – Ora comunque la pioggia sta diradando.
Un rapido sorriso attraversa il volto del Neek. – Anch'io sono un Quasi, mastro Klog. La vostra frittata e la vostra composta di lamponi vi attendono.
Il Bodhovin annuisce con espressione sorpresa e restituisce uno sguardo smarrito ed incerto ai modi affabili di Gudre-Yinnu.
– Vi ringrazio dell'apprezzamento che avete dedicato alla mia modesta opera. – Continua il Neek. – Ma non si tratta di un soggetto abituale presso i Notturni. Solo un Quasi può trovare affascinante quell'arazzo: per un Uomo-Di-Luna, come siamo chiamati presso i Silvani, sarebbe un'opera stravagante fino ad essere quasi sconveniente.
Klog torna ad annuire senza osare ribattere e corre a sedersi a tavola.



All'esterno, nell'aria ancora densa e odorosa di pioggia, oltre il ponte levatoio abbassato, alcuni animali dal mantello del colore del cielo invernale sostano immobili, come in attesa – Curioso. – Commenta Plinio. – Che tipo di animali sono quelli, gentili Duith-Uinn, che sembrano attendere con la compostezza e la solennità di altrettante sculture?
Il Neek si stringe nel lungo mantello del colore della notte e li indica uno per uno con il braccio levato.
– Mieri, Diefig, Ghiu e Terkan. Si tratta delle nostre cavalcature.
Il gatto stringe le palpebre per mettere meglio a fuoco le figure ancora lontane, ma senza risultato. Ad un'occhiata pigra quegli animali hanno qualcosa che ricorda il cavallo, ma le loro posture, il profilo lontano dei musi non hanno nulla in comune con i fedeli amici degli uomini.
– Cosa sono quegli animali? – Chiede Klog a bassa voce a Burke, il cervo che marcia accanto a lui.
– Mezze Aquile. – Spiega senza spiegare molto il cervo.
Avvicinandosi maggiormente le differenze tra quegli strani animali ed i cavalli divengono più evidenti. I loro musi sono stranamente sottili e terminano con un becco piegato verso il basso, simile a quello degli uccelli da preda, e le loro zampe, esili e delicate quelle anteriori tanto sono forti e massicce quelle posteriori, hanno quattro dita ciascuna che terminano con robusti unghioni ricurvi. Alla vista di Gudre-Yinnu i quattro animali abbandonano le loro posture rigide per avvicinarsi silenziosamente, muovendosi in uno strano modo saltellante che ricorda insieme quello dei conigli e dei falchi quando procedono al suolo.
– Ippogrifi. – Dichiara Basso Okme senza dar segno di stupore. – Non credevo che ne esistessero ancora. –
– Sono effettivamente molto rari, ormai. – Spiega Gudre– Yinnu. – Sono sempre stati la cavalcatura preferita dei Notturni: forti, silenziosi, con la vista ed il carattere di un'aquila ed insieme docili e tranquilli. – Il Neek si interrompe per un istante per guardare i quattro animali ormai a portata di voce. – Ma in fondo anche noi siamo pochi e nascosti di questi tempi e non è strano il persistere di questo legame. Mieri!
Udendo il suo richiamo l'ippogrifo cambia improvvisamente passo, abbassando il capo e avvicinandosi a veloci scatti come un felino. Dopo un istante la creatura, un po' più grande di un cavallo, è davanti a loro, fissandoli curiosa con i grandi occhi del colore delle foglie giovani attraversati dalla scura pupilla verticale.
Ghiu! Terkan! Diefig! – Torna a chiamare il Neek ed in un batter d'occhio il piccolo gruppo di viaggiatori è attorniato dai quattro grandi animali, seduti sulle zampe posteriori come enormi gatti ed il muso abbassato a guardarli.
– Non temete, non sono pericolosi, sanno che non siete ostili. – Annuncia Gudre-Yinnu.
– Certo, non siamo affatto ostili. – Aggiunge Klog.
– E come potremmo?
– In un primo momento avevo preso una decisione. – Dice il Neek. – Volevo offrirvi questi quattro animali come cavalcature per il vostro viaggio.
– Era un'ottima idea. – Commenta Fahgön.
– Ma poi ho mutato avviso. Conosco almeno parte di ciò che vi attende nel vostro viaggio verso le Montagne dell'Orlo e così ho deciso di venire con voi, accompagnarvi fino al termine della vostra missione. Io voglio Vedere.
Matushka lo guarda con una punta di disagio: gli occhi della creatura brillano leggermente mentre pronuncia quelle parole ed una calma esaltazione sembra percorrerlo, un desiderio bruciante nato e via via cresciuto tra i muri della residenza dei Notturni, alimentato dagli strani sogni e dagli ancor più strani ricordi di quel bizzarro popolo. – Spero che vogliate accettarmi tra voi. – Conclude il Neek. – Se così non è, se qualcosa in voi si ribella all'idea che uno di noi vi sia compagno non si preoccupi e lo dica apertamente. Non vi è nulla di peggio di una compagnia accettata solo per buona creanza che al primo pericolo o al primo contrasto si trasforma in odio e livoroso malanimo.
Sotto lo sguardo paziente dei quattro grandi animali i viaggiatori tacciono, cercando di ponderare rischi ignoti e vantaggi evidenti della compagnia di Gudre-Yinnu.
– Userete come cavalcatura una di queste Mezze-Aquile? – Chiede Fahgön.
– Certo. Due di loro, Mieri e Ghiu verranno con noi.
– Siete armato?
Il Neek annuisce con un sorriso ed estrae da sotto il mantello una lunga spada di metallo bruno: la tradizionale Ejiri del popolo della Notte.
– Avete cibo con voi e conoscete il percorso?
– Certo.
– Bene. Accetto la vostra compagnia. Benvenuto tra noi. – Conclude il Cervo. – Questo riguarda me ed gli altri cervi. Le altre creature saranno più lente a decidere, credo. – Aggiunge Fahgön con evidente sarcasmo.
– Se devo essere sincero io ho timore della vostra gente… – Come spesso gli accadeva Klog si rende conto di aver iniziato a parlare più per vincere l'ansia di una situazione complicata che per esprimere una qualche conclusione precisa. – … Ma mi pare che voi siate meravigliosamente equipaggiato per il compito che ci attende e così credo che per tutti noi sarebbe un grosso vantaggio avervi tra noi…


– Tuttavia?
– Non ho detto tuttavia.– Replica con dignità il Boldhovin – Sta di fatto che non sono sicuro di comprendere i vostri motivi, tutto qui. Voi vivete tranquillo e ricco in questo bel luogo, perché mai dovreste desiderare di unirvi a questo tentativo così patetico di salvare il mondo? Probabilmente il Cambiamento non arriverà fino qui e certo voi, con il vostro laboratorio, potrete far cose più utili contro di lui di quante ne potremmo fare noi con cento spedizioni come questa. Insomma, cosa vi spinge a seguirci?
Se il Neek prova irritazione per le parole di Klog non è facile riconoscerla nel suo viso immobile e negli occhi scuri e profondi rivolti verso il cielo, dove una fenditura nelle nubi lascia intravedere un piccola, profonda porzione di azzurro.
– Non avrei saputo porre a me stesso la domanda in modo più netto e chiaro, mastro Klog. La risposta, l'unica che sono riuscito a trovare stanotte, mentre percorrevo la strada che vi o forse ci attende in compagnia di Mieri, è che non posso continuare a vedere il tempo scorrere come vento in questa piccola valle, indossando la maschera del ribelle, dello Strano per irritare la mia gente, per prevenirla, ogni volta che qualcuno di loro pensa, o forse son solo io a crederlo, «Tu non sei come noi, mezzo-uomo. Tu non puoi sapere, non puoi vedere ciò che noi vediamo.» Sono stanco di questa finzione, temo che questa maschera diventi il mio vero volto e che una volta che mi trovi a poterla posare ne divenga incapace perché sotto ad essa non vi più Gudre-Yinnu ma il Neek, lo Strano, condannato a recitare la stessa parte.
La creatura fa un leggero cenno con il capo ad uno degli ippogrifi, Mieri, si avvicina a lui e si abbassa per permettergli la salita.
Il Neek accarezza il dorso coperto di pelo corto e chiaro dell'animale prima di montarlo, mormora qualche parola dall'intonazione affettuosa ed un attimo dopo si trova sollevato dal suolo, scuro e temibile come i ritratti dei guerrieri del Popolo della Notte che fissano l'oscurità nei grandi corridoi della Residenza.
– Comprendiamo le tue ragioni, Gudre-Yinnu. – Basso Okme, che ai piedi del grande ippogrifo assomiglia ad un indifeso savio al cospetto di un condottiero, il libro magico ben stretto nelle mani. – E siamo sicuri che esse rappresentino bene la tua anima ed i tuoi pensieri. Esiste forse qualcosa in te che nemmeno tu conosci, qualche angolo dei tuoi pensieri che non puoi raggiungere. Ti accettiamo tra noi e ti ringraziamo. Ma se dovessi scoprire che questo viaggio non è ciò che davvero desideri non ti peritare di abbandonarci al nostro destino. A nostra volta non te ne porteremo rancore.
– D'accordo Basso Okme, riconosco in te la grande anima di Kerfilluan. – Approva Gudre-Yinnu. – E ringrazio voi tutti per quest'occasione. Andiamo ora, il viaggio è lungo, amici miei. – Con quell'ultima frase il Neek sprona leggermente l'Ippogrifo che si lancia verso il limite dell'altopiano, simile all'illustrazione di un libro antico e dimenticato.
I viaggiatori lo vedono allontanarsi e fermarsi ad attenderli mentre un secondo ippogrifo, chissà in quale modo chiamato, corre a porsi al suo fianco.
– Adesso sì che siamo degni di essere ricordati. – Commenta un po' serio ed un divertito Plinio. – Abbiamo con noi l'ultimo degli Udhiunj, i grandi cavalieri dei Notturni di cui ben pochi ricordano anche il nome.
– Se ben pochi lo ricordano tu come fai a saperlo, gattaccio? – Chiede beffarda Matushka.
– C'era scritto sotto i quadri nel palazzo. – Spiega il gatto.
– E bravo. E se fosse stato il nome della famiglia?
Il gatto sorride. – Sarebbe comunque l'ultimo degli Udhiunj, non credi?
La piccola volpe scuote il capo e sale sulla groppa di Og spingendo i talloni nei fianchi del cervo. – Sei troppo furbo, Plinio. – Grida allontanandosi. – E non mi piaci. Per niente.



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