Un M.A.d.u.L.P. dedicato al lungo viaggio verso l'automazione e alle sue fatali controindicazioni. In genere chi inizia a lavorare adesso trova sul posto di lavoro il pc già pronto e windowscattante. Qui si racconta una storia meno brillante e spero più divertente.
Quando ho iniziato…
Quando ho iniziato…
Frase
pericolosa, che può indurre qualcuno a involarsi o a passare ad
altra lettura: «eccolo qua il reduce che comincia a scassare con le
sue nostalgie». Ma in questo caso posso assicurare che l’incipit
è necessario. Significativo. Inevitabile.
Quando
ho iniziato il pc in libreria non esisteva.
Non
era nemmeno una vaga possibilità.
Si
sapeva che Zanichelli usava un «calcolatore elettronico a schede»
per gestire il magazzino, ma era come parlare della NASA o del
batiscafo di Jacques Cousteau. Miti, storie da marinaio. O, se
preferite, capricci, eccentricità, manie.
In
libreria – se vogliamo chiamare «libreria» le famose soffitte di
Fisiologia che tuttora mi capita di sognare – si prendeva nota a
mano di che cosa si vendeva, nel caso fosse l’ultima copia. Non si
prendeva nota da nessuna parte, viceversa, di che cosa arrivava. Ci
si limitava ad aprire le scatole e disporre i libri su tavoli e
scaffali. Dopo esserseli andati a prendere in fondo a quattro piani
di scale. Senza ascensore, rigorosamente. Sempre che il corriere di
turno fosse riuscito a farsi udire (mancava il citofono) e non ci
lasciasse le scatole ai piedi della scala dopo essersi firmato la
bolla da sé.
Normale
che la stima di quel che si vendeva fosse abbondantemente
spannometrica. Si riusciva a capire che Il nome della rosa era
un best-seller giusto perché finiva in continuazione, ma di come si
vendessero realmente i «Nuovi testi» Feltrinelli o i
«Centopagine» Einaudi non era poi così facile capirlo. Infatti
dopo un mesetto per sapere quante copie fossero arrivate di un titolo
o di un altro non restava che andare a cercare la bolla di consegna
originale e controllare.
Mettendo
in disordine le bolle del contabile.
Che
la prendeva come un fatto personale.
Quindi
si finiva per non controllare sulle bolle e provare a
supporre.
A
forza di supposizioni, inevitabilmente nebulose, arrivammo ad avere
un magazzino record, un ensemble di libri che con i nostri
ritmi di vendita saremmo riusciti a vendere soltanto in sette anni e
qualche mese.
Ma
questo arrivammo a scoprirlo soltanto dopo che qualcuno di noi ebbe
seguito un breve corso di aggiornamento professionale alla Lega delle
Cooperative. Un corso rudimentale e informale rispetto alla famosa
Scuola Librai, ma già allora utile. Il soggetto inviato a formarsi –
io – ritornò inorridito dalla spedizione.
D’altro
canto non era poi così strano che non riuscissimo a tenere sotto
controllo il mostro-magazzino (lo stock, per essere on
trend). Avendo un’idea soltanto vaga di che cosa acquistavano i
nostri clienti non era facile decidere che cosa avremmo fatto bene a
evitare di acquistare. C’erano i libri meritori perché
unzaccodisinistra che andavano tenuti comunque, i classici
perché non siamo mica dei barbari, gli economici ed economicissimi
perché siamo dalla parte del proletariato, i romanzi sudamericani
perché siamo contro gli amerikani, i primi libri sulle
medicine alternative per combattere le grandi case farmaceutiche, i
libri per crescere bambini liberi e liberati, la filosofia e storia
della scienza perché siamo di formazione scientifica, ma anche la
filosofia e la semiotica sempre perché (di nuovo) non siam barbari,
i giovani scrittori perché…
Insomma,
si comprava quasi qualsiasi cosa seguendo dei criteri un po’
politici, un po’ culturali e un po’ bibliotecari. Del risultato
si è detto.
A
risolvere parzialmente il problema fu un furto con destrezza condotto
da ladri-atleti che in un agosto non ancora ammalato di effetto serra
s’involarono i libri più costosi lasciandoci bellamente sulle
croste tutta la saggistica politica, i dibattiti, i pamphlet e le
testimonianze di rivoluzionari di ogni luogo, tempo e sesso.
Eravamo
assicurati, grazie al cielo.
Smaltimmo
un po’ per volta i vibranti appelli e i roventi saggi.
Il
fatto che nemmeno i ladri li avessero voluti, nemmeno gratis, ci
aveva aperto gli occhi. Si era in tempo di riflusso e noi rifluimmo
in un negozio, piccolo ma asciutto e tiepido, in via Ormea. Facemmo
il trasloco a mano, uno scatolone a testa per quattro piani.
Giù
e su. Giù e su. Giù e su.
Fino
a ultimare il trasporto.
Più
morti che vivi.
A
quel punto, anche memori della lezione alla Lega, decidemmo che era
necessario sapere con precisione che cosa si vendeva.
Inventammo
espedienti di ogni genere. In primis i reparti, ovvero una
rudimentale distinzione tra narrativa, alcuni tipi di saggistica,
bambini, universitario e altre cose (fotocopie, penne e quaderni
ecc.). Anche questo semplice sistema ci permise di uscire dalle
nebbie dell’autoillusione e della buona intenzione. C’erano
argomenti che non interessavano. O che interessavano per un
po’ e poi basta. Poi, con l’avvento del registratore di cassa
dovemmo inventarci altri codici segreti, ulteriori cifrature,
ennesime formule. Il codice Enigma dei nazi al confronto era banale
come un film di Neri Parenti.
Troppa
complessità, ma in compenso nessuna gestione a titolo.
L’ISBN
era già stato inventato, ma non tutti i libri ne erano provvisti.
Particolarmente i manuali universitari ne erano privi. E poi, anche
«scaricando» in qualche modo un libro venduto da che cosa l’avremmo
scaricato? Dalle famose bolle? Impensabile.
All’epoca
erano appena nati gli home computer. Commodore 64, Spectrum, TI 99.
Servivano
a infilarci quattro righe di comandi in basic e ottenerne un segnale
acustico sgradevole (boop), seguito da «bad name».
Uno
di noi (lo stesso che aveva partecipato alla scuola quadri, pardon,
al corso di formazione) sacrificò tempo (molto) e denaro (poco) a
cercare di creare un database di uso relativamente agevole. Fece
pateticamente fiasco – gli home computer servivano soltanto a
mettere insieme videogiochi che visti adesso sembrano il parto di un
cerebroleso – ma il tentativo servì a comprendere che «ci serviva
un computer». E un programma.
Il
problema di CS sono sempre stati i soldi.
Anche
adesso, per la cronaca.
Quindi
di fare come facevano le librerie serie non si parlava proprio.
Niente
M20 o M24 con programma altrettanto serio per «gestione libreria».
Oltretutto
erano programmi pensati per librerie che smerciavano libri dotati di
ISBN e noi ne avevamo una buona quota che sfuggivano a ogni tentativo
di classificazione. Libri di medicina, a dimostrare quanto il settore
fosse avanzato e attento al progredire dell’innovazione nel settore
commerciale.
Era
necessario inventare qualcosa.
Il
qualcosa fu un programmino tuttofare della Lotus che si prestava a
mettere insieme un database utile persino per noi. Elastico,
malleabile e installabile (legalmente) su n computer senza
doverne comprare ogni volta un’altra copia come invece prevedeva il
confratello della Microsoft di Bill Gates. Nulla da stupirsi che,
come in una fiaba cattiva il nostro Bill sia l’uomo più ricco del
mondo, mentre Lotus è stata comprata da qualcun altro. Nel nostro
mondo le fiabe hanno quasi sempre questo finale.
Di
fiabe cattive, per esempio, si potrebbe scriverne una su un omino che
costruiva condomini semillegali protetto dalla curia milanese, che in
seguito trasmetteva illegalmente su tutto il territorio nazionale
perché amico di un tizio con una «X» nel nome (che non era Darix
Togni) e che poi finisce per diventare presidente del consiglio
italiano. Ma anche la fantasia ha un limite. E questo sono memorie,
non un pezzo di narrativa.
Spalleggiati
da Lotus entrammo trionfalmente nell’era informatica della gestione
del magazzino. Dovemmo diteggiare uno per uno circa ottomila titoli
nel PC – si era nel 1991 – ma poi potevamo caricare, scaricare,
inventariare, incrociare, sondare, preoccuparci e inorridire in un
tempo (all’epoca) brevissimo. Ci mettemmo poco a capire che,
comunque fosse, i titoli erano troppi e il magazzino troppo costoso.
Da
questo problema non ne siamo ancora usciti, per la cronaca.
Ma
soprattutto si evidenziò per la prima volta un tipo di problema che
non avevamo calcolato né previsto. Un po’ quello che accadde a suo
tempo al dottor Frankenstein o al dottor Jeckyll.
Avevamo
generato un doppio virtuale del magazzino. Un fantasma elettronico,
un’ombra che, come nel romanzo di Von Chamisso, costantemente si
ribella al suo padrone. Un fantasma che ci perseguita anche cambiato
il programma, cambiati i PC, cambiata sede…
Una
volta, quando al telefono qualcuno chiedeva se un libro era
disponibile si rispondeva «Un attimo, controllo» e si partiva alla
volta degli scaffali. Dopo un tempo ragionevole si tornava al
telefono e si rispondeva: «Sì», oppure «No». Adesso non c’è
nemmeno bisogno di alzarsi. Si passa al file del magazzino, si
controlla la giacenza e si risponde.
In
genere è solo dopo aver posato il ricevitore che si è assaliti dai
dubbi. «Sarà vero?». Il PC indica la giacenza virtuale. Poniamo
che sia «1». A questo numero scritto nella casellina verde della
giacenza corrisponderà un volume in pagine e legature? Non resta che
andare a controllare. Si arriva alla sezione «economici», dove il
libro dovrebbe trovarsi. Nulla. Non c’è. Nemmeno fuori posto.
«Già, ma si tratta di una biografia scientifica». Si riparte verso
lo scaffale che ospita «Storia e filosofia della scienza –
Biografie scientifiche». Nemmeno lì. Nella sezione «Biografie –
Epistolari». Niente. Il soggetto per un po’ ha scritto
fantascienza. Si guarda nella sezione «Fantascienza & Fantasy».
Naturalmente nulla.
Si
comincia a sudare freddo. Il cliente al quale si è detto che il
libro era disponibile viene da Pinerolo: «Dove il libro non si
trova, non si trova proprio».
«Poesia»,
«Informatica», «Chimica»…
Nulla.
«Libri
in offerta», «Bambini»…
Si
sparge il panico.
Lo
si cerca in due, poi in tre.
Nelle
viscere del PC il malefico Doppelgänger del magazzino
sogghigna, pronto a ripresentare il suo malefico «1». Infatti,
qualcuno, ritardatario, ricontrolla e dichiara, pletorico: «Ehi, ma
qui dice che ce n’è ancora una copia». C’è un principio di
rissa. Un cliente entrato proprio in quel momento viene liquidato
brutalmente con un: «Non c’è, vada nella libreria successiva».
Dopo
un’oretta a qualcuno viene in mente una cosa: «Ehi, ma era XY?
L’ho messo nella scatola della resa a Z… dovevo dirtelo, lo so.
Ma mi è passato di mente… Beh, perché fai quella faccia?»
Da
ogni macchina che ferma potrebbe scendere il cliente turlupinato dal
malefico software. C’è un silenzio da Mezzogiorno di
fuoco.
«Glielo
dici tu a quello che viene da Pinerolo».
«Ah…»
Si
apre la porta.
È
il postino.
Sospiro
di sollievo.
Suona
il telefono: «Pronto, qui Libreria Righe & Quadretti. Scusate,
avreste il libro XY? Abbiamo detto a un cliente che c’era. Abbiamo
controllato sul computer e sembrava ci fosse, ma poi… Potreste
prestarcelo?»
In
genere il cliente di Pinerolo ha sbagliato numero e va a fare il
diavolo a quattro all’altro capo della città.
Comunque
dopo qualche avventura di questo genere adesso controlliamo.
Sempre.
O
quasi.
E
diffidiamo del PC e dei suoi voodoo elettronici.
Paradosso
di Shlemil: «Gradi crescenti di tecnologia comportano guai di
complessità tendente a infinito».
Il
prossimo MAduLP sarà interamente dedicato a…
Non
lo so ancora. Sarà una sorpresa.
Anche
per me.
6 commenti:
La parte finale è una scena tipica: entri in libreria, chiedi, il librario che ormai non memorizza più i libri negli scaffali, cerca il libro nel PC e mentre ti risponde che c'è si dirige come un razzo e il braccio proteso, verso lo scaffale, poi, non vedendo il libro, si volta con ancora il braccio sollevato, guarda la collega e: "ma l'hai venduto te?!". Di solito la collega sembra non abbia venduto mai niente!
@Marcella: effettivamente è abbastanza tipico. Nella mia vecchia/nuova veste di semplice cliente l'ho già visto accadere, se non a me, a qualche altro sciagurato. Mi diverte non poco sentire il genere di menzogne inventate sul momento dal personale della libreria.
Sono caduta dalla sedia leggendo questo meraviglioso passaggio di letteratura pura:
"A risolvere parzialmente il problema fu un furto con destrezza condotto da ladri-atleti che in un agosto non ancora ammalato di effetto serra s’involarono i libri più costosi lasciandoci bellamente sulle croste tutta la saggistica politica, i dibattiti, i pamphlet e le testimonianze di rivoluzionari di ogni luogo, tempo e sesso.
Eravamo assicurati, grazie al cielo".
Ma io voglio il libro della storia della libreria! E' magnifico!!!
Anche il Doppelganger informatico! E' verissimo, e succede in tutti i negozi...!
Però la tua libreria aveva un sapore ancora "antico", che per me è un complimento...!
Voto anch'io per un libro di memorie. Che so, "Confessioni di un libraio". Insomma, è una storia avvincente, al di là dei retroscena come sempre illuminanti. Tra l'altro ho sempre visto il PC del libraio come un alleato ambiguo, un'oscura e imperscrutabile presenza. I poveretti che lavorano per una nota-libreria-di-catena, invece, dando le spalle al cliente mentre digitano sono un po' presi nel mezzo. Probabilmente hanno programmi migliori, ma una volta sono stato vittima di un "1".
L'ebook priva i lettori di questo brivido.
@Lady Simmons: scusa per il ritardo nella risposta ma questa giornata è stata interamente dedicata alla famiglia.
Mi ha fatto naturalmente piacere il tuo commento e giuro di prendere in considerazione la possibilità di farne un e-book. Quanto al sapore "antico" della libreria pensa che uno degli scopi della libreria era quello di vendere esclusivamente libri. Una follia, ovviamente, come continuare ad attraversare l'oceano su una goletta in tempi di navi a propulsione nucleare. Una follia che però è durata a sufficienza, in fondo. Quanto basta a farmi sentire in pace con me stesso.
@SX: giuro, lo farò. Magari quando mancherà ancora un pochino a chiudere le puntate previste. Tieni comunque conto che poco o tanto dovrò rimetterci le mani, scrivere una prefazione seria, aggiungere qualcosina, insomma trattarlo come un vero libro. Ma penso sia possibile.
Il meccanismo dell'1 è piuttosto abbastana tipico di librerie che viaggiano a magazzino basso visti i costi dell'immagazzinamento. È un altro modo, in realtà, per denunciare la schiavitù del famoso iR - l'indice di rotazione.
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