Un post in un certo senso «provocato» da qualche riflessione letta qua e là su diversi blog. Osservazioni sparse e qualche riflessione poco seria e poco meditata.
Il punto di partenza è stata l'apparizione di un rotocalco, periodico o portale o raggruppatore - chiamatelo come vi pare - come l'Huffington Post (Huffpost per gli amici) del gruppo Espresso, che decide di valersi della collaborazione di duecento blogger specificando, nella persona del suo direttore Lucia Annunziata, che, comunque, «non verranno pagati», in quanto i testi dei blog sono «riflessioni e commenti su fatti di pubblico dominio». Punto e basta.
Un'interessante discussione sul blog di Davide, ampliava e articolava la discussione, sollevando eccezioni e creando commenti degni di attenzione. Appariva, tra l'altro, un'osservazione non facile da rimuovere. Se i blogger - che non sono una categoria univoca, come specificava Davide - non meritano alcun pagamento per le loro opinioni, perché mai gli opinionisti ospitati in importanti testate vedono retribuito il loro sforzo?
Dicono cose più vere, più meditate, si basano su attente osservazioni e su raffinati studi?
Può darsi, certo, ma la sensazione netta è che nel 90% dei casi gli opinionisti ripetano con alate parole ciò che il lettore meditava già per conto suo. Se pensi che gli immigrati siano la rovina del paese ti leggi il fondo di Belpietro o di altri simili unternmenschen e ti rimpannucci nelle tue quattro ideuzze, se pensi che il posto giusto di Berlusconi sia in una cella 2x2 ti spari l'articolone di Travaglio, gongolando a ogni giro di vite e ad ogni sarcasmo del bellissimo Cecè.
Questo, detto per inciso, è uno dei motivi per i quali la stampa periodica italiana non è il massimo per nessuno.
Per trovare articoli che comunichino qualcosa di utile o di inatteso si deve in genere aspettare le traduzioni di articoli di economisti o politici stranieri o cercare direttamente giornali on line e articoli pubblicati sul web.
Insomma, non ci siamo.
Il vero motivo non può essere quello presentato dall'Annunziata.
Le opinioni di alcuni blogger valgono più o meno come quelle pubblicate sui giornali. Certamente girano opinioni idiote, provinciali, disinformate, risibili e assurde, ma nessuno, credo, pensa di confondere un parere serio e motivato sul comparto ortofrutticolo in Italia con le recriminazioni del pensionato sui prezzi del verduriere arabo. La realtà, temo, è che i giornalisti professionisti (e prima ancora, le proprietà) temono - e non poco - la quantità impressionante di pareri, in non pochi casi seri e motivati, di blogger che scrivono e presentano le proprie riflessioni e conclusioni su millanta fatti, eventi, fenomeni e processi, dalla ripresa dell'Inter in campionato agli effetti dello sviluppo dei nanochip sulla computabilità algebrica.
Si tratta di INFORMAZIONE, scritto tutto maiuscolo, che sarà anche gratuita ma certo non è inutile.
Anzi.
La nostra tendenza ad esibirci, mostrando la nostra sgargiante coda di informazioni, ci obbliga a sciorinare nei blog la nostra competenza e la nostra esperienza. Io, per esempio, ho una considerevole esperienza in tema di libri e sono narcisisticamente fiero e soddisfatto di presentare tale bagaglio di conoscenze su questo blog. Non mi azzardo a esprimere il mio parere su temi che non ritengo di conoscere a sufficienza, ma non ho problemi a commentare fatti e situazioni che riguardino in qualsivoglia modo il mondo editoriale. Senza preoccuparmi di indisporre qualcuno.
Qualcuno, scherzando, mi ha fatto notare che potrei anche chiedere del vile denaro ogni volta che divulgo un «segreto» del mio mestiere. Ma ho riso e sono passato oltre. Per farsi pagare ci vuole una disciplina mentale che non posseggo. Dovrei prendere in considerazione la possibilità di rendere questo blog un'attività remunerata, rivolgendo ogni mia attenzione e ogni mia attività a rendere il blog più vivace, più informato, più attento, più...
No, non se ne parla proprio.
Preferisco rimanere un inutile blogger.
Uno che parla senza sapere.
Uno che allinea parole per il puro gusto di farlo.
Uno che scrive per temperamento personale e per smanie infantili.
Un tecnonarcisista.
Ma qualcuno, qualche maledetto blogger fa davvero informazione e ancor di più la farà negli anni a venire.
E la proprietà dei grandi mezzi di comunicazione - e la corporazione dei giornalisti - corre molto più di qualche rischio.
Non è così?
16 commenti:
Noi blogger come manovalanza, quindi. Diciamo che vengono pagati solo i giornalisti servi; diciamo che non si pagano articoli con “riflessioni e commenti” ma articoli con programmi politici e inchini; peccato che non mi possa candidare tra tutti questi blogger “non pagati” dato che sono già una giornalista non pagata, hai visto mai avanzassi poi delle pretese? Ma la Annunziata non faceva parte delle donne impegnate-intelligenti che non si truccano e nonostante la non evidente bellezza ce l’hanno fatta? In effetti, un posto da direttore lo trova sempre; ben pagato perché non esprime le sue opinioni?
@Marcella A.: manovalanza, infatti. Dalla quale estrarre qualche benemerito «promosso» a fare il giornalista gratuito. Ci dev'essere qualcosa che non funziona, in questo ragionamento. In genere un lavoro dorebbe essere pagato, lo diceva persino Gesù Cristo. Ma se stabilisco che essere un blogger non è un lavoro (in fondo si divertono, no?) ne consegue che posso utilizzare le loro carte senza problemi. Quanto all'Annunziata confesso la mia profonda antipatia per il soggetto un po' perché mi ricorda maledettamente la mia inutile prof di chimica, un po' perché è davvero una donna per tutte le stagioni.
La frase della Annunziata è a dir poco profondamente infelice,ce siamo d' accordo anche perchè esprime alla perfezione la classica mentalitá del classico datore di lavoro italico ovvero del << ringrazia il cielo che ti consento di lavorare>>, naturalmente aggratis,naturalmente senza qualsivoglia tipo di tutele o garanzie. Insomma il frutto della deregulation piú spietata.
Forse sarebbe ora che si abolisse una struttura come l' ordine professionale dei giornalisti, magari le cose cambierebbero.
@Nick: piccola premessa del tutto personale: mi fa davvero piacere per come ti stanno andando le cose; come dicevi qualche tempo fa su questo blog: «non può piovere per sempre» : )
In secondo luogo, penso anch'io sarebbe un bene eliminare l'ordine dei giornalisti ma abbiamo già fatto un referendum che è stato puntualmente disatteso, che cosa possiamo ancora fare? Quanto alla deregulation più spietata, direi che si tratta di un modo di procedere che ha fatto scuola anche tra coloro che si proclamano di sinistra. Mi ricorda un pochino - ma soltanto un pochino - quelli che vogliono rottamare tutto...
Grazie max, diciamo che per ora si tratterebbe di quindici giorni in cui sarei reperibile, questo mi dà la possibilità di rientrare nella rotazione turnistica.
Adesso sono già due giorni su tre che sono al lavoro.
Però dai è un inizio. ;)
Grazie per la vicinanza.
Molti blogger sono anche una minaccia per numerosi giornalisti.
Abbiamo provato che non serve essere iscritti all'albo dei giornalisti per scrivere buoni, ottimi articoli, anche fuori dai dettami sociali e politici (cosa che molte testate ufficiali e strapagate dalla pubblicità non riescono più a fare).
Insomma rompiamo le palle perchè non stiamo zitti.
E l'Huffpost e la Annunziata potranno blaterare quanto vogliono.
Noi parleremo sempre, e spesso meglio di loro.
@Nick: è stato un piacere. Tu tienmi (e tienci) informato/i.
@Lady Simmons: centro! I blogger - e dire «buoni» è inutile - sono i nuovi giornalisti. Ovviamente non è facile immaginare un mondo dei media dominato da un'organizzazione della notizia e da flussi di informazioni strutturati in maniera completamente diverso dal modello attuale, ma ci arriveremo. Non sarà facile, ma sarà bene attrezzarci. Il redde rationem è più vicino di quanto possiamo pensare.
"Tecnonarcisista" mi piace!
Potrei rubartelo.
Come dici tu, c'è parecchia competenza in alcuni blog che sui giornali manca. Dipende però di cosa si parla. Sull'attualità i giornalisti sono decisamente più ferrati, perché hanno il polso del lettore. Il mio prof di italiano alle superiori, ex giornalista, provò a spiegarci come scrivere davvero un articolo, ma eravamo troppo naïve per capire cosa ci stesse dicendo.
Se può aiutare la discussione, ho conosciuto uno scrittore, ignoto ma che riesce a vivere delle sue parole, che non considerava la sua fonte di reddito come un lavoro. Ed era il suo lavoro, perbacco!
@SX: le scemenze mi vengono facili e numerose, direi che puoi anche derubarmi :)
Il grosso vantaggio dei giornalisti è quello di poter contare sulle agenzie di stampa che giornalmente li informano sulle cose che avvengono mentre avvengono. E questo non è poco, per chiunque segua l'attualità. Se, putacaso, ogni giorno ricevi comunicazioni dalla REUTER sulla situazione in Afghanistan potrai comunicare senza problemi con i tuoi lettori senza passare sotto nessun padrone. Quanto allo scrittore, sarebbe davvero interessante saperne qualcosa in più.
Il vero problema è sostenere che una categoria qualsiasi, a priori, non abbia diritto ad un riconoscimento della propria attività.
Riconoscimento che non deve essere necessariamente monetario - il pagamento è solo la via più rapida e "pesante" con la quale posso segnalare il mio apprezzamento.
Poi ci sono i sistemi "leggeri" per esternare l'approvazione ed il rispetto - ti retwitto, ti rebloggo, ti cito in un mio post, ti segnalo su facebook...
ma per certe cose, è possibile programmare un robot.
Da oltre un anno un blog che si intitola "I Cittadini Prima di Tutto" reblogga ogni mia riga postata su strategie evolutive.
Segno di rispetto o automatismo?
Meglio quello, in termini di rapporto umano, o la persona che anonimamente accede alla mia wishlist su Amazon e mi regala due euro di ebook?
Ciò che mi ha maggiormente sorpreso, comunque, dell'intero ambaradàn, è stata la levata di scudi non solo di tanti lettori, ma di tanti blogger, all'idea di ricevere un obolo attraverso un pulsante per le donazioni.
Espressioni come "accattonaggio", "barboni" e quant'altro si sono sprecate.
E a me è tornata in mente quella volta, tanti anni fa (almeno trenta), che Severino Gazzelloni in jeans e maglione suonò il suo flauto d'oro su un angolo di una via del centro di Milano, e non alzò il minimo per pagarsi una pizza.
@Davide: scusa per il ritardo. Il vero problema, credo, nasce dall'essere un blog all'incrocio tra caratteristiche diverse e non di rado assolutamente antitetiche. Su un blog si possono recensire libri ma anche proporne di propri, ragionare sull'attualità – pur senza averne (e non per propria colpa) gli strumenti – e contemporaneamente partecipare a campagne e sostenere punti di vista, parlare di musica e proporne... in sostanza si è cuochi e commensali sullo stesso tavolo, continuando a presentare se stessi, sia pure con diversi cappelli. Quando si progetta di richiedere un qualche genere di pagamento credo lo si debba fare in cambio di «qualcosa», in sostanza individuare un tema – un soggetto, un esercizio, una fissazione – e proporsi in qualità di esperti assoluti di quel tema. E chiedere denaro, ovviamente, dal momento che ci si sbatte per offrire qualcosa che altrove non troveresti.
E, molto probabilmente, creare un blog apposito per quell'esercizio.
In un mondo di blogger tutti variamente innamorati di se stessi – e il sottoscritto non si chiama certo fuori – e di blog spesso visibilmente irrilevanti, venirsene fuori con un «sì, ma io vorrei essere pagato» sembrerebbe il modo migliore di farsi sbertucciare da tutti e «far provvista di carciofi e di patat», come cantava Petrolini. Ecco, il problema vero è che il piccolo narcisismo dei blogger è nemico di ogni possibile evoluzione nel settore. Si tratta di cominciare a ragionare sull'evoluzione dei blog, lasciandosi alle spalle ogni volenteroso e catastrofico dilettantismo.
@Max: Approfondirò la tesi dello scrittore in una delle mie riflessioni sconnesse. Anche perché è interessante.
@SX: ottimo. Ti terrò d'occhio.
Ci sono tantissime differenze tra la figura del blogger e quella del giornalista, secondo me. E non si tratta solo di denaro. Ci vuole proprio una mentalità diversa nella divulgazione delle informazioni, a mio avviso. Io sono una blogger e sono fiera di quel poco che faccio per parlare di argomenti che amo e sui quali sento di poter dire qualcosa di anche solo vagamente utile. Collaboro saltuariamente anche per un giornale (non mi definisco giornalista per questo), ma dietro ci sono tutte altre logiche e altri vincoli. Gestisco (insieme ad altri) anche un piccolo periodico locale e anche in questo caso ci sono motivazioni e scopi diversi.
Un blogger dovrebbe essere pagato come un giornalista? Secondo me, no. Attenzione, però, mi riferisco al "dovrebbe", perché credo che un blogger che tiene il suo blog per passione sia già appagato così. Poi ovviamente se riuscisse a guadagnare qualcosa non sarebbe di certo male! Insomma, io come blogger non esigo un pagamento, ma non mi arrabbierei se qualcuno decidesse di finanziare i miei sforzi (a patto di poter continuare a scrivere liberamente ciò in cui credo).
Questione molto complessa, in ogni caso!
@Romina: anch'io sono convinto che fare il giornalista non è come fare il blogger, esattamente come sono arcisicuro che chiedere denaro in cambio delle proprie opinioni non è serio. Però resta il fatto che un Blogger può esprimersi come un giornalista sulla situazione attuale e talvolta in maniera raffinatamente informata. La differenza fondamentale sta, io credo, nella disponibilità di informazioni, ovvero nella possibilità di attingere alle info provenienti dalle agenzie di stampa.
Se io, tu o chiunque altro ricevessi ogni giorno le informazioni dalla Reuter saremmo chiamati a fare del giornalismo e non solo a sparare quello ci pare e quando ci pare. L'essere blogger, da un certo punto di vista, è una fortuna : )
Compito di un giornalista è quello di informare, sic et simpliciter, molto meno quello di esprimere il tuo parere giornalmente su tutto e tutti. In questo senso i blogger sono «fuori», anche se la loro vocazione da giornalisti rimane. E questo finirà fatalmente per pesare nel futuro delle comunicazioni.
Io ho lavorato per una quindicina d'anni in un periodico trimestrale dedicato ai libri, con tanto di direttore responsabile - ovvero un giornalista - e una platea - nei momenti migliori - di un qualche centinaio di lettori. E «fare» il giornalista non assomiglia per nulla a fare il blogger, a meno di autoimporsi una disciplina da armata imperiale nipponica. Ciò non toglie che non esista una differenza «reale» e che taluni blogger siano altrettanti acuti ossservatori, perfettamente in grado di informare.
Ciò che andrebbe eliminato da subito è l'ordine dei giornalisti, una cosa che peraltro abbiamo già fatto grazie a un referendum ma che non è mai stata attuata.
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