Il vagare nell'interminabile foresta sotterrata di Klog e dei suoi amici continua fino a quando non incontreranno i veri abitanti della titanica grotta. |
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–
Ehi, Basso Okme, dove ti sei nascosto?
Il
richiamo di Matushka ha per unica risposta un'eco distorta che cessa
all'improvviso, come assorbita dagli alberi.
–
Non capisco. Era qui fino ad un attimo fa. – Klog si sporge in
avanti cercando inutilmente di mettere a fuoco lo sguardo. – Mi ha
indicato queste orme.
Gudre
Yinnu si inginocchia a terra seguito dallo sguardo sospettoso di
Fahgön.
–
Mai viste simili tracce.
–
Sono confuse, come se qualcuno avesse tentato di cancellarle con una
coperta.
–
È vero! Hai occhio boldhovin.
Klog
sorride soddisfatto solo per un attimo. – È stato Basso Okme a
farmelo notare. Ma adesso cosa facciamo?
–
Senti questo rumore?
–
Mi sembra pioggia, ma molto lontana.
Il
Neek scuote il capo. – No, non è la pioggia. Quando ci
avvicineremo diverrà un boato e una volta giunti non riusciremo più
neppure a udirci tra noi. È la Sorgente.
–
E Basso Okme?
Gudre-Yinnu
si stringe nelle spalle. – Sarà qui nei dintorni. Quando avremo
finito la colazione arriverà.
Consumano
il cibo in silenzio, nonostante i tentativi del Neek di attaccare
discorso. A turno Plinio, Matushka e Klog si affacciano all'apertura
dell'albero per controllare.
–
Sarebbe ora di partire.
–
Non è ancora tornato. – Dice a bassa voce Matushka.
–
Lasceremo qui qualcuno ad aspettarlo.
–
NO!
Gudre-Yinnu
si volta di scatto. – E perché mai, Fahgön?
–
Siamo pochi e là fuori vi sono creature che possono assalirci, nate
e cresciute qui. In casi come questi innanzi tutto non bisogna
dividersi.
–
Bene, allora andremo tutti insieme alla sorgente. In quanto a Basso
Okme quando tornerà ci attenderà qui.
–
E se non dovesse tornare? Se qualcuno glielo impedisse? Le orme le
abbiamo viste tutti.
Gli
occhi del Neek per un attimo si accendono di un bagliore intenso. –
E dovremmo vagare per la foresta a cercarlo? Mentre la Sorgente è là
ad attenderci?
Nessuno
trova nulla da rispondere. Scorrono lunghi minuti mentre il fruscìo
delle acque remote si fa più forte, quasi ipnotico.
–
Io vado. Non posso attendere ancora. – Gudre-Yinnu si alza e cinge
la ejiri. – Se potete attendetemi qui, altrimenti addio.
I
cervi ed i tre amici di Sibiell lo guardano mentre calza gli stivali
e si carica sulle spalle lo zaino. Senza più parlare il notturno
esce all'aperto, si guarda intorno per un attimo e si allontana.
–
Bello avere le idee chiare. – Commenta Klog dopo un po'. –
Conviene aspettare che abbiano preso anche lui per fare un'unica
spedizione.
Fahgön
emette un verso bellicoso. – Stupido. Stupido e bugiardo. Seguiremo
le tracce finchè possibile e ritroveremo Basso Okme.
–
E poi? Come faremo a uscire di qui?
–
Ritroveremo anche il Neek. Sarà lui a portarci fuori.
–
Queste orme sono maledettamente confuse. E finora del corvo di legno
non ne ho viste.
–
Non è mica strano, sai Plinio? Se lo trasportano loro avrà pure
qualche difficoltà a lasciare tracce.– Il tono della volpe è
pungente ma il gatto non ci fa caso.
– Già. Questo è vero. Cos'ha detto di preciso, Klog?
–
Che le creature che abitano qui… Ma che noia! L'avrò già detto
almeno venti volte!
–
Dillo per la ventunesima.
Il
Boldhovin sbuffa. – Che le creature che abitano qui devono avere
occhi molto diversi dai nostri. Che camminano su due gambe come noi.
E che probabilmente gli somigliano.
–
Se fosse vero il nostro amico non avrebbe troppo da temere.
–
Dici Plinio? Già, d'altro canto se non sono tarli non credo vogliano
mangiarlo.
Un
brontolio seccato di Fahgön fa tacere bruscamente la volpe. I cervi
si sono disposti a croce intorno a loro ed il poderoso Grandirami
marcia a sinistra, sollevando spesso il capo ad annusare l'aria.
–
Ehilà, si sentono odori strani? – Chiede Klog dopo un'annusata
particolarmente lunga.
Il
cervo rotea appena gli occhi e gli lancia un'occhiata omicida. –
Sì.
–
Capisco. – Klog annusa rumorosamente l'aria ma tutto ciò che
riesce a sentire è l'odore umido di pioggia da poco terminata e il
fresco profumo dell'erba. Il Boldhovin fa qualche altro tentativo poi
si stringe nelle spalle, affonda la mano nella borsa per controllare
se la Pietragemella è sempre al suo posto e si guarda intorno,
cercando di sorprendere qualcosa o qualcuno spostando lo sguardo
all'improvviso. Ma anche quel gioco lo annoia ben presto: la luce
chiara ed immobile stanca la vista e in compenso la sensazione di
giocare al gioco delle belle statuine con l'intero bosco non cessa.
Dopo
un'ora di cammino lento e silenzioso, seguendo tracce poco visibili
ed annusando l'aria, sono costretti a fermarsi.
–
Ma sono passati di qua?
Plinio
si affaccia sulla riva, contempla le proprie fattezze deformate dal
lento flusso dell'acqua e annuisce. – Le tracce finiscono. Se non
sono volati via devono essere passati di qui.
– E
noi come passeremo? Sarà largo venti braccia.
– Nuoteremo.
La corrente non è troppo forte.
Klog
sbarra gli occhi. – Tu sei matto Fahgön. Hai visto COSA c'è in
queste acque?
Il
cervo non risponde subito. Raggiunge la riva e osserva a lungo le
acque scure. – Sono piuttosto limpide. Ma anche profonde. – Con
un moto improvviso parte al galoppo, costeggiando il torrente, quindi
torna indietro, li supera e si allontana nella direzione opposta.
–
Buonanotte. – Matushka parla a voce bassissima. – Anche il
grandirami ha mandato il cervello in vacanza. Credo sia il caso di
cominciare a ragionare in proprio.
– Ecco
qua! – Fahgön si è fermato all'improvviso ed indica con la punta
delle corna qualcosa nascosto nel folto di un cespuglio.
–
…Parrebbe. – Dice Plinio.
–
Non parrebbe! È una barca.
–
È un po' strana, però. Perchè ha quella specie di vela obliqua? –
Domanda Klog.
–
Forse non è una vela. – Matushka aggrotta la fronte. – Forse
serve solo per proteggere dalla pioggia. –
–
Ha molta importanza? – Chiede Fahgön.
–
Non troppa. – Ammette Plinio. – Spingiamola fino alla riva.
Ma
anche mentre la spingono Klog e il gatto non possono fare a meno di
pensare che una barca simile, sagomata a mezza oliva e quasi
interamente coperta da una tela che scende dal piccolo albero di prua
fino a poppa non si è mai vista prima.
Plinio
viene giudicato abbastanza robusto per fungere insieme da timoniere e
da rematore e con quattro trasbordi si trovano tutti dall'altra
parte.
–
Bene. E adesso?
–
Bisogna ritrovare le tracce.
–
E bravo il mio Grandirami. E se quelli si fossero fatti una rematina
di una trentina di miglia o in su o in giù?
Fahgön
scuote la testa. – Con una barca tanto piccola? E poi più giù ci
sono sicuramente delle rapide, mentre remare controcorrente è
faticoso. Quindi i nostri nemici devono essere per forza da queste
parti.
–
Forse non hai torto. Cerchiamo. – Ammette Klog, tutto sommato
stupito della perspicacia del cervo. Dopo qualche minuto tuttavia il
Boldhovin ridacchia notando che comunque Fahgön ha dato un saggio
della sua mentalità con quel "nemici" affibbiato a
creature finora assolutamente sconosciute.
Dopo
mezz'oretta di ricerche, però comincia a nascergli il dubbio che le
geniali conclusioni del cervo fossero assolutamente campate per aria.
Si sono levate sì alcune voci per dire "li ho trovati", ma
si trattava in genere di segni lasciati da loro stessi.
All'ennesimo
urlo: "Attenti! Sono qui!" Klog non alza nemmeno la testa e
continua a fissare un ciuffo di erba candida semicalpestato.
–
Alzati, splendente.
Il
Boldhovin solleva il capo ruotandolo di lato e si trova sotto il naso
la punta di una freccia. Si alza con molta cautela. La creatura che
lo tiene sotto tiro è poco più alta di lui e coperta da abiti di
una stoffa stranamente opaca e scura. Il volto è sottile e rugoso,
coriaceo come quello di un Gu'Hijirr, ma ha occhi sottilissimi che
sembrano prolungarsi sulle tempie senza terminare del tutto.
Gli
ci vuole qualche secondo per capire che quel bizzarro effetto è
ottenuto con due linee disegnate direttamente sulla pelle che
scompaiono sempre più fini sotto le stoffa che ricopre il capo.
–
Cosa vuol dire splendente? E come mai ti capisco?
L'indigeno
apre la bocca senza parlare e schiocca la lingua, che ha robusta e
appuntita come quella di una tartaruga.
–
Allora, fratello: cosa vuol dire splendente?
Nemmeno
questa volta la creatura gli risponde. Si limita a dargli una piccola
spinta con la punta della freccia incoccata in un lungo arco ed a
indicargli i suoi compagni, riuniti vicino alla piccola barca e
circondati da un folto gruppo di arcieri.
Klog
si avvia mestamente, tallonato dal suo guardiano, chiedendosi
stavolta chi mai verrà a salvarli.
–
Si cade un po' troppo spesso in imboscate eh, Grandirami?
Fahgön
si limita a lanciargli uno sguardo sprezzante e torna a fissare con
aria bellicosa i nemici che teneva tanto ad incontrare.
–
Mi hanno chiamato splendente. Sarà un complimento? – Chiede a
Matushka.
–
Non credo. Vedi loro come sono vestiti? Hai guardato i nostri abiti?
Klog
abbassa lo sguardo. Le minuscole creature di cui aveva parlato il
Neek hanno trovato asilo anche sui loro abiti che brillano della
stessa luce argentea e lunare che illumina la selva.
–
Oh, bella. E perché i loro vestiti… – Si interrompe. Ben strana
la stoffa dei quali sono tessuti, leggera come seta non pare avere
maggior consistenza della tenebra notturna. È un'isola di oscurità
assoluta, come buio rappreso ed indossato. Dalle spalle strette e
ossute scendono ampi mantelli che accarezzano la terra.
–
Probabilmente oscuro e splendente sono i due termini che significano
buono e cattivo. – Dice Plinio. – E noi siamo nella categoria
sbagliata.
–
Cosa vogliono fare, accopparci tutti?
–
Mi paiono comunque almeno incuriositi. Ci porteranno nella loro città
e là ci saranno dei signori che decideranno della nostra sorte.
Il
Boldhovin aggrondato li guarda per un po'. Non sono più espressivi
del tronco di una quercia e parlottano tra loro in una lingua
soffiata ed aspirata che li trasforma in tanti piccoli mantici.
–
Plinio, tu che sai tante cose. Come mai prima li abbiamo capiti ed
ora non più?
–
Puoi farmi la domanda anche in un altro modo, Matushka. Come mai
conoscono la lingua che si parla dalla parti di Canddermyn?
–
Ecco, appunto.
–
Non ne ho la più pallida idea. Eppure con facce come quelle se ne
avessi incontrati me li ricorderei. Magari con le loro barchette
risalgono il mare Obliquo e arrivano ovunque.
–
Andiamo, splendenti. – Ordina una voce. Circondati dai loro
guardiani si inoltrano nella foresta, diretti alla Città degli
Oscuri.
Non
devono camminare troppo a lungo per giungere a destinazione. Passato
un tratto di selva fitto di alberi simili a mastodontiche betulle la
città degli Oscuri si rivela improvvisa, distesa appena oltre una
collina.
Ha
vie nette, rettilinee, che brillano debolmente tra i palazzi bassi e
ampi, dipinti o costruiti della stessa misteriosa oscurità che veste
i suoi abitanti.
Il
piccolo gruppo di viaggiatori si immobilizza silenzioso e persino i
cervi sembrano colpiti dallo spettacolo. La città non è molto
grande e le nove altissime torri, sottili aghi di tenebra che
spiccano sullo sfondo argenteo e diafano degli alberi, le donano
slancio e bellezza come ad una costruzione divina.
"…
I Gu'Hijirr Bruni…" Sussurra Plinio e Klog è improvvisamente
sicuro che il gatto abbia detto la verità. Quelle strane creature
devono far parte per forza della Gente Perduta, del Popolo Eterno
come amavano chiamarsi.
Scendono
dalla cima dell'altura non più spaventati ma sentendosi creature da
poco, volgari intrusi giunti al cospetto dei Signori dei Secoli.
Nelle
vie, disposte a corona attorno ad ogni torre, circola poca gente,
quieta e stranamente silenziosa, che non sembra far loro minimamente
caso.
–
Hai visto, Klog? I mantelli non sono tutti della stessa lunghezza. –
Mormora a un certo punto Matushka.
–
Non me ne ero accorto. Ma tu hai visto che non ci sono piccoli in
giro?
–
Eh, già. Magari li tengono chiusi in casa.
Quasi
per smentire il Boldhovin due minuscoli Oscuri escono tenendosi per
mano da una porta bassa decorata dal disegno di piccole campane
argentate.
I
due piccoli li studiano per qualche istante con evidente curiosità,
fermi davanti alla soglia della costruzione, il piccolo mantello che
non arriva a toccare il suolo. L'esame dura il tempo del loro
passaggio quindi, senza che nessuno abbia loro rivolto la parola, si
allontanano nella direzione opposta sempre tenendosi per mano.
–
Che piccoli ben educati. – Plinio sorride. – Siamo finiti in
mezzo a gente civile, si direbbe.
–
Loro magari lo saranno anche, ma ti sei chiesto cosa pensano di noi,
eh, testone?
–
Già. – Il gatto medita per qualche istante. – Sarà meglio
comportarsi bene.
Ai
piedi della grande torre si stende una piazza circolare, circondata
da un colonnato dagli archi molto acuti. Ubbidendo ad un ordine
silenzioso i loro guardiani si allontanano andando a prendere posto a
fianco delle colonne. Ai prigionieri non resta altro da fare che
guardarsi intorno, nell'attesa di qualcosa, probabilmente dell'arrivo
di qualche importante personaggio del Popolo Eterno.
Il
tempo passa, i secondi si fanno minuti. Stanco per la camminata Klog
si siede sul pavimento a losanghe nere e argento, pulito come quello
di una reggia. Per un po' il Boldhovin fissa i soldati, dritti nella
luce degli archi, con i mantelli ampi e l'alta redingote che rende
sottili i loro visi, poi passa ad esaminare la torre.
L'oscurità
delle sue pareti è attraversata da sottilissimi segni argentati,
probabilmente iscrizioni. Si rialza e, tenendo d'occhio i guardiani
si avvicina. La sua prima impressione si rivela giusta, non solo, ma
Klog si accorge che riesce a comprendere il testo inciso sulla torre.
Si tratta della storia dei Re di Dancemarare, dagli antichissimi
Hejan fino agli Odo ed alla Casa di Artamiro. Legge per qualche
minuto, stupito e infine si volta per guardarsi intorno con rinnovata
curiosità. Forse anche le altre torri sono altrettanto ricche di
iscrizioni. Che cosa racconteranno? Forse la storia della Casa
d'Oriente della Gente Nuova o le leggende di Therrelise e delle
Rocche dei Notturni. E cosa conterranno mai?
"Parole,
Klog, la Memoria dell'Orlo del mondo."
Nella
mente del Boldhovin compare un'alta parete di roccia coperta dalla
calligrafia circolare dei Silvani e per la prima volta riesce a
leggere quei caratteri bizzarri che inutilmente sua madre Armelinda
aveva tentato – con poca pazienza per la verità – di
insegnargli. I graffiti sulla roccia sono semicancellati, segnati dal
color ruggine del muschio, spianati dal vento e dalla pioggia e
mentre li legge ad alta voce nella propria mente sente l'eco di altre
voci accompagnarlo.
"…
Si dovrà conservare la memoria delle mille e mille parole nate dalla
mente dei nati d'aria, di terra, d'acqua, della gente-che-corre,
degli Uomini-di-Luna, del Popolo Eterno e di tutti coloro che avranno
attraversato il cammino dell'Orlo del Mondo, perché di tutto il
tempo trascorso non rimane che la materia più leggera e volatile: le
parole… "
Un
mormorio alle sue spalle interrompe la sua visione e Klog si volge di
scatto verso la Torre, dove una porta si è silenziosamente aperta.
Ad
attraversarla sono due figure ben note: Basso Okme e Gudre-Yinnu. Il
primo concentrato su qualche strano pensiero, lo sguardo distratto e
l'incedere svagato, il secondo animato da un'impazienza rabbiosa, che
rende ogni suo passo un esercizio di furore appena trattenuto.
–
Basso Okme, Gudre Yinnu! Come state, cosa fate qui?
–
Klog… – Il corvo di legno si scuote e allarga il becco come il
suo collega della fiaba. – E cosa ci fate qui tutti quanti?
–
Questo l'ho chiesto prima io. Vi hanno preso gli Oscuri no? Beh,
anche noi.
Il
Neek sorride a labbra strette. – Ci siamo ritrovati alla fine.
–
Io l'avevo detto. – L'inconfondibile Fahgön scruta con poca
benevolenza il quasi-notturno e aggiunge: – Ci lasceranno andare?
–
È probabile. – Un terzo personaggio è scivolato alle spalle dei
loro compagni passando dalla porta della Torre: un Oscuro dal viso
ancor più rugoso dei suoi compagni e dal mantello molto lungo ed
ampio.
–
Tu sei il Custode delle Parole. – Klog ha parlato ancor prima di
rendersene conto. Porta una mano alla bocca stupito e si inchina per
scusarsi.
–
Non scusarti, Boldhovin, so che hai parlato con la Voce dei Fratelli
Immobili. Sì io sono uno dei Sette Custodi delle Parole. –
L'anziano Oscuro alza lo sguardo verso il cielo con espressione
indecifrabile. – Lo sapete cosa si trova oltre la Città?
– No.
– Rispondono i viaggiatori.
– La
Sorgente del Mare Obliquo. – Dice il Neek.
– Tu
sei una strana persona. Sei un'Anima-Divisa, sempre alla ricerca
della parte che credi di aver perduto.
–
Ho ragione? – Insiste Gudre-Yinnu.
–
Ne abbiamo già parlato. Dalle Acque del Centro nascono i Mari, ma
questo non è importante.
Il
Neek scuote il capo con forza. – Voi siete simili alla mia gente:
volete solo conservare, non conoscere, non trovare.
La
bocca del Guardiano delle Parole si stira in una specie di sorriso. –
Abbiamo visto, abbiamo conosciuto. Forse siamo davvero come la tua
gente. Ma le nostre vite sono così estese da veder consumare una
roccia dal vento e per noi quello è uno spettacolo davvero degno di
attenzione.
–
Cosa c'è oltre la Città? Oltre le Acque del Centro intendo dire. –
L'Oscuro scruta in mezzo ai viaggiatori e vede Matushka. – Ci sono
i Mela, piccola volpe.
–
E cosa sono mai i Mela? – Sbotta Klog.
–
Confusione, follia. Sono gli Accecati, i Perduti. Le loro terre non
hanno confine come la loro anima. Non riescono a separarsi dallo
Splendore.
–
Immagino siano pericolosi. – Commenta Plinio.
–
Hanno spade, lance, corrono sui denti-gialli, attaccano di fronte o
di spalle? – Chiede Fahgön.
–
I Mela non devono essere descritti, viaggiatori. Bisogna vigilare
sulle parole perché esse creano immagini ambigue. I Mela esistono: a
loro modo vivono, sognano e ci minacciano.
–
Non capisco.
–
Non importa Grandirami. Così vi chiamano nella lingua di
Dancemarare, non è vero? Se vi accadrà di incontrarli cercate di
dimenticare chi siete, il vostro obiettivo, le vostre abitudini. –
Il Custode delle Parole indica i soldati schierati sul colonnato. –
Vi daremo una scorta per attraversare quelle terre.
–
Cosa sai di noi?
–
So quanto basta, Boldhovin. So che l'Orlo del Mondo sta nuovamente
smarrendosi e che tu rechi nella tua borsa la Speranza. Gli
uomini-ragnatela, gli Aloq come li chiamate voi, ci hanno avvisato.
–
Vedrò le Acque del Centro? – Chiede Gudre Yinnu.
–
Sì. Ma resterai un'Anima-Divisa.
Il
Neek si stringe nelle spalle. – Sono nato in questa pelle. Possiamo
andare?
–
Un momento, Gudre-Yinnu, aspetta. Cosa c'è oltre i Mela? – Chiede
Klog.
–
Le Foreste sotterrate terminano. Dopo le nostre fortezze di
Mezzo-Cielo c'è il Deserto delle Nubi Rovesciate e ancora oltre
Fieduinn e gli altri giganti di cristallo.
–
Ma da quanto tempo mancate dal nostro mondo? – Chiede Matushka.
–
Uno solo è il mondo. – Il Custode torna a stirare le labbra nel
suo sorriso. – E quindi noi non siamo mai mancati. Lo ricordo
affollato e bizzarro, ma ne serbiamo la memoria attraverso le sue
parole. Una terribile guerra lo sta scuotendo.
–
Artamiro e Bartsodesch.– Dice Fahgön.
–
No. Essi usano le stesse parole. Può separarli solo la superbia,
l'interesse. No, si tratta di una guerra feroce che separa la Gente
Antica dalla Gente Nuova. Le loro parole sono diverse, hanno
differenti significati e questo rende la guerra davvero terribile e
feroce. Andate ora, presto, il Cambiamento avanza.
2 commenti:
Bravo Max! Ci sono sempre a fare il tifo per te e per la tua scrittura.
@Nick: grazie! Fa molto piacere avere (almeno) un ottimo lettore -_-
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