23.1.20

Il Mare Obliquo 52

Il vagare nell'interminabile foresta sotterrata di Klog e dei suoi amici continua fino a quando non incontreranno i veri abitanti della titanica grotta.
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– Ehi, Basso Okme, dove ti sei nascosto?
Il richiamo di Matushka ha per unica risposta un'eco distorta che cessa all'improvviso, come assorbita dagli alberi.
– Non capisco. Era qui fino ad un attimo fa. – Klog si sporge in avanti cercando inutilmente di mettere a fuoco lo sguardo. – Mi ha indicato queste orme.
Gudre Yinnu si inginocchia a terra seguito dallo sguardo sospettoso di Fahgön.
– Mai viste simili tracce.
– Sono confuse, come se qualcuno avesse tentato di cancellarle con una coperta.
– È vero! Hai occhio boldhovin.
Klog sorride soddisfatto solo per un attimo. – È stato Basso Okme a farmelo notare. Ma adesso cosa facciamo?
– Senti questo rumore?
– Mi sembra pioggia, ma molto lontana.
Il Neek scuote il capo. – No, non è la pioggia. Quando ci avvicineremo diverrà un boato e una volta giunti non riusciremo più neppure a udirci tra noi. È la Sorgente.
– E Basso Okme?
Gudre-Yinnu si stringe nelle spalle. – Sarà qui nei dintorni. Quando avremo finito la colazione arriverà.
Consumano il cibo in silenzio, nonostante i tentativi del Neek di attaccare discorso. A turno Plinio, Matushka e Klog si affacciano all'apertura dell'albero per controllare.
– Sarebbe ora di partire.
– Non è ancora tornato. – Dice a bassa voce Matushka.
– Lasceremo qui qualcuno ad aspettarlo.
– NO!
Gudre-Yinnu si volta di scatto. – E perché mai, Fahgön?
– Siamo pochi e là fuori vi sono creature che possono assalirci, nate e cresciute qui. In casi come questi innanzi tutto non bisogna dividersi.
– Bene, allora andremo tutti insieme alla sorgente. In quanto a Basso Okme quando tornerà ci attenderà qui.
– E se non dovesse tornare? Se qualcuno glielo impedisse? Le orme le abbiamo viste tutti.
Gli occhi del Neek per un attimo si accendono di un bagliore intenso. – E dovremmo vagare per la foresta a cercarlo? Mentre la Sorgente è là ad attenderci?
Nessuno trova nulla da rispondere. Scorrono lunghi minuti mentre il fruscìo delle acque remote si fa più forte, quasi ipnotico.
– Io vado. Non posso attendere ancora. – Gudre-Yinnu si alza e cinge la ejiri. – Se potete attendetemi qui, altrimenti addio.
I cervi ed i tre amici di Sibiell lo guardano mentre calza gli stivali e si carica sulle spalle lo zaino. Senza più parlare il notturno esce all'aperto, si guarda intorno per un attimo e si allontana.
– Bello avere le idee chiare. – Commenta Klog dopo un po'. – Conviene aspettare che abbiano preso anche lui per fare un'unica spedizione.
Fahgön emette un verso bellicoso. – Stupido. Stupido e bugiardo. Seguiremo le tracce finchè possibile e ritroveremo Basso Okme.
– E poi? Come faremo a uscire di qui?
– Ritroveremo anche il Neek. Sarà lui a portarci fuori.
– Queste orme sono maledettamente confuse. E finora del corvo di legno non ne ho viste.
– Non è mica strano, sai Plinio? Se lo trasportano loro avrà pure qualche difficoltà a lasciare tracce.– Il tono della volpe è pungente ma il gatto non ci fa caso.
– Già. Questo è vero. Cos'ha detto di preciso, Klog?
– Che le creature che abitano qui… Ma che noia! L'avrò già detto almeno venti volte!
– Dillo per la ventunesima.
Il Boldhovin sbuffa. – Che le creature che abitano qui devono avere occhi molto diversi dai nostri. Che camminano su due gambe come noi. E che probabilmente gli somigliano.
– Se fosse vero il nostro amico non avrebbe troppo da temere.
– Dici Plinio? Già, d'altro canto se non sono tarli non credo vogliano mangiarlo.
Un brontolio seccato di Fahgön fa tacere bruscamente la volpe. I cervi si sono disposti a croce intorno a loro ed il poderoso Grandirami marcia a sinistra, sollevando spesso il capo ad annusare l'aria.


– Ehilà, si sentono odori strani? – Chiede Klog dopo un'annusata particolarmente lunga.
Il cervo rotea appena gli occhi e gli lancia un'occhiata omicida. – Sì.
– Capisco. – Klog annusa rumorosamente l'aria ma tutto ciò che riesce a sentire è l'odore umido di pioggia da poco terminata e il fresco profumo dell'erba. Il Boldhovin fa qualche altro tentativo poi si stringe nelle spalle, affonda la mano nella borsa per controllare se la Pietragemella è sempre al suo posto e si guarda intorno, cercando di sorprendere qualcosa o qualcuno spostando lo sguardo all'improvviso. Ma anche quel gioco lo annoia ben presto: la luce chiara ed immobile stanca la vista e in compenso la sensazione di giocare al gioco delle belle statuine con l'intero bosco non cessa.
Dopo un'ora di cammino lento e silenzioso, seguendo tracce poco visibili ed annusando l'aria, sono costretti a fermarsi.
– Ma sono passati di qua?
Plinio si affaccia sulla riva, contempla le proprie fattezze deformate dal lento flusso dell'acqua e annuisce. – Le tracce finiscono. Se non sono volati via devono essere passati di qui.
– E noi come passeremo? Sarà largo venti braccia.
– Nuoteremo. La corrente non è troppo forte.
Klog sbarra gli occhi. – Tu sei matto Fahgön. Hai visto COSA c'è in queste acque?
Il cervo non risponde subito. Raggiunge la riva e osserva a lungo le acque scure. – Sono piuttosto limpide. Ma anche profonde. – Con un moto improvviso parte al galoppo, costeggiando il torrente, quindi torna indietro, li supera e si allontana nella direzione opposta.
– Buonanotte. – Matushka parla a voce bassissima. – Anche il grandirami ha mandato il cervello in vacanza. Credo sia il caso di cominciare a ragionare in proprio.
– Ecco qua! – Fahgön si è fermato all'improvviso ed indica con la punta delle corna qualcosa nascosto nel folto di un cespuglio.
– …Parrebbe. – Dice Plinio.
– Non parrebbe! È una barca.
– È un po' strana, però. Perchè ha quella specie di vela obliqua? – Domanda Klog.
– Forse non è una vela. – Matushka aggrotta la fronte. – Forse serve solo per proteggere dalla pioggia. –
– Ha molta importanza? – Chiede Fahgön.
– Non troppa. – Ammette Plinio. – Spingiamola fino alla riva.
Ma anche mentre la spingono Klog e il gatto non possono fare a meno di pensare che una barca simile, sagomata a mezza oliva e quasi interamente coperta da una tela che scende dal piccolo albero di prua fino a poppa non si è mai vista prima.
Plinio viene giudicato abbastanza robusto per fungere insieme da timoniere e da rematore e con quattro trasbordi si trovano tutti dall'altra parte.
– Bene. E adesso?
– Bisogna ritrovare le tracce.
– E bravo il mio Grandirami. E se quelli si fossero fatti una rematina di una trentina di miglia o in su o in giù?
Fahgön scuote la testa. – Con una barca tanto piccola? E poi più giù ci sono sicuramente delle rapide, mentre remare controcorrente è faticoso. Quindi i nostri nemici devono essere per forza da queste parti.
– Forse non hai torto. Cerchiamo. – Ammette Klog, tutto sommato stupito della perspicacia del cervo. Dopo qualche minuto tuttavia il Boldhovin ridacchia notando che comunque Fahgön ha dato un saggio della sua mentalità con quel "nemici" affibbiato a creature finora assolutamente sconosciute.
Dopo mezz'oretta di ricerche, però comincia a nascergli il dubbio che le geniali conclusioni del cervo fossero assolutamente campate per aria. Si sono levate sì alcune voci per dire "li ho trovati", ma si trattava in genere di segni lasciati da loro stessi.
All'ennesimo urlo: "Attenti! Sono qui!" Klog non alza nemmeno la testa e continua a fissare un ciuffo di erba candida semicalpestato.
– Alzati, splendente.  


Il Boldhovin solleva il capo ruotandolo di lato e si trova sotto il naso la punta di una freccia. Si alza con molta cautela. La creatura che lo tiene sotto tiro è poco più alta di lui e coperta da abiti di una stoffa stranamente opaca e scura. Il volto è sottile e rugoso, coriaceo come quello di un Gu'Hijirr, ma ha occhi sottilissimi che sembrano prolungarsi sulle tempie senza terminare del tutto.
Gli ci vuole qualche secondo per capire che quel bizzarro effetto è ottenuto con due linee disegnate direttamente sulla pelle che scompaiono sempre più fini sotto le stoffa che ricopre il capo.
– Cosa vuol dire splendente? E come mai ti capisco?
L'indigeno apre la bocca senza parlare e schiocca la lingua, che ha robusta e appuntita come quella di una tartaruga.
– Allora, fratello: cosa vuol dire splendente?
Nemmeno questa volta la creatura gli risponde. Si limita a dargli una piccola spinta con la punta della freccia incoccata in un lungo arco ed a indicargli i suoi compagni, riuniti vicino alla piccola barca e circondati da un folto gruppo di arcieri.
Klog si avvia mestamente, tallonato dal suo guardiano, chiedendosi stavolta chi mai verrà a salvarli.
– Si cade un po' troppo spesso in imboscate eh, Grandirami?
Fahgön si limita a lanciargli uno sguardo sprezzante e torna a fissare con aria bellicosa i nemici che teneva tanto ad incontrare.
– Mi hanno chiamato splendente. Sarà un complimento? – Chiede a Matushka.
– Non credo. Vedi loro come sono vestiti? Hai guardato i nostri abiti?
Klog abbassa lo sguardo. Le minuscole creature di cui aveva parlato il Neek hanno trovato asilo anche sui loro abiti che brillano della stessa luce argentea e lunare che illumina la selva.
– Oh, bella. E perché i loro vestiti… – Si interrompe. Ben strana la stoffa dei quali sono tessuti, leggera come seta non pare avere maggior consistenza della tenebra notturna. È un'isola di oscurità assoluta, come buio rappreso ed indossato. Dalle spalle strette e ossute scendono ampi mantelli che accarezzano la terra.
– Probabilmente oscuro e splendente sono i due termini che significano buono e cattivo. – Dice Plinio. – E noi siamo nella categoria sbagliata.
– Cosa vogliono fare, accopparci tutti?
– Mi paiono comunque almeno incuriositi. Ci porteranno nella loro città e là ci saranno dei signori che decideranno della nostra sorte.
Il Boldhovin aggrondato li guarda per un po'. Non sono più espressivi del tronco di una quercia e parlottano tra loro in una lingua soffiata ed aspirata che li trasforma in tanti piccoli mantici.
– Plinio, tu che sai tante cose. Come mai prima li abbiamo capiti ed ora non più?
– Puoi farmi la domanda anche in un altro modo, Matushka. Come mai conoscono la lingua che si parla dalla parti di Canddermyn?
– Ecco, appunto.
– Non ne ho la più pallida idea. Eppure con facce come quelle se ne avessi incontrati me li ricorderei. Magari con le loro barchette risalgono il mare Obliquo e arrivano ovunque.
– Andiamo, splendenti. – Ordina una voce. Circondati dai loro guardiani si inoltrano nella foresta, diretti alla Città degli Oscuri.
Non devono camminare troppo a lungo per giungere a destinazione. Passato un tratto di selva fitto di alberi simili a mastodontiche betulle la città degli Oscuri si rivela improvvisa, distesa appena oltre una collina.
Ha vie nette, rettilinee, che brillano debolmente tra i palazzi bassi e ampi, dipinti o costruiti della stessa misteriosa oscurità che veste i suoi abitanti.
Il piccolo gruppo di viaggiatori si immobilizza silenzioso e persino i cervi sembrano colpiti dallo spettacolo. La città non è molto grande e le nove altissime torri, sottili aghi di tenebra che spiccano sullo sfondo argenteo e diafano degli alberi, le donano slancio e bellezza come ad una costruzione divina.
"… I Gu'Hijirr Bruni…" Sussurra Plinio e Klog è improvvisamente sicuro che il gatto abbia detto la verità. Quelle strane creature devono far parte per forza della Gente Perduta, del Popolo Eterno come amavano chiamarsi.
Scendono dalla cima dell'altura non più spaventati ma sentendosi creature da poco, volgari intrusi giunti al cospetto dei Signori dei Secoli.
Nelle vie, disposte a corona attorno ad ogni torre, circola poca gente, quieta e stranamente silenziosa, che non sembra far loro minimamente caso.


– Hai visto, Klog? I mantelli non sono tutti della stessa lunghezza. – Mormora a un certo punto Matushka.
– Non me ne ero accorto. Ma tu hai visto che non ci sono piccoli in giro?
– Eh, già. Magari li tengono chiusi in casa.
Quasi per smentire il Boldhovin due minuscoli Oscuri escono tenendosi per mano da una porta bassa decorata dal disegno di piccole campane argentate.
I due piccoli li studiano per qualche istante con evidente curiosità, fermi davanti alla soglia della costruzione, il piccolo mantello che non arriva a toccare il suolo. L'esame dura il tempo del loro passaggio quindi, senza che nessuno abbia loro rivolto la parola, si allontanano nella direzione opposta sempre tenendosi per mano.
– Che piccoli ben educati. – Plinio sorride. – Siamo finiti in mezzo a gente civile, si direbbe.
– Loro magari lo saranno anche, ma ti sei chiesto cosa pensano di noi, eh, testone?
– Già. – Il gatto medita per qualche istante. – Sarà meglio comportarsi bene.
Ai piedi della grande torre si stende una piazza circolare, circondata da un colonnato dagli archi molto acuti. Ubbidendo ad un ordine silenzioso i loro guardiani si allontanano andando a prendere posto a fianco delle colonne. Ai prigionieri non resta altro da fare che guardarsi intorno, nell'attesa di qualcosa, probabilmente dell'arrivo di qualche importante personaggio del Popolo Eterno.
Il tempo passa, i secondi si fanno minuti. Stanco per la camminata Klog si siede sul pavimento a losanghe nere e argento, pulito come quello di una reggia. Per un po' il Boldhovin fissa i soldati, dritti nella luce degli archi, con i mantelli ampi e l'alta redingote che rende sottili i loro visi, poi passa ad esaminare la torre.
L'oscurità delle sue pareti è attraversata da sottilissimi segni argentati, probabilmente iscrizioni. Si rialza e, tenendo d'occhio i guardiani si avvicina. La sua prima impressione si rivela giusta, non solo, ma Klog si accorge che riesce a comprendere il testo inciso sulla torre. Si tratta della storia dei Re di Dancemarare, dagli antichissimi Hejan fino agli Odo ed alla Casa di Artamiro. Legge per qualche minuto, stupito e infine si volta per guardarsi intorno con rinnovata curiosità. Forse anche le altre torri sono altrettanto ricche di iscrizioni. Che cosa racconteranno? Forse la storia della Casa d'Oriente della Gente Nuova o le leggende di Therrelise e delle Rocche dei Notturni. E cosa conterranno mai?
"Parole, Klog, la Memoria dell'Orlo del mondo."
Nella mente del Boldhovin compare un'alta parete di roccia coperta dalla calligrafia circolare dei Silvani e per la prima volta riesce a leggere quei caratteri bizzarri che inutilmente sua madre Armelinda aveva tentato – con poca pazienza per la verità – di insegnargli. I graffiti sulla roccia sono semicancellati, segnati dal color ruggine del muschio, spianati dal vento e dalla pioggia e mentre li legge ad alta voce nella propria mente sente l'eco di altre voci accompagnarlo.
"… Si dovrà conservare la memoria delle mille e mille parole nate dalla mente dei nati d'aria, di terra, d'acqua, della gente-che-corre, degli Uomini-di-Luna, del Popolo Eterno e di tutti coloro che avranno attraversato il cammino dell'Orlo del Mondo, perché di tutto il tempo trascorso non rimane che la materia più leggera e volatile: le parole… "
Un mormorio alle sue spalle interrompe la sua visione e Klog si volge di scatto verso la Torre, dove una porta si è silenziosamente aperta.
Ad attraversarla sono due figure ben note: Basso Okme e Gudre-Yinnu. Il primo concentrato su qualche strano pensiero, lo sguardo distratto e l'incedere svagato, il secondo animato da un'impazienza rabbiosa, che rende ogni suo passo un esercizio di furore appena trattenuto.
– Basso Okme, Gudre Yinnu! Come state, cosa fate qui?
– Klog… – Il corvo di legno si scuote e allarga il becco come il suo collega della fiaba. – E cosa ci fate qui tutti quanti?
– Questo l'ho chiesto prima io. Vi hanno preso gli Oscuri no? Beh, anche noi.
Il Neek sorride a labbra strette. – Ci siamo ritrovati alla fine.
– Io l'avevo detto. – L'inconfondibile Fahgön scruta con poca benevolenza il quasi-notturno e aggiunge: – Ci lasceranno andare?
– È probabile. – Un terzo personaggio è scivolato alle spalle dei loro compagni passando dalla porta della Torre: un Oscuro dal viso ancor più rugoso dei suoi compagni e dal mantello molto lungo ed ampio.
– Tu sei il Custode delle Parole. – Klog ha parlato ancor prima di rendersene conto. Porta una mano alla bocca stupito e si inchina per scusarsi.


– Non scusarti, Boldhovin, so che hai parlato con la Voce dei Fratelli Immobili. Sì io sono uno dei Sette Custodi delle Parole. – L'anziano Oscuro alza lo sguardo verso il cielo con espressione indecifrabile. – Lo sapete cosa si trova oltre la Città?
– No. – Rispondono i viaggiatori.
– La Sorgente del Mare Obliquo. – Dice il Neek.
– Tu sei una strana persona. Sei un'Anima-Divisa, sempre alla ricerca della parte che credi di aver perduto.
– Ho ragione? – Insiste Gudre-Yinnu.
– Ne abbiamo già parlato. Dalle Acque del Centro nascono i Mari, ma questo non è importante.
Il Neek scuote il capo con forza. – Voi siete simili alla mia gente: volete solo conservare, non conoscere, non trovare.
La bocca del Guardiano delle Parole si stira in una specie di sorriso. – Abbiamo visto, abbiamo conosciuto. Forse siamo davvero come la tua gente. Ma le nostre vite sono così estese da veder consumare una roccia dal vento e per noi quello è uno spettacolo davvero degno di attenzione.
– Cosa c'è oltre la Città? Oltre le Acque del Centro intendo dire. – L'Oscuro scruta in mezzo ai viaggiatori e vede Matushka. – Ci sono i Mela, piccola volpe.
– E cosa sono mai i Mela? – Sbotta Klog.
– Confusione, follia. Sono gli Accecati, i Perduti. Le loro terre non hanno confine come la loro anima. Non riescono a separarsi dallo Splendore.
– Immagino siano pericolosi. – Commenta Plinio.
– Hanno spade, lance, corrono sui denti-gialli, attaccano di fronte o di spalle? – Chiede Fahgön.
– I Mela non devono essere descritti, viaggiatori. Bisogna vigilare sulle parole perché esse creano immagini ambigue. I Mela esistono: a loro modo vivono, sognano e ci minacciano.
– Non capisco.
– Non importa Grandirami. Così vi chiamano nella lingua di Dancemarare, non è vero? Se vi accadrà di incontrarli cercate di dimenticare chi siete, il vostro obiettivo, le vostre abitudini. – Il Custode delle Parole indica i soldati schierati sul colonnato. – Vi daremo una scorta per attraversare quelle terre.
– Cosa sai di noi?
– So quanto basta, Boldhovin. So che l'Orlo del Mondo sta nuovamente smarrendosi e che tu rechi nella tua borsa la Speranza. Gli uomini-ragnatela, gli Aloq come li chiamate voi, ci hanno avvisato.
– Vedrò le Acque del Centro? – Chiede Gudre Yinnu.
– Sì. Ma resterai un'Anima-Divisa.
Il Neek si stringe nelle spalle. – Sono nato in questa pelle. Possiamo andare?
– Un momento, Gudre-Yinnu, aspetta. Cosa c'è oltre i Mela? – Chiede Klog.
– Le Foreste sotterrate terminano. Dopo le nostre fortezze di Mezzo-Cielo c'è il Deserto delle Nubi Rovesciate e ancora oltre Fieduinn e gli altri giganti di cristallo.
– Ma da quanto tempo mancate dal nostro mondo? – Chiede Matushka.
– Uno solo è il mondo. – Il Custode torna a stirare le labbra nel suo sorriso. – E quindi noi non siamo mai mancati. Lo ricordo affollato e bizzarro, ma ne serbiamo la memoria attraverso le sue parole. Una terribile guerra lo sta scuotendo.
– Artamiro e Bartsodesch.– Dice Fahgön.
– No. Essi usano le stesse parole. Può separarli solo la superbia, l'interesse. No, si tratta di una guerra feroce che separa la Gente Antica dalla Gente Nuova. Le loro parole sono diverse, hanno differenti significati e questo rende la guerra davvero terribile e feroce. Andate ora, presto, il Cambiamento avanza.

2 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

Bravo Max! Ci sono sempre a fare il tifo per te e per la tua scrittura.

Massimo Citi ha detto...

@Nick: grazie! Fa molto piacere avere (almeno) un ottimo lettore -_-