Re Artamiro si sente sempre più solo e tradito. E misteriosi eventi continuano a perseguitare il suo accampamento. Un'inutile carica di cavalleria lo trascinerà molto vicino alla morte. |
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– L'hai
assaggiato, qualcuno l'ha assaggiato? – Il servitore annuisce con
un secco cenno del capo. – E allora vattene, non voglio spettatori
ai miei pasti.
Artamiro
lancia un'occhiata di puro disgusto al prosciutto di cervo ed al
pasticcio di cinghiale e reprime a fatica il desiderio di lanciare
per aria piatti, vassoio, coppe ed il tavolo stesso. A trattenerlo è
solo il fatto che nessuno della servitù darebbe troppo peso al suo
gesto ed entro pochi minuti si troverebbe apparecchiata davanti una
tavola identica, fino a quando non si fosse stancato delle sue bizze.
«Un re per quanto potente è sempre un bambino» medita tra sè «con
il quale usare infinita pazienza ed insieme fermezza.»
Non
ci sono notizie da giorni del Duca Rossiter partito con uno squadrone
di Lupi-Drago ed un reparto di Arcieri di Eriud alla volta di Huma,
alle spalle delle posizioni dell'Armata della Casa d'Oriente per
disturbare l'arrivo dei rifornimenti dei nemici. Questi dal canto
loro hanno trascorso gli ultimi giorni ad alzare un'alta palizzata di
tronchi interrotta da frequenti torrette, come se non cercassero lo
scontro in campo aperto ma si preparassero a trascorrere l'inverno su
quelle posizioni.
L'invio
di squadre di Uhban a cavallo per disturbare i lavori degli uomini di
Bartsodesh non ha sortito alcun effetto e così adesso quando lo
desidera Artamiro può fare una bella galoppata a nord della foresta
per rimirare la lunga palizzata adornata di stendardi.
Dei
rinforzi promessi da Vamaiun e da Nyby Ornoll non vi è alcuna
notizia e in compenso i miraggi ed i fenomeni inspiegabili
continuano. Una fitta nevicata all'interno della tenda del Consiglio
ha interrotto una seduta dei generali del suo esercito, sono comparsi
volatili smisurati sui quartieri dei Syerdwin presto svaniti senza
lasciare traccia, nel corso di una caccia alla volpe i cani si sono
azzannati tra loro sbandandosi e la sua concubina preferita, la
splendida Dama Ariadne di Lagorosso, gli è apparsa per un attimo
dinanzi priva del volto come un Oom.
Tutti
quegli incidenti hanno reso Re Artamiro anche più crudele e arcigno
del solito, aumentando la sua proverbiale sospettosità e donando ai
suoi lineamenti magri e nervosi una patina di anni e di stanchezza,
scavando profondamente le rughe sulla fronte e intorno alla bocca.
Artamiro
mangia poco e di scarso appetito. All'esterno la luce è grigia e
malinconica ed il mondo stesso sembra essersi quietamente accomodato
ad attendere la sua fine. Dalla corte arrivano solo cattive notizie:
rivolte in lontane provincie, la morte alla nascita del primogenito
di sua figlia Calissa. Inoltre dalle città lungo il Drew giungono
notizie di uno strano fenomeno che sembra trasformare il fiume, la
terra, gli alberi e gli abitanti stessi in bizzarre forme cristalline
inerti.
Artamiro
ha dovuto prendere decisioni, mandare le poche persone delle quali si
fida ad indagare, ricercare, senza riuscire a scrollarsi di dosso la
sensazione, sempre più forte, che non solo il suo impero ma la sua
stessa vita corrono rischi sempre più gravi.
Teardraet
si è ritirato nelle sue isole ed alle sue chiamate attraverso gli
specchi gemelli risponde solo raramente, rivolgendogli parole tanto
cortesi quanto inutili.
Fa
chiamare uno dei suoi ufficiali e gli chiede. – Avete notizie del
Duca Rossiter?
–
Purtroppo no, Vostra Volontà.
Artamiro
sbuffa. – Mi avrà tradito anche lui, se ne sarà andato come il
Duca Kwister.
–
Le nostre vedette…
–
Non mi importa nulla delle nostre Vedette. – Urla Artamiro. –
Fate montare la cavalleria. Date l'ordine, presto!
Il
giovane ufficiale esita per un istante. – Allora? Tutti gli uomini
disponibili, immediatamente. E fate preparare Emmedil e Key. Ho
atteso anche troppo. – Il Re percorre a grandi passi lo spazio che
separa la sua stanza dall'ingresso della tenda ed indica il cielo
grigio. – Il tempo ci è amico, le basse brume copriranno le nostre
manovre. Correte.
Rinvigorito
dalla decisione Artamiro fa chiamare i suoi Valletti, indossa
l'armatura e le insegne che indossava al vittorioso assedio di Chari
ed esce dai suoi reali quartieri seguito da un piccolo gruppo di
ufficiali e nobili, i pochi che siano riusciti a prepararsi.
Il
suo ordine ha scatenato il caos nel campo.
Artamiro
lo attraversa ostentando un'espressione di rabbioso disgusto. Ordina
di far frustare una ventina di soldati ed ufficiali che gli sono
parsi insufficientemente zelanti e a chi gli chiede informazioni
urla. – Avanti, si va da Bartsodesh, da quel cane rognoso partorito
da una strega e da un sifilitico. A cavallo, presto!
I
suoi ufficiali esitano, parlottano tra loro a bassa voce ma nessuno
osa discutere con il Re. Nessuno ha il coraggio di dirgli che una
galoppata di un'ora sfiancherà i cavalli, che senza le macchine da
guerra è divenuto impossibile superare le difese della Casa
d'Oriente. Sballottati come marionette nobili ed alti ufficiali
seguono Artamiro, che convinto di essere ritornato agli anni della
giovinezza, galoppa per il campo esortando, urlando, insultando e
minacciando.
In
capo ad un'ora si sono raccolte poche migliaia di cavalieri, i
Lupi-Drago dalle pesanti armature e dalle lunghe lance, poco più di
cinquecento, sono l'unico gruppo che abbia già assunto una
formazione e si dimostri pronto. Artamiro con il suo piccolo seguito
va a porsi in testa a loro ma prima si ferma a parlare con il loro
generale, il Barone Deshigu.
–
Mi compiaccio, Barone, i vostri cavalieri sono immancabilmente i
migliori.
Il
nobile Marr si inchina rigido.
–
Fate suonare il trotto. Si va a trovare Bartsodesh.
La
tuba dei Lupi-Drago, emette un cupo richiamo ed il terreno trema
scosso dagli zoccoli dei grandi cavalli da guerra allevati dal popolo
del Nord. Ben presto il cavallo del Re rompe il trotto obbligando i
lupi-drago e dietro di loro gli altri cavalieri a lanciarsi di corsa
all'inseguimento del Re.
Percorrono
la pianura che costeggia la foresta in un lampo, lasciando dietro di
loro un terreno devastato e sconvolto, si arrampicano sulle basse
alture che separano i due eserciti e ne discendono precipitosamente
per accalcarsi sulla piana che fronteggia le fortificazioni di
Bartsodesh. Il terreno lì è più arido, basse rocce e sassi
affioranti tra l'erba fanno cadere i cavalli più stanchi, ma
Artamiro non dà segno di rallentare. Attorniato da una corte di
poche decine di cavalieri vede avvicinarsi la palizzata degli
Orientali ed ha occhi solo per quella. Alle sue spalle i Lupi-Drago
hanno mantenuto una parvenza di formazione frontale e procedono con
le lance alzate pronte ad abbassarsi per la carica.
Alle
loro spalle il resto dell'armata procede alla rinfusa, i reparti ed i
seguiti dei nobili confusi e mescolati in un caotico incrociarsi di
insegne e colori. Artamiro si volta più volte e sorride udendo il
frastuono prodotto dalla sua cavalleria.
Non
si avvede del sudore freddo, dell'incespicare frequente della sua
cavalcatura: le basse torri del nemico sono davanti a loro, fragili
costruzioni di legno che il loro impeto schianterà. Sugli spalti
dell'esercito di Bartsodesh si nota ormai anche ad occhio nudo
l'agitarsi dei nemici, l'accorrere alle difese.
Artamiro
corre verso di loro come verso un miraggio, inebriandosi del proprio
corpo ritornato giovane, e sentendosi forte ed invincibile.
Il
barone Deshigu che cavalca al suo fianco è l'unico ad accorgersi
della roccia celata nell'erba ed urla con tutta le sue forze
attraverso la celata, ma il frastuono sollevato dalle migliaia di
zoccoli copre la sua voce.
Il
cavallo di Re Artamiro incespica, cerca di ritrovare l'equilibrio,
oscilla, sgroppa ed infine crolla a terra con un terribile nitrito.
Il re si aggrappa alla sella stupito e quindi precipita e cade
immobile in una piccola macchia d'erba. Solo pochi si accorgono
subito di quella caduta gli altri procedono ancora verso la lunga
palizzata nemica. È il Barone Deshigu a far suonare la ritirata.
L'armata
di Artamiro rientra nell'accampamento prima che la luce abbia
abbandonato il cielo, portando con sè numerosi feriti ed un re che
ancora respira ma la cui anima sembra aver abbandonato per sempre il
corpo.
–
Come sta?
Quiffrin
il Cerusico, un rarissimo Syerdwin albino, apre esageratemente gli
occhi di un rosa che ricorda il colore dei fenicotteri di Farsoll e
si stringe nelle spalle, un gesto morbido, appena accennato.
–
Siamo nelle mani di Miollkanei. – Dichiara a bassa voce citando una
divinità del suo popolo. – La Polvere di corteccia di china
combatte la febbre e l'infuso della Diedea mantiene leggeri e veloci
i liquidi corporei. Sua Volontà non ha ancora ripreso conoscenza ma
nulla nel suo capo sembra essere gravemente danneggiato. – Il
Syerdwin nel pronunciare quelle parole lascia che il suo sguardo
incontri quello di Drjol, il giovane mago Gu'Hijirr. – Questo
almeno secondo l'onorevole opinione del mio stimabilissimo collega.
Il
Duca Rossiter, appena rientrato, annuisce nervosamente, si siede
sullo scranno posto al fianco del capezzale del Re per rialzarsi un
istante dopo. – Ci sono movimenti da parte del nemico?
Il
generale Kataiud sembra riprendersi da una breve parentesi di sonno,
stringe con le mani i bordi del mantello allacciato sul petto e si
schiarisce la voce. – Vegliano sugli spalti della propria
fortificazione ed attendono.
–
Certo, va bene, ma qualcuno sa dell'incidente occorso a Re Artamiro?
La
calma sicurezza del militare sembra venire meno per un istante. –
Non credo…Cioé in teoria è possibile che qualcuno abbia visto…
–
E le spie? Vuol dirmi generale che il nostro campo non è imbottito
di spie come un mulino che pullula di topi?
–
... Sì, certo, è probabile che…
–
È stata predisposta una difesa? Se si trovasse al posto di
Bartsodesh lei cosa farebbe? – Il Duca si avvicina al generale
impalato nella propria posizione, il volto che va tingendosi di un
bel colore porporino. – Eh? Lei cosa farebbe generale Kataiud se
fosse appena un po' provetto di arte militare? Non coglierebbe al
volo l'occasione per dare l'assalto al campo di un nemico con
numerosi cavalieri feriti ed il morale a terra, il cui Signore giace
tra la vita e la morte?
–
Non se sapessi che il Duca Rossiter è ritornato ed ha preso in mano
la situazione. – Dichiara serissimo Kataiud.
Il
giovane Duca reprime l'impulso di scoppiare a ridere e fa un veloce
cenno con la mano. – Sarà meglio non approfittare troppo di tanta
insperata fortuna, comunque, ed erigere a nostra volta una palizzata
dietro la quale prepararci a trascorrere l'inverno. Le prime nevi
sono passate senza danno e l'Inverno ancora sonnolento ci ha concesso
una breve tregua ma tra breve si risveglierà e cingerà d'assedio il
campo. Non perdiamo altro tempo. Potete ritirarvi.
Il
suo sguardo si posa subito dopo sul cerusico Syerdwin rimasto in
piedi in un angolo della tenda. – Anche voi, Quiffrin, ritornate
pure per la prossima applicazione.
Rimasto
solo con Tamu Hiniun, il principe Syerdwin, ed il giovane mago Drjol,
il Duca slaccia la cintura che sostiene la spada e torna a sedersi
stendendo le gambe e abbandonando la testa sulla spalliera.
–
Invidia, incapacità, pigrizia, maldicenza, questi sono i fili dei
quali è ormai intessuta la bandiera di Dancemarare. Su queste terre
è riunita la più grande Armata che l'Orlo del Mondo abbia mai
visto, ma essa è immobile, debole come un povero demente dalle
fattezze terribili ma dal corpo malato.
–
Ma perché Artamiro ha ordinato quell'impossibile assalto? – Si
chiede Liest Hiniun. – Come pensava di superare la palizzata del
nemico, quale visione, quale miraggio ha sconvolto la sua mente?
Il
Duca Rossiter scuote il capo. – Una potente magia ha da tempo
vincolato il cuore e la mente del nostro Re e talvolta penso che i
suoi veri nemici non si trovino oltre Canddermyn ma qui tra noi ed a
Dancemarare. O forse molto a Nord, dalle parti di Baran e Verhida.
–
Ma se il Re non riprenderà presto conoscenza… – Inizia a dire
Drjol subito interrotto dal Duca.
–
Non dire, Drjol! Non chiederti neppure cosa accadrebbe! Corvi e
sciacalli attendono da tempo il tramonto della Casa d'Occidente e
l'affievolirsi del pugno di Artamiro. Non tutti gli Odo sono
scomparsi nell'oblio e Vamaiun e Ornoll non attendono altro per
allungare le proprie mani sulle terre della pianura. Il marito di
Calissa, l'Arciduca Konstantin ha da tempo preparato amici e complici
per la propria fortuna che ritiene quanto mai prossima ed anche qui
non gli mancano sostenitori ed amici interessati.
–
Il siniscalco del Re..
–
Taci Hiniun, qui anche i muri hanno orecchie, piedi svelti e
silenziosi e bocche per riferire.
Il
Duca fissa il volto calmo e rilassato di Artamiro che sembra dormire
finalmente tranquillo. – Il re deve tornare tra noi ad ogni costo,
le sue insegne devono essere nuovamente issate alla testa
dell'Armata, almeno finchè non sarà definita una volta per tutte la
linea di successione.
–
Tu sei il nipote del Re, figlio primogenito dell'amata Sorella Dama
Ghifra. Non vi sono altre possibili linee: la Casa d'Occidente non
prevede la successione femminile. – ricorda Liest Hiniun, ma con
scarsa convinzione, quasi cercasse di rassicurare prima di tutto se
stesso.
–
La Casa d'Occidente o le armi di Artamiro? Vi è stata più volte una
regina vestita dei colori degli Odo, Rachel, Regina dei Cancelli
dell'Ovest, tanto per farti un nome. Capisci cosa intendo dire?
–
Ammetto le tue buone ragioni, ma cosa ti fa pensare che un Re
moribondo, appena appena in grado di cavalcare o anche solo
lungamente convalescente possa mantenere unito il regno? In fondo
Artamiro non è più giovane e ciò che accade oggi potrebbe accadere
ancora domani.
–
Non lo so, Drjol. È questo che volevi sentirmi dire amico mio?
Ebbene te lo ripeto. Non lo so. Forse solo la paura mi spinge a
mantenere in piedi sulla scacchiera un re ormai battuto ed assalito
da ogni lato, in spregio ad ogni regola e a ogni uso. La tempesta
infuria già e le armi del Re d'Oriente sono ben poca parte dei nembi
che stanno ricoprendo il nostro cielo. Al buio topi e serpi assalgono
senza vedere né sapere e la nostra luce si va facendo fioca, fioca
come un tramonto senza la speranza di un'altra alba. – Il duca si
alza per porre altra legna sul fuoco. – Fa freddo in questa tenda,
non trovate amici miei? Il Re potrebbe avere freddo, potrebbe
soffrire senza che noi possiamo udire la sua flebile, remota voce. La
sua anima è debole come mai lo è stata e sola, tanto sola che
neppure chi ha visto cadere il suo ultimo compagno nei deserti di
ghiaccio può avere provato tanto freddo al cuore. Nel luogo dove si
trova ora non vi sono voci di amici né sospiri di donne innamorate
né canti o risa. Riscaldiamolo, amici miei, facciamo sì che il
calore non abbandoni per sempre il suo corpo.
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