------------------------------------------------------------------------
–
Che cos'è quell'oggetto che tieni in mano, Basso Okme? – Chiede
Plinio.
L'Uccello-di-Legno,
immerso in chissà quali pensieri o fantasticherie, sobbalza. – Un
libro magico, me lo ha affidato Maestro Selestin quando siamo
partiti. – Spiega. – «Quando sarete molto lontani da qui, quando
vi sentirete molto soli e la nostalgia vi sembrerà insopportabile,
apritelo.» Mi ha detto. Ed ha aggiunto con un sorriso:«Un libro è
sempre la migliore compagnia.»
Klog
guarda con sospetto il piccolo volume. – I libri mi ricordano gli
istitutori, i sapienti, i bibliotecari, i mercanti di libri: tutta
gente pedante e senza fantasia, presuntuosa e chiacchierona. Forse ci
avrebbe fatto più comodo una spada magica o qualcos'altro del
genere.
Basso
Okme scrolla il capo. – E quando ti verrà una gran voglia di
tornare indietro cosa farai, Klog? Abbraccerai il tuo pezzo di
metallo e te ne sentirai tosto consolato?
–
Bisognerà vedere se mai riuscirò a provare la nostalgia che dici.
Disarmati o quasi come siamo potremmo non riuscire ad allontanarci
abbastanza. Senza contare che mi fido poco delle nostre cavalcature.
–
E perché poi? Preferisci proseguire a piedi? – Commenta stizzito
Fahgön il cervo che lo trasporta. – Stupido Boldhovin ricordati
che ti porto perché me lo ha chiesto la Fata Sibiell e che io avrei
preferito di gran lunga rimanere nel mio bosco a pascolare ed a
combattere per le femmine.
–
A pascolare cosa, Fahgön, l'erba divenuta vetro?– Chiede
malignamente Matushka. – Se sei venuto con noi insieme ai tuoi
amici un motivo c'è.
–
Beh, questo è un altro discorso, sorellina. – Concede l'anziano
cervo, scuotendo l'imponenente palco di corna. – Ma comunque non è
nostro costume portare gente in groppa come fanno i Denti-Gialli o
gli Orecchie-Lunghe, quindi vorremmo perlomeno un po' di
considerazione in più.
–
Concessa, concessa, per carità. Sapevo bene che i cervi sono
permalosi e irascibili ma non credevo… – Inizia a dire Klog,
subito interrotto da Bunke, il cervo che porta Plinio:
–
Giusti e onorevoli, vorrai dire.
–
Giusti ed onorevoli, certo. – Si affretta a dire il gatto. – Come
negarlo?
–
Infatti, infatti. Mi hai giusto tolto la parola di bocca.– Aggiunge
Klog.
La
frase del Boldhovin è accolta da un cenno di approvazione di Fahgön
che pronuncia una breve frase nella propria lingua allungando il
passo.
Nella
mezz'ora che segue più nessuno parla. Le loro cavalcature avanzano
su uno stretto sentiero scavato nella parete della montagna e solo
Bunke di tanto in tanto fa qualche commento acido sulla necessità di
trasformarsi in capre o stambecchi per camminare su quel percorso
così poco agevole.
A
quell'altezza non ci sono più alberi, solo erba giallastra, muschio
e pietre. Sotto di loro nella stretta valle i grandi abeti e i
castagni fasciati da nebbie impalpabili come ragnatele bagnate di
rugiada li osservano immobili, come un gigantesco e scuro esercito
pronto a muoversi lento e possente per risalire la parete ripida.
Klog
lascia che il suo sguardo vaghi sulla foresta, che la sua fantasia
corra lungo il suo confine capriccioso, individuando i comandanti di
quella silenziosa armata, i vessilli verdi e grigi che sporgono dalle
chiome delle piante più alte, le esili betulle vestite di chiaro che
corrono da un gruppo all'altro recando gli ordini dei grandi castagni
che li comandano, i piccoli gruppi di faggi che fiancheggiano
disordinatamente la grande massa di silenziosi guerrieri, come
cavalieri ansiosi di combattere e le grandissime rocce coperte di
muschio rossastro, come carri o macchine da guerra. Il sogno ad occhi
aperti lo assorbe completamente, tanto che il Boldhovin non si
accorge dei profondi strapiombi che si trovano a costeggiare passando
su minuscoli sentieri, né vede i massi in bilico che sovrastano il
loro cammino.
Al
termine della parete una vasta piana limitata dalla corona di picchi
li attende, mentre il sentiero si fa più largo e comodo, passando
tra grandi rocce cadute disordinatamente sul terreno come scagliate
da un Dio rabbioso.
I
quattro cervi, Fahgön, Bunke, Dernuf e Og, visibilmente stanchi si
scambiano un'occhiata facendo oscillare lentamente i palchi mentre si
scambiano frasi nella loro lingua. Al termine della breve
consultazione è Og, il più giovane a parlare.
–
Abbiamo fame e qui ci sono bacche ed erbe che ci sembrano abbastanza
mangiabili, quindi ci fermiamo. Se non vi dispiace vi chiediamo di
scendere.
–
Certo. – Risponde Matushka scivolando dalla groppa di Dernuf,
subito imitata dagli altri tre.
–
Mentre i nostri amici si procurano un pasto, che ne direste di fare
altrettanto? – Propone Klog intento a compiere una strana danza per
sgranchire le gambe irrigidite dalla fatica di tenersi in sella. –
Quest'aria così fina mi mette un appetito…
–
L'idea non è cattiva. – Concede Plinio ed estrae dalla bisaccia
una borsa di cuoio decorata dal complicato disegno di un fiore dai
molti petali.
–
Che cosa preferite? – Chiede il gatto.
–
Per me una trota ai mirtilli rossi con patate al rosmarino ben calde
sarebbe ideale. – Risponde Klog.
–
Va benissimo anche per me. – Approva Matushka.
–
Approvata all'unanimità. Con un buon boccale di sidro. – Conclude
Plinio che immerge una mano nella sacca di cuoio traendone una grossa
trota fragrante adagiata in un grande piatto ovale in compagnia delle
patate novelle.
Mentre
tre dei viaggiatori consumano il pasto offerto dalla borsa magica
appartenuta a Kerfilluan il quarto, scarsamente interessato a quel
tipo di passatempo data l'assenza di stomaco, decide di dare
un'occhiata ai dintorni.
Il
cielo sopra di loro è di un azzurro tanto lucido e scuro da dare una
sensazione inquietante di profondità. «Bello.» Osserva tra
sé Basso Okme. «Sarebbe interessante fare di questa
sensazione una piccola composizione. Un tre quarti, sicuramente, un
valzer lento almeno per le prime misure. Si potrebbe iniziare con un
Sol, tenuto per diciamo tre misure, poi un la bemolle, una croma, poi
di nuovo Sol, La, Re diesis…» Mentre l'Uccello-di-Legno
compone mentalmente la sua piccola sonata procede verso il limite
della piccola piana che degrada rapidamente in un canalone che la
separa da un'alta parete di roccia. Basso Okme giunge fino al limite
del canalone, constata che è profondo diverse e svariate braccia e
contempla inorridito per qualche secondo la possibilità di caderci
dentro, cosa che che lo induce a fare qualche passo indietro.
Quando
distoglie lo sguardo, riportandolo sulla scabra parete di fronte a
lui, qualcosa calamita il suo sguardo. La luce solare che nasconde i
rilievi della parete procedendo lungo il sentiero, qui cade in modo
differente, facendo balzare all'occhio le sporgenze e le
irregolarità.
L'Uccello-di-Legno
la osserva a lungo con attenzione, inclinando la testa di lato per
mettere meglio a fuoco i particolari.
–
È una casa, quella. – La voce di Fahgön, giuntogli alle spalle,
interrompe l'osservazione di Basso Okme.
–
Sì. – Approva l'Uccello-di-Legno inicando le sottili feritoie
delle finestre e le torri aguzze, simili a sporgenze stranamente
regolari della roccia.
–
La rocca di un Notturno, a mio parere. Gli abitanti della casa stanno
certamente dormendo.
–
Non mi piacciono molto. – Osserva il cervo. – Ma devo ammettere
di non averne mai visti. D'altro canto noialtri siamo stanchi e non
penso che entro il tramonto saremo riusciti a valicare le montagne.
Conseguentemente mi sembra consigliabile passare la notte dietro quei
muri piuttosto che affrontarla allo scoperto.
Basso
Okme non rileva il tono deciso, tipico del suo popolo, del cervo e
dopo qualche secondo di riflessione approva.
–
Credo anch'io che sarebbe consigliabile. Andiamo a sottoporre agli
altri la proposta.
Il
cervo scuote il palco di corna perplesso e mentre accompagna Basso
Okme fa alcuni commenti a bassa voce sulla necessità che sentono
sempre i bipedi di chiacchierare un po' prima di fare ciò che è
evidentemente giusto e confacente. "Disciplina, manca loro la
disciplina." Osserva tra sé Fahgön."A stare a
sentire quello che ha da dire ogni novellino o ogni femmina si perde
solo tempo e si fa confusione. Non è tutto più chiaro se a
comandare è chi ha più forza e più peso?" Poi il cervo
guarda la fronte vuota e le teste nude dei suoi compagni di viaggio
ormai vicini e scuote il capo. "Beh, non si può pretendere
troppo dai bipedi testa-nuda."
–
Avete fatto una bella passeggiata? – Si informa Matushka, sdraiata
a digerire sul morbido muschio.
–
Soprattutto una passeggiata istruttiva. – Risponde Basso Okme. –
Abbiamo trovato un rifugio per la notte.
Le
reazioni alla proposta di bussare alla porta dei Notturni sono di un
genere tale da gettare nello sconforto qualsiasi cervo.
–
Piuttosto dormo con una di quelle rocce come coperta. – Protesta
Klog. – I Notturni sono creature bizzarre e crudeli, volano come
pipistrelli ed hanno lo sguardo come spettri.
–
Io una notte murata viva lì dentro non la passo, piuttosto cammino
fino all'alba di domani. – Prosegue Matushka. – I Notturni sanno
di morto e di vecchia polvere, dormirei malissimo.
–
Ma in fondo… – Inizia Plinio subito interrotto da Klog:
–
TU ci andresti?
–
Beh…
–
Dillo allora, tu ci andresti?
–
La finiamo? – La voce bassa e irata di Fahgön interrompe il
Boldhovin. – Noi andremo. Se domani mattina sarete morti di freddo
noi continueremo da soli.
Klog
fissa il cervo con sospetto. – Ma voi siete tutti d'accordo?
Fahgön
lo guarda serio. – È ovvio, io sono d'accordo.
Il
Boldhovin allarga le braccia. – Ma come si fa a discutere con voi?
–
Il
cervo inclina la testa di lato, mostrando una punta di perplessità.
– E che bisogno c'è di discutere?
Og,
Bunke e Dernuf approvano scuotendo i palchi di corna.
Klog
li guarda uno per uno aggrottando la fronte ed emette un lungo
sospiro. – Nessuno mi aveva avvertito. – Commenta tra sé a mezza
voce.
–
E va bene, allora muoviamoci. – Matushka si alza in piedi
scuotendosi di dosso i frammenti di muschio secco. – Bella
democrazia! Vero che ci andrai tu, Plinio a disturbare i morti?
Il
gatto la guarda calmo ed indica il sole non troppo lontano dal limite
dell'orizzonte. – Guarda che Basso Okme e Fahgön hanno ragione,
non abbiamo più di due ore di luce e non possiamo arrivare a valle
in così poco tempo.
–
Va bene, va bene! Sbrigati allora, vai a chiamarli.
La
piccola brigata arriva fino al bordo del crepaccio e qui si ferma.
–
Qualcuno ha pensato come fare ad arrivare di là?– Chiede
sarcastico Klog.
Plinio
annuisce con un lento cenno del capo. – Sicuramente hanno un ponte
levatoio. Il problema è quello di farlo abbassare.
–
Già. Potremmo suonare una tromba se ne avessimo o mandare un
messaggero volante per farci annunciare. – Commenta Matushka. –
Oppure possiamo metterci ad urlare come disperati fino a quando gli
occupanti del castello non decideranno di prenderci a sassate.
–
Trombe… – Dice a mezza voce Basso Okme. – Che io sappia i
Notturni sono molto amanti della musica.
–
E con questo? Vuoi presentarci tutti, cervi compresi come musici? E
gli strumenti? – Klog si porta due dita alla bocca. – Potrei fare
un concerto a forza di fischi, volendo, ma dubito che incontrerebbe
il favore dei gentili ospiti.
L'Uccello-di-Legno
non gli risponde ed estrae dalla capace bisaccia di Plinio il piccolo
libro donatogli da Maestro Selestin. Lo apre con cura, lo sfoglia per
qualche istante poi con un leggero movimento tira la funicella di
seta che funge da segnalibro.
Immediatamente
dalle pagine del piccolo volume si levano forti e nitide le note
della "Sinfonia del Lago d'Autunno" composta da
Bariton'Onodio molti anni prima.
Per
qualche minuto non avviene nulla e la struggente melodia dell'oboe
echeggia nell'intera valle, lenta ed estenuante come le piccole onde
delle acque autunnali finché un'alta sezione della parete si stacca
dallo sfondo, scendendo lentamente verso il crepaccio fino a formare
un largo ponte sul quale la piccola compagnia si avvia esitante.
Nessun commento:
Posta un commento