28.7.19

Il Mare Obliquo 24

Klog, Matushka, Plinio e Basso Okme hanno ripreso il loro viaggio e salgono le alte montagne che li separano dalla prossima tappa. Basso Okme ha con sé un libro affidatogli dal Maestro Selestin che molto presto si rivelerà fondamentale per il proseguio del viaggio...
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– Che cos'è quell'oggetto che tieni in mano, Basso Okme? – Chiede Plinio.
L'Uccello-di-Legno, immerso in chissà quali pensieri o fantasticherie, sobbalza. – Un libro magico, me lo ha affidato Maestro Selestin quando siamo partiti. – Spiega. – «Quando sarete molto lontani da qui, quando vi sentirete molto soli e la nostalgia vi sembrerà insopportabile, apritelo.» Mi ha detto. Ed ha aggiunto con un sorriso:«Un libro è sempre la migliore compagnia.»
Klog guarda con sospetto il piccolo volume. – I libri mi ricordano gli istitutori, i sapienti, i bibliotecari, i mercanti di libri: tutta gente pedante e senza fantasia, presuntuosa e chiacchierona. Forse ci avrebbe fatto più comodo una spada magica o qualcos'altro del genere.
Basso Okme scrolla il capo. – E quando ti verrà una gran voglia di tornare indietro cosa farai, Klog? Abbraccerai il tuo pezzo di metallo e te ne sentirai tosto consolato?
– Bisognerà vedere se mai riuscirò a provare la nostalgia che dici. Disarmati o quasi come siamo potremmo non riuscire ad allontanarci abbastanza. Senza contare che mi fido poco delle nostre cavalcature.
– E perché poi? Preferisci proseguire a piedi? – Commenta stizzito Fahgön il cervo che lo trasporta. – Stupido Boldhovin ricordati che ti porto perché me lo ha chiesto la Fata Sibiell e che io avrei preferito di gran lunga rimanere nel mio bosco a pascolare ed a combattere per le femmine.
– A pascolare cosa, Fahgön, l'erba divenuta vetro?– Chiede malignamente Matushka. – Se sei venuto con noi insieme ai tuoi amici un motivo c'è.
– Beh, questo è un altro discorso, sorellina. – Concede l'anziano cervo, scuotendo l'imponenente palco di corna. – Ma comunque non è nostro costume portare gente in groppa come fanno i Denti-Gialli o gli Orecchie-Lunghe, quindi vorremmo perlomeno un po' di considerazione in più.
– Concessa, concessa, per carità. Sapevo bene che i cervi sono permalosi e irascibili ma non credevo… – Inizia a dire Klog, subito interrotto da Bunke, il cervo che porta Plinio:
– Giusti e onorevoli, vorrai dire.
– Giusti ed onorevoli, certo. – Si affretta a dire il gatto. – Come negarlo?
– Infatti, infatti. Mi hai giusto tolto la parola di bocca.– Aggiunge Klog.
La frase del Boldhovin è accolta da un cenno di approvazione di Fahgön che pronuncia una breve frase nella propria lingua allungando il passo.
Nella mezz'ora che segue più nessuno parla. Le loro cavalcature avanzano su uno stretto sentiero scavato nella parete della montagna e solo Bunke di tanto in tanto fa qualche commento acido sulla necessità di trasformarsi in capre o stambecchi per camminare su quel percorso così poco agevole.
A quell'altezza non ci sono più alberi, solo erba giallastra, muschio e pietre. Sotto di loro nella stretta valle i grandi abeti e i castagni fasciati da nebbie impalpabili come ragnatele bagnate di rugiada li osservano immobili, come un gigantesco e scuro esercito pronto a muoversi lento e possente per risalire la parete ripida.
Klog lascia che il suo sguardo vaghi sulla foresta, che la sua fantasia corra lungo il suo confine capriccioso, individuando i comandanti di quella silenziosa armata, i vessilli verdi e grigi che sporgono dalle chiome delle piante più alte, le esili betulle vestite di chiaro che corrono da un gruppo all'altro recando gli ordini dei grandi castagni che li comandano, i piccoli gruppi di faggi che fiancheggiano disordinatamente la grande massa di silenziosi guerrieri, come cavalieri ansiosi di combattere e le grandissime rocce coperte di muschio rossastro, come carri o macchine da guerra. Il sogno ad occhi aperti lo assorbe completamente, tanto che il Boldhovin non si accorge dei profondi strapiombi che si trovano a costeggiare passando su minuscoli sentieri, né vede i massi in bilico che sovrastano il loro cammino.


Al termine della parete una vasta piana limitata dalla corona di picchi li attende, mentre il sentiero si fa più largo e comodo, passando tra grandi rocce cadute disordinatamente sul terreno come scagliate da un Dio rabbioso.
I quattro cervi, Fahgön, Bunke, Dernuf e Og, visibilmente stanchi si scambiano un'occhiata facendo oscillare lentamente i palchi mentre si scambiano frasi nella loro lingua. Al termine della breve consultazione è Og, il più giovane a parlare.
– Abbiamo fame e qui ci sono bacche ed erbe che ci sembrano abbastanza mangiabili, quindi ci fermiamo. Se non vi dispiace vi chiediamo di scendere.
– Certo. – Risponde Matushka scivolando dalla groppa di Dernuf, subito imitata dagli altri tre.
– Mentre i nostri amici si procurano un pasto, che ne direste di fare altrettanto? – Propone Klog intento a compiere una strana danza per sgranchire le gambe irrigidite dalla fatica di tenersi in sella. – Quest'aria così fina mi mette un appetito…
– L'idea non è cattiva. – Concede Plinio ed estrae dalla bisaccia una borsa di cuoio decorata dal complicato disegno di un fiore dai molti petali.
– Che cosa preferite? – Chiede il gatto.
– Per me una trota ai mirtilli rossi con patate al rosmarino ben calde sarebbe ideale. – Risponde Klog.
– Va benissimo anche per me. – Approva Matushka.
– Approvata all'unanimità. Con un buon boccale di sidro. – Conclude Plinio che immerge una mano nella sacca di cuoio traendone una grossa trota fragrante adagiata in un grande piatto ovale in compagnia delle patate novelle.
Mentre tre dei viaggiatori consumano il pasto offerto dalla borsa magica appartenuta a Kerfilluan il quarto, scarsamente interessato a quel tipo di passatempo data l'assenza di stomaco, decide di dare un'occhiata ai dintorni.
Il cielo sopra di loro è di un azzurro tanto lucido e scuro da dare una sensazione inquietante di profondità. «Bello.» Osserva tra sé Basso Okme. «Sarebbe interessante fare di questa sensazione una piccola composizione. Un tre quarti, sicuramente, un valzer lento almeno per le prime misure. Si potrebbe iniziare con un Sol, tenuto per diciamo tre misure, poi un la bemolle, una croma, poi di nuovo Sol, La, Re diesis…» Mentre l'Uccello-di-Legno compone mentalmente la sua piccola sonata procede verso il limite della piccola piana che degrada rapidamente in un canalone che la separa da un'alta parete di roccia. Basso Okme giunge fino al limite del canalone, constata che è profondo diverse e svariate braccia e contempla inorridito per qualche secondo la possibilità di caderci dentro, cosa che che lo induce a fare qualche passo indietro.
Quando distoglie lo sguardo, riportandolo sulla scabra parete di fronte a lui, qualcosa calamita il suo sguardo. La luce solare che nasconde i rilievi della parete procedendo lungo il sentiero, qui cade in modo differente, facendo balzare all'occhio le sporgenze e le irregolarità.
L'Uccello-di-Legno la osserva a lungo con attenzione, inclinando la testa di lato per mettere meglio a fuoco i particolari.
– È una casa, quella. – La voce di Fahgön, giuntogli alle spalle, interrompe l'osservazione di Basso Okme.
– Sì. – Approva l'Uccello-di-Legno inicando le sottili feritoie delle finestre e le torri aguzze, simili a sporgenze stranamente regolari della roccia.
– La rocca di un Notturno, a mio parere. Gli abitanti della casa stanno certamente dormendo.
– Non mi piacciono molto. – Osserva il cervo. – Ma devo ammettere di non averne mai visti. D'altro canto noialtri siamo stanchi e non penso che entro il tramonto saremo riusciti a valicare le montagne. Conseguentemente mi sembra consigliabile passare la notte dietro quei muri piuttosto che affrontarla allo scoperto. 

 
Basso Okme non rileva il tono deciso, tipico del suo popolo, del cervo e dopo qualche secondo di riflessione approva.
– Credo anch'io che sarebbe consigliabile. Andiamo a sottoporre agli altri la proposta.
Il cervo scuote il palco di corna perplesso e mentre accompagna Basso Okme fa alcuni commenti a bassa voce sulla necessità che sentono sempre i bipedi di chiacchierare un po' prima di fare ciò che è evidentemente giusto e confacente. "Disciplina, manca loro la disciplina." Osserva tra sé Fahgön."A stare a sentire quello che ha da dire ogni novellino o ogni femmina si perde solo tempo e si fa confusione. Non è tutto più chiaro se a comandare è chi ha più forza e più peso?" Poi il cervo guarda la fronte vuota e le teste nude dei suoi compagni di viaggio ormai vicini e scuote il capo. "Beh, non si può pretendere troppo dai bipedi testa-nuda."
– Avete fatto una bella passeggiata? – Si informa Matushka, sdraiata a digerire sul morbido muschio.
– Soprattutto una passeggiata istruttiva. – Risponde Basso Okme. – Abbiamo trovato un rifugio per la notte.
Le reazioni alla proposta di bussare alla porta dei Notturni sono di un genere tale da gettare nello sconforto qualsiasi cervo.
– Piuttosto dormo con una di quelle rocce come coperta. – Protesta Klog. – I Notturni sono creature bizzarre e crudeli, volano come pipistrelli ed hanno lo sguardo come spettri.
– Io una notte murata viva lì dentro non la passo, piuttosto cammino fino all'alba di domani. – Prosegue Matushka. – I Notturni sanno di morto e di vecchia polvere, dormirei malissimo.
– Ma in fondo… – Inizia Plinio subito interrotto da Klog:
– TU ci andresti?
– Beh…
– Dillo allora, tu ci andresti?
– La finiamo? – La voce bassa e irata di Fahgön interrompe il Boldhovin. – Noi andremo. Se domani mattina sarete morti di freddo noi continueremo da soli.
Klog fissa il cervo con sospetto. – Ma voi siete tutti d'accordo?
Fahgön lo guarda serio. – È ovvio, io sono d'accordo.
Il Boldhovin allarga le braccia. – Ma come si fa a discutere con voi? –
Il cervo inclina la testa di lato, mostrando una punta di perplessità. – E che bisogno c'è di discutere?
Og, Bunke e Dernuf approvano scuotendo i palchi di corna.
Klog li guarda uno per uno aggrottando la fronte ed emette un lungo sospiro. – Nessuno mi aveva avvertito. – Commenta tra sé a mezza voce.
– E va bene, allora muoviamoci. – Matushka si alza in piedi scuotendosi di dosso i frammenti di muschio secco. – Bella democrazia! Vero che ci andrai tu, Plinio a disturbare i morti?
Il gatto la guarda calmo ed indica il sole non troppo lontano dal limite dell'orizzonte. – Guarda che Basso Okme e Fahgön hanno ragione, non abbiamo più di due ore di luce e non possiamo arrivare a valle in così poco tempo.
– Va bene, va bene! Sbrigati allora, vai a chiamarli.
La piccola brigata arriva fino al bordo del crepaccio e qui si ferma.
– Qualcuno ha pensato come fare ad arrivare di là?– Chiede sarcastico Klog.
Plinio annuisce con un lento cenno del capo. – Sicuramente hanno un ponte levatoio. Il problema è quello di farlo abbassare. 

 
– Già. Potremmo suonare una tromba se ne avessimo o mandare un messaggero volante per farci annunciare. – Commenta Matushka. – Oppure possiamo metterci ad urlare come disperati fino a quando gli occupanti del castello non decideranno di prenderci a sassate.
– Trombe… – Dice a mezza voce Basso Okme. – Che io sappia i Notturni sono molto amanti della musica.
– E con questo? Vuoi presentarci tutti, cervi compresi come musici? E gli strumenti? – Klog si porta due dita alla bocca. – Potrei fare un concerto a forza di fischi, volendo, ma dubito che incontrerebbe il favore dei gentili ospiti.
L'Uccello-di-Legno non gli risponde ed estrae dalla capace bisaccia di Plinio il piccolo libro donatogli da Maestro Selestin. Lo apre con cura, lo sfoglia per qualche istante poi con un leggero movimento tira la funicella di seta che funge da segnalibro.
Immediatamente dalle pagine del piccolo volume si levano forti e nitide le note della "Sinfonia del Lago d'Autunno" composta da Bariton'Onodio molti anni prima.
Per qualche minuto non avviene nulla e la struggente melodia dell'oboe echeggia nell'intera valle, lenta ed estenuante come le piccole onde delle acque autunnali finché un'alta sezione della parete si stacca dallo sfondo, scendendo lentamente verso il crepaccio fino a formare un largo ponte sul quale la piccola compagnia si avvia esitante.

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