8.7.19

Il Mare Obliquo 20

Nerthurok è il nome di una sconosciuta malattia che lentamente sta colpendo gli alberi e Klog e i suoi amici saranno presto chiamati dai Silvani a battersi per i fratelli immobili
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Quando Plinio ricompare, dopo un'assenza di quasi mezza giornata non ha la consueta espressione placida e pensosa, ma è nervoso e brusco. E questo non è il solo particolare inconsueto della sua apparizione: egli è tornato infatti alle sembianze umane di un boscaiolo dalla fitta barba grigia.
– Finalmente, eccoti qui stupido micio. Dove ti eri cacciato? – Lo apostrofa Matushka, comodamente sdraiata all'ombra fresca di un castagno.
– Ci sono novità. – Ribatte il gatto senza nemmeno preoccuparsi di replicare all'insulto ricevuto.
– Ah. – Commenta Klog. Le novità a Canddermyn in genere vogliono dire guai, questo il Boldhovin l'ha imparato a sue spese cosa che non lo rende particolarmente ansioso di essere informato.
– Ah, sì e che novità sono? – Matushka si è sollevata sulle quattro zampe ed annusa l'aria intorno a sé con le orecchie basse sulla testa.
– Non belle.
– Uffa e la vuoi finire con tutti questi misteri? – Sbotta Klog. – L'esercito di Artamiro sta attraversando il bosco? L'associazione dei maghi sta venendo a vendicarsi per conto di Tiatikenn? Sono tornati gli Antichi Primi affamati di sangue? O cos'altro ancora?
Plinio soprappensiero annuisce e continua a tacere.
– Perchè approvi? Sono forse vere tutte le cose che ha detto Klog?
– Eh? No, nessuna di esse Matushka. Il fatto è che mi sto chiedendo chi…
– Plinio, la vuoi smettere di cincischiare? Parla maledizione. – Strilla il Bodhovin esasperato.
– Le piante di Canddermyn, ne ho trovato alcune morte. – Spiega infine il gatto. – Piante giovani, che non avrebbero avuto nessun motivo di morire. E poi è strano il modo in cui sono morte, sono come pietrificate, cristallizzate, non saprei in quale altro modo spiegarmi. Ho incontrato un Silvano che sostava vicino a loro, ma non ha saputo dirmi che cosa stava accadendo. Nessuno sa riconoscere i moti dell'animo di un Silvano, ma la posa, i modi di quello che ho incontrato lasciavano trasparire una forte angoscia, quasi disperazione
– Ma cosa avevano quelle piante, cerca di spiegarti meglio. – Insiste Matushka.
– Non è facile. Sui loro tronchi la luce del sole fa brillare piccoli cristalli ed il legno è cambiato, è divenuto più chiaro, del colore del granito bagnato. Le foglie, poi, sono bianche, quasi trasparenti come sottili lenti di vetro e la debole brezza che spira nel bosco non riesce più a muoverle. Sono divenuti bellissimi quegli alberi, sono quasi un monumento in pietra e cristallo alla meravigliosa grandezza della vegetazione. Ma sono anche orribili, spaventosi e da loro spira un aria, un sentore, qualcosa che non saprei descrivere nemmeno se disponessi di tutte le parole di tutte le lingue del mondo, qualcosa di profondamente maligno, di soprannaturale. Ho provato ad attraversare lo spazio teso tra quegli alberi ma sono fuggito con il pelo ritto e le orecchie basse: l'aria vicina a loro è più densa, più fredda ed i rumori vi arrivano distorti, remoti, come può udirli uno spettro o un morto senza pace.
– Forse si tratta di qualche malattia della quale non abbiamo mai sentito parlare. – Azzarda la piccola volpe in tono assai poco convinto.
– No. – Il gatto scuote la testa con forza. – Noi possiamo non conoscere molte delle malattie delle piante, ma i Silvani le conoscono tutte. La cosa più grave è che gli alberi vicini sembrano colpiti da una forma incipiente dello stesso morbo, le loro foglie sono sensibilmente più pesanti ed il tronco dà un suono bizzarro a percuoterlo: il rintocco di una campana sommersa. Dalhak, il Silvano che ho incontrato sembrava spaventato ed impotente quanto me ed ha detto solo una parola che non ho mai udito per commentare quell'orrore: Nerthurok.

– Nerthu nella lingua dei Silvani significa la Morte dolorosa data dalle fiamme. – Azzarda Klog.
– E Hurok? Cosa significa Hurok? – Chiede Matushka.
– Non lo so. Hurr significa acqua piovana ed Hurin acqua stagnante, ma Hurok non l'ho mai udito. La lingua dei Silvani non è come quella degli altri popoli. Inventano spesso parole e quando uno di loro ha pensato una parola nuova istantaneamente tutti gli altri la sanno. La lingua che scelgono di parlare con le altre creature cambia continuamente e continuamente si arricchisce di nuove parole. La devono usare per lasciarsi comprendere, ma loro non hanno bisogno di parlare tra loro come tutte le altre creature. Le parole sono un divertimento, forse, per loro, o una fatica: un modo stentato e penoso di raccontare cose che loro sentono con un'intensità che per noi è impensabile…
Klog si interrompe: Plinio e Matushka lo ascoltano con un'attenzione così intensa da farlo sentire a disagio.
– Perché ti fermi, Boldhovin? Era molto interessante. – Dice Matushka.
– E poi forse in quella parola c'è la chiave per comprendere. – Aggiunge Plinio.
Probabilmente avete ragione. Ma l'unica idea che mi viene in mente è quella di chiedere ad una fata. Loro talvolta capiscono le parole dei Silvani anche se non le hanno mai udite prima.
Facciamo così. Andiamo a cercare Sibiell, presto. Ho paura che non ci sia troppo tempo.
Plinio ha fretta e la cosa è ancora più strana e preoccupante della pur spaventosa notizia che il gatto ha portato. Senza aggiungere altro il Boldhovin e la volpe si affrettano a seguirlo.


– Nerthurok? No, non ho mai udito questa parola. Nè ho mai udito della strana malattia che coglie le piante. Eppure qualcosa ho sentito, una vibrazione forse, un brivido. Una rottura, come il mondo avesse superato un confine, un limite. Ecco, è stato come per un attimo fossi stata nel Mondo-fra-Molti-Istanti.
– Nulla può vivere nel Mondo-fra-molti-istanti. – Sentenzia Maestro Selestin. – Così sta scritto nei libri di Kerfilluan. Quel luogo non ha leggi né equilibrio, tutto è possibile e insieme tutto è impossibile perché l'albero dei destini di ogni cosa si è confuso fino ad una follia talmente impensabile da non permettere che nulla abbia forma o sostanza… – L'uccello di Legno si interrompe. – Sibiell cosa stai pensando?
– Mastro Selestin la mia natura soffe e si ribella, ma io devo pensare, devo credere che qualcosa o qualcuno abbia chiamato a Canddermyn il Mondo-tra-molti-Istanti. – La fata è pallida come un fantasma mentre pronuncia quelle parole e le sue dita sottili si stringono e si torcono come se un'intollerabile tensione scuotesse la sua mente.
Klog la guarda spaventato e quasi grida. – No, fata Sibiell, non pensare, non preoccuparti, resta fedele al tuo mondo!
La fata ride: una risata affrettata e convulsa. – È proprio quel mondo che rischia di morire, Klog, non lo capisci? Io devo pensare, devo trovare… devo! Jee siluan Thiemenee, Duwaldee, Gadlhi, gadhli… – Sibiell ha nascosto il volto tra le mani mentre dalle sue labbra escono accavallandosi, sovrapponendosi nella fretta e nel dolore le scintillanti, fragili parole della sua lingua che lo sforzo rende dolorose ed acuminate come cristalli o frammenti di vetro.
– Non interrompetela! – Ordina a bassa voce Mastro Selestin. – A questo punto, probabilmente, le fareste più male che bene.
…Jee siluan FIEDUIN! – Urla infine Sibiell, accasciandosi a terra come colpita da un fulmine.
Klog e Plinio si affrettano a raccoglierla ed a deporla sul letto.
– Sibiell, mi senti Sibiell? – La chiama Matushka, tornata anch'ella ad assumere forma umana, cercando di ricacciare le lacrime che le velano la voce.
– Sibiell, fata Sibiell? – La chiama Klog, chino sul suo viso.
– Klog, Matushka, perchè urlate in questo modo? – La voce della fata è debole come un soffio di brezza che fa oscillare le lunghe canne della palude ed il suo volto è del colore della cera, ma un sorriso trionfante la illumina. – Ce l'ho fatta. Devo affidarvi una missione, ora, poi sarò nuovamente libera.
Plinio le si avvicina – Parla, Sibiell. Comandaci quello che vuoi.
– Fieduin la Pietra è la risposta. Non è distante da qui, ma per poterlo chiamare dovete avere una Pietragemella. I Silvani ne posseggono molte, ma ne sono gelosi. Dovete andare da uno di loro e dirgli che Sibiell reclama una Pietragemella per il suo Giardino.
– No, Sibiell. Dovremo farne senza. – Klog scuote la testa con forza. – Fiedin o come diavolo si chiama parlerà anche senza, te lo giuro.
Plinio e Matushka annuiscono con forza ma Sibiell fa un lento cenno di diniego. – No, Fieduin non vi risponderà.
– Ma Sibiell, tu sai che un fata può chiedere una pietragemella solo una volta nella vita. – Continua il Bodhovin. – E dopo che l'ha reclamata…
– Sì, Klog, lo so. Dopo che l'ha reclamata comincerà a morire. Lo so. Ma non posso comunque vivere… in quel mondo. In fondo altre fate sono morte dopo aver reclamato la loro pietragemella e i loro ultimi giorni sono trascorsi felici e lievi come nuvole dell'alba. Nessuno può dire quanto sarà vicina la mia morte dal momento che riceverete la mia pietragemella e questo è ciò che accade anche alle altre creature. In genere le fate la chiedono quando sono stanche dei loro giorni e chissà, forse anch'io in fondo sono stanca. Andate ora, non perdete un solo istante.
– Sibiell. – A parlare ora è Mastro Selestin, e la sua voce è cupa e solenne come una nota d'organo. – C'è una parola che io possa dirti per fermarti?
– No. – Risponde la fata.



– Noi siamo qui per… reclamare la Pietragemella della fata Sibiell. Per il suo Giardino.
Il Silvano annuisce lentamente e chiude gli occhi.
– Dovresti consegnarla a noi. Dobbiamo recarla alla presenza di Fieduin. – Continua Matushka con voce incerta. – Per salvare Canddermyn.
– Io-Noi sappiamo, piccola Edrin. – Il Silvano esita per un attimo, come se si sforzasse di sorridere. – La custodisce Quedhe e ora la porterà.
Il Silvano tace. Dietro di lui ve ne sono altri, quanti nessuno di loro ha mai veduto insieme. I loro volti non esprimono né timore né altre emozioni, ma il fatto stesso di trovarli riuniti, come se temessero di perdersi, è una cosa singolare, inquietante.
Un silvano che si muove molto lentamente, con il volto coperto da una lunga lanugine verde si fa largo tra i suoi fratelli, portando in mano un piccolo oggetto. Klog lo osserva affascinato, ormai per Quedhe non deve essere troppo lontano il tempo delle Radici ed il suo incedere bizzarro, fatto di passi brevi e di lunghe pause, quasi cercasse di ascoltare la terra scura che lo attende, ne è un eloquente prova.
– Questa è la Pietragemella di Sibiell. – La voce del Silvano è tanto profonda e bassa da essere quasi inaudibile. – Io-noi l'abbiamo custodita per lei.
– Grazie. – Dice Klog, ma il Silvano si è già voltato per allontanarsi, come se parlare per lui fosse inutile.
– Grazie ancora e arrivederci. – Saluta Matushka.
I Silvani immobili non rispondono. Il cielo è del colore del peltro e l'aria stessa sembra vibrare debolmente come un tamburo percosso da un demone.

Salvate i Fratelli Immobili, Salvate ogni cosa

Quel pensiero si forma per un attimo nella mente di Klog, di Plinio e di Matushka, accompagnato dalla visione di una terra spoglia, coperta di vapori velenosi, dove, in mezzo a rocce calcinate e fessurate, giacciono i cadaveri secchi e fragili di milioni e milioni di alberi.
Klog chiude gli occhi per cancellare quell'immagine, pur sapendo che non potrà mai più dimenticarla. Si volta ancora una volta per guardare i Silvani ma inutilmente, dietro di loro c'è soltanto una radura vuota.
– Odio la pioggia. Credo che non ci sia null'altro al mondo che odio di più. – Borbotta Plinio, ma nessuno si prende la briga di rispondergli.
– Manca ancora molto? – Gli chiede Klog.
– Spero di no. Ce l'hai sempre la pietragemella?
– Certo. – Replica offeso il Boldhovin. Già, la pietra: il Boldhovin apre un poco la borsa per assicurarsi che non si sia mossa di lì e al tatto la riconosce. È stranamente tiepida ed arrotondata, come il profilo di un volto o di un seno e sembra impossibile arrivare a toccare la sua superficie scabra e secca: un debole fluido la circonda confondendo i sensi di chi la sfiora.
– Ma chi sarà mai questo Fieduin? – Chiede Matushka.
– Una creatura talmente vecchia da far sembrare cosa di ieri anche gli Antichi Primi. – Spiega Plinio. – Dicono leggende antichissime che prima di ogni altra razza l'Orlo del Mondo era popolato da Giganti di Cristallo, uccisi dal Gran Dio degli Antichi Primi perché il loro cuore era freddo ed immobile come roccia.
– Splendido. – Osserva Klog. – Ed è ad una di quelle creature che noi andiamo a chiedere aiuto?
– Temo di sì.
– Ma che ne è stato dei loro corpi? Perché non vi sono più tracce di loro? – Chiede Matushka.
– Tracce ve ne sono quante ne vuoi, Matushka. – Il gatto indica la corona di alte montagne avvolte nelle nuvole che chiudono il loro passaggio. – Ecco lì i corpi dei giganti di cristallo, coperti di buona terra e di boschi perchè noi avessimo cibo e aria da respirare.
La piccola volpe starnutisce. – E io dovrei credere ad una simile storia? Montagne che camminano, parlano e combattono?
– Sei libera di credervi o di non credervi, Matushka, ma se ti metterai a scavare sotto la terra e la roccia troverai le loro ossa di cristallo e le loro unghie divenute gioielli. – Plinio ride. – O almeno così si dice. –
– Lo vedi, stupido gatto che stai cercando di imbrogliarmi? Montagne che camminano, bah!
Klog non partecipa al battibecco. Qualcosa in fondo alla sua mente palpita lentamente, come se il legame che ha sentito per un attimo con i Silvani in lui non si fosse del tutto spezzato. «In fondo qualcosa di loro in me esiste da quando sono un pelosetto.» Sta pensando il Boldhovin. «Uno di loro, anzi tutti loro sono i miei padri. Padri assai poco solleciti, per la verità.» Cerca di scherzare tra sé Klog, ma i suoi pensieri sembrano incapaci di abbandonare l'immagine che essi gli hanno regalato. È la prima volta che accade e quella sensazione non è facile nemmeno da riconoscere per lui, ma Klog ora sente di fare finalmente parte di qualcosa, di non essere solo un cucciolo rissoso e giocherellone.
– Hanno fiducia, ecco cos'è. – Conclude ad alta voce.
Matushka lo guarda aggrottando le sopracciglia. – Begli incoscienti. 

 

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