–
Il Conte Teardraet chiede di incontrarvi, Lie Maldanea.
La
giovane syerdwin appoggia il libro che sta rileggendo, uno dei pochi
che ha portato con sé nella casa del suo nuovo compagno e alza lo
sguardo. Il messaggero del Conte-Mago, Ghiza, è una strana creatura
di un razza che Maldanea non è riuscita a riconoscere, dal volto
bruno e singolarmente lungo, occhi liquidi del colore del legno
scuro, molto distanti tra loro, orecchie piccole e volte
all'indietro, poste sulla sommità del cranio, un ampio sorriso
accattivante, arti sottili e delicati che muove con compassata
eleganza. Indossa un abito di velluto verde a coste sottilissime e
calzoni aderentissimi del colore della sabbia bagnata che mettono
bene in evidenza i muscoli lunghi e nervosi delle gambe sottili.
–
A che proposito, Ghiza? – Chiede Maldanea.
È
arrivata nel palazzo da una settimana e finora i suoi incontri con
Teardraet si sono svolti all'ora dei pasti, in compagnia di altri
membri della piccola corte di Baran e Verhida, servita a tavola e nel
suo appartamento da un corteggio di creature bizzarre almeno, se non
più dello stesso Ghiza, pur se innocue e cortesi.
–
Egli sollecita il vostro parere su una piccola questione, Lie.
Maldanea
volta leggermente il capo e saluta Pascalina entrata nella stanza in
quel momento in compagnia di Difiduanna, appollaiata sulla spalla.
–
Vi raggiungerò entro pochi istanti, potete attendermi fuori?
Ghiza
si inchina profondamente. – Con piacere, Lie Maldanea.
–
Cosa vuole da te, quel Moeld? – Chiede Pascalina a bassissima voce
non appena il servitore è uscito.
–
Non riesco neppure ad immaginarlo, carissima.
–
È un ben strano matrimonio, il tuo, Maldanea. Finora non ti ha
neppure chiesto di dividere il suo sonno con te. – Commenta la Dama
di compagnia. – È una creatura troppo, troppo strana.
–
Suvvia, Pascalina. – Ride Maldanea. – Se mi avesse chiesto di
farlo avresti commentato sfavorevolmente i suoi bassi appetiti. E poi
già il Padre-Adulto mi ha messo in guardia: "Si tratta di
un'unione politica, nulla di più. Non aspettarti dal tuo sposo altro
che cortesia e rare conversazioni, fatte più per dovere che altro."
Così egli mi ha detto e io non mi aspetto nulla di più da lui.
Pascalina
si stringe nelle spalle e indirizza lo sguardo sconfortato verso il
soffitto. – Un tempo queste brutture non sarebbero state permesse.
E anche questi ridicoli usi: i matrimoni, copiati dagli Uomini non
c'erano. Questo mondo sembra aver perso la testa oltre che il pudore.
–
Devo andare, Pascalina. Il resto lo dirai al mio ritorno. –
Maldanea sorride. – Chissà che T rovesciata non abbia intenzioni
serie stavolta.
La
giovane dama chiude la porta sull'espressione esterefatta e
scandalizzata di Pascalina e si affianca a Ghiza che la saluta con un
profondo inchino.
Finora
del castello del marito Maldanea ha visto ben poco ma quel poco ha
potentemente stimolato la sua fantasia. La costruzione del Signore di
Baran e Verhida non sembra avere nulla in comune con quella di
Residenza Wessiun, né, per la verità, con quella di nessun altra
delle principali famiglie Syerdwin. A quanto è riuscita a capire non
esiste lì nessun ordine consueto nella disposizione di stanze,
balconi, torri, corridoi. Non c'è una distinzione precisa tra gli
appartamenti riservati alle dame e quelli riservati ai dignitari,
come non esiste una Sala dei Colloqui aperta sulla porta di Mare,
come è tradizione dei Syerdwin da secoli. In compenso esistono una
quantità di scale e scalette che conducono a piccole stanze
silenziose, adatte al raccoglimento, luminose mansarde dove crescono
in grandi vasi di roccia scura dozzine di tipi diversi di piante,
locali dal soffitto a volta dotati di piccole librerie, comodi divani
e antichi leggii in legno lavorato, grandi terrazze ognuna dotata di
strumenti ottici per riconoscere le stelle e guardare le navi che
lontano, nel mare grigio, doppiano Capo Niggdonn. Anche le sale da
pranzo sono piccole e Maldanea ha notato incuriosita che nella
settimana appena trascorsa i loro pasti non sono mai stati consumati
due volte nello stesso locale.
L'ala
del palazzo nel quale si stanno inoltrando è del tutto nuova per lei
la Dama Wessiun inconsciamente rallenta il passo per guardarsi
intorno. Attraversano prima un grande locale praticamente vuoto,
dalle pareti interamente ricoperte di piastrelle lucide, di colori
che vanno dal grigio scuro al verde foglia, passando per tutte le
sfumature del grigio, dell'azzurro e del verde. L'aria nel locale
sembra più fredda ed umida che altrove e Maldanea ha la sensazione
di udire, passando velocemente, un remoto sciabordio di acque che si
frangono contro una parete. Da lì passano ad un corridoio dal
soffitto arcuato, le cui pareti sono fatte di un cristallo bianco ed
opaco che lascia passare moltiplicandola la luce del giorno ma che
non permette di vedere fuori. Al termine del corridoio una tenda
spessa separa l'ambiente dal seguente. Ghiza la supera e apre il
tendaggio annunciando: – Lie Maldanea di Baran e Verhida.
La
giovane Syerdwin entra esitante per immobilizzarsi un passo dopo
l'entrata, abbagliata dalla strana bellezza del locale dove Teardraet
l'attende.
La
sala è enorme ed il soffitto a cupola al centro è altissimo, e lo
sguardo si perde nel riflesso luminoso del vertice della cupola,
impedendo di capire dove essa termina ed inizia il cielo. Le pareti
del locale sono fatte interamente di cristallo, sorretto da una
sottile impalcatura metallica e divise in sezioni di vetro di diverso
colore. Maldanea conta sei colori: rosso, verde, giallo, arancione,
azzurro e violetto. Al centro, dove il riflesso dei colori si
confonde sta in piedi Teardraet in compagnia di una creatura
sconosciuta, che la saluta con un leggero inchino subito imitata dal
suo interlocutore.
–
Buongiorno Dama Maldanea di Wessiun sono molto contento di
incontrarvi.
–
Buongiorno a voi, conte Teardraet. Che meravigliosa sala! –
Maldanea non prova neppure a nascondere lo stupore e l'incanto. –
Avete costruito un arcobaleno, un prodigio che potrebbe stupire e
meravigliare il mondo intero. –
Teardraet
annuisce. – Non desidero stupire il mondo, Lie Maldanea. Mi è
sufficiente godere di queste bizzarrie che certamente per chiunque
conduca un'esistenza quieta e morigerata devono apparire riprovevoli
follie. – Teardraet sorride. – Non godo di molte simpatie nè tra
i Syerdwin né presso le altre genti del Mondo e non voglio che si
parli di me più dello stretto necessario. Almeno per ora.
Maldanea
non rileva, apparentemente, l'ultima frase del Conte-Mago,
concentrata com'è ad osservare la creatura che si accompagna a lui.
–
Che imperdonabile mancanza di educazione, – Esclama Teardraet che
intercetta lo sguardo della giovane Syerdwin. – Vi presento Maestro
Doobe Nerubavel. Maestro, Dama Lie Maldanea, mia Id'iun.
Maldanea
si inchina, lievemente stupita nell'udirsi chiamare con la parola
consueta tra i Syerdwin per indicare colui o colei che dividono
l'acqua tra loro, come se solo udendo quella parola la sua unione con
Teardraet fosse divenuta finalmente reale. La sensazione passa dopo
un istante di lieve stordimento e i suoi occhi tornano, quasi senza
che lei lo voglia a fissare Maestro Nerubavel. Delle strane creature
che abitano la rocca di Teardraet quella è certamente la più
singolare, pur senza essere orribile o spaventosa. Doobe Nerubavel è
un essere di una magrezza lunare e Maldanea potrebbe cingere la sua
vita con le mani aperte, come pure il petto o i fianchi, dal momento
che il suo corpo cade diritto come un tronco d'albero. Un ampio
mantello color ciliegia lo nasconde in gran parte, ma la giovane
Syerdwin è certa che egli possegga almeno un paio di arti
supplementari, impiantati a metà del torace che talvolta lascia
spuntare dagli orli del tessuto.
La
creatura ricambia il suo sguardo con una sorta di degnazione
impermalita, o almeno è quella la sensazione che lasciano trasparire
i grandi occhi simili a diamanti dalle mille sfaccettature, unico
particolare dei suoi lineamenti vagamente familiare.
Dopo
qualche istante di esame Maestro Nerubavel sembra spazientito e la
sua esasperazione traspare dal nervosismo con il quale muove a scatti
gli arti superiori e mediani, passandoli sulle lunghe antenne piumose
che gli adornano il capo.
–
Non capifco, dama Maldanea. Non capifco la voftra curiofità. –
Ronza ad un tratto la creatura. La voce è bassa ed uniforme, dotata
di singolari risonanze. Non sembra provenire dalla bocca ma dal
petto, come un incantesimo fosse riuscito a donare la parola ad un
tamburo.
–
Perdonatemi, Maestro Nerubavel, ma non ho mai udito di creature come
voi, né tantomeno ne ho mai vedute. Questo mi ha reso certo
inopportuna, abbiate la bontà di compatirmi.
Doobe
Nerubavel annuisce di scatto un paio di volte. – Niente fcufe, Lie,
niente niente niente. Voi fiete curiofa vero? Bello, bello quefto.
Fomiglia a volare non trovate? Volare la mattina quando l'acqua
sembra un tappeto di piccoliffime gemme o la sera quando tutto vibra
piano piano prima di addormentarfi. – Maestro Nerubavel si
accarezza ancora un paio di volte le antenne con gli arti mediani con
bizzarra solennità e oscilla il capo come una marionetta.
–
Siete poeta, Maestro Nerubavel? – Chiede Maldanea.
–
Ne farei felice, Lie, ma fono folo una… fpecie di mago. Fì, fì,
che fa confufione e fi addormenta ful più bello.
Maldanea
guarda incredula la creatura, evidentemente dotata di un umanissimo
senso dell'umorismo e ride di cuore. – Andremo d'accordo noi due,
Maestro Nerubavel, lo sento. – Poi rivolta a Teardraet che ha
assistito alla scena senza parlare. – Desideravate parlarmi Id'iun?
Se
il conte ha provato stupore nell'udire quella parola dalle labbra di
Maldanea non lo dà a vedere. – Sì. Dovete sapere che poco fa ho
sollecitato una conversazione con Re Artamiro. – Nel dire questo
Teardraet scopre uno specchio dalla superficie metallica posto su un
alto treppiede e fa un leggero movimento della mano.
"Ma
è assurdo, osceno!" Grida una voce. Nello specchio un gruppo di
persone, uomini, Gu'Hijirr, Syerdwin, seduti ad un ampio tavolo sotto
una tenda osservano impietriti un ampio vassoio coperto, mentre
l'uomo autore del grido, dopo aver urlato un'ordine si porta alle
labbra una coppa.
–
Chi sono? – Chiede Maldanea.
–
La corte di Re Artamiro. – Teardraet sorride. – Ciò che vedi è
già accaduto. L'uomo che ora ha gettato il vino contro la tenda è
re Artamiro in persona. Ma ti prego di osservare ciò che accade, si
tratta di uno spettacolo molto interessante.
Maldanea
guarda, rabbrividisce quando l'orrido esserino parla, ha un sussulto
quando svanisce e osserva turbata il viso di Artamiro quando si
allontana dalla tenda.
–
Perché l'avete così terrorizzato? – Chiede a Teardraet quando lo
specchio ha ripreso il suo consueto aspetto.
–
Artamiro e tutti coloro che siedono in quella tenda non sanno vedere
la sostanza della realtà, Maldanea. Io non li ho spaventati, li ho
solo provocati a capire, ad immaginare. Avete visto qual'è stato
l'esito dell'esperimento? – Teardraet corruga la fronte. –
Artamiro si circonda di incapaci e di mediocri per meglio rifulgere
in mezzo a loro ed il suo sguardo, così acuto in gioventù, si sta a
poco a poco velando. Egli sta confondendo i suoi desideri con la
realtà, la vuota apparenza con la sostanza.
–
Egli ha paura. – Osserva a bassa voce Maldanea. – E voi lo volete
tenere legato a quella paura per meglio disporre del suo destino. –
La giovane Syerdwin alza il viso di scatto. – Forse in voi c'è
stato affetto per lui, un tempo, ma ora non mi pare che …. –
Maldanea si interrompe di colpo. – Perché avete voluto mostrarmi
quello? – Dice indicando lo specchio.
Teardraet
non risponde, si allontana fino a sfiorare con una mano la parete di
cristallo e vi appoggia la fronte.
–
Maldanea, venite qui ve ne prego. – La chiama. Quando la dama lo
raggiunge egli ha chiuso gli occhi ed ha staccato il viso dal
cristallo. – Mi trovate osceno? Orribile? Inumano? – Le chiede
all'improvviso. – Se è così ditemelo. Ma se è così devo
ammettere di aver di gran lunga sbagliato il mio giudizio su di voi.
–
No. – Replica lei.
–
Allora ditemi cosa pensate di me senza preoccuparvi. Posso
chiedervelo?
Maldanea
scuote la testa. – Ve lo dirò quando non me lo chiederete, Conte.
Posso andare ora?
Teardraet
sorride.– Non mi ero sbagliato, dunque. Vi prego, rimanete ancora
qui. Attendo che Artamiro mi chiami e…
–
Conte Teardraet? – La voce del Re si materializza all'improvviso
nella sala, una voce stanca, esitante.
–
Saluto Vostra Volontà . – Risponde Teardraet in piedi davanti allo
specchio.
–
Siete stato voi a mandarmi quella creatura poco fa. – Chiede il Re.
Non è una domanda la sua, ma una semplice constatazione.
Teardraet
lo guarda attraverso la liscia superficie dello specchi senza
rispondere.
–
Cosa significano le strane frasi che mi ha riferito? – Chiede
Artamiro.
–
Nulla di più di ciò che voi vorrete capire, Vostra Volontà.
–
Ma cosa significa vincere il proprio sguardo, Teardraet? L'ho chiesto
anche ai miei Silvani che mi hanno detto una sola parola in risposta:
"Mellbhi" il cui significato ignoro.
Teardraet
annuisce. – Mellbhi significa "appartiene alla Pietra",
Vostra Volontà. La pietra non è forse la sostanza più antica del
Mondo?
–
Basta indovinelli, Teardraet. So quanto siete potente, ma io possiedo
una sola vita destinata a terminare: una fortuna inestimabile.
Teardret
esita, suo malgrado colpito dalla frase del Re. – Non si tratta di
indovinelli, Artamiro, ma le parole sono un così povero mezzo per
esprimere qualcosa che non può essere descritto. Ombre di minacce
non ancora dette, riflessi di spade che ancora dormono nelle stanze
del vostro palazzo. Ascoltate il vostro respiro: adesso è rapido e
inuguale. Ascoltate il respiro della pietra, tanto lento che una sola
vita non basta ad udirlo una volta sola. Ciò che vedete è segnato
dal ritmo del vostro respiro ed è altrettanto instabile e casuale.
Guardare seguendo il respiro della pietra è la risposta ed è la
chiave della vittoria.
Maldanea,
alle spalle di Teardret vede il volto di Artamiro, un volto
corrucciato, attraversato da rancore e dalla paura. – Solo voi
Teardraet potete farlo, lo sapete. A me non è dato vedere nel mondo
della possibilità, né so riconoscere la minaccia nell'onda del
tempo che viene. Sono vecchio eppure affannato e confuso come un
ragazzo. Della gioventù mi resta solo la testardaggine. – Risponde
amaro Artamiro. – E vostra sarà questa vittoria. Arrivederci.
–
Attendete… – Dice Teardraet con voce incerta, poi scuote il capo
vedendo lo specchio oscurarsi nuovamente.
–
Maldanea. – Chiama senza voltarsi.
–
Sì.
–
La sorte del re è segnata. Soltanto uno è il mattino che è
concesso a ognuno, anche se è lungo il pomeriggio e interminabile la
sera. Anche per me il mattino è già trascorso, ormai da tempo. Voi
siete ora il mio mattino, il mio nuovo inizio. Non mi abbandonate, ve
ne prego.
–
Perché dite che la sorte del re è segnata?
–
Mentre lui è davanti a Bartsodesch a Dancemarare forze oscure e
potenti si muovono. Artamiro dorme sonni inquieti e sente che la fine
del suo tempo è vicina. Anch'io lo sento ma non riesco a riconoscere
volti e gesti. Mai l'orlo del mondo mi è sembrato tanto arido e
crudele. Ciò che non riesco a vedere è forse ciò che non voglio
vedere. Ma non avete risposto alla mia preghiera. Non l'avete udita?
–
L'ho udita. Non ho motivo per abbandonarvi.
–
Nulla più di questo? – Teardraet con un gesto lento, studiato
ricopre lo specchio. – Ma certo, cosa posso chiedervi ora? Vi
ringrazio per la vostra lealtà.
–
La devo alla mia Casa. – Un lieve sorriso spezza la serietà da
adulta che non le appartiene. – Ma sono molto lusingata dalla
vostra considerazione. Non so ancora come devo giudicare i vostri
modi, ma per il momento non me ne preoccupo. Non vi mancano almeno un
poco gli alberi della mia residenza?
Teardraet
ride. – No, non posso dirlo. Sono sempre uno syerdwin, in fondo. Ma
vi ringrazio per avermi ricordato uno dei momenti più curiosi e
belli della mia lunga vita. Il fatto che anche voi ve ne rammentiate
è per me molto più di una promessa. Grazie, e a presto. Vi attendo
al mio fianco per la cena.
–
Come desiderate. A presto, id'iun. Arrivederci, Mastro Nerubavel.
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