19.7.19

Il Mare Obliquo 22

Lie Maldanea è diventata la sposa del conte-mago Teardraet, ma, come le ha insegnato il Padre-adulto, il loro matrimonio è di natura politica e Maldanea non si stupisce dell'apparente freddezza di Teardraet. Tuttavia le cose tra loro sono così ovvie come parrebbe.
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– Il Conte Teardraet chiede di incontrarvi, Lie Maldanea.
La giovane syerdwin appoggia il libro che sta rileggendo, uno dei pochi che ha portato con sé nella casa del suo nuovo compagno e alza lo sguardo. Il messaggero del Conte-Mago, Ghiza, è una strana creatura di un razza che Maldanea non è riuscita a riconoscere, dal volto bruno e singolarmente lungo, occhi liquidi del colore del legno scuro, molto distanti tra loro, orecchie piccole e volte all'indietro, poste sulla sommità del cranio, un ampio sorriso accattivante, arti sottili e delicati che muove con compassata eleganza. Indossa un abito di velluto verde a coste sottilissime e calzoni aderentissimi del colore della sabbia bagnata che mettono bene in evidenza i muscoli lunghi e nervosi delle gambe sottili.
– A che proposito, Ghiza? – Chiede Maldanea.
È arrivata nel palazzo da una settimana e finora i suoi incontri con Teardraet si sono svolti all'ora dei pasti, in compagnia di altri membri della piccola corte di Baran e Verhida, servita a tavola e nel suo appartamento da un corteggio di creature bizzarre almeno, se non più dello stesso Ghiza, pur se innocue e cortesi.
– Egli sollecita il vostro parere su una piccola questione, Lie.
Maldanea volta leggermente il capo e saluta Pascalina entrata nella stanza in quel momento in compagnia di Difiduanna, appollaiata sulla spalla.
– Vi raggiungerò entro pochi istanti, potete attendermi fuori?
Ghiza si inchina profondamente. – Con piacere, Lie Maldanea.
– Cosa vuole da te, quel Moeld? – Chiede Pascalina a bassissima voce non appena il servitore è uscito.
– Non riesco neppure ad immaginarlo, carissima.
– È un ben strano matrimonio, il tuo, Maldanea. Finora non ti ha neppure chiesto di dividere il suo sonno con te. – Commenta la Dama di compagnia. – È una creatura troppo, troppo strana.
– Suvvia, Pascalina. – Ride Maldanea. – Se mi avesse chiesto di farlo avresti commentato sfavorevolmente i suoi bassi appetiti. E poi già il Padre-Adulto mi ha messo in guardia: "Si tratta di un'unione politica, nulla di più. Non aspettarti dal tuo sposo altro che cortesia e rare conversazioni, fatte più per dovere che altro." Così egli mi ha detto e io non mi aspetto nulla di più da lui.
Pascalina si stringe nelle spalle e indirizza lo sguardo sconfortato verso il soffitto. – Un tempo queste brutture non sarebbero state permesse. E anche questi ridicoli usi: i matrimoni, copiati dagli Uomini non c'erano. Questo mondo sembra aver perso la testa oltre che il pudore.
– Devo andare, Pascalina. Il resto lo dirai al mio ritorno. – Maldanea sorride. – Chissà che T rovesciata non abbia intenzioni serie stavolta.
La giovane dama chiude la porta sull'espressione esterefatta e scandalizzata di Pascalina e si affianca a Ghiza che la saluta con un profondo inchino.
Finora del castello del marito Maldanea ha visto ben poco ma quel poco ha potentemente stimolato la sua fantasia. La costruzione del Signore di Baran e Verhida non sembra avere nulla in comune con quella di Residenza Wessiun, né, per la verità, con quella di nessun altra delle principali famiglie Syerdwin. A quanto è riuscita a capire non esiste lì nessun ordine consueto nella disposizione di stanze, balconi, torri, corridoi. Non c'è una distinzione precisa tra gli appartamenti riservati alle dame e quelli riservati ai dignitari, come non esiste una Sala dei Colloqui aperta sulla porta di Mare, come è tradizione dei Syerdwin da secoli. In compenso esistono una quantità di scale e scalette che conducono a piccole stanze silenziose, adatte al raccoglimento, luminose mansarde dove crescono in grandi vasi di roccia scura dozzine di tipi diversi di piante, locali dal soffitto a volta dotati di piccole librerie, comodi divani e antichi leggii in legno lavorato, grandi terrazze ognuna dotata di strumenti ottici per riconoscere le stelle e guardare le navi che lontano, nel mare grigio, doppiano Capo Niggdonn. Anche le sale da pranzo sono piccole e Maldanea ha notato incuriosita che nella settimana appena trascorsa i loro pasti non sono mai stati consumati due volte nello stesso locale. 

 
L'ala del palazzo nel quale si stanno inoltrando è del tutto nuova per lei la Dama Wessiun inconsciamente rallenta il passo per guardarsi intorno. Attraversano prima un grande locale praticamente vuoto, dalle pareti interamente ricoperte di piastrelle lucide, di colori che vanno dal grigio scuro al verde foglia, passando per tutte le sfumature del grigio, dell'azzurro e del verde. L'aria nel locale sembra più fredda ed umida che altrove e Maldanea ha la sensazione di udire, passando velocemente, un remoto sciabordio di acque che si frangono contro una parete. Da lì passano ad un corridoio dal soffitto arcuato, le cui pareti sono fatte di un cristallo bianco ed opaco che lascia passare moltiplicandola la luce del giorno ma che non permette di vedere fuori. Al termine del corridoio una tenda spessa separa l'ambiente dal seguente. Ghiza la supera e apre il tendaggio annunciando: – Lie Maldanea di Baran e Verhida.
La giovane Syerdwin entra esitante per immobilizzarsi un passo dopo l'entrata, abbagliata dalla strana bellezza del locale dove Teardraet l'attende.
La sala è enorme ed il soffitto a cupola al centro è altissimo, e lo sguardo si perde nel riflesso luminoso del vertice della cupola, impedendo di capire dove essa termina ed inizia il cielo. Le pareti del locale sono fatte interamente di cristallo, sorretto da una sottile impalcatura metallica e divise in sezioni di vetro di diverso colore. Maldanea conta sei colori: rosso, verde, giallo, arancione, azzurro e violetto. Al centro, dove il riflesso dei colori si confonde sta in piedi Teardraet in compagnia di una creatura sconosciuta, che la saluta con un leggero inchino subito imitata dal suo interlocutore.
– Buongiorno Dama Maldanea di Wessiun sono molto contento di incontrarvi.
– Buongiorno a voi, conte Teardraet. Che meravigliosa sala! – Maldanea non prova neppure a nascondere lo stupore e l'incanto. – Avete costruito un arcobaleno, un prodigio che potrebbe stupire e meravigliare il mondo intero. –
Teardraet annuisce. – Non desidero stupire il mondo, Lie Maldanea. Mi è sufficiente godere di queste bizzarrie che certamente per chiunque conduca un'esistenza quieta e morigerata devono apparire riprovevoli follie. – Teardraet sorride. – Non godo di molte simpatie nè tra i Syerdwin né presso le altre genti del Mondo e non voglio che si parli di me più dello stretto necessario. Almeno per ora.
Maldanea non rileva, apparentemente, l'ultima frase del Conte-Mago, concentrata com'è ad osservare la creatura che si accompagna a lui.
– Che imperdonabile mancanza di educazione, – Esclama Teardraet che intercetta lo sguardo della giovane Syerdwin. – Vi presento Maestro Doobe Nerubavel. Maestro, Dama Lie Maldanea, mia Id'iun.
Maldanea si inchina, lievemente stupita nell'udirsi chiamare con la parola consueta tra i Syerdwin per indicare colui o colei che dividono l'acqua tra loro, come se solo udendo quella parola la sua unione con Teardraet fosse divenuta finalmente reale. La sensazione passa dopo un istante di lieve stordimento e i suoi occhi tornano, quasi senza che lei lo voglia a fissare Maestro Nerubavel. Delle strane creature che abitano la rocca di Teardraet quella è certamente la più singolare, pur senza essere orribile o spaventosa. Doobe Nerubavel è un essere di una magrezza lunare e Maldanea potrebbe cingere la sua vita con le mani aperte, come pure il petto o i fianchi, dal momento che il suo corpo cade diritto come un tronco d'albero. Un ampio mantello color ciliegia lo nasconde in gran parte, ma la giovane Syerdwin è certa che egli possegga almeno un paio di arti supplementari, impiantati a metà del torace che talvolta lascia spuntare dagli orli del tessuto.
La creatura ricambia il suo sguardo con una sorta di degnazione impermalita, o almeno è quella la sensazione che lasciano trasparire i grandi occhi simili a diamanti dalle mille sfaccettature, unico particolare dei suoi lineamenti vagamente familiare.
Dopo qualche istante di esame Maestro Nerubavel sembra spazientito e la sua esasperazione traspare dal nervosismo con il quale muove a scatti gli arti superiori e mediani, passandoli sulle lunghe antenne piumose che gli adornano il capo.
– Non capifco, dama Maldanea. Non capifco la voftra curiofità. – Ronza ad un tratto la creatura. La voce è bassa ed uniforme, dotata di singolari risonanze. Non sembra provenire dalla bocca ma dal petto, come un incantesimo fosse riuscito a donare la parola ad un tamburo. 

 
– Perdonatemi, Maestro Nerubavel, ma non ho mai udito di creature come voi, né tantomeno ne ho mai vedute. Questo mi ha reso certo inopportuna, abbiate la bontà di compatirmi.
Doobe Nerubavel annuisce di scatto un paio di volte. – Niente fcufe, Lie, niente niente niente. Voi fiete curiofa vero? Bello, bello quefto. Fomiglia a volare non trovate? Volare la mattina quando l'acqua sembra un tappeto di piccoliffime gemme o la sera quando tutto vibra piano piano prima di addormentarfi. – Maestro Nerubavel si accarezza ancora un paio di volte le antenne con gli arti mediani con bizzarra solennità e oscilla il capo come una marionetta.
– Siete poeta, Maestro Nerubavel? – Chiede Maldanea.
– Ne farei felice, Lie, ma fono folo una… fpecie di mago. Fì, fì, che fa confufione e fi addormenta ful più bello.
Maldanea guarda incredula la creatura, evidentemente dotata di un umanissimo senso dell'umorismo e ride di cuore. – Andremo d'accordo noi due, Maestro Nerubavel, lo sento. – Poi rivolta a Teardraet che ha assistito alla scena senza parlare. – Desideravate parlarmi Id'iun?
Se il conte ha provato stupore nell'udire quella parola dalle labbra di Maldanea non lo dà a vedere. – Sì. Dovete sapere che poco fa ho sollecitato una conversazione con Re Artamiro. – Nel dire questo Teardraet scopre uno specchio dalla superficie metallica posto su un alto treppiede e fa un leggero movimento della mano.
"Ma è assurdo, osceno!" Grida una voce. Nello specchio un gruppo di persone, uomini, Gu'Hijirr, Syerdwin, seduti ad un ampio tavolo sotto una tenda osservano impietriti un ampio vassoio coperto, mentre l'uomo autore del grido, dopo aver urlato un'ordine si porta alle labbra una coppa.
– Chi sono? – Chiede Maldanea.
– La corte di Re Artamiro. – Teardraet sorride. – Ciò che vedi è già accaduto. L'uomo che ora ha gettato il vino contro la tenda è re Artamiro in persona. Ma ti prego di osservare ciò che accade, si tratta di uno spettacolo molto interessante.
Maldanea guarda, rabbrividisce quando l'orrido esserino parla, ha un sussulto quando svanisce e osserva turbata il viso di Artamiro quando si allontana dalla tenda.
– Perché l'avete così terrorizzato? – Chiede a Teardraet quando lo specchio ha ripreso il suo consueto aspetto.
– Artamiro e tutti coloro che siedono in quella tenda non sanno vedere la sostanza della realtà, Maldanea. Io non li ho spaventati, li ho solo provocati a capire, ad immaginare. Avete visto qual'è stato l'esito dell'esperimento? – Teardraet corruga la fronte. – Artamiro si circonda di incapaci e di mediocri per meglio rifulgere in mezzo a loro ed il suo sguardo, così acuto in gioventù, si sta a poco a poco velando. Egli sta confondendo i suoi desideri con la realtà, la vuota apparenza con la sostanza.
– Egli ha paura. – Osserva a bassa voce Maldanea. – E voi lo volete tenere legato a quella paura per meglio disporre del suo destino. – La giovane Syerdwin alza il viso di scatto. – Forse in voi c'è stato affetto per lui, un tempo, ma ora non mi pare che …. – Maldanea si interrompe di colpo. – Perché avete voluto mostrarmi quello? – Dice indicando lo specchio.
Teardraet non risponde, si allontana fino a sfiorare con una mano la parete di cristallo e vi appoggia la fronte.
– Maldanea, venite qui ve ne prego. – La chiama. Quando la dama lo raggiunge egli ha chiuso gli occhi ed ha staccato il viso dal cristallo. – Mi trovate osceno? Orribile? Inumano? – Le chiede all'improvviso. – Se è così ditemelo. Ma se è così devo ammettere di aver di gran lunga sbagliato il mio giudizio su di voi.
– No. – Replica lei.
– Allora ditemi cosa pensate di me senza preoccuparvi. Posso chiedervelo?
Maldanea scuote la testa. – Ve lo dirò quando non me lo chiederete, Conte. Posso andare ora? 


 
Teardraet sorride.– Non mi ero sbagliato, dunque. Vi prego, rimanete ancora qui. Attendo che Artamiro mi chiami e…
– Conte Teardraet? – La voce del Re si materializza all'improvviso nella sala, una voce stanca, esitante.
– Saluto Vostra Volontà . – Risponde Teardraet in piedi davanti allo specchio.
– Siete stato voi a mandarmi quella creatura poco fa. – Chiede il Re. Non è una domanda la sua, ma una semplice constatazione.
Teardraet lo guarda attraverso la liscia superficie dello specchi senza rispondere.
– Cosa significano le strane frasi che mi ha riferito? – Chiede Artamiro.
– Nulla di più di ciò che voi vorrete capire, Vostra Volontà.
– Ma cosa significa vincere il proprio sguardo, Teardraet? L'ho chiesto anche ai miei Silvani che mi hanno detto una sola parola in risposta: "Mellbhi" il cui significato ignoro.
Teardraet annuisce. – Mellbhi significa "appartiene alla Pietra", Vostra Volontà. La pietra non è forse la sostanza più antica del Mondo?
– Basta indovinelli, Teardraet. So quanto siete potente, ma io possiedo una sola vita destinata a terminare: una fortuna inestimabile.
Teardret esita, suo malgrado colpito dalla frase del Re. – Non si tratta di indovinelli, Artamiro, ma le parole sono un così povero mezzo per esprimere qualcosa che non può essere descritto. Ombre di minacce non ancora dette, riflessi di spade che ancora dormono nelle stanze del vostro palazzo. Ascoltate il vostro respiro: adesso è rapido e inuguale. Ascoltate il respiro della pietra, tanto lento che una sola vita non basta ad udirlo una volta sola. Ciò che vedete è segnato dal ritmo del vostro respiro ed è altrettanto instabile e casuale. Guardare seguendo il respiro della pietra è la risposta ed è la chiave della vittoria.
Maldanea, alle spalle di Teardret vede il volto di Artamiro, un volto corrucciato, attraversato da rancore e dalla paura. – Solo voi Teardraet potete farlo, lo sapete. A me non è dato vedere nel mondo della possibilità, né so riconoscere la minaccia nell'onda del tempo che viene. Sono vecchio eppure affannato e confuso come un ragazzo. Della gioventù mi resta solo la testardaggine. – Risponde amaro Artamiro. – E vostra sarà questa vittoria. Arrivederci.
– Attendete… – Dice Teardraet con voce incerta, poi scuote il capo vedendo lo specchio oscurarsi nuovamente.
– Maldanea. – Chiama senza voltarsi.
– Sì.
– La sorte del re è segnata. Soltanto uno è il mattino che è concesso a ognuno, anche se è lungo il pomeriggio e interminabile la sera. Anche per me il mattino è già trascorso, ormai da tempo. Voi siete ora il mio mattino, il mio nuovo inizio. Non mi abbandonate, ve ne prego.
– Perché dite che la sorte del re è segnata?
– Mentre lui è davanti a Bartsodesch a Dancemarare forze oscure e potenti si muovono. Artamiro dorme sonni inquieti e sente che la fine del suo tempo è vicina. Anch'io lo sento ma non riesco a riconoscere volti e gesti. Mai l'orlo del mondo mi è sembrato tanto arido e crudele. Ciò che non riesco a vedere è forse ciò che non voglio vedere. Ma non avete risposto alla mia preghiera. Non l'avete udita?


– L'ho udita. Non ho motivo per abbandonarvi.
– Nulla più di questo? – Teardraet con un gesto lento, studiato ricopre lo specchio. – Ma certo, cosa posso chiedervi ora? Vi ringrazio per la vostra lealtà.
– La devo alla mia Casa. – Un lieve sorriso spezza la serietà da adulta che non le appartiene. – Ma sono molto lusingata dalla vostra considerazione. Non so ancora come devo giudicare i vostri modi, ma per il momento non me ne preoccupo. Non vi mancano almeno un poco gli alberi della mia residenza?
Teardraet ride. – No, non posso dirlo. Sono sempre uno syerdwin, in fondo. Ma vi ringrazio per avermi ricordato uno dei momenti più curiosi e belli della mia lunga vita. Il fatto che anche voi ve ne rammentiate è per me molto più di una promessa. Grazie, e a presto. Vi attendo al mio fianco per la cena.
– Come desiderate. A presto, id'iun. Arrivederci, Mastro Nerubavel.
La creatura, immersa nella lettura di un enorme volume, solleva il capo e annuisce solennemente. – A prefto, mia fignora. Mia ftupenda fignora.

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