22.6.19

Il Mare Obliquo 17

Il misterioso viaggio del Duca Kwister in compagnia del suo servo Harvaiun continua, con qualche piccola sorpresa e qualche misteriosa insidia.
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I vetri di Verdevima, circondata dalle nove montagne coperte di foreste, brillano debolmente alla luce del tramonto. Dalla cima del passo Kwister di Lö allarga le narici per riconoscere l'odore della città, un misto di vecchio cuoio, arancio, lavanda e olio per legno. La città si culla nella quiete dell'ora magica e infinita che segna il saluto del sole ed i suoi abitanti indugiano ancora sulle porte e nei cortili, scambiandosi parole leggere e divertite, dolci ricordi, promesse d'amore. Dalla sua posizione il lupo drago ha la sensazione di poter toccare solo allungando la mano le quattro massiccie torri a terrazze, dove i Djomak, i Protettori, e gli Erbani coltivano l'erba lucciola e l'Odmie, le piante palustri dal lungo stelo amate dai Gu'Hijirr, l'erbamare dei Syerdwin, le lame d'argento care ai Notturni e le piccole margherite ed i girasoli prediletti dagli Uomini. Con un senso di pace nel cuore il Duca lascia che il suo sguardo accarezzi i mille colori delle terrazze, dove i cristalli delle serre e le alte finestre rendono più lento e struggente il tramonto.
Intorno alla città, già immerse nell'ombra del sonno stanno le sue nove montagne: Fosh, Monte dei Salici, Mallina, Kanushimi, Innuori, Monte Effige, Irroka, Thereide e Nebbiosa.
– Bella eh? – Kwister non sembra chiedere il parere del suo servitore, divenuto ormai un compagno, ma anticiparlo. – A voi pesci freddi non piacciono boschi e piante, ma persino tu troverai incantevole questa città.
– Mi piacciono i suoi cristalli, i loro riflessi. Come se sorgesse sottacqua. E così anche le sue piante mi ricordano i lenti movimenti delle alghe. Le avete mai viste, duca Kwister, le praterie sottomarine? Ce ne sono di splendide sulla riva della mia isola, Wentur e lì vivono le mie madri vere.
– No, non le ho mai viste. Mi suonano strane le tue parole, Harvaiun, perché lasciano credere che persino tu nel tuo petto gelido ospiti un cuore ed un po' di amore per la bellezza. E come sai che in quei luoghi vivono i tuoi veri genitori?
Il syerdwin ride. – Non lo so. E anche se li incontrassi nella loro attuale forma non li saprei riconoscere. È un gioco, solo un gioco, che si fa da cuccioli, nuotando d'estate nelle acque dove nuotano gli spettri delle acque del crepuscolo. Ognuno di noi ne sceglie due e li elegge proprie vere madri. Non è facile riconoscerle, poi, ma il mantello nero del dorso non ha mai gli stessi limiti, il colore vira al blu intenso o al viola vicino alle pinne, ci sono cicatrici, segni di scontri remoti o recenti, modi personali di nuotare o di chiamarsi. Io non ho mai perso di vista le mie madri vere, almeno finché ho mantenuto il mio nome da giovane.
– E qual'era il tuo nome giovane, Harvaiun?
Il Syerdwin sorride debolmente. – Non è onorevole pronunciare il proprio nome giovane alla maturità, duca, ma voi non siete un syerdwin, quindi… Il mio nome giovane era Roffy. Una volta perduto quel nome anche il mio gioco dovette cessare. Gli adulti dicevano che troppo nuoto affretta il Cambiamento ed esso deve venire solo quando è il mare a chiamarci, non prima.
– Ma è vero?
– Non credo, ma ormai ricordo a stento quelle nuotate ed il mare è una grande presenza oscura che avverto solo nei sogni. Ma qualcosa in questa città ha risvegliato i miei stupidi ricordi e come un vecchio sull'orlo del Cambiamento sto qui a tediare chi mi accompagna con la mia nostalgia. 

 
– Noi lupi ne sappiamo così poco di voi syerdwin e probabilmente questo non è giusto. Tutti conosciamo poco gli altri popoli e finiamo per dimenticare che siamo nati tutti dallo stesso grembo inesauribile. Vedi, Share, che effetto fa la bellezza? In sua presenza nascono solo pensieri elevati, teneri ricordi, tenui malinconie e amicizia. Nessuno riesce a capire quanto sia terribile, quanto dolore porti vivere in luoghi infami ed oscuri, squallidi e freddi. La bellezza che vive in noi muore, allora, ed al suo posto vengono l'odio e l'ira.
Il syerdwin approva. – È vero, mio Signore, ma che dire allora di chi si circonda di begli oggetti e vive in case fastose e quando ha terminato i denari manda i propri emissari a reclamare fatica, sangue e dolore da coloro che vivono in quei luoghi? Come dovremo giudicare la rabbia senza speranza di quella gente, cresciuta senza bellezza, che alla prima occasione brucerà bei quadri, magnifiche stoffe, sontuose dimore, possibilmente con il nobile dentro?
Il duca sobbalza e per un attimo il labbro superiore si increspa a mostrare ira. Ma la sua rabbia dura solo un istante e si spezza in una risata. – Maledetto pesce, hai ragione. Il mio era un pensiero ispirato da uno stomaco ben satollo. Ma tutti, uomini, lupi o syerdwin, abbiamo bisogno di qualcuno che ci guidi, qualcuno che per le sue capacità, per la sua generosità, la sua saggezza meriti il suo posto di primo. Altrimenti vi é solo inganno, ruberia, miseria ed ignoranza.
– Bellissime parole, Duca. Mi chiedo quando finalmente manderete nel mondo dell'Ombra di Sangue il Grande Artamiro che di queste belle parole ha fatto il suo stendardo.
– Attendi con fiducia, Share, quel giorno verrà.– Appena pronunciate quelle parole Kwister ha un moto di disappunto. – Ma perché lo racconto a te, maledizione? Adesso lo andrai a raccontare alla prima pulzella con la quale ti rotolerai in un letto ed io sarò perduto.
– Non temete. – Il syerdwin è riuscito ad impallidire ancora, nonostante il colore già livido della sua carnagione e fa grandi cenni di diniego. – Terrò la lingua a posto, duca, sopra e sotto le acque.
Kwister con un rapido cenno indica la sua spada. – Meglio per te, in quel caso. Adesso è tempo di muoverci, Share, se vogliamo trovare qualcosa da mettere sotto i denti.
– E la fata Mahaderill?
Il lupo-drago sbuffa. – Riceve solo al mattino, sciocco, e non sarebbe degno di me importunarla ad un'ora tarda.
– Giusto. E anche Artamiro così ha una mezza giornata di più da camp…
– Non pronunciare più quel nome, Harvaiun. – Lo interrompe cupo il duca. – Fino a quando non te ne darò il permesso.



  Un uccello araldico di metallo, dipinto di un bel rosso carminio è appeso fuori dalla locanda insieme alla scritta vergata nei caratteri bassi e larghi del Ree, ormai quasi caduti in disuso, proclamando ai passanti che quella è la locanda "Della Gru-Pavone rossa" di Mastro Jeghell. Una lampada ad olio ingegnosamente accesa sotto l'insegna permette di scorgerla anche di notte, cosa che sicuramente deve ben favorire gli affari del bravo oste, come sicuramente depone a suo favore il profumo dei polli che un ragazzino mezzo addormentato gira su uno spiedo.
– Qui va benissimo. – Decide il Duca scendendo da cavallo e affidandolo alle cure di un servo Gu'Hijirr che si è affrettato ad accostarglisi.
– Qui fanno commercio non solo di carni cotte e ben cucinate. – Osserva a mezza voce Harvaiun.
– Come dici?
– Ve lo dirò una volta entrati, signore.
Il Lupo-drago lo guarda perplesso, apre il fermaglio del mantello ed entra risolutamente mentre il syerdwin rotola pesantemente giù dalla sella, si ferma un istante per massaggiarsi la schiena e si affretta a seguirlo.
Buonasera, buonasera mio Magnifico Signore, come posso accontentarvi? – L'individuo piccolo, scuro e dotato di formidabili baffi che lo ha apostrofato appena entrato dev'essere Mastro Jeghell. Kwister lo saluta con un cenno della mano ed attende. Il piccolo oste gli si fa incontro e giunge al cospetto del duca contemporaneamente all'arrivo alle sue spalle di Shade.
– Buonasera Signore, desiderate cenare, riposarvi, gradite compagnia della più sana e divertente? La mia modesta locanda è al vostro servizio.
– Appunto. – Commenta Harvaiun.
Mastro Jeghell lo guarda con sospetto. – Questo Syerdwin viaggia con voi?
– Ovvio. Per il momento desidero cenare e più tardi riposarmi. Indicatemi un tavolo.
– Là, signore, il posto vicino al caminetto. Vi è gradito o preferite quel tiepido angolo all'ombra del soppalco?
– Voglio un tavolo per tener d'occhio la porta, oste, nulla di più. Quello andrà benissimo.– E senza attendere risposta Kwister va a prendere posto in un tavolo vicino a quello di un gruppo di Syerdwin delle isole dell'Uncino, riconoscibili per i cappucci verde- azzurro.
– Mastro Jeghell, come sono i vostri prezzi? – Chiede Harvaiun.
L'oste lo guarda con fastidio. – Siete per caso voi a pagare?
– Fate come se fossi io a farlo. Sapete, il mio signore è persona tanto delicata da non insudiciarsi la bocca con tali sciocchezze. Allora?
– Cento solidi per la cena, la rigovernatura dei cavalli, una camera e due fanciu…
– Piano, piano, mastro Jeghell. Se non ve ne siete accorto il mio Signore è un lupo non un pollo e anche se l'esercizio della spennatura dev'essere molto praticato qui, credo dobbiate fare attenzione a chi vi capita per le mani. Un Lupo-Drago non è una delle creature più pazienti e ricche di umorismo del mondo.
– Queste vostre insinuazioni mi offendono, signore. Comunque, credo che se vi conterrete nel cibo e vi accontenterete di un pagliericcio…
Share scuote la testa lentamente. – No, no, no. Non ci siamo proprio, caro mastro Jeghell. Il mio signore non è abituato alla miseria. Quanto di meglio avete in cucina ed i letti di più morbido piumino con le coperte più calde andranno benissimo per noi. Il tutto per cinquanta solidi, che è sempre il doppio di quanto pretendono i vostri colleghi.
Il piccolo oste aggrotta le sopracciglia. – È poco, molto poco, ma chi è il Signore che accompagnate, così potente ed insieme così parsimonioso?
– Il barone Engelholm di Gräben, ma non ditelo a nessuno.
– Certo. Resta inteso che se vorrete godere di buona compagnia per la notte il prezzo dovrà essere corretto.
– Non contateci, mastro Jeghell. E ora svelto, a cucinare.
L'oste lo guarda con livore allontanandosi, benedetto dal sorriso beffardo del Syerdwin che, soddisfatto di sé, raggiunge il Duca.


– Finalmente, Harvaiun, cosa avevi tanto da discutere?
– Ecco, il fatto è che Mastro Jeghell non possiede tra le sue doti l'onestà e i suoi prezzi se non il suo locale hanno l'ardimento della Locanda Reale di Dancemarare.
– Ah, e tali sono restati anche dopo la vostra discussione?
– No. Ha convenuto con me che sua venalità poteva essere fraintesa ed ha dimezzato il prezzo richiesto. Tra l'altro sarà bene che sappiate che…. – Il Syerdwin abbassa bruscamente la voce. – …Il vostro nome è barone Enghelholm di Gräben ed il mio è Fadha Roghiun, nel caso ci siano orecchie troppo grandi nel locale.
Il duca ride. – Bel nome quello che avete scelto per me, Sh…Fadha, il nome di un sovrano mitico dei Lupi-Drago. Se c'è qualcuno qui che è della mia razza ne sarà perlomeno sorpreso.
– Ho dovuto improvvisare, Barone, e mi sono ricordato del titolo di un libro della vostra biblioteca.
– Non ti preoccupare, va benissimo e la cosa ha anche il pregio di divertirmi. Ma chi quegli uomini alle nostre spalle che parlano tanto forte?
Il syerdwin si volta. – Hurriti. Sono boscaioli o almeno tali mi paiono. – Lo sguardo di Harvaiun si incrocia con quello di uno degli uomini seduti al tavolo accanto al loro intento a portarsi alla bocca una coscia di pollo ben rosolata ed il Syerdwin si affretta a distogliere lo sguardo.
– Le mani del re sono molto lunghe e quella gente non mi piace, comunque. – Osserva a bassa voce Share. – Questo mi fa temere una notte da sveglio, signore.
– Bene. – Commenta Kwister senza smettere di sorridere. – Cosa ha creato in te questa convinzione?
– Gli Hurriti hanno un giorno ogni sei dedicato al digiuno per favorire il perdono del dio dei Boschi che loro chiamano Amayan. Quel giorno è oggi.
– Un po' di empietà ai giorni nostri non è strana.
– È vero, ma ignorare la cosa nella nostra situazione sarebbe imperdonabile.
– Sono d'accordo con te. Adesso mangiamo.

Al termine di una cena abbondante ma non eccessiva, formata da un tacchino allo spiedo, trota ai capperi, uova al lardo, insalata fresca, formaggio e annaffiata da una buona birra il duca Kwister si alza in piedi e dichiara ad alta voce: – Mi è parso di udire che in questo locale, Fadha, c'è la possibilità di godere di buona compagnia per la notte, non è così?
Harvaiun, che ha passato tutto il tempo della cena a cercare di riconoscere l'accento dei quattro syerdwin seduti nel tavolo di fianco al suo, sobbalza e guarda il duca stupefatto. – Sì, certo.
– Bene, allora andiamo, che questa cena deliziosa ha risvegliato in me qualcosa..
Il syerdwin, confuso approva e si alza per correre dall'oste. – Abbiamo cambiato idea, Oste. Un po' di compagnia ci è gradita. – Gli annuncia.
– Questo modifica sostanzialmente il vostro conto, come vi aveva preannunciato.
Harvaiun, che sospetta che la decisione del duca abbia qualcosa a che fare con la bella compagnia degli Hurriti che hanno continuato a bere ed a mangiare in spregio ad Amayan, sorride serafico e annuisce. – Ma certo, Mastro Jeghell, e se resteremo soddisfatti ve ne daremo prova tangibile.
L'oste sorride a sua volta. – La vostra stanza è al primo piano, la seconda a destra al termine della scala. Avete preferenze per la compagnia?
– Due fate, mastro Jeghell. – Share ride vedendo l'espressione perplessa dell'oste. – Non ne avete a lavorare da voi? Alla locanda reale di Dancemarare ce ne sono sette, pensate. Dovreste attrezzarvi. Qui vicino non c'è una certa Mahaderill della quale si dicono cose egregie…
– Siete male informato, signore: Mahaderill è una fata anziana e vive predicendo il futuro ai ricchi come ai disgraziati. – Ribatte l'oste in modo brusco.
– Evidentemente hanno voluto prendersi gioco di me. Perdonatemi. 
– Di nulla. Appena vi sarete rinfrescati provvederò ad inviarvi Eyma e Celia, i più bei fiori del mio piccolo giardino.
– Bellissimi nomi, Mastro Jeghell, le attendiamo con impazienza. 

 
Con un piccolo inchino Harvaiun si allontana e raggiunge la scala. Salendo nota che i boscaioli hurriti sono scomparsi, probabilmente già nella loro camera. A metà della salita ad incontrarlo c'è il duca Kwister, avvolto nel mantello come un brigante da strada.
– Non era esattamente questo che intendevo per passare la notte da svegli, signore, ma se è così che desiderate… – Inizia a dire Shade.
– Fai silenzio, buffone e seguimi. – Cauto e silenzioso il duca arriva al primo piano, gira a sinistra ed apre un piccola porta.
– Entra. – Ordina con un soffio.
– Ma la nostra stanza è…
Il duca lo spinge nel buio e chiude la porta. La luce della luna che spiove da una piccola finestra li illumina debolmente rendendo ancora più minaccioso il sorriso del Duca Kwister.
– Lo so, stupido syerdwin. Ho udito quello che ti ha detto mastro Jeghell. Ho anche visto la sua reazione quando hai tirato in ballo Mahaderill.
– Credo che l'oste non c'entri, Signore.
– Infatti, era solo seccato per tutte le sciocchezze che gli hai detto. Fate in una locanda, ma chi l'ha mai sentita una stupidaggine simile?
– L'oste l'ha bevuta, comunque. E credo che da domani si metterà a cercarne una per poter alzare ancor più il suo prezzo, fino a quando non incontrerà un silvano che gli romperà la testa. Tra l'altro, avete presenti quei syerdwin che sedevano al nostro fianco?
– Certo.
– Bene, avevano i colori delle isole dell'Uncino ma parlavano con l'accento di Verhida.
– Verhida? Ma non è uno dei dominii di Teardraet, quello che voi chiamate il non-cambiato?
– Per l'appunto, duca Kwister, e credo che la loro presenza qui sia casuale quanto quella degli Hurriti.
– Bel posto ho scelto. – Commenta il duca.
– Tutte le migliori locande saranno piene di spie e di sicari pronti a farvi la pelle, è evidente. Non potevano aspettarvi ad uno dei passi perchè la milizia di Verdevima, che non è schierata con re Artamiro, li difende e quindi non potevano che agire così. Incidentalmente posso chiedervi perchè avete deciso di chiedere compagnia per poi nasconderci qui?
– Da qui si vede la porta della nostra camera, Share. Quando le ragazze vi saranno entrate e non ci avranno trovato correranno a dirlo all'oste che sicuramente farà il diavolo a quattro. Ai nostri amici allora non resterà che andarsene a cercarci per il resto della città. E ovviamente noi potremo dormire nella nostra camera.
Harvaiun accenna un applauso. – Adesso capisco perché voi siete duca ed io no. Un'idea così non mi sarebbe mai venuta.
– Già. L'importante è che nessuno venga a dormire in questa camera. adesso silenzio e guardiamo.
Da uno spioncino Kwister vede passare sul piano un'arciere in compagnia di un amico, un paio di mercanti piuttosto alticci, un syerdwin vestito degli abiti severi del Collegio delle Acque Lente, un Protettore, una coppia di mezza età formata da un Gu'Hijirr ed una donna ed infine i quattro syerdwin che stavano seduti vicino a loro, avvolti nei loro mantelli verde-azzurri. Uno di essi si appoggia in un incavo del muro compreso nel campo visivo del duca e apre il mantello per appoggiare una mano sul manico della spada, lasciando intravedere il disegno della sua livrea: una spirale nera su campo grigio. – Vieni qui, Share. – Lo chiama Kwister con un soffio. – Cosa rappresenta quel simbolo? – Chiede al syerdwin.
– Il mare obliquo. – Dice Harvaiun. – Ho visto quel simbolo solo una volta, quando ho combattuto per il conte Kelliun di Dudra e per poco non è stata l'ultima cosa che ho visto da vivo. Non so a chi appartenga, ma è il simbolo di un vecchio gioco che ho visto giocare da bambino: Iledon. Tutte le navi syerdwin posseggono le carte dell'Iledon. Servono a fare auspici ma anche per giocarsi la camicia. Il mare obliquo è una delle carte decisive. Per vincere o per perdere.


– Per vincere o perdere. Dev'essere un simbolo importante. – Commenta il Duca Kwister. – Il guaio è non sapere a chi appartiene. Aspettiamo.
Passano alcuni minuti poi ad apparire in cima alla scala sono due creature vestite di ampie gonne molto colorate: una syerdwin giovanissima, dal volto chiaro e delicato come alabastro e grandi occhi di colore grigio ed una lupa-drago dal passo flessuoso ed elastico, orgoglioso come quello di una regina e dagli occhi del colore delle nocciole mature.
– Eccole. – Annuncia Kwister.
– Mi faccia almeno vedere cosa mi sono perso, signor Duca. – Chiede Harvaiun appoggiando gli occhi allo spioncino.
Dopo qualche istante si ritrae scuotendo la testa. – Troppo giovane, duca Kwister, però tutto sommato mi sarei potuto accontentare.
– Non pensare a queste sciocchezze, Harvaiun. Le ragazze stanno per entrare.
– Beh, aspettiamo. Cosa ve ne è parso della vostra lupa?
– Semplicemente splendida.– Commenta il duca. Un attimo dopo si corregge. – O almeno tale l'avrei giudicata in altre circostanze.
– È proprio vero.
La porta della camera dove avrebbero dovuto riposare si riapre, lasciando uscire le due ragazze che confuse lanciano un'ultima occhiata intorno e si affrettano a scendere.
Un istante dopo Mastro Jeghell compare in cima alla scale armato di una lanterna ed accompagnato da un robusto Gu'Hijirr. – Maledetti! E mi hanno fatto impazzire con le loro richieste per questo! – Sta urlando il piccolo oste che spalanca la porta della stanza senza smettere di maledire tutte le divinità umane, syerdwin e di tutti i popoli del mondo.
Il Syerdwin acquattato nel corridoio di fronte al loro osservatorio comincia a lanciare occhiate perplesse nella direzione dalla quale provengono le urla dell'oste ed infine si stringe nel mantello e scivola davanti alla porta dalla quale provengono le urla di mastro Jeghell. Uno alla volta gli altri lo seguono e poco dopo è la volta dei falsi Hurriti di abbandonare la stanza nella quale si erano nascosti per scendere.
Mentre compiono questa manovra il Gu'Hijirr al servizio dell'oste li scorge e corre a chiedere ragione del loro comportamento. In breve sorge un'animata discussione al termine della quale i falsi boscaioli pagano il dovuto e si allontanano come ladri nella notte.
L'episodio ha se non altro il pregio di migliorare l'umore di Jeghell che brontolando tra sè chiude a chiave la stanza e ritorna al piano inferiore.
– Non c'è più nessuno. Possiamo uscire. – Comunica il duca Kwister. – E prenderci il nostro meritato riposo.
– E come faremo, signore. Ho ben visto l'oste che chiudeva a chiave la stanza.
Il duca esce, gli fa cenno di seguirlo, apre la porta della stanza a loro destinata e chiude la porta alle loro spalle. – Con questa. – Dice mostrandogli la chiave che ha appena terminato di utilizzare.
– Ma che prodigio è mai questo?
– È una chiave magica, Harvaiun, opera della fata Mahaderill quando era al servizio della mia Marrak. E ancora una volta mi serve meravigliosamente.
La stanza che l'oste aveva scelto per loro è scaldata da un bel camino ed i suoi letti sono morbidi e tiepidi come hanno chiesto.
– Molto confacente. – Osserva Share. – Ma domani ci faremo fare un po' di sconto. In fondo avevamo chiesto compagnia e siamo costretti a dormire soli.
– Hai ragione, Harvaiun. – Ride il Duca Kwister. – Il servizio è scadente e la compagnia anche peggiore.

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