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–
Cos'era?
–
Non lo so.
Usif-Lizhi
fissa il limite scuro della foresta di Cera, confuso con le ombre
immobili create dalla luna.
–
Sembrava un urlo, una richiesta di aiuto.
–
Lo credo bene. Faremmo bene a prendere il largo più in fretta,
stimolati da tale ammonimento.
–
Ma Kirzil, forse c'è una creatura in pericolo là.
–
Appunto. Non mi pare il caso di aumentare il numero di creature in
pericolo.
–
Tuttavia… – Il Notturno si ferma, le orecchie tese a cogliere
altre voci o rumori. – Sembrava non troppo lontano. Veniva di là,
a poche centinaia di passi da noi.
–
Non voglio certo discutere le meravigliose doti del tuo udito che ha
già salvato una volta la pelle di noi tutti. Però la vita è unica
e non la si può spendere più di una volta. E poi, Usif-Lizhi, ti
ricordo che non sei qui per svago ma per una missione per conto del
tuo popolo. Se muori chi la compirà?
Il
Notturno annuisce. – Hai ragione, Kirzil.
–
Bene, allora proseguiamo?
–
No.
–
Ma sacri dei, non vorrai davvero entrare in quella foresta? Da lì
non è mai uscito vivo nessuno, lo sai, no?
–
Così si dice.
–
Coraggio, ancora questa notte, l'ultima notte, poi Verdevima ci
aprirà le sue porte e tu incontrerai Mahaderill. Non vorrai gettare
via tutto così sconsideratamente?
In
quel momento l'urlo si ripete, accompagnato da fruscii e da curiosi
suoni simili a belati o a risate, talmente agghiaccianti che il
Gu'Hijirr si chiede che effetto gli farebbe avere lo stesso udito del
Notturno e sentire molto di più. Saggiamente decide di non pensarci.
– Non morirò, Kirzil Pennarossa, non è ancora venuto il mio
tempo. Un'Indovina mi ha profetizzato che vedrò l'Ultima Età del
Mondo. Io vado, non seguirmi.
Detto
questo Usif-Lizhi si volta e comincia a marciare verso il limite
della Foresta, calmo e serio come se andasse a partecipare ad una
cerimonia o ad un ballo a corte.
Kirzil
lo fissa per qualche istante aggrottando la fronte ma senza fare
commenti, anche perché è certo che grazie alle sue singolari doti
il Notturno riuscirebbe senza fatica a udirlo. Usif-Lizhi si è
allontanato di un trentina di passi quando il Gu'Hijirr urla: –
Aspettami maledetto gufo, vengo anch'io. – Ed afferrata la ejiri,
la spada dalla lama larga tipica del suo popolo, lo segue. Lo
raggiunge quando pochi passi lo separano dai primi alberi.
–
Hai udito anche tu una profezia sulla tua vita, Kirzil? – Gli
chiede.
–
Io non ho denaro da spendere in quel modo, Usif- Lizhi. Conto sulla
mia buona fortuna e sul fatto che forse tu riuscirai a spaventare i
mostri che abitano questa foresta più di quanto loro spaventeranno
te.
Il
Notturno ride sommessamente. – È possibile.
–
Hai un'arma con te? – Gli chiede il Gu'Hijirr.
Usif-Lizhi
annuisce, scosta il mantello ed estrae da un fodero che porta
allacciato di traverso sulla schiena una lunga spada lunga e sottile
che emette una debole luce azzurra, proprio come i suoi occhi.
–
Bella. Ma la sai usare?
–
Di questo non preoccuparti, faccia-di-cuoio. Adesso muoviamoci.
Kirzil,
stupito che il Notturno conosca il nomignolo che i marinai umani
danno abitualmente ai Gu'Hijirr, esita per un attimo, poi sputa nella
sabbia, abbassa la testa e supera i primi alberi della foresta.
La
luce lunare che penetra a fatica tra le fronde fitte degli alberi e
il sottobosco, formato da strane piante dalle foglie sottili e
taglienti, rende il loro cammino non facile, ma il Notturno, la cui
vista non teme l'oscurità procede veloce come se stesse camminando
su un sentiero di campagna. Ogni qualche metro la sua spada luminosa
si abbatte sull'intrico di rami spinosi e foglie che cercano di
rallentare il suo passo. Kirzil che arranca dietro di lui guarda
stupito e insieme rincuorato quei veloci movimenti della lama di
Usif-Lizhi che gli ricordano i giochi fatti con le torce dai più
abili del suo popolo per la festa della Lunga Marea.
Il
Notturno sembra non avere dubbi sulla direzione da prendere e non si
preoccupa del fruscio prodotto dai loro passi. È possibile che conti
davvero sul fatto di spaventare gli abitanti della foresta, medita
Kirzil. Il Gu'Hijirr solleva lo sguardo: il viso ed il corpo del
Notturno sono debolmente illuminati dalla luce pallida e fredda della
sua spada e quando si volta i suoi grandi occhi che brillano della
stessa luce, velando d'ombra il viso, sembrano quelli di un dio
freddo e rabbioso, capace di crudeltà indicibili.
«Giuro
che se non fossimo amici sarei terrorizzato quasi più da lui che da
questa orribile selva.» Osserva tra sé il Gu'Hijirr, rimpiangendo
di non avere mai avuto a sua volta sembianze così terrifiche.
La
foresta di cera è silenziosa come un sepolcro e tra gli alberi
ristagna un'aria immobile, densa che ottunde i sensi e spegne i
colori. I Lunghi alberi neri, dalla chioma simile alla fiamma delle
candele posseggono una loro peculiare bellezza, anche se Usif-Lizhi
non ha tempo per fermarsi a provare la strana sensazione di muta
bellezza ultraterrena che essi sprigionano. Nascosti tra le loro
fronde immote vede gli azzurri cenerini della faccia inferiore delle
foglie, il rosso cupo delle profonde venature del legno e gli altri
colori che non ha mai potuto descrivere a chiunque non sia un
Notturno e non veda i mille tenui colori della Notte, quelli che ha
provato tante volte a descrivere a Adwina: il colore di certi
cristalli scuri, i colori nascosti in certi quadri o nellla trama di
alcune stoffe. Lei ha finto di vederli, talvolta, per amore e quando
le diceva «Se lo vedi, descrivilo» lei rispondeva con un sorriso da
bimba cocciuta:«È impossibile raccontare un colore, Usif-Lizhi, lo
sai bene.»
Ed
il tenuissimo colore delle creature viventi, la loro aurea, diversa
per ognuno, per ogni animale o pianta che riluce debolissima ed
inafferabile. Mille volte si è chiesto se ci sia un rapporto tra il
colore di una persona ed il suo temperamento, se quella strana
capacità della sua razza possa in qualche modo essergli utile per
distinguere gli amici dai nemici, inutilmente: quel delicato colore,
simile a fumo sottile o ad un increspatura dell'acqua è un inganno,
un'illusione, come quasi tutte le scorciatoie per comprendere gli
altri, le loro intenzioni note e quelle ignote anche a chi le prova.
E lui, lui stesso? Per quale motivo si è infilato in
quell'impossibile ma bellissima foresta? Per allontanare la paura?
Perché è un motivo per eludere il suo viaggio ed il suo disperato
compito? O per lo sciocco desiderio di mostrare a Kirzil quanto può
valere un Notturno, quanto può essere, forte, coraggioso, anche se
la luce del loro sole può distruggerlo?
Alcuni
scalpiccii, provenienti dalla macchia davanti a loro interrompono i
suoi pensieri.
–
Sono lì… – Bisbiglia Kirzil, ma un gesto imperioso del Notturno,
immobilizzatosi di colpo, lo interrompe.
Inutilmente
il Gu'Hijirr tende l'udito e cerca di vedere attraverso l'intrico
maligno di rami e rampicanti: i suoi sensi da creatura degli
acquitrini e delle acque tiepide e calme non è all'altezza della
necessità.
Usif-Lizhi,
saldo ed eretto come un guerriero dei tempi antichi, ode e vede, ma
sembra esitare. Le creature che avanzano a pochi passi da loro non
emanano nessuna aurea, non hanno colori né vita, non parlano, non
respirano. Eppure camminano, con un passo rigido e senza esitazioni,
come se un comando, una voce li chiamasse a sé. Colpito, il notturno
si volta di scatto verso il suo compagno. Il Gu'Hijirr trasale per il
suo movimento brusco, ma continua a tacere come ordinatogli. Dal suo
corpo emana la consueta leggerissima nebbia del colore dei germogli
d'erba ed il suo respiro è forte, affrettato.
–
Canta, più forte che puoi. – Ordina con un soffio al Gu'Hijirr. –
Presto.
Kirzil
lo guarda stupito. – Ma…
–
Canta, urla, fischia, battiti sul petto, fai quanto più rumore ti
riesce.
Il
Gu'Hijirr riflette per un istante poi comincia a cantare a
squarciagola una ballata dei marinai umani, accompagnandosi con
battiti delle mani e ululati in cadenza. – Va bene? – Si
interrompe un attimo per domandare.
–
Splendida. Vai avanti.
… E
la giovin signora
Scese
giù nella stiva
Ma
io non so cosa pensar
se
ella incontrò l'amor
o
si dovette accontentar
di
bere o di mangiar.
E
rossi i suoi capelli
e
occhi come il mar
e
pelle come seta,
come
seta da sfiorar.
E
ditemi voi, miei signor
se
l'incontraste proprio qui
la
bacereste oppure no?
Ditemi
voi, miei signor
non
vale forse l'amor
tutto
l'oro dei velier?
–
Attento! – Il grido soffocato del Notturno interrompe il canto di
Kirzil che si mette in guardia puntando la ejiri verso l'oscurità.
Senza
un grido o un sospiro i loro nemici escono dal folto del bosco, forme
oscure appena visibili nella scarsa luce lunare.
–
Jeno, Lichd! – Comanda Usif-Lizhi e la sua spada si accende
di una luce abbagliante, la luce di un sole che sia sorto per magia
in mezzo al bosco. In quella luce Kirzil scorge i visi privi di
lineamenti dei loro assalitori, ma non ha neppure il tempo di
rabbrividire e si scaglia con la spada in mezzo a loro, colpendo e
uccidendo come un principe guerriero.
I
colpi vibrati dalla spada del Notturno illuminano come fasci di luce
abbacinante il folto della selva e stordiscono i loro avversari che
come falene continuano a gettarsi verso Usif-Lizhi ed a cadere. Pochi
istanti dura la lotta, senza che un grido abbia disturbato il
silenzio della notte.
Stordito
Kirzil si guarda intorno cercando qualche nemico ancora in piedi, ma
non ne scorge nessuno. La sola creatura ancora viva è Usif-Lizhi, in
mezzo ad un mucchio di corpi immobili, lo sguardo fisso sulla luce
della sua spada che vibra delicatamente.
–
Stai bene? – Gli chiede il Gu'hijirr.
Il
Notturno non risponde e con un movimento improvviso scompare nella
parete scura della vegetazione. Il movimento è talmente rapido ed
inaspettato che passano alcuni istanti prima che Kirzil si accorga
che il suo compagno lo ha lasciato.
–
Usif-Lizhi? – Lo chiama ad alta voce, ma il Notturno è già troppo
lontano per udirlo. Gu'Hijirr si chiede se seguirlo, ma il notturno
non l'ha voluto con sé, chissà perché, e anche se la luce della
sua spada è ancora visibile nell'intrico dei rami non è una cosa
probabilmente troppo prudente seguirlo alla cieca.
«Mi
pare che se la cavi piuttosto bene anche da solo.» Commenta tra sè
Kirzil e, tratto dalla borsa un pezzetto di esca accende con quella
un ramo secco facendosene una torcia. «Coraggio. Vediamo bene chi
sono questi signori.»
Ad
un passo da lui uno dei loro assalitori è caduto a faccia in giù.
Kirzil gli molla un calcio per voltarlo, ma il suo colpo fa rotolare
il corpo di qualche metro, come se la creatura non avesse quasi peso.
«Che
diavoleria è mai questa?» Si chiede il Gu'Hijirr accostandosi ad un
altro dei cadaveri, caduto supino. Sotto un ampio cappuccio il volto
del morto è fatto di sacco come quello degli spaventapasseri e dal
taglio che la spada di Usif-Lizhi gli ha aperto nel torace non esce
sangue ma segatura e vecchi stracci.
«Magia.»
Commenta il Gu'Hijirr accostandosi ad una altro dei loro
ex-assalitori con lo stesso risultato.
«Eppure
li ho ben veduti recare spade ed asce e scagliarsi contro di noi come
soldati o briganti. Beh, sembra che in fondo non abbiamo ucciso
nessuno, meglio così.» Medita Kirzil, dopo aver ispezionato tutti i
corpi, dodici in tutto, senza aver trovato una sola creatura di carne
e sangue. «Qualcuno, un mago od una strega, li ha guidati contro di
noi. Chissà perché?» Il Gu'Hijirr si siede per terra incrociando
le gambe ed estrae la pipa dalla borsa. «Nulla mi impedisce,
comunque, di farmi una pipata mentre aspetto. Se tutti i nostri
nemici sono come questi… Forse c'è qualcosa in questa selva che
nessuno deve sapere né vedere. E quei lamenti? Saranno stati un
trucco per attirarci qui? E a che pro?» Kirzil scuote la testa e
tira una boccata. La luce della spada di Usif-Lizhi è scomparsa e
questa non è certo una bella cosa. «Ho abbastanza esca da dar fuoco
all'intero bosco, se necessario. Ho tabacco, pane, un po' di pancetta
e quindi non ho motivo per preoccuparmi. È lui che deve fare in
fretta, invece, l'alba non deve essere troppo lontana.»
Kirzil
si alza nuovamente ad ispezionare i fantocci senza capire molto della
loro natura e del loro scopo. Hanno tutti un segno disegnato sul
petto, una specie di spirale scura ed intorno al collo hanno un
anello di metallo leggero e malleabile. Perplesso il Gu'Hijirr torna
a sedersi, giocherellando con la pipa senza accenderla. Ha la
sensazione di aver già visto il simbolo che i fantocci portano
disegnato sul petto, ma non ricorda più dove né quando. Inquieto
guarda il cielo nascosto dalle fronde, con la sensazione che il
giorno non sia più troppo lontano.
Passano
altri lunghi minuti, scanditi dai leggerissimi rumori della foresta
prossima al risveglio e Kirzil ha già quasi deciso di andare a
cercare il Notturno prima che la luce del nuovo giorno lo colga,
quando una luce debole e lontana si accende nel fondo della selva,
dapprima incerta ed instabile, tanto che egli teme che si tratti di
un illusione, poi più forte e nitida. E insieme alla luce vengono le
voci, molte voci che non riconosce.
–
Buongiorno, Kirzil Pennarossa! – Il Notturno ha un'espressione
soddisfatta e orgogliosa come un ragazzino che abbia fatto qualcosa
di veramente notevole e insieme a lui vengono una donna dai capelli
bianchi come la neve e gli occhi del colore delle foglie nuove, un
Lupo-Drago vestito di una pesante armatura nera e un uomo in
compagnia di un Syerdwin tutti e due piuttosto male in arnese.
– Posso
presentarti queste persone? La fata Mahaderill, il Barone Enklu di
Nogu, i mercanti Noro Heban e Jai Wediliun.
Kirzil
si inchina. – Kirzil Pennarossa di Bracewell. – Quindi si volta
verso Usif-Lizhi. – Ma da dove vengono tutte queste persone?
–
Da una caverna sorvegliata da una ventina di quei fantocci. –
Risponde il barone Enklu dei Lupi-Drago. – Vittime di un
incantesimo di sospensione.
–
Ho lanciato un contro-incantesimo ed il Barone ha afferrato la sua
ascia venendomi in aiuto. Erano un po' troppi per me solo, ma in due
ce la siamo cavata già meglio. Poi è intervenuta Mahaderill e gli
Oom rimasti sono caduti giù come marionette senza più fili.
–
Veramente strano e straordinario. Ma come avete fatto a finire là,
miei signori? – Chiede il Gu'Hijirr.
–
Sono stata rapita nel sonno. – Spiega la fata. – Non saprei dire
il perché. Per me è come se il mio sonno non si fosse interrotto
finchè il Notturno non ha spezzato l'incantesimo con la sua magia di
luna.
–
Noi volevamo attraversare la selva per abbreviare il percorso per
Verdevima. – Spiega uno dei mercanti. – Ma dopo il tramonto siamo
stati assaliti da quegli orrendi pupazzi e portati alla grotta.
–
Io dormivo, come la Signora Fata. – Spiega il Barone Enklu. –
Quindici albe fa avrei dovuto incontrare il duca Kwister di Lö
presso l'accampamento di Re Artamiro per portargli un messaggio da
parte della sua Marrak, ma gli Oom mi hanno sorpreso mentre riposavo
sulla spiaggia e non sono riuscito che a colpirne una dozzina prima
di cadere nell'incantesimo. – Il Barone sorride mostrando una
dentatura formidabile. – Però oggi mi sono vendicato. Ma… Come
tutti i presenti ho un debito incommensurabile con il Notturno
Usif-Lizhi. Tutto quello che posso offrirgli in cambio è il mio
aiuto, dovunque egli vada e qualunque sia il suo destino. Disponi
pure di me, signore Usif-lizhi, il mio destino è ormai legato al
tuo. Al tuo servizio, Usif-Lizhi. – Il Barone Enklu porta una mano
guantata al petto. – Per il Sangue, lungo il cammino.
– Sia
così, nel nome di Duvelin, la Prima. – Continua Mahaderill.
– Sul
mio onore. – Dice il mercante Noro Heban.
– Sopra
e sotto le acque. – Conclude Jai Wediliun dei Syerdwin.
Il
Notturno china il capo, commosso. – Grazie, grazie a voi tutti. Ma
adesso abbandoniamo questa infausta foresta. Altri Oom possono essere
in agguato e forse anche altre creature.
–
Andiamo, presto. – Gli fa eco Kirzil.
–
Scusa, Usif-Lizhi, posso sapere una cosa? – Chiede il Gu'Hijirr
quando il gruppo ha abbandonato la foresta e il notturno riposa al
riparo di una tenda vicino alla riva del mare.
–
Certo.
–
Chi o meglio, cosa sono gli Oom?
–
Spiriti senza un proprio corpo, sospesi tra vita e non vita, ma
desiderosi di entrare nel nostro mondo da viventi. Li chiamano così
i Syerdwin del Nord, che li conoscono e li temono. Solo un mago
estremamente potente li può controllare e richiudere in una forma
sensibile.
Kirzil
annuisce con una smorfia di disgusto. – Bella roba, né vivi né
morti. Ma questi Oom, come li chiamate, avevano qualche insegna,
qualche segno sui loro abiti?
–
Sì, l'avevano. Non vi ho fatto molta attenzione sul momento, ma ora
che me lo ricordi… Avevano un simbolo dipinto sul petto, una specie
di…
–
Una specie di spirale, vero?
–
Sì, proprio così. Sai cosa significa?
–
Riposa, ora, Usif-lizhi. Io faccio una piccola indagine e lo saprai.
Buon riposo.
–
Buon riposo, Kirzil. – Risponde distrattamente il notturno. Uno
strano pensiero gli ha attraversato la mente, un pensiero che forse
non ha significato. O che forse ce l'ha. Forse i loro destini e
quelli di tante altre persone sono legati a quello strano simbolo.
Forse il loro incontro non è stato casuale come può apparire, così
come non è causale la presenza di quelle persone e non altre nella
foresta di cera. Usif-Lizhi volta il viso verso la parete della
tenda. Il sonno arriva come un'ala di oscurità e si abbandona ad
esso con riluttanza, come se esso potesse cancellare qualcosa di
estremamente importante.
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