6.6.12

Un'idea scaduta ovvero storia di un nome (2)


Come promesso, eccomi con la seconda parte del mio intervento-storia. 
Potrebbe essere l'ultimo di questa serie, ma non ne sono troppo sicuro, vediamo un po' come procede. 
...
Cooperazione significa... beh, innanzi tutto una forma di democrazia pratica applicata a un'attività economica. Una vera bestemmia nel tempio del «Ghe pensi mi». L'idea che il general manager o CEO della situazione debba preoccuparsi di rispondere a un Mr. Pisquano qualunque sui motivi delle sue scelte è semplicemente scandalosa. 
Lo so, anche nelle SpA può succedere che il nostro CEO debba replicare a un oscuro azionista criticone, ma qui è la situazione è profondamente diversa, ogni socio infatti ha lo stesso peso avendo versato un'identica quota sociale. «Siamo tutti nella stessa barca» in una coop è un dato di fatto, non una semplice petizione di principio e qui la democrazia ha poco a che vedere con le manovre subacquee di un'assemblea di azionisti. 
Ma l'economia non gradisce troppo la democrazia. E ancor meno ama chi vuole ficcare il naso nella gestione di alcunché senza capirne la più classica fava. Tra i cooperatori che ho conosciuto l'intolleranza più o meno palesata nei confronti delle assemblee dei soci era un dato di fatto. Io non credo di essere stato né meglio né peggio di tanti altri. Un po' come un sincero cattolico che tollera, pur senza amarle, le gite estive organizzate dall'oratorio, tolleravo le allegre asinate o le pericolose scemenze che qualche socio benintenzionato sciorinava senza risparmiarsi, avendo ben chiaro in mente che, in ultima analisi, a pagare per qualsiasi errore sarei stato io e gli altri 3 o 4 del consiglio di amministrazione. E non lui o lei.
A ripensarci adesso direi che esisteva - ed esiste - un grosso problema nella gestione di una coop. Che l'esercizio della democrazia rischia di diventare una semplice seccatura che fatalmente il CdA tende a ridurre al minimo. 
Il problema nasce, probabilmente, dalla ritualità delle assemblee. In una occasione rituale a parlare spesso sono coloro che vogliono farsi notare piuttosto che coloro che hanno qualcosa di serio da dire. O i furbetti in sedicesimo. In realtà non posso biasimarmi per la mia evidente impazienza sentendo richieste del tipo: «Sì, ma perché la cooperativa non tiene più libri d'arte? O di fotografia? Avete qualche resistenza contro le forma di espressione personali?» 
Bastava chiedere al socio quale fosse la sua passione e sentirsi rispondere «la fotografia» per trarne le necessarie conseguenze. La mia replica era puramente economica: «I libri di fotografia costano un botto. E bisogna pagarli se va bene a 120 gg. altrimenti prima. Quanti sei disponibile a comprarne al mese?»
«IO? Ma lo dicevo per l'offerta della libreria, perché...»
«Se è per cultura personale, vai in biblioteca, compagno. Esistono apposta».
Potete prendere la parola «fotografia» e sostituirla con «cinema», «teatro», «computer» o «cucina» e il risultato non cambia. 
Un dialogo degno della CCCP del 1929, me ne accorgo. E non mi sento troppo bene nei panni del Lavrentij Beria della situazione. Ma mi sono chiesto - allora - come diavolo si poteva pensare di costruire non dico il socialismo ma almeno un'impresa comune e condivisa se chi ne faceva parte non arrivava - o meglio non si sforzava - di capire un minimo come funzionavano le cose. 
In realtà il dialogo con i soci esisteva. I suggerimenti e le critiche arrivavano ma in genere in momenti e luoghi diversi. Davanti a una tazzina di caffè o dietro un tavolo di novità. 
«Ma perché non organizzi un incontro con...?»
«Prova a tenere più libri per gli infermieri...»
«Non sarebbe il caso di aumentare la presenza dei libri di filosofia della scienza?»
Tutti contributi utili, giunti da soci che poi non avevano tempo per le assemblee o per altre simili occasioni sociali. 
Eppure era in quei momenti lì, sentendo quel genere di domande che mi rendevo conto che la democrazia era presente nella coop. 
Calma, lo so, i consigli in camera caritatis ricordano gli umili suggerimenti di poveri fellah avanzati al Gran Visir, ma la democrazia è sostanza prima che pura forma. E la mia «autorità» non era personale e indiscutibile ma semplicemente dovuta alla mia più o meno evidente competenza. Un prezzo che chiunque è disposto a pagare, dovendo proporre o criticare qualcuno che di quel lavoro vive.
Con i consigli dei soci e con le nostre personali idee abbiamo fatto molte cose, inventato soluzioni talvolta geniali e più raramente asinine o inopportune. Abbiamo spostato l'attività tre volte - da V. Michelangelo, IV piano a V. Ormea 67 a V. Ormea 69 - e progettato almeno una dozzina di altri possibili spostamenti. Siamo stati per qualche anno agenzia di viaggi, cartolibreria, punto vendita Apple, grossisti di universitaria, libreria scolastica, organizzatori di convegni, contabili c/terzi, libreria per ragazzi... Tutte attività nate per sostenere le entrate in genere troppo fiacche per pagarci. 
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Le cooperative sono cambiate non poco in questi anni. In generale aumentando i poteri dei CdA e diminuendo quello dei soci e aumentando le complicazioni, gli ostacoli e le difficoltà.  Le coop sono state assimilate alle società di capitali ed è stato rafforzato il personaggio - necessariamente un po' ambiguo - del socio-lavoratore con pochi o nessun diritto, un modo come un altro per aggirare la legislazione sul lavoro. 
Nella metamorfosi le maggiori coop hanno gradualmente vestito i panni delle grandi imprese, come quelle potendo agire nel mondo imprenditoriale, acquistando e controllando srl o SpA. Ciò che temo sia impallidito  - o velato, come scrive Guido Bonfante in un'analisi del mondo cooperativo successivo al 2003, anno della riforma delle coop del secondo governo Berlusconi - è il rapporto tra soci e dirigenti delle cooperative, fenomeno che trova, curiosamente, una puntuale corrispondenza con lo stato attuale della sinistra in Italia. Una sinistra che di popolare e progressista ha davvero molto poco...
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Non ho ancora capito se ho finito o meno. 
Se trovo qualcos'altro da dire, comunque, ci sarà sul blog la prossima settimana. Giuro. 

2 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

Io ti direi di continuare, anche perchè quello che ti è successo con la CS..è, in piccolo quello che è avvenuto al "sistema Italia " nel suo complesso.

Massimo Citi ha detto...

@Nick: curioso come anch'io ho finito per pensare la stessa cosa. Che, cioé, la «crisi» in senso organizzativo del sistema cooperativo fosse una rappresentazione efficace della crisi del sistema Italia. Poi sicuramente ci sono decine o centinaia di altri motivi, tra i primi la colossale impreparazione del cosiddetto ceto dirigente italiano, famoso per sogghignare alla notizia di un terremoto... ma sicuramente la crisi italiana è anche e soprattutto una crisi di idee e di organizzazione.