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Sistemati sulla grande schiena degli Ippogrifi che procedono volando per lunghi tratti, fermandosi ogni tanto per camminare, come se non sapessero ben scegliere tra le proprie due nature di uccelli e di cavalli, Klog, Plinio, Matushka e Basso Okme scendono rapidamente il crinale dei monti fino a giungere in vista della pianura.
Sistemati sulla grande schiena degli Ippogrifi che procedono volando per lunghi tratti, fermandosi ogni tanto per camminare, come se non sapessero ben scegliere tra le proprie due nature di uccelli e di cavalli, Klog, Plinio, Matushka e Basso Okme scendono rapidamente il crinale dei monti fino a giungere in vista della pianura.
Il
cielo, spazzato da un vento frizzante, si è fatto chiaro e profondo
e lontano, alla loro destra, è divenuta visibile la forma massiccia
e imponente del Mahan Dwur, incappucciata di nubi come un Dio canuto,
circondato da una corona di monti più bassi come guardie del corpo
della Signora delle Montagne.
–
Qualcuno ha mai visto la cima del Mahan Dwur? – Chiede Klog durante
una breve sosta ai piedi della discesa.
Fahgön,
che li appena raggiunti insieme agli altri cervi, solleva il capo
dall'erba umida che cresce in folte macchie tra le alte betulle
dell'altopiano e lo scuote come per scacciare una mosca
particolarmente noiosa.
–
No. Nessuno ha mai visto la cima del Monte-Grandirami. Non esiste
aria, lassù, ho udito dire, solo il colore azzurro del cielo,
sottile e leggero come seta impalpabile.
–
E tu cosa sai in proposito, Gudre-Yinnu? – Insiste Klog, poco
persuaso della risposta del grande cervo.
–
Ben poco, Boldhovin. La mia gente lo chiama Tjuthìrin e molti sono
sicuri che sulla sua invisibile cima vivano i Giudici del Mondo,
coloro che un giorno pronunceranno la sentenza finale per la Grande
Prova che abbiamo affrontato vivendo.
–
E tu credi a questa leggenda, Neek? – Chiede con la sua espressione
più seria Basso Okme.
–
Purtroppo no. Credo che in cima al Tjuthìrin vi sia un'aria molto
più leggera che in pianura, questo sì, perché molti grandi
viaggiatori raccontano che attraversando alti passi si respira con
molta difficoltà e che praticamente nulla, forse nemmeno i più
piccoli tra i Fratelli Immobili, riescono a vivere a quell'altezza.
–
Molto ragionevole. – Commenta Plinio. – Ma assai poco divertente.
Dove sta il piacere di raccontare e di ascoltare se tutto è così
chiaro e lineare?
–
Credi, messer Micio? Io invece penso che ciò che possiamo vedere con
i nostri occhi sia sempre molto più affascinante e sorprendente di
quanto le nostre povere menti possono arrivare ad immaginare. Il
mondo non è stato costruito da una mente cosciente, a parer mio,
quindi anche se coerente è imprevedibile.
–
Considerazione empia, ma degna di riflessione, messer Neek. Ora, per
tornare alla nostra situazione, può ragguagliarci sul nostro
percorso fino ai Monti dell'Orlo?
–
È presto detto, mio gentile amico. Davanti a noi c'è il limite
dell'altopiano, quindi la pianura, un luogo, come potrete vedere,
assai poco ospitale, le Foreste Sotterrate, il grande Deserto dei
Cristalli ed infine le Porte dell'Orlo.
Klog
aggrotta la fronte udendo pronunciare quei nomi, forieri di un genere
di avventura assai scomodo, e inghiotte un biscotto ed un sorso di
latte per rassicurare il suo povero stomaco. – Naturalmente potremo
attraversare luoghi tanto terribili sulla groppa dei nostri buoni
Ippogrifi, nevvero?
Il
Neek scuote la testa con un sorriso rammaricato.
–
Mi duole deluderti, quasi-Silvano, ma Mieri ed i suoi amici non
possono volare tanto a lungo da superare in volo spazi così ampi.
D'altro canto l'unico luogo dove potremo trovare acqua in abbondanza,
tanta da poter superare i Cristalli, è proprio nelle Foreste
Sotterrate. Non hai un po' di interesse per luoghi tanto bizzarri?
Klog
inghiotte a vuoto incrociando il suo sguardo con quello pacifico di
Plinio. – Mi accontenterei di un racconto anche mediocre di tali
bellezze. Puoi anticiparci qualcosa di quegli strani luoghi, prima di
raggiungerli?
–
Non vi è nulla di peggio che raffigurarsi un pericolo prima di
averlo incontrato. Si diviene inquieti, rabbiosi, imprudenti e poi,
dopo aver incontrato ciò che tanto si teme, il nervosismo porta a
sopravvalutare o a sottovalutare i rischi. Quindi credo che dovrai
attendere fino a quando non saremo proprio in faccia alle Foreste ed
allora potrai decidere se spaventarti o meno.
Klog
apre la bocca per protestare ma un istante prima di farlo è Fahgön
a parlare. – Giusto, giustissimo, meno si sa, meno si immagina,
meno si ha voglia di scappare.
Il
Boldhovin si guarda intorno, cercando dal gatto o dalla volpe un
sostegno alle energiche rimostranze che sta per presentare a
Gudre-Yinnu, ma inutilmente: Plinio e Matushka se ne stanno
silenziosi ed apparentemente addirittura distratti.
–
Non mi stupisce che tu, Grandirami, faccia un simile elogio
dell'ignoranza, ma da un saggio come te, Duhit-Uinn, non mi sarei mai
aspettato tanto cinismo.
– Ti sbagli, Klog, non di cinismo si tratta. Semplicemente credo che esista un limite a ciò che è sano sapere prima di vedere. Una mente non addestrata ma ricca di fantasia può costruire intere lande di terrore da poche parole.
Il
Boldhovin attende qualche attimo prima di replicare, cosa che non è
nelle sue abitudini ed infine si inchina leggermente. – Ti
ringrazio per l'apprezzamento che hai fatto delle mie modeste
capacità, Gudre-Yinnu, anche se questo non mi convince affatto. Devi
avere pazienza con ma, ma io non sono un cervo e non amo che si
decida anche per me. Comprendi?
–
Molto, molto giusto, caro Klog. In fondo ciò che affermi discende
direttamente dalle mie parole. Se non vi sono infatti né dei né
giudici, nessuno ha più la tutela di nulla ed il popolo deve
arrangiarsi come meglio crede, senza alcun saggio padre ad indicargli
la via. Ho ben interpretato le tue parole?
Il
Boldhovin guarda con una punta di sospetto il Notturno, quindi
approva incerto.
–
Ecco. Anch'io credo che il mondo sarebbe migliore se condotto in
questo modo. Eccomi quindi pronto a raccontarti tutti gli infiniti
orrori e gli spaventosi abissi che ci attendono: sei pronto ad
udirmi?
Klog
esita per un tratto prima di accettare. – Infiniti orrori? –
Chiede poi con una sfumatura di dubbio nella voce.
–
Infiniti. – Ripete il Neek.
–
Beh, in fondo non ho troppa fretta di essere informato. – Dichiara
dopo qualche altro secondo. – Mi basta sapere che posso contare
sulla tua sincerità. Non è forse meglio levare le tende?
–
Certo, certo.
Dove
ci porta il Vento
Senza
più chieder nulla
Del
Domani e di Ieri
Senza
Ricordi e Speranze
Come
pallidi uccelli in volo
verso
l'alba ed il mare.
Canticchia
Matushka.
–
Non ho mai udito quella canzone. – Commenta Klog.
–
Nemmeno io. – Gli risponde la giovane Volpe.
Dopo
un paio d'ore la corona di monti è ormai alle spalle e l'erba sotto
di loro è scomparsa, sostituita da una vegetazione bassa e chiara,
simile a muschio secco.
Dalla
terra sale un debole odore speziato, simile a quello dello zenzero ed
anche il cielo ha assunto una sfumatura arancio, come mai hanno
veduto nelle terre amiche che stanno ormai dietro di loro.
Ogni
ventina di passi un albero, scuro, sottile e dal tronco levigato,
come se un esercito di falegnami fosse transitato per quello strano
luogo, interrompe la monotonia del paesaggio, proiettando un'ombra
allungata davanti ai loro passi.
–
Sembra di camminare su un tappeto. – Osserva Plinio a metà tra
divertito e perplesso. – Neppure io riesco ad udire i miei passi,
come fossi divenuto un'anima incorporea.
–
Ehi, Notturno, dove ci hai portato, al paradiso o all'inferno? –
Sbotta Klog in capo a mezz'ora. – E poi perché obblighi tutti a
camminare mentre sarebbe tanto comodo volare?
–
Comodo ma pericoloso. – Ribatte paziente Gudre-Yinnu. – Qui
l'aria è infida come le acque di un lago, che nascondono mulinelli e
gorghi. Camminando, se si evitano le Testuggini- Drago, i Tappeti di
Sangue, le Ventose, gli Scavoni, i Millegrinfie ed i Cataudici si
dovrebbe arrivare alle foreste sotterrate entro stasera.
–
L'aria? L'aria è più pericolosa del bestiario infernale che ci hai
appena descritto? – Il Boldhovin scrolla la testa incredulo. –
Non sono più tanto certo della tua saggezza, Duhit-Uinn.
Il
Neek ride. – Avanti, ed attento a dove metti i piedi.
–
Questo odore mi mette il mal di testa. – Osserva dopo un po'
Fahgön. – Rimpiango già l'aria pulita e leggera dei miei boschi.
Qualunque cosa sarà meglio di questa erba silenziosa e di questo
cielo fasullo.
–
Ecco. – Gudre-Yinnu, sulla sella di Mieri, si ferma di colpo ed
indica alla loro sinistra un forma scura e molto lontana che si muove
lentamente. – Vedete quella cosa? Si tratta di una Testuggine-
Drago. Fortunatamente siamo sottovento rispetto a lei, quindi non può
avvertire la nostra presenza.
Il
piccolo gruppo di viaggiatori si immobilizza, lo sguardo fisso
all'orizzonte, dove la possente forma dell'animale trascorre lenta
come una grande macchina da guerra di re Artamiro.
–
Di cosa si nutre quel formidabile animale? – Chiede con educata
curiosità Basso-Okme.
–
Non credo che quella belva si ponga questo genere di domande. –
Ribatte tranquillo Gudre-Yinnu.
–
Vale a dire?
–
Tutto quello che si muove può essere un pasto gradito per una
testuggine-drago.
–
Capisco. – Commenta a mezza voce l'Uccello di Legno, la cui
espressione diviene improvvisamente più ansiosa.
–
Ma così lenta… – Inizia a dire Plinio.
–
È lenta ma instancabile ed in questa piana così regolare potresti
fuggire per ore ma lei finirebbe sempre per ritrovarti, una volta
sulle tue tracce ed attaccarti. L'unico modo per sfuggire ad una
testuggine- drago che ti abbia scorto è ucciderla.
–
Uno scherzo, immagino.
Gudre-Yinnu
si passa una mano guantata sulla tempia e volge lo sguardo verso
l'orizzonte del colore dello zafferano: – I miei antenati correvano
un tempo per queste terre, la notte, cacciando la fauna solitaria e
feroce di questa pianura. E molti sono morti combattendo contro le
testuggini- drago.
–
Ma perché darsi tanta pena per uccidere quegli stolidi e feroci
animali? – Chiede Klog, parlando a voce molto bassa, senza perdere
di vista la forma che scorre lenta all'orizzonte.
–
Se devo dirti tutta la verità non lo so, caro Boldhovin. Molte sono
le cose che si fanno per consuetudine, molte le cose che un tempo
avevano significato ed ora non l'hanno più. Il tempo non passa nello
stesso modo per ogni cosa. Questo forse è il motivo per cui esistono
ancora i Notturni, gli Ippogrifi, i Neek, io stesso. Siamo come
foglie secche dimenticate in un angolo della corrente: la prossima
piena ci trascinerà via tutti, probabilmente… No, no, così non
va. Cosa sono quelle facce lunghe? Perché non mi lanciate addosso
contumelie e verdure marce? Che pessima recita la mia, pomposa e
patetica, presuntuosa e ridicola. Non aspettiamo ancora, amici miei,
dobbiamo arrivare all'ingresso delle foreste sotterrate prima che
scenda il buio.
Klog
e Plinio approvano con un cenno pensoso, storditi dallo strano modo
di conversare del Neek, evidentemente abituato, come tutti gli
individui solitari, a dire e negare insieme, ad affermare e
contraddirsi, come se l'esercizio della solitudine avesse abituato la
sua mente a divenire due persone distinte, l'una melanconica e
contemplativa, l'altra ironica e curiosa.
Ripartono
di buon passo, adesso che che i pericoli futuri della foresta
impallidiscono al confronto di quelli che li attendono nella pianura.
Per un paio d'ore marciano silenziosi, occhi ed orecchie attenti ad
ogni movimento o strano rumore.
Quando
il sole in cielo ha da poco superato la metà del suo percorso è la
volta di Fahgön di fermarsi di scatto, subito imitato dagli altri
cervi.
–
Abbiamo fame, ora. – Dice semplicemente il Grandirami. – E sete.
–
Giusto. – Approva Gudre-Yinnu. – Ghiu trasporta una certa
quantità di fieno e di acqua proprio per queste necessità di
viaggio. – Il Neek si guarda intorno perplesso. – Temo tuttavia
che non sia facile trovare un luogo dove riposare all'ombra.
–
Il riposo non è importante. – Dichiara reciso il cervo. – E
nemmeno l'ombra. La Pietragemella di Sibiell non è più custodita
dagli Erbani ed il tempo per lei corre veloce. Non dobbiamo perdere
troppo tempo per la nostra comodità.
Klog
fa un grande cenno di assenso, congratulandosi con se stesso per non
essersi lamentato. Con un moto quasi inconscio affonda la mano nella
borsa a sfiorare l'incerta forma della pietragemella. Come in tutte
le altre occasioni il contatto lo lascia perplesso, a chiedersi un
attimo dopo se davvero ha toccato il bizzarro oggetto o no. Crolla il
capo e guarda torvo verso un punto qualunque davanti a sé: non si
può toccare davvero una Pietragemella, ormai dovrebbe averlo
imparato.
Mangiano
e bevono velocemente senza parlare e dopo una sosta molto breve
ripartono.
–
Questo posto è un inferno. – Commenta Matushka, un'oretta dopo. –
Non esistono punti di riferimento: si potrebbe girare in tondo per
giorni e giorni senza neppure accorgersene.
"Chissà
a quanti è già toccata una simile sorte." Si chiede Klog,
fissando con attenzione le increspature del terreno, quasi dovessero
nascondere cadaveri spolpati dal caldo e dalla sete, spettri gelidi e
mummie dalle occhiaie vuote, desiderose di impadronirsi della loro
vita, custodita come una debole fiamma nel petto.
–
Ma si può sapere cos'hai detto? Ehi, mezzo-erbano, parlo con te! Il
boldhovin volta il capo all'improvviso, come se l'avesse punto una
vespa ed annuisce frenaticamente.
–
Sì, sì certo!
–
Certo cosa? – Chiede Matushka ironica.
–
Gli spettri, certo, come no… Sarà pieno qui.
La
piccola volpe scrolla il capo. – Io non ho parlato di spettri, né
di fantasmi, né di altre ombre. Caro Klog, temo che la tua testa sia
troppo piena di fantasie perché ci entri qualcos'altro.
–
Non hai parlato di…
–
No.
–
Ma non ti sembra … Lascia perdere. Ehi, Duith-Uinn, dove siamo? –
Il
Neek, che procede a piedi pochi passi davanti a Klog, affiancato da
Mieri che ogni tanto sbatte nervoso le ali, non si volta neppure
prima di rispondere. – Non ci siamo perduti, Boldhovin, né stiamo
girando in tondo. Le foreste sotterrate sono davanti a noi: le
vedremo nella luce del tramonto.
–
Ehi, ma nessuno conosce una leggenda, una canzone, una storia buffa,
qualsiasi cosa, insomma, per far passare il tempo mentre
attraversiamo queste plaghe così noiose? – Chiede Matushka ad alta
voce, passato qualche minuto. – A non parlare né ascoltare si
secca il cervello.
–
Hai ragione. – A risponderle è inaspettatamente Basso Okme che
fino a quel momento aveva marciato silenzioso. – Io conosco una
leggenda su questi luoghi.
–
Bene, e allora racconta. – Lo incita Plinio.
L'uccello-di-legno
esita per un attimo, guarda l'orizzonte, come a cercare un cenno di
assenso e si schiarisce la voce.
–
Un tempo questi luoghi non erano così caldi e secchi. Una volta,
molto tempo fa, secondo una carta custodita da Kerfilluan, questo era
un luogo di laghi e fiumi che portava il nome di Livi-an. L'estate
era fresca e ventilata e l'inverno trasformava i fiumi ed i laghi in
grandi superfici ghiacciate, dove, spinte dalle ali del vento,
correvano le grandi navi-slitta a vela: le Sibias. Molte erano le
città che sorgevano lungo i fiumi e sulle rive dei laghi, dove
vivevano insieme in armonia Syerdwin, Lupi-Drago, Notturni, Uomini ed
Erbani.
–
Anch'io avevo udito una leggenda simile… – Gudre-Yinnu ha parlato
d'impulso, spinto forse da un ricordo. – Scusa se ti ho interrotto
Basso Okme. In uno dei tanti libri che ho letto in gioventù si
raccontava di Tirihia dalle Torri di Vetro che sorgeva sui ghiacci
eterni, il luogo dal quale provenivano tutte le razze del vasto Orlo
del Mondo.
–
Dev'esserci qualcosa di vero in queste leggende.– Osserva serio
Plinio. – Non sentite? Ti-ri-hia, Li-vi-an, quasi lo stesso numero
di lettere e quasi le stesse lettere.
– Già.
Ma continua, Basso Okme: cos'è accaduto dopo?
–
Si racconta che nacque la discordia tra le razze delle città, che si
giunse alla guerra nelle città e tra le città. Le Sibias, navi
sottili e veloci vennero armate e corazzate di ferro per combattere
ed ovunque vi era sangue sui ghiacci. Anni ed anni durarono quelle
guerre, sempre più crudeli e sanguinarie e il tempo ha coperto di
polvere fino all'oblio i Signori di questi luoghi, perché più
nessuno tentasse di imitarli…
–
E poi? – Chiede Klog, completamente dimentico del caldo e della
paura.
–
E poi avvenne ciò ogni saggio temeva constatando quanto i tempi si
fossero fatti barbari e crudeli. In una sola notte le città, i
boschi verdi, i campi, i fiumi ed i laghi scomparvero sotto terra,
come se un'immane sipario fosse stata tirato dagli dei per nascondere
tanto orrore. Questo luogo prese le sembianze che adesso vedete e
tutte quelle genti così empie e malvage scomparvero alla luce del
sole.
–
E così le foreste sotterrate…
–
Proprio così Klog. Ma non so dirti quanto ci sia di vero in questa
leggenda. Il libro stesso dove era scritta era tanto antico che le
sue pagine avevano perduto colore e sostanza e solo Kerfilluan lo
apriva di tanto in tanto, proteggendolo con un incantesimo.
–
Avevo letto una versione simile di questa leggenda… – Gudre-Yinnu
chiude gli occhi per concentrarsi o forse per proteggerli dalla luce
del sole basso davanti a loro. – Secondo il libro dei Giorni
Dimenticati dagli Dei, Tirihia era scomparsa divorata da un fuoco
venuto dal cielo per bruciare la bizzarra crudeltà dei suoi
abitanti.
Mentre Basso Okme aggiunge altri particolari alla sua descrizione, Klog considera con sgomento crescente che se le foreste sotterrate sono quelle che videro la luce del sole al tempo di Livi-An o Tirihia, nulla vieta che esse siano tuttora abitate da qualche discendente di quei popoli così empi, rimasto nel buio ad attendere di sfogare la sua ira millenaria contro il primo folle che fosse penetrato nel suo mondo ctonio.
–
Basso Okme? – La voce del Boldhovin suona flebile e incerta quando
infine si decide a dare fiato ai suoi terrori.
–
Sì?
–
Vi saranno ancora degli abitanti nelle foreste sotterrate?
L'Uccello-di-Legno
interdetto socchiude gli occhi per riflettere, come se non avesse
minimamente considerato quella possibilità.– Sinceramente lo
ignoro, Klog. Non ricordo che Kerfilluan ci avesse mai detto nulla in
proposito.
Ma è probabile, vero? – Si sforza di aggiungere il Boldhovin.
– Sinceramente…
– Non ti preoccupare di rispondergli, Basso Okme. – Lo interrompe
il Neek. – L'ingresso alle Foreste è qui davanti a noi.
Un
ampio portale di pietra adagiato obliquamente sulla terra tiepida,
come se qualcuno l'avesse costruito per poi spingerlo giù come fa un
bimbo stanco di un gioco, circoscrive un frammento di oscurità
insondabile dal quale proviene un soffio di aria fredda e secca.
Klog
annusa l'aria e fa una smorfia. – Sa di polvere e di chiuso.
Gudre-Yinnu
ride. – Certo. Il ricambio d'aria è quello che è. Adesso è
sufficiente entrare per sapere se vi sono superstiti di Livi-An.
–
Non mi piace. Non si potrebbe aspettare il mattino per entrare, per
avere l'intero giorn…
Klog
si interrompe di colpo e scuote la testa.
–
Già, Boldhovin. Cosa ce ne facciamo della luce del giorno laggiù? –
Ride Plinio.
–
Senza contare che i tappeti di sangue e gli scavoni non aspettano
altro che ci addormentiamo su questa terra per saziarsi finalmente. –
Aggiunge il Neek. – Allora?
–
Andiamo.
2 commenti:
Complimenti! Sempre più appassionante!
Grazie, Nick. Speriamo di rimanere all'altezza...
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