In
attesa che le due flotte comicino finalmente a spararsi addosso, sarà
bene spiegare un paio di cose sulla guerra presso i galattici.
L’arte
bellica nella galassia ha ovviamente raggiunto un livello di
raffinatezza tecnologica terrificante, tanto che il ricordo dello
Scudo Spaziale di Reagan suscita tenerezza, più o meno come il
fucile da caccia tanto amato dal nonno e lasciato a far ruggine in
soffitta dopo i funerali.
Anche
il costo degli armamenti in dotazione delle flotte galattiche é
terrificante: il primo articolo del regolamento di guerra dei
comandanti di astronave recita: “Non fatevi distruggere nulla che
non siate in grado di ripagare con il vostro stipendio”
Di
conseguenza la maggior parte delle guerre combattute tra le stelle
comporta l’esibizione ostentata di armi sempre più
scenograficamente impressionanti, nella speranza di indurre il nemico
alla fuga o alla resa senza inutile dispendio di denaro.
Ulteriore
conseguenza – questa volta sul design – le astronavi da guerra
sono bruttissime, cattivissime, minacciosissime, hanno dimensioni
smisurate, sono irte di aculei, piene di inutili rostri e disegni di
mascelle spalancate, luccicanti come alberi di natale diabolici e
accompagnate da cupi clangori metallici, stridenti ed inquietanti.
La
storia militare galattica dell’ultimo secolo é ben rappresentata
dalla figura dell’Ammiraglio Fatal Novara, capace di vincere ben
quattro battaglie contro flotte numericamente preponderanti
camuffando la sua flotta da “pensione economica- vista sul mare-
juke-box e ping-pong, grande spaghettata a ferragosto e caccia al
tesoro”.
La
quinta volta il nemico comparve sotto forma di “Settimana Piovosa
in Villeggiatura” e il geniale ammiraglio si suicidò.
Naturalmente
le due flotte – Kerrabbia e Mangiasabbia- ricche di esperti
nell’arte militare, stanno ritardando il momento dello scontro
finale per studiare un’apparizione abbastanza agghiacciante da
permettere una vittoria compresa nel budget.
Le
navi Kerrabbia hanno già sperimentato gli schemi di battaglia
denominati: “Arrivo in albergo di gita scolastica”, “Dibattito
in studio all’indomani delle Elezioni”, “Sosta in Autogrill di
Corriera di Gitanti”, tutti rigorosamente proibiti dalla
Convenzione di Betelgeuse e proprio per questo utilizzati dai
comandanti Kerrabbia.
Da
parte loro i Mangiasabbia continuano da giorni ad esercitarsi negli
schemi: “Buffet freddo gratuito per un gruppo di impiegati”,
“Gruppo Corale Alpino amatoriale” e “Matrimonio con cinquecento
e passa invitati”, ma le manovre non riescono troppo bene e Arn
Periferiko, comandante in capo della flotta dei Mangiasabbia, è
talmente nervoso e pungente che persino i Geosinclini e gli
Ortosinclini girano alla larga per non incontrarlo.
I
membri della piccola flotta della Satan e soci, godemichizzata da un
cartello con scritta rossa “DIVIETO DI DISCARICA”, assistono loro
malgrado alle esercitazioni delle due grandi flotte nemiche.
Volendo
si può anche girare la faccia, è ovvio, ma lo spettacolo
dell’orrido è affascinante e i componenti dei minuscoli equipaggi
della società immobiliare di Gomorra girano per i corridoi pallidi e
pieni di tic, si azzuffano per un nonnulla e di notte dormono
malissimo.
–
Fanno sul serio. – Pelagio distoglie con fatica lo sguardo da un
gruppo di navi Kerrabbia impegnate nello schema denominato: “Dame
di carità ad una Pesca di Beneficenza” e beve un sorso da una
fiasca appesa alla cinta. – Magari si distruggono tra loro. Magari.
Mirella
getta uno sguardo oltre l’oblò della nave e rabbrividisce: – Non
avrei detto che gli alieni fossero capaci di tanto.
Pelagio
si stringe nelle spalle e commenta filosoficamente: – Ognuno é
l’alieno di qualcun altro.
E.,
luminoso come un campo di grano dipinto da Van Gogh, interrompe la
masticazione della razione di emergenza XR-45 (all’aroma di
caffelatte) e sorride beato. – Che bella frase, Pelagio.
–
Grazie.
Il
ronzio sonnolento del comunicatore di Spazio 1 interrompe la
conversazione non troppo vivace tra gli occupanti della “Voodoo”.
–
Qui Ahriman Godetai. Buongiorno. – L’immagine del sauroide con
monocolo ed elegante tunica crema e vermiglia si forma in un angolo
della sala da pranzo della nave.
–
Buongiorno. – Rispondono in coro i presenti.
–
Doppio Kuemmel ha cominciato a lavorare… – Il nobilsauro esita –
E…
–
…E qualcuno dovrebbe uscire dal Campo Godemichè, qualcuno
particolarmente abile e fidato. Dovrà portare con sè qualche
accidente di marchingegno per qualche scopo che poi vi dirò, mentre
io e gli altri coraggiosamente coordineremo le altre attività. E
così? – Pelagio sorride: conosce bene i suoi polli.
Ahriman
annuisce con uno scatto nervoso della testa: – Più o meno. Tra
poco arriveranno lì da voi Doppio Kuemmel ed Eisenstein che vi
spiegheranno meglio la cosa…
–
C’é qualcos’altro, vero? – Pelagio cerca sempre di definire
nel modo più chiaro le dimensioni della propria sfiga.
–
Ci sarà anche mio figlio Neurite. – Deve ammettere il sauroide.
–
Ah.
–
Doppio Kuemmel é qui per girare un film, lo sapete no? E quindi
bisognerebbe non lasciare trapelare nulla sul vero scopo della nostra
missione. E ovviamente assecondarlo.
–
Tutto qui? – Chiede Pelagio con una punta di sospetto nella voce.
Ahriman
fa strani gesti con le mani. – È tutto qui.
–
Non ci credo.
–
Giuro
giurin giurertola, Godzilla fammi diventare una lucertola. Va bene
così? Beh, tanti auguri, ragazzi, siete il meglio della nostra
squadra.
–
Lo so. – Taglia corto Pelagio
–
Beh, arrivederci. – L’ espressione imbarazzata del sauroide
svanisce in un breve lampo di luce.
–
Ma che cavolo hai da sorridere, eh? – Fa Rumpus ad E.
–
Ma, la luce… – Balbetta il quasi trentenne, incapace di spiegare
il riflesso che lo ha spinto a sorridere al lampo di luce.
–
Lascialo stare, dai, Rumpus. – Interviene Mirella. – Pelagio,
cosa dobbiamo fare?
–
Eh? Ah sì. Pregare credo, meditare sul senso dell’esistenza,
comprendere il fine ultimo delle nostre miserabili vite. – Il
tartoide si alza lentamente grattandosi la nuca. – Vado a vedere
come va la nave, visto che tra non molto dovremo fare un bel po’ di
straordinario. Conan, vieni con me.
Il
lungo pilota della Satan e la bionda sintetica scompaiono, diretti ai
reattori Gaalighe. Visti di spalle fanno una bella coppia
impossibile: Pelagio in tutablù e Conan in slip di pelle nera e
reggicalze. Fossi Mapplethorpe li fotograferei.
Un
attimo dopo esce anche Rumpus alla ricerca del suo contenitore della
sabbia.
–
Fattifottograffà. – Canticchia il sorianone in corridoio.
–
Non sarò mai simpatico al tuo gatto. – Commenta E.
Mirella
sorride. – Un po’ di gelosia. Nemmeno tu l’hai mai sopportato.
–
Mi odia, anzi mi disprezza. Adesso è pure geloso. Meno male che pesa
solo sette chili.
Mirella
si alza stirando le braccia. – Sette chili e mezzo. Ma è un gran
bastardo. Beh, Sei pronto a salvare la terra?
–
Che domanda, e tu?
–
È quello che tentavo di fare quando ancora ci vivevo. Le marce, le
riunioni, GreenPeace, la guerra al salmone norvegese in busta e
sfuso, le balene che cantano e le balene che crepano, le discariche
abusive, i fiumi blindati, i giovedì del pedone. Mi sono sbattuta un
casino e incazzata anche di più. Ma non conoscevo Conan, Pelagio o
la Satan e soci. Così mi piace di più.
–
Quelli là fuori fanno sul serio, Mirella.
–
Lo so. Ma comunque Kerrabbia e Mangiasabbia non sono mica peggio di
Edwin Teller o di Ossequio Fede o delle petroliere della Exxon.
–
Preferirei Ossequio Fede. (pausa) Forse no.
–
Io no sicuro. Il popolo di Pelagio dice: “Ora il Crudele Signore
riposa e sorride, ma i suoi stupidi servi non conoscono pace.”
–
Ho già sentito qualcosa del genere…
–
Certo, anch’io, ma come lo dicono i tartoidi é più carino.
Mirella
sorride. – Dai, andiamo, che forse più tardi avremo un momentino
per noi. Devi ancora spiegarmi cosa fa il paguro con la conchiglia…
E.
diventa paonazzo e con una gomitata fa cadere il bicchiere con il
caffè – autosolubile ed autoriscaldante alla semplice
dichiarazione “Adesso mi farei un bel caffè” (Proprietà Società
sintedetica “Skizzo” di Marechiaro).
Poi,
tentando di salvare il caffè, fa cadere il comunicatore portatile
che si accende.
Voce
di Conan: – Ah, Pelagio, ma sarà bello abbandonarsi così alla
passione?
Voce
di Pelagio: – Stringi qui.
Ancora
Conan: – Mi ha detto che il mio modo di parlare é terribilmente
sexy.
Pelagio:
– Mmhhh, questo giunto é un po’ ballerino, passami la chiave
ipercardanica.
Conan,
tono sognante: – Sì. Il fatto é che mi piace come mi tratta, é
così … gentile.
Pelagio,
quasi incazzato ma educato: – Conan, questo é un trapano.
Conan,
confuso: – Scusa. Tieni. Oh, scusami ancora, un attimo (rumore di
attrezzi smossi, sospiro prodotto da un tartoide esasperato) Ecco,
l’ho trovata. Ti dicevo…
–
Spegni. – Dice Mirella ed E. la vede sorridere teneramente.
Dovrebbe
avere una polaroid sotto mano: Mirella sul tenero è rara come una
bisvalida.
E.
solleva il comunicatore e lo spegne. – Andiamo.
Piange
il telefono.
–
Ma mi trattano come un escremento, capisci Aquila?
–
Eh…
–
Qui muoio di freddo, di fame, per le umiliazioni. Non é nemmeno
stata mia l’idea di usare quell’imbecille di Cilicio Benelli.
–
Beh… – Aquila Yò-yò è poco loquace. Intento ad accarezzare un
segmento della notevole anatomia della proprietaria originale
dell’idea, si sta chiedendo come togliersi dai piedi l’inopportuno
Duca, ultimamente simbionte del tele-imago come una massaia.
–
… E poi questa idea della flotta non é molto opportuna. Cazzo,
mica pensavo di andare in guerra io. Aquila, ci sei? Bene. No è che
ho paura. I Kerrabbia sono dei guerrieri nati, ci faranno un paniere
a totem, minimo. Niente, una frase di quand’ero ragazzino. E poi
questa nave non é sicura, il comandante passa il suo tempo a
gozzovigliare, bere e ridere di me…
–
Ma non puoi farlo smettere? – La Verdalmata parla ad alta voce
perché l’altro la senta. Aquila Yo-yo le fa strani cenni e si
stringe nelle spalle.
–
Cosa dici? Farlo smettere? Ci ho provato, ma non mi apre neppure la
porta. Cosa hai fatto alla voce, Aquila? Lo sai che il tuo teleimago
non funziona? Non ricevo l’immagine.
–
È il teleimago che c’è sullo yacht del grande Geosinclino. –
Spiega il coniglioide.
–
Continua, sì… – Mugola la verdalmata.
Aquila
Yò-yò fa gli occhiacci alla sua compagna.
–
Sì, continuo. Ma il fatto é che solo tu puoi fare qualcosa. Hai una
voce strana, sai? Non stai mica covando un raffreddore per caso? Io
qui sono perennemente raffreddato e il guaio é che a nessuno gliene
importa nulla. Ho una coperta piena di buchi e ho il bagno in comune
con l’equipaggio. Pensa che ci vado solo quando non c’è nessuno
in vista, altrimenti mi fanno certi scherzi che non sarebbe di buon
gusto…
–
Già.
Vedo cosa posso fare. Il guaio é che il grande Geosinclino… Sai
com’é fatto, no? Poi adesso che ce la dobbiamo fare coi Kerrabbia
non é il momento, capisci cosa voglio dire?
–
Eh, sì , io capisco, ma…
–
ALLORA SPUTO TE NE VAI O DOBBIAMO VENIRE LI’ A TIRARTI FUORI?
Ci
sono due xingù all’esterno della cabina del tele-imago della
“Katakomba”. Il duca si affaccia al vetro: cambia poco sapere chi
è stato dei due, ma va così, ci sono cose che si fanno senza
motivo.
–
Uh, uh! Cosa guardi surgelato? – Urlacchia lo xingù più alto e
quasi magro, con metà baffi bianchi e metà neri.
–
Non lo toccare eh? Se no poi devi disinfettarti. – Dice il secondo
xingù, più vecchiotto e un’aria quasi simpatica.
–
STA BENE LA MAMMA? – Ulula il primo.
–
TAGLIA, ABBIAMO FRETTA. – Spiega il secondo.
–
Li senti, Aquila? Li senti? È sempre così, ogni occasione é buona
per insultarmi ed umiliarmi… –
–
Cheppalle, ma quand’é che la pianta? – Esclama la verdalmata.
–
Cos’hai detto? – Strepita il povero duca.
–
HAI FINITO, STRONZO? IL MIO AMICO QUA È UNO CHE SI STANCA FACILE! –
Urla il primo Xingù mentre il secondo comincia a battere con una
moneta sulla porta della cabina.
–
Fatti coraggio, resisti. UuuAAAAuuuuhhhh! –
Tari-La
si è stancata di aspettare ad ha iniziato con un giochino appreso
qualche giorno prima da un manuale per la felicità sessuale tra
membri di specie diverse. Aquila Yo-yò riesce a stento a posare il
ricevitore del tele-imago e dimentica il suo interlocutore fino alla
prossima volta.
Il
duca di Kroton guarda inquieto il ricevitore improvvisamente
ammutolito, chiedendosi il motivo dell’urlo finale del coniglioide.
–
SCEMO, LA DOCCIA È DI LA’.– Urla baffo bicolore che ha
finalmente divelto la porta della cabina.
–
Prego. – Pantaleone esce, ancora dignitoso, e si allontana
buttandosi la sciarpetta bianca di seta sulla schiena. Prodigioso:
sembra Isadora Duncan. Baffo bicromatico gli fa lo stesso dei
gestacci.
–
CHE PUZZA! – Commenta.
–
INSOPPORTABILE. – Conferma l’altro.
Il
duca di Kroton, ormai fuori tiro, li sente sghignazzare e fare altri
commenti sulla sua igiene personale. Depresso si avvia verso la sua
cabina, fermandosi solo per nascondersi in un incavo della parete
sentendo qualcuno avvicinarsi.
–
Buonasera signore. – Il robot astromeccanico passa davanti al suo
nascondiglio e il duca ha un’idea.
–
Robot. – Dice sottovoce.
–
Prego, signore?
–
Nella mia cabina ho alcune riviste, sai, quelle per progettisti di
robot, quelle un po’… allegre. Ho anche qualche video di
istruzioni di montaggio…
Gli
occhi del robot astromeccanico si accendono di un bel rosso rubino.
–
Sono di servizio. – Dice serio.
–
Robot per il servizio domestico, con crestina e pettorina, il
pannello aperto per riparaz…
–
Dov’é la sua cabina?
La
vendetta di Frankenstein
Non so voi, ma io ho sempre avuto un debole per loro, – i Robot –
fin dai tempi del magnifico Robbie del “Pianeta Proibito”.
Mi
piaceva che fossero sempre rappresentati come creature candide,
curiose e servizievoli, serie come bimbi intenti ad un tema
particolarmente impegnativo, ma capaci di chissà quali riflessioni e
considerazioni dentro le loro belle zucche di metallo.
Viceversa
non ho mai avuto molta simpatia per gli androidi, versione
perfezionata degli esseri umani, robot che hanno rinunciato alla
propria sana e pulita veste metallica per calarsi nei nostri panni,
ereditando anche i nostri difetti.
Singolare
che anche presso i popoli ed i governi della Galassia questa sia
stata l’opinione prevalente. La distinzione tra robot propriamente
detto e androide, data la recente possibilità di riprogrammazione
molecolare che abbiamo visto in azione per Conan, è un po’ meno
salda di un tempo – questo è vero – ma chi è nato robot, robot
resta in fondo all’anima anche se pornodiva, capitano di cargo
stellare, gru intelligente, taxi-taxista e sostituto di padrona di
casa con ospiti sgraditi.
“Ma
sono intelligenti i robot, comunque programmati? Provano emozioni e
sentimenti simili ai nostri?”
Sì,
certo, ma bisogna tenere conto di alcune peculiarità della
psicologia robotica (Robopsicologia, se il termine nato con la D.ssa
Susan Calvin vi piace di più) dovute all’altrettanto peculiare
psicologia del primo costruttore di robot, l’ormai famosissimo
Desìo Chiamato del sistema di Porkpiehat.
Come
riportano, anche con una punta di malignità, i principali testi di
storia ad uso delle scuole galattiche era egli un individuo molto
grasso e come spesso capita in questi casi timido, amabile e incline
ad una tenue malinconia ed a una concezione elegiaca dell’esistenza.
Questa
tipologia personale era acuita dalle peculiarità del suo pianeta
d’origine: il freddo e solitario Lacustre, dodicesimo satellite di
Giovannino Biribò, un gigante gassoso a righe orizzontali rosse e
blu.
I
primi turbamenti del giovane Desìo Chiamato sono legati al nome del
pianeta gigante che notte e giorno occupa gran parte del cielo di
Lacustre, conferendo ad ogni cosa una morbida sfumatura viola e
rendendo i suoi abitanti i poeti e compositori più suggestivi e
deprimenti del cosmo.
Terminata
la scuola dell’obbligo il giovane Desìo era stato iscritto dai
provvidi genitori ad una scuola di tipo tecnico. Pensavano di
garantirgli un futuro e in un certo senso avevano ragione. Ma al
povero Desìo, entrato in classe tra gli ultimi, parve di aver
attraversato lo Stige per approdare ad un inferno personale.
I
suoi compagni lo accolsero con sghignazzi, risatine, cachinni,
belati, ululati, fischi e cartacce. Dopo pochi secondi partì un
coro: “È arrivato Giovannino / Biribò – Biribò – Biribò /
Troppo grasso, troppo ciccio / per entrare nel paltò.”
La
mamma aveva commesso l’errore di vestirlo con un maglione a righe
rosse e blu, ma forse il problema non era tutto in quel particolare,
forse sarebbe bastato non arrivare per ultimo o quasi, o non
guardarsi intorno intimidito o farsi scortare dalla mammina fin
davanti alla porta dell’aula o chissà cos’altro. La scelta di
uno zimbello in qualunque comunità è un fatto misterioso.
Seguirono
alcuni tentativi di ignorare la cosa o “di prenderla con spirito”
come gli suggerivano genitori ed insegnanti, ma ben presto il povero
Desìo dovette rassegnarsi alla realtà: ogni suo tentativo di
inserirsi nella vita sociale della classe, qualunque sforzo per
valorizzare la sua immagine, per lasciar apparire la sua grande
sensibilità naufragava miseramente contro quel maledetto nomignolo:
Giovannino Biribò (anzi biribòbirbòbirbò, come da canzoncina),
pronunciato con scherno e sufficienza dai più ricchi e sicuri di sè
e con crudeltà compiaciuta dai più poveracci ed imbranati,
sollevati dall’aver qualcuno messo peggio di loro con cui sfogarsi.
Dopo
un anno di strazio e la composizione di una cinquantina di poesie (le
celeberrime “Odi alla Disperazione solitaria”, più tardi
premiate con il Calvarzio Dorato dall’Accademia Poetica di
Lacustre), il giovane Desìo giunse a una conclusione definitiva: se
nessuno voleva essergli amico si sarebbe procurato un amico da solo,
una creatura insieme forte, sicura di sè, molto intelligente ma
anche sensibile, capace di apprezzare la sua vena malinconica e
disposta a condividere le sue tristi notti interrogandosi sui più
profondi perchè dell’esistenza e della sofferenza.
La
decisione spinse il giovane Desìo ad una carriera scolastica
formidabile, culminata nella laurea in ingegneria robotica acquisita
presso un ateneo prestigioso.
Ormai
definitivamente abbigliato con la famosa maglia a righe, provvisto di
biglietti da visita con la feroce canzoncina stampata oro, sempre
solo e poco amato dai colleghi di lavoro della Robotek S.p.A., che
ridevano di lui (ma già con una punta di isterismo), il giovane
Desìo perseguiva con determinazione assoluta il suo progetto.
Il
primo prototipo, un robot alto quattro metri con cranio in ghisa,
(“…Siccome la piccolezza delle parti mi ostacolava decisi di
procedere alla costruzione di una creatura di dimensioni imponenti,
tale da incutere timore e soggezione” scrisse nei suoi appunti di
lavoro), si rivelò fondamentalmente buono, ma dotato di una mente
molto semplice.
–
Quale sofferenza? È tutto così bello e colorato.
Rispondeva
Prototipo Uno alle osservazioni di Desìo. – Stai allegro, su. Vuoi
un caffè?
Dopo
alcuni tentativi di inserire un circuito di malinconica tristezza
nella grande testa di Prototipo Uno, Desìo Chiamato passò
senz’altro a Prototipo Due. Dovette nascondere in casa il povero
Uno: la sua semplice vista determinava nei concittadini un
inspiegabile isterismo e li spingeva ad organizzare grandi cacce al
mostro alla luce di improvvisate fiaccole ed a parlare con un
bizzarro accento gutturale.
Prototipo
Due possedeva effettivamente alcune delle caratteristiche volute da
Desìo, ma ahimè in un grado tale da autosmontarsi per lo sconforto
dopo una conversazione di prova sulle abitudini delle Formiche
Blindate di Gakkum.
Prototipo
Tre, un robot di formato ragionevole, dotato di un circuito Ironico
per prevenire altri spiacevoli incidenti, si rivelò ben presto
creatura troppo intelligente e malevola per i gusti di Desìo. La sua
irritante abitudine di intercalare le risposte con la frase: “Che
megapalle Desìo, perchè non andiamo al cinema?” indusse il
geniale lacustre alla progettazione di un Prototipo Definitivo.
Gettatosi
nel lavoro con grande impegno, dopo aver ceduto Tre ad una stazione
TV che ne fece un incisivo ed innovativo cabarettista, Desìo
raggiunse il suo obiettivo in una notte di tempesta, sotto la luce
viola di Giovannino Biribò schermata da grandi nubi.
–
Prendi Vita mia creatura! – Urlò il grande roboticista e
Definitivo aprì i grandi occhi da moscone fissandolo con timida
malinconia.
–
Perchè, perchè questa vita? – Furono le sue prime parole. –
Perchè son io ad affrontare il grande, insondabile abisso del mondo?
Son io forse vivo o son ombra di un sogno? O siamo forse noi tutti
sogni che qualcun altro sogna e la nostra assurda vita non sarà
forse destinata a scomparire al primo raggio di sole come illusione,
come orma sulla sabbia che il vento disperde ?
Il
successo di Desìo fu talmente completo che ben presto tutte le
principali società produttrici gli offrirono cifre iperboliche per
acquisire i diritti di costruzione su Definitivo, un tipo di robot
contemplativo, malinconico e grande lavoratore, esattamente ciò che
i loro clienti desideravano.
Divenuto
favolosamente ricco Desìo Chiamato rimase tuttavia sempre fedele
all’amicizia di Definitivo, intrecciando con lui un dialogo ricco e
stimolante, ben sorretto dagli ottimi piatti preparati da Uno.
Oggi
i robot modello Definitivo, sono in funzione praticamente in ogni
angolo della Galassia, spesso frustrati ed umiliati, obbligati ad una
conversazione sciatta e banale fatta solo di ordini o di minacce,
cosa che, come vedremo, può portare anche le creature più pazienti
all’esasperazione.
“Temete
l’ira dei miti.” È scritto.
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