Leggere
attentamente avvertenze e modalità d’uso
Un romanzo come si deve, anche se scritto in italiano, deve avere perlomeno un protagonista, meglio due. Al corrente di questo semplice segreto del mestiere, ho già sottomano il tipo adatto.
Si
chiama Edoardo Brizzi, nome non particolarmente significativo, lo
ammetto, ma non privo di risonanze primo novecento.
Chiamato
E. per comodità, Edoardo è un giovane magro e disordinato, di un
sei-sette centimetri troppo alto per i suoi gusti, segregato dietro
un paio di occhiali dalla montatura nera di plastica stile Clark
Kent, normalmente abbigliato con jeans troppo larghi e dal cavallo
calante come un sax scordato, magliette e felpe con scritte del tipo
“Minnesota University”, “Beach Windsurfer”, “The best Scandinavian Maelstrom” e “Don’t worry, be happy”,
accompagnate da cartine geografiche di paesi inesistenti o da
disegnini di cicloidi accigliati o sorridenti.
Il
suo guardaroba consta inoltre di un paio di k-way strappati sotto
l’ascella per la mezza stagione, un montgomery del peso secco di
ventidue chilogrammi (gli alamari sono di acciaio, signora. Durano
di più) e una maglia Aral allungata dai ripetuti lavaggi fin
quasi alle ginocchia (altezza di E.: un metro e settantanove).
Non
si ama molto E. – l’avrete capito – si appende la roba addosso
a casaccio, usa troppo la macchina e quando cammina striscia lungo i
muri come Fra’ Cristoforo prima della conversione.
Ha
capelli scuri e dritti, particolarmente al risveglio, mento scarso e
collo lungo. Mastica cingomme o golia, ostenta sopracciglia folte ed
aggressive e visto di profilo senza occhiali assomiglia vagamente
all’ Anthony Perkins di Psycho.
Lo
conosco da quando era alto così, quando mi dava fastidio vederlo
viaggiare tra le mie cose da adolescente superimpegnato con i suoi
pantaloncini corti e l’espressione a metà tra il rapace e lo
stupefatto.
Interpellato
sulla possibilità di diventare il personaggio principale di un
romanzo scritto da un esordiente, ha avuto una strana reazione, a
metà tra la diffidenza e la curiosità vanesia.
La
vanità ha avuto partita vinta dopo una breve intima colluttazione ed ha
accettato, probabilmente chiedendosi quale recondito lato di lui
avessi colto.
Molti,
a volte anch’io, lo considerano un vero cretino, ma è un giudizio
parziale e ingiusto.
Tanto
per cominciare Cretino non è una parola semplice, un insulto
svagato, anonimo, tipo cornuto o figlio di Madre Ignota. No, Cretino
vanta un etimo medieval – franco – chiesastico di tutto rispetto.
Chretien, cristiano, si diceva degli scemi del villaggio, cioè
di coloro che avendo incontrato da qualche parte il Supremo in
persona avevano visto il proprio lumicino evaporare di fronte alla
soprannaturale potenza celeste. Questo severo concetto di Dio, in
nulla simile alla divinità pantofolaia e bretellona dei catechismi
moderni, è quindi decisamente inadatto per definire i limiti
intellettuali di chicchessia.
E
poi la parola cretino mal rende la particolare qualità della
stupefazione di E., una sorta di innocenza distratta e sognante,
grazie alla quale capiva gli insulti una volta arrivato a casa da
scuola e congegnava brucianti risposte la sera prima di coricarsi.
Magari
scemo allora? Non va bene scemo?
No,
il limite principale di E. non è la povertà ma l’eccessiva
ricchezza intellettuale, le invadenti fantasie a ciclo continuo che
provocano un ritardo costante nel suo contatto con la realtà.
La
famiglia – tranquilla e operosa famiglia italiana, di quelle che
non partecipano ai telequiz perché si vergognano e s’indignano
davanti a corruttori e concussori – è ben conscia di questa
caratteristica dell’unico figlio ed ha sempre preferito glissare,
parlando prima di ingenuità e di candore infantile, poi di
difficoltà di inserimento e di compagnie sbagliate, infine di
simpatica immaturità.
Zitto
zitto E. si è fatto tutte le sue scuole, navigando tra il sei e il
sette e alla fine si è persino laureato con una tesi su Lino Aldani,
Roberta Rambelli e la Fantascienza italiana anni ‘50 / ‘60.
Gli
hanno dato due punti giusto perché meno di così non si fa.
Quando
i suoi erano più giovani e avevano ancora voglia di parlare di lui
hanno trascorso interminabili serate con i pochi amici a ricordare
nonni zuzzerelloni e possidenti, ortocugini troppo studio/seriosi
successivamente meningitici, traditi dalle mogli, invertiti o
brigatisti, nonché sperduti zii imprevedibilmente brillanti, matti e
sognatori ma fondatori di fiorenti imprese.
Qualche
volta sono anche riusciti a convincersi.
Ma
E. non sta più a sentire.
Si
è stufato di queste riunioni piccoloborghesi fin dall’età di anni
6, anche se tuttora – anni 27 compiuti – non riesce a
disincastrarsi dalla dolce sicurezza della famiglia. Come un
adolescente è ancora impantanato tra la sua cameretta ed il bagno
odoroso di lavanda dei genitori, dove, ormai abulicamente, reitera il
suo peccato solitario al cospetto di imponenti foto di modelle dai
seni e visi anonimi ma in possesso di un invadente, minaccioso pelo
pubico.
Ognuno
in campo sessuale ha diritto ai propri gusti, ma E. vive con un
doloroso senso di colpa questo risvolto segreto della propria vita,
nel quale la miopia ed una mentalità scientifica degna di un Van
Leeuwenhoek si rinforzano a vicenda. Sospinto dalla sua bizzarra
perversione ansima su ingrandimenti al limite dell’incomprensibilità,
vicini alla foto aerea di zona boschiva virata seppia, come se la
risposta definitiva alle sue pulsioni lo attendesse oltre un certo
grado di risoluzione.
Mamma
e papà non ignorano la peculiare predilezione del loro rampollo ma
non confrontano mai le loro conclusioni in proposito per
l’invincibile imbarazzo che li frena, lo stesso che ha impedito
loro di provvederlo di una sana e completa educazione sessuale.
Si
limitano ad un falso disinteresse, chiedendosi sgomenti prima di
dormire se non sia il caso di provvedere al figlio un sollievo
carnale mercenario in carne ed ossa prima che la sua libido distorta
lo spinga ad abominazioni da rotocalco popolare.
–
È un ragazzo che non dà preoccupazioni – dice abitualmente mamma.
Ha un modo secco e rassegnato di dirlo.
–
Sì, ma forse.
–
È ancora giovane, deve solo trovare la sua Strada – ripete mentre
papà, già parzialmente addormentato, immagina la Strada di E.. La
immagina sterrata, fiancheggiata da foto ad ingrandimento crescente
di intimità femminili e di sorridenti ritratti di calciatori con
nome e ruolo scritto in basso su campo giallo. E. la percorre in Fiat 500 bordò a velocità crescente sbarrando gli occhi, come fa sempre
quando non capisce qualcosa, fino a schiantarsi, lui e la sua
vetturetta, contro un altissimo muro che riproduce le fattezze di
Nostradamus nell’atto di degustare una coca-cola.
A
quel punto della visione papà brontola, si solleva dal guanciale,
cerca di ravviare il contingente simbolico di capelli che gli
presidiano il cranio e legge un paio di pagine di un giallo,
possibilmente molto violento e sessualmente torbido .
I
calciatori nella visione del padre ci sono perché E. – come molti
ragazzi – ha intensamente amato il calcio.
Ho
ancora da qualche parte alcune sue foto nella squadretta del liceo,
foto di cadute, falli, sgambetti e di occhiali con le stanghette
assicurate con l’elastico finiti chissà dove.
Vieni
a vedermi, a fare il fotografo a fondo campo? Andavo sbuffando, ma
lui ce la metteva proprio tutta e alla fine dovevo anche consolarlo.
Come
molti si è accontentato di raccogliere le figurine dei calciatori,
allargando il suo interesse anche ai campionati anteguerra e alle
eterne riserve che appiccicava nei posti di titolari con una specie
di cupa voluttà rabbiosa.
Metteva
Bencivenga o Chissachì – io non sono preparato come lui –
centravanti della nazionale Campione del mondo e buttava Paolo Rossi
in pattumiera. Alle volte a qualcuno disegnava gli occhiali con la
biro blu.
Più
recente è la passione per l’occultismo ed i fenomeni paranormali.
E. possiede tutti i volumi pubblicati dalle edizioni Sinistro
Presagio, specializzata in Narrativa fantastica seriale, Rivelazioni
Ultime, Visioni Ultraterrene, apparizioni di UFO, Madonne, Angeli,
Demoni, Elfi e Coboldi, Satanassi, Spiriti malefici ed inquieti ed
infine profezie agghiaccianti.
Curiosamente
la sede legale delle Edizioni Sinistro Presagio S.R.L. risulta essere
a Behemoth, pianeta Gomorra, particolare del quale nessuno si è mai
accorto. Nessuno legge mai i “finito di stampare” e i “Proprietà
letteraria riservata”.
Questa
circostanza è però estremamente importante per il seguito della
nostra storia, dal momento che sia Behemoth che il pianeta Gomorra,
come pure il sulfureo proprietario della casa editrice, non sono una
simpatica bizzarria ma solida realtà.
Sarà
bene chiarire, a questo punto, che la fame di notorietà e lo smodato
desiderio di essere rispettato ed amato non mi hanno corrotto fino al
punto di nascondere qualche particolare fondamentale al protagonista
del romanzo.
Infatti
E. ha ricevuto le informazioni necessarie e le istruzioni relative al
suo comportamento sotto forma di un biglietto succinto ma chiaro che
ho provveduto ad attaccare personalmente con un pezzo di scotch sul
cruscotto della sua 500, insieme a cinquanta sacchi per le sue
piccole spese (un numero di Macrosesso, una capricciosa con un
amico e il saggio i messaggi
infernali vol.3°, sottotitolo: «come Satana vi parla
attraverso i dischi di dj Francesco»).
Il
fatto che il biglietto si sia staccato, sia stato calpestato dalle
scarpe infangate di Armando Gerbone, amico d’infanzia di E., e in
seguito abbandonato nel cortile della di lui casa per poi finire nel
bidone della scala A del condominio “Serenità”, dovrebbe
spingere a meditare sui molti aspetti della casualità e suggerirmi
di cambiare marca di nastro adesivo.
Intanto
(nel romanzo) un E. ignaro del suo destino, ma felicemente sorpreso
per il cinquanta – quello sì rimasto attaccato al cruscotto –
dopo le spese di cui si è detto ha pensato bene di andare a leggere
il pregevole volume e a dare una golosa occhiata all’opuscolo
scientifico nella calma della sua piccola auto, parcheggiata in
qualche viottolo particolarmente squallido della periferia,
possibilmente nei pressi di una discarica abusiva.
Individuato
il sito E. accende l’autoradio sintonizzandola su radio Ultimo
Sigillo, dove una voce nasale sta leggendo un elenco di apparizioni.
Allunga le gambe, si gratta il naso ed estrae dall’involucro di
cellophan il rotocalco, con uno sguardo che farebbe piangere la
mamma.
E
noi qui lo molliamo, un po’ perché non è bello spiare l’intimità
di qualcuno, un po’ perché sull’argomento ne sappiamo già
abbastanza, infine perché succede ben poco nella prossima mezz’ora
e nè io nè voi abbiamo voglia di stare qui a contemplare la 600
bordò di E. o a litigare con le pantegane che allegramente popolano
la scena. E già che di pantegane si parla…
2 commenti:
Già il fatto che somigli ad Anthony Perkins e che conosca di fama Roberta Rambelli me lo rende simpatico.
@Nick:sono sempre io, nonostante il diverso nome. Ti rispondo via telefono, il che credo ti darà un'idea di come vanno le cose qui... Diciamo che hai fatto bene a stare a casa 🤔. Per tornare al blog sono contento che È. - in realtà il ritratto di un collega di università - ti sia risultato simpatico. Sarà molto presente nel romanzo 👍
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