Sono tempi bui per il libro, la lettura e le librerie. Una furiosa battaglia oppone gli editori tradizionali all'Amazon di Jeff Bezos mentre il numero dei lettori in Italia continua a diminuire. Soprattutto dei forti lettori. Vi sono incontri, valutazioni, riflessioni, si tentano di creano reti di librerie ma la situazione continua a rimanere preoccupante. E gli e-book a quanto pare non sembrano aggiustare la situazione...
Ma di questo parlerò la prossima volta. Oggi è tardi, sono stanco e ho altro per la testa. Sicché la mia modesta valutazione della situazione andrà in onda non appena avrò messo insieme dati a sufficienza. Il che, conoscendomi, può essere pericoloso, ma spero di fermarmi a tempo.
...
Quello che ho per la testa è una lussuosa sciocchezza, ovvero come raccontare uno scontro a fuoco in un lontano momento del futuro, su un pianeta inventato, ovvero uno degli strani compiti con cui chi scrive sf si trova a fare i conti.
Può divertire molto chi non legge o non ama la fantascienza, ma resta il fatto che raccontare le armi, l'organizzazione militare, la tattica e la strategia in tempi che non sono i nostri ma che dai nostri derivano è una fatica immane. Si può passare un intero pomeriggio a spulciare articoli e studi per scrivere un paio di righe in tutto.
«Ma chettifrega, metti un paio di pistole a raggi o di disintegratori e Zot! Uiiii! Kapow!»
In effetti è il sistema che veniva usato in altri tempi, ai tempi del futuro anteriore ma dubito che oggi funzionerebbe. Il rapporto tra l'industria degli armamenti e la società civile è un rapporto marxianamente dialettico, il che significa dal tipo di armi è possibile desumere l'organizzazione militare, il suo scopo, la sua funzione fino alla struttura stessa della stato. Non sto esagerando: riuscite a immaginare una battaglia di Waterloo con divise multicolori e numerosa cavalleria combattuta a colpi di mitra o una battaglia di Canne con cannoni e fucili? Il rischio di inserire pistole a raggi o disintegratori è più o meno quello di chi crede sia possibile far combattere ad Agincourt con i kalashnikov al posto dei dei longbow.
In più c'è il piccolo particolare che cerco di non scrivere una parola senza esserne saldamente convinto, e tutto il resto vien da sé.
Così sono qui, inchiodato a tentare di ipotizzare armi non solo verosimili, ma verosimili all'interno di un esercito regolare - oltre che nell'ambito di una forza irregolare e di rapido movimento. E devo tener conto che non ci sono solo le armi di serie, ma anche le armi personali, quelle per le quali i soldati di mestiere finiscono per provare un sentimento molto simile all'amore, le armi di sistema o le armi strategiche, ovvero quelle che possono modificare il corso di una guerra, le armi improvvisate utilizzando una tecnica nata per tutt'altro scopo e le armi sorpassate ma tuttora utilizzate.
Ma forse è il caso che faccia una piccola digressione, tanto per discorrere. Io NON sono un fanatico di armi. Mi interessavano da bambino, certo, ma i regali di zii e nonni andavano in tutt'altra direzione - essenzialmente libri e costruzioni, con mia piena soddisfazione - e il mio unico rammarico era quello di essere sempre un soldato semplice disarmato negli eserciti da bambini. La necessità di interessarmi alle armi si è manifestata poco per volta, proprio scrivendo. Quando non era necessario scriverne se non di passata accennavo oscuramente a qualche genere di arma ovviamente sconosciuta a voi (noi?) semplici umani del XXI secolo, inserivo un «fu colpita (la nave)» o «fu colpito (il pirla di turno)» e buonanotte. Senonché i mondi che mi trovavo a raccontare erano talvolta ricchi di imprevisti scontri e cervellotiche minacce e l'ambiente militare, anche se volutamente ridotto al minimo ragionevole, doveva comparire in qualche parte di un racconto o di un romanzo.
La tecnica dell'allusione era la mia preferita: «io so e tu sai che il personaggio ha un'arma e che la usa, ma non ti farò perder tempo, caro lettore, a dirti la rava e la fava di come funziona e quanti danni fa: pensiamo alle cose serie», che però non è l'approccio giusto dovendo raccontare di guerriglia su un pianeta lontano lontano.
«Sì, ma chi te lo fare?»
Bella domanda. Diciamo che quello che ho da dire in questo momento - dal momento che pagare per leggermi è un privilegio che finora in pochi hanno scelto - mi obbliga a raccontare una storia di guerra.
Che il racconto della guerra è un classico della letteratura.
Che narrando di guerra e di soldati/e si racconta molto di una società e di un mondo.
Che se non si racconta d'amore si racconta di guerra.
Eros vs. Tanathos.
Eggià.
Ma secondo voi esisteranno mortai a infrasuoni?
9 commenti:
Beh, penso che sull'argomento si possano leggere il classico "Superiority" di Arthur C. Clarke e il meno classico ma ben scritto "Aliens" di Alan Dean Foster. Sempre di Clarke, "Hide and Seek", sul confronto fra un uomo in tuta spaziale e un incrociatore interplanetario (vince il primo). Comunque direi che la tecnologia delle armi a proiettile è destinata a durare ancora a lungo, per le obbiettive difficoltà presentate dalle armi a energia diretta.
Il menestrello crede che nessuno possa dire con esattezza come si evolverà una data tecnologia: quando nella seconda guerra mondiale gli inglesi usavano la Sten (con ovvi problemi di surriscaldamento), nessuno avrebbe pensato di ritrovarsi con i "moderni" P90 :)
Per quanto riguarda le ragioni della fantascienza, il menestrello assicura che c'è una vasta ignoranza ancora oggi e che fin troppo spesso si tende a evitare l'argomento.
Ciao!
Guarda quando si tratta di combattimenti sono un disastro e le armi sono una cosa che spero sempre di non dover approfondire per scrivere perchè non ne capisco davvero nulla. Un po' come di automobili.
Però succede che i nostri personaggi proprio debbano finire in mezzo ad una sparatoria, succede che combattano. In quel caso è un lavoro davvero faticoso e lungo scrivere la scena e nel mio caso ammetto non sempre alla fine il risultato mi soddisfa.
Forse è perchè non ho mai impugnato un'arma. Forse davvero in questo caso mi farebbe bene andare al poligono e sparare qualche colpo, solo per avere una pallida idea di cosa significhi, almeno alla lontana.
@Paolo: molto ben graditi i riferimenti letterari. Potrei aggiungere "Guerra Eterna" di Joe Haldeman più che altro per il tipo di ambiente militare che evoca immediatamente la guerra in Vietnam. Quanto alle armi a proiettile ci sono illustri precedenti come Iain M. Banks che nei suoi romanzi - e in un racconto come Un dono della Cultura - le fa utilizzare ai suoi personaggi.
@Lerigo: sacrosanto. Credo che nessuno avrebbe potuto prevedere il grande successo del Kalashnikov, successo in gran parte dovuto al fiorire di guerriglie e di guerre locali nel mondo di fine XX e inizio XXI secolo. Quanto all'ignoranza è un punctum dolens sia tra i lettori che tra gli autori. Ringrazio il cielo di non scrivere Fantasy medievale perché mi sentirei obbligato a studiare economia, tecnologia e organizzazione sociale nei secoli che vanno da VI a XV...
@Cily: la mia esperienza a proposito di armi da fuoco risale all'uso della doppietta di un amico di mio zio. Grazie a dio dovevo centrare soltanto una latta a 4-5 metri e non un animale, ma ricordo tuttora il dolore alla spalla per il rincuto che mi accompagnato per il giorno successivo. Il fatto che le armi abbiano come conseguenza secondaria lievi danni anche a chi le usa non è un elemento comune nel racconto di scontri a fuoco ma sarebbe bene ricordarlo, tanto per scadere immediatamente nel fumettone.
Nel lontano 1978 ho sparato una ventina di colpi al poligono con il Garand M-1 (il fucile di Clint Eastwood in "Gran Torino") e il suo derivato automatico, il FAL Beretta BM59, un'arma che era un ibrido fra un fucile d'assalto e una mitragliatrice leggera (ma terribilmente pesante da portare e impugnare). Per non spaventare i ragazzi di leva i primi caricatori usavano proiettili di plastica, molto leggeri, e il rinculo era modesto. Sparando poi con proiettili "veri" la sensazione era sconcertante, anche il pesante FAL Beretta acquistava vita propria, e non c'era solo la spalla dolorante,la contrazione nervosa dei muscoli ci metteva del tempo a sciogliersi. L'addestramento al tiro a raffica era limitato, probabilmente per paura che le reclute si sparassero fra loro, e anche nei servizi di guardia era vietatissimo spostare il selettore dalla posizione di colpo singolo. Il rumore, da dietro il fucile, era forte ma non fastidioso.
@Paolo: io avendo fatto il serizio civile non ho avuto rapporti ravvicinati con un fucile da guerra, ma diciamo che se l'Italia fosse invasa da terrificanti robot telecomandati da alieni ameboidi potrei prendere lezioni.
@Paolo:... o forse no, non provo molto amore per l'Italia, ultimamente.
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